Читать книгу I Cowboy Di Carla - Bella Settarra - Страница 9
ОглавлениеCapitolo Uno
Erano trascorsi un paio di giorni difficili quando Carla Burchfield alla fine decise di concedersi una notte di sonno decente in un letto degno di questo nome.
Le luci soffuse del Melrose Motel parevano ammiccarle e lei sospirò quando trovò l’ingresso e lasciò cadere le valigie sul tappeto logoro della reception polverosa.
“Quanto tempo si trattiene?” Il vecchio signore dietro il bancone sembrava annoiato e puzzava di fumo di pipa stantio.
Carla si guardò intorno nell’edificio fatiscente. Non era per niente accogliente, ma la prospettiva di un vero letto lo rendeva il posto più invitante della terra. “In realtà non ne sono sicura. Posso pagare soltanto per stanotte e poi decidere?” Sollevò un po’ la visiera del berretto, cercando di assicurare all’uomo che non c’era nulla di ambiguo o sospetto in lei. In effetti, il cappello nascondeva i suoi capelli unti e spettinati tanto quanto tentava di camuffarla.
Il vecchio si grattò i capelli bianchi e annuì. “Sicuro. Venti dollari per la stanza. Se domani vuole fare colazione c’è una tavola calda dall’altra parte della strada.”
Carla annuì e gli consegnò il denaro. Aveva notato il bar lungo la strada ed era rimasta delusa di trovarlo chiuso. Erano quasi le dieci e il posto era deserto.
“C’è un altro locale aperto dove poter mangiare?” chiese speranzosa.
L’uomo scosse la testa. “No. Non abbiamo molte persone che passano da qui, quindi non ce n’è bisogno.”
Sicuramente riusciva a capire perché!
Seguì le indicazioni dell’uomo per la sua stanza, delusa ma non del tutto sorpresa. Il suo stomaco brontolò, ricordandole che non mangiava da mezzogiorno. Aveva un paio di barrette al cioccolato nella borsa e un sacchetto di patatine che avrebbero potuto sfamarla fino al mattino. Si tolse il cappello dalla testa non appena fu sola, facendo cadere i lunghi riccioli scuri intorno alle spalle. Non vedeva l’ora di fare una bella doccia e di lavarsi i capelli. Trovò la stanza e aprì rapidamente la porta.
La prima cosa che notò fu il letto. Era un materasso singolo, e il piumino sembrava piuttosto logoro e sbiadito, ma le faceva cantare il cuore. Lasciò le valigie, chiuse a chiave la porta e saltò sul letto. Era duro, ma non quanto il terreno su cui aveva dormito la notte precedente o la panchina del parco la sera prima. Aveva trascorso la prima notte in treno, che era più comodo, ma non aveva osato addormentarsi.
Quel letto sembrava sontuoso e accogliente e chiuse immediatamente gli occhi. Il sollievo le percorse tutto il corpo e sprofondò nel materasso bitorzoluto.
Doveva essersi addormentata perché, quando più tardi aprì gli occhi, trovò la stanza immersa nella totale oscurità. Anche la luce fioca che giungeva dalla strada quando era arrivata adesso era spenta. Cercò rapidamente l’interruttore della luce prima di togliersi i vestiti e si lavò nel lavandino in un angolo della stanza. Il bagno più vicino era in fondo al corridoio, ricordava, e mentre andava a cercarlo indossò una camicia da notte, facendo attenzione a chiudere a chiave la porta quando uscì.
Non appena tornò nella sua stanza, frugò nella borsa alla ricerca del diario, su cui scrisse mentre divorava gli snack. Persino le patatine fecero ben poco per alleviare i brontolii del suo stomaco vuoto, e non vedeva l’ora di fare un pasto decente al mattino. Era stata così impegnata ad allontanarsi da Sheridan che non si era preoccupata di fermarsi per mangiare come si deve. Aveva afferrato tutto ciò che poteva in qualunque stazione si era ritrovata prima di saltare sull’ennesimo treno. Immaginava di essere arrivata abbastanza lontana, e sperava che Jerome e la sua banda non avrebbero pensato di cercarla in Sud Dakota, figuriamoci in un posto minuscolo come quello. Era molto fuori mano e aveva camminato per ore da quando aveva lasciato la piccola stazione ferroviaria a svariati chilometri di distanza.
Si arrampicò sul letto e assaporò la sensazione delle coperte contro il corpo stanco. La morbidezza del cuscino e il fresco delle lenzuola di cotone la circondavano in una sensazione che non si era più concessa da quella notte terribile.
La sua mente vorticò mentre ricordava lo sguardo sul viso di Jerome Pearson mentre celebrava il successo con Quinn Mason e Steve e Oliver Hutchings. Si erano vantati dell’espressione terrorizzata apparsa sul viso del Signor Roberts quando avevano estratto i coltelli e l’avevano obbligato ad aprire la sua cassaforte e tirare fuori i soldi. La farmacia aveva fruttato loro quasi quarantasettemila dollari e stavano progettando di dividerli in quattro. Il problema era che erano stati così impegnati a bere per festeggiare il loro successo che nessuno era ancora stato in grado di contare i soldi, figuriamoci di custodirli.
Carla aveva visto un lato del suo ragazzo che non aveva mai immaginato, e in quei pochi secondi il suo amore e la sua adorazione si erano trasformati in odio e disgusto. Non era altro che un comune ladro a cui piaceva tormentare gli anziani, minacciando le loro vite se non avessero consegnato i soldi per cui avevano lavorato così duramente. Carla conosceva il Signor Roberts da diversi anni e lo aveva confortato al funerale di sua moglie. Betty Roberts era stata per lei una buona amica quando era arrivata a Sheridan, e per un po’ le aveva anche dato un lavoro.
Quando gli uomini erano stati così ubriachi da addormentarsi, aveva colto l’occasione per afferrare i soldi e scappare. Quei soldi erano del Signor Roberts e lei doveva solo trovare un modo per restituirli senza finire nei guai. Sapeva che Jerome e i suoi amici l’avrebbero uccisa se l’avessero raggiunta, ma doveva fare qualcosa. Il Signor Roberts non meritava tutto quello e lei era determinata ad aiutarlo.
I ricordi di quella notte le riempirono i sogni e la sua mente era piena di terribili memorie quando si addormentò di nuovo.
Quando si svegliò si sentiva molto meglio. Erano già le otto e mezzo passate e sorrise guardandosi intorno nella stanzetta. Era molto spartana, con solo una vecchia sedia di vimini in un angolo e una cassettiera ancora più vecchia contro una parete. La moquette era consumata e la carta si stava staccando dalle pareti, ma a Carla sembrava lussuosa. Anche l’odore di umidità e muffa che aleggiava pesantemente nell’aria non era sufficiente a guastare il suo umore.
Si sentì come rinata dopo aver fatto la doccia ed essersi infilata gli abiti puliti, poi afferrò le borse e si diresse verso la piccola tavola calda per fare colazione. L’odore all’interno del locale gli sembrò il paradiso, e quando vide le dimensioni della porzione che le era stata data il suo cuore sussultò. Divorò l’enorme colazione insieme a due teiere e alcune fette di pane tostato.
“Sembra che tu sia a digiuno da una settimana.” La signora paffuta dietro il bancone sorrise.
Carla non aveva intenzione di dirle quanto tempo era passato da quando aveva fatto un pasto decente, così si limitò a sorridere e continuò a mangiare. Era una ragazza piuttosto robusta e probabilmente poteva permettersi di perdere qualche chilo, ma c’era sicuramente un limite al tempo che una donna poteva stare senza cibo.
Le due borse erano appoggiate sulla panca accanto a lei, una contenente i pochi vestiti che aveva messo insieme e l’altra i soldi. Aveva infilato il diario in uno dei borsoni, sperando che sembrasse poco appariscente, e lo stava custodendo con la propria vita. Fino al giorno precedente ciò aveva significato non dormire serenamente nel caso qualcuno avesse cercato di prenderlo da sotto la sua testa, dove lo aveva usato come cuscino mentre la cinghia era strettamente avvolta intorno al suo polso. Era per questo che aveva dormito così profondamente la notte appena trascorsa, supponeva.
“C’è una banca qui vicino?” chiese alla donna, quando le portò via il piatto.
“A circa mezzo miglio di distanza”, rispose lei con un sorriso. “Abbiamo un ufficio postale in fondo alla strada, ma questo è quanto. La gente di solito non si ferma qui, passa soltanto in macchina.”
Carla annuì. Quando era arrivata la notte precedente aveva cercato le varie attività commerciali, ma al buio era stato difficile vedere qualcosa. Pagò il cibo e si diresse all’ufficio postale, dove comprò un grande pacco per le spedizioni e un pennarello nero.
“Viene da Cavern County?” le chiese la ragazza dietro il bancone.
“No, sono solo di passaggio. Se riesco a prepararlo per l’invio, verrà spedito per posta oggi?”
La ragazza annuì. “La posta viene ritirata nel pomeriggio. Se invia qualcosa di prezioso dovrà compilare questo modulo.”
Porse un documento a Carla. Dannazione! Non soltanto lì sopra le veniva richiesto di specificare il contenuto del pacco ma anche di fornire i suoi dati personali. Si morse il labbro pensierosa. “Quanto dista la città più vicina?”
“A circa mezzo miglio in quella direzione c’è un piccolo posto chiamato Almondine. Non c’è molto lì, solo un paio di negozi e cose del genere. La città successiva è a circa un miglio di distanza, e porta a Pelican’s Heath. Non è molto più grande, ma le persone che ci abitano sono davvero gentili.”
Carla la ringraziò e prese la scatola, sperando che la banca più vicina fosse in uno di quei posti. Tornò al motel. “Per favore, posso restare ancora qualche notte?” chiese al vecchio, che sembrava sorpreso di rivederla.
“Certo che può. Pagamento in anticipo. La sua camera non è stata ancora pulita, vuole restare lì?”
“Sì.” Controllando il portafoglio, vide che poteva permettersi cinque notti. Quello le avrebbe dato abbastanza tempo per riposarsi e la possibilità di schiarirsi le idee e ideare la prossima mossa. Sorrise e prese la chiave che l’uomo le porgeva.
Una volta chiusa a chiave nella stanzetta, che già le dava l’idea di casa, svuotò il contenuto del borsone nella scatola per le spedizioni e la indirizzò al Signor Roberts della farmacia di Sheridan. Soppesò l’idea di inviarlo fornendo false informazioni personali sul modulo, ma si rese conto che così facendo avrebbe lasciato una traccia cartacea che riportava all’ufficio postale – e quindi a dove si trovava. Maledizione! Certo, si sarebbe comunque spostata presto, e aveva firmato nel registro dell’hotel con un nome fasullo, ma l’ufficio postale aveva delle telecamere di sicurezza che potevano facilmente identificarla e Jerome, o la polizia, non avrebbero impiegato molto tempo per rintracciarla. Sospirò. Forse poteva trovare un altro ufficio postale e andare in incognito, fornendo di nuovo false informazioni? Avrebbe dovuto fare molta strada per essere al sicuro. Mordendosi il labbro, rimuginò sull’idea. Aveva bisogno di più tempo per pensare e non fare errori, avrebbe trovato un modo per ideare un piano in un secondo momento.
La scatola era troppo grande per stare nel borsone da viaggio, così tirò fuori i vestiti dall’altra sacca e riuscì ad infilarla lì dentro. Poi mise gli abiti nel borsone. La preoccupava non poter mettere il diario insieme ai vestiti, così lo fece scivolare nel borsone con la scatola, appuntandosi mentalmente di rimuoverlo una volta spedito il pacco. Poteva comunque aver voglia di scriverci qualcosa più tardi, quindi doveva tenerlo con sé.
Okay, tempo di tornare al piano A.
Prese la valigia, uscì di nuovo e si diresse verso la banca. Era abituata a camminare così non impiegò molto per raggiungere la cittadina vicina. Almondine era piuttosto caotica, e aveva alcuni grandi negozi. La strada principale che attraversava la città era rumorosa e la gente era ovunque. Trovò la banca alla fine di una strada trafficata. Era molto più grande di quanto si aspettasse e non era sicura se fosse una cosa positiva o negativa.
“Vorrei affittare una cassetta di sicurezza, per favore”, disse all’anziana signora dietro il bancone.
“Certamente, cara. Quanto grande la vuole?”
Carla sollevò la borsa da viaggio e la signora annuì. Le diede una chiave e le disse come funzionava il sistema.
“Dovrà firmare ogni volta che verrà,” spiegò la signora, “ed è una sua responsabilità tenere la chiave al sicuro.”
Era una chiave dalla forma insolita e Carla la attaccò alla catenella che tratteneva il ciondolo con le sue iniziali d’argento. Non l’aveva mai tolta ed era abbastanza lunga da infilarsi nella parte superiore delle sue magliette in modo che nessuno se ne accorgesse.
Carla si sentì sollevata mentre chiudeva a chiave la borsa nella cassetta di sicurezza e guardava la signora inserirla nel caveau della banca. Le era costato quasi tutti i soldi rimasti ma ne era valsa la pena. Firmò i documenti con un nome falso e si infilò la copia nella tasca posteriore dei pantaloni mentre se ne andava. A mani vuote, tornò sotto il sole per esplorare un po’ la zona. Doveva guadagnare qualche soldo se voleva continuare a fuggire… si domandò se avesse fatto bene a spendere i soldi per la stanza del motel, ma non aveva alcuna voglia di dormire di nuovo all’addiaccio.
Il sole era alto e si sentiva abbastanza calda con indosso il top in stile gipsy e i jeans. Quel giorno aveva ai piedi gli stivali, dato che aveva indossato le scarpe da ginnastica da quando aveva lasciato Sheridan. Sapeva di avere alcune vesciche ma niente che non potesse sopportare.
Desiderando mettere un po’ di distanza tra sé e la banca, seguì un cartello che portava a ovest. Circa mezz’ora dopo arrivò nella città di Pelican’s Heath. La strada principale era piuttosto trafficata, anche se caotica neppure la metà dell’ultima città che aveva attraversato. Quel posto aveva diversi piccoli negozi, uno studio medico e quelli che sembravano un paio di uffici.
“Buongiorno.” Un bel cowboy sollevò il cappello e sorrise mentre lei gli passava accanto.
“Buongiorno.” Carla sorrise di rimando. Sembrava qualche anno più vecchio di lei, ma era comunque un uomo affascinante.
Diversi altri cittadini la salutarono mentre si aggirava per le strade strette. La ragazza della posta aveva ragione riguardo la gentilezza di queste persone! Era una cittadina molto graziosa, con le montagne in lontananza e campi e colline nei dintorni. Vide una piccola tavola calda alla fine di quella che sembrava essere la strada principale, e il suo stomaco le ricordò che era ora di pranzo.
Poteva permettersi solo un caffè e un hamburger, che spazzolò con ingordigia. Dopo la colazione che aveva divorato quel mattino, non pensava di poter mangiare di nuovo, ma doveva esserci qualcosa nell’aria fresca e nel sollievo di essersi sbarazzata del denaro che le aveva ridato l’appetito.
Dovrò decidere come far avere i soldi al Signor Roberts, ma almeno per adesso sono al sicuro.
“Ti dispiace se mi unisco a te?”
Alzò lo sguardo e lo affondò negli occhi più verdi che avesse mai visto. Un grande sorriso li accompagnava e il corpo sotto di essi era di quelli per cui svenire. Carla sentì una sensazione calda e confusa nello stomaco mentre annuiva senza parole e guardava il dio abbronzato e muscoloso sedersi di fronte a lei. Poteva sentire l’odore speziato del suo dopobarba mentre lo respirava come se fosse la sua fonte di vita.
“Ehi, Matt, cosa posso portarti?” cinguettò la giovane cameriera, sorridendogli. Doveva averlo visto arrivare.
“Prendo un hamburger Maisie, per favore. Vacci piano con le cipolle, però… potrei voler baciare qualcuno prima che la giornata finisca.” Ridacchiò e la cameriera alzò gli occhi al cielo con un sorrisetto. “Vuoi anche del caffè?”
“C’è bisogno di chiederlo?”
La giovane non si prese nemmeno la briga di annotare l’ordine, si limitò a ridacchiare e tornò al bancone.
“Ciao, sono Matt Shearer. Sei nuova in città?” Il suo sorriso era contagioso e i suoi occhi erano ammalianti.
Carla sorrise. “Carla Burchfield.” Le parole uscirono dalla sua bocca prima che avesse il tempo di pensare – non che fosse semplice pensare con quel bel fusto di fronte a lei, comunque – e silenziosamente si maledì per non avergli dato un altro nome.
“Piacere di conoscerti, Carla.” La mano forte di Matt si allungò sopra il tavolo e lei non riuscì a resistere alla tentazione di stringerla. Sentì una scossa elettrica attraversarla mentre si toccavano, e la sensazione di calore dentro di lei si accese come una fiamma ardente. “Pensi di restare nei dintorni?”
Carla aveva la lingua annodata per la sua bellezza. L’uomo aveva i capelli folti e scuri che gli scendevano in morbide onde intorno al collo e la corta barba sul mento gli donava un’aria selvaggia che lei trovava totalmente irresistibile. Indossava i jeans e una camicia grigia parzialmente sbottonata, che lasciava intravedere alcuni peli scuri sul petto. Annuì.
Il cibo ordinato arrivò e si lasciarono andare lentamente la mano mentre lui prendeva le posate. La cameriera sorrise mentre raccoglieva il piatto vuoto di Carla, ma non disse niente.
Carla sorseggiò il suo caffè mentre guardava il ragazzo meraviglioso concentrato sul cibo.
“Allora, Carla. Che cosa fai a Pelican’s Heath?”
La sua domanda la spaventò per un secondo, lasciandola senza fiato. “Tutto quello che riesco a trovare” gli disse, il più casualmente possibile.
“Cercano qualcuno all’emporio se sei alla ricerca di un lavoro.” Sorrise mentre glielo diceva, ovviamente notando come lei lo stesse osservando mangiare.
Si leccò le labbra lentamente e Carla sentì il fuoco dentro di sé trasformarsi in un incendio. Non ne capiva il motivo ma le piaceva l’idea di lavorare lì e di vederlo in giro tutto il tempo.
“Davvero?” Carla non riusciva a credere a quella fortuna. “Ho lavorato in una farmacia, in passato. Pensi che mi prenderanno?”
“Vale la pena provare. Ti dico una cosa: verrò lì con te, se vuoi, e metterò una buona parola.” Le strizzò l’occhio e lei sentì qualcosa muoversi dentro di sé, un po’ più in basso della sua pancia. Oh, cavolo!
“Non mi conosci” gli ricordò, finendo la sua bevanda. “Grazie per l’informazione, comunque, potrei fare un tentativo.”
Obbligò i suoi piedi a muoversi e prese un respiro profondo mentre si allontanava da Matt Shearer… e dalla tentazione!