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LEZIONE QUARTA.

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Io vengo, o signori, a mantenere la mia promessa. Il nome di Esseni deporrà questa sera ogni velo che ne contende la vista, e tutto ci apparirà quale prima immaginaronlo gli antichissimi Esseni. Che cosa significa questo nome? Esseni (diciamolo una volta, ed all’asserzione seguano immediatamente le prove) Esseni fu detto da Assia, o Asse, che nella lingua Aramea, nella lingua talmudica, nella lingua da Babilonia a Gerusalemme importata e quivi a favella promossa pressochè generale, significava Medico, Risanatore, o come dire vogliamo in greco idioma, Terapeuta. Voi fate, o miei giovani, le meraviglie ed avete ragione. Io non mi sono ancora abbastanza spiegato per avere il diritto d’essere a prima fronte creduto da voi; la mia ipotesi non ha fatto ancora le sue prove, non vi ha presentato i suoi certificati in buona regola per concederle incontrastato della mente vostra l’accesso. Il vostro pensiero europeo, occidentale, positivo, analitico, non può farsi issofatto un’idea degli arditi, dei bruschi passaggi, delle repentine conversioni dal senso proprio a quello improprio di una parola; e tanto meno potrebbe al primo sguardo afferrare tutta la serie infinita di applicazioni, di accessorj, di ramificazioni, in cui l’Idea madre si traduce di mano in mano; in cui, quasi in un ampio ed opaco mantello, si va sempre più nascondendo all’occhio dei riguardanti. Leviamo un lembo di questo velo,—mostriamo un raggio di quell’evidenza di cui brilla, a senso mio, la presente interpretazione. Io dissi esser ella eminentemente consentanea alle idee, alle forme dei sommi, antichi predicatori dell’Ebraismo. Ma che cosa è l’Ebraismo? L’Ebraismo non solo è una Religione, non solo una Civiltà, non solamente una politica, una legislazione, una letteratura; ma, tollerate che io lo dica, ed ho prove nelle mani, è anche una Terapeutica, un’arte, una scienza salutare. Lo è dei corpi,—lo è degli spiriti. Lo è dei corpi in doppio modo, in doppio senso, per doppio scopo. Pel primo, ella non fa che antivenire coi suoi celesti preservativi i mali onde i popoli vanno afflitti; ella promette per bocca di quanto ha di più adorabile, che tutte le piaghe, le infermità dell’Egitto sarebbero senza possa sopra i suoi fidi seguaci; che Dio, ne sarebbe il grande archiatro, il gran medico, il gran Terapeuta.[11] Ella annunzia, qual conseguenza del culto di Dio, il pane e l’acqua salutiferi, la remozione d’ogni malore, non orbamento, non sterilità, e sopratutto una vita longeva; ella, infine, tutto il suo culto adombra sotto una frase che l’idea ci offre viva, spiccata, di una salutar disciplina; anzi, che significa a dirittura Terapeutica nel nome, o signori, di Terafim, la quale comecchè rivolta fosse ad uso idolatrico, pure in principio alla fede vera appartenne, e il magistero degli oracoli divini e tutto l’insieme del culto valse a designare;—in quella guisa che Kesem, e forse per avventura anche Nahas, prima di essere espressioni colpevoli e termini idolatrici, furono vocaboli innocentissimi di religione;—in quella guisa che l’idolatria stessa non è che abuso e adulterazione ed apoteosi parziale di un principe ortodosso. Ella annunzia per bocca di Salomone, che le sue dottrine, il suo culto, sarebbero il palladio della salute corporea, e l’antidoto più efficace contro di ogni maniera infermità,[12] ed in questo senso, o signori, ella è interna, occulta, indiretta operatrice di sanità. Chi volesse di questo pronunziato sindacare il valore, chi volesse, al lume eziandio naturale, indagare di questi influssi le cause, troverebbe occasione di belle e amabili speculazioni. Montesquieu, e prima e dopo di esso moltissimi come lui, comecchè non così di reciso, videro nel clima, e poi nelle Istituzioni, la causa delle grandi e delle infinite varietà etnografiche fra popolo e popolo. Curiosissimo, poi, sarebbe studiare delle varie Religioni gli svariatissimi influssi sul corpo dell’uomo, e quella predicare sovrana tutrice dell’umano benessere, che più al segno si avvicina. Dico cotesto per persuadervi come le vantate pretensioni che udiste poc’anzi, non siano aerei edifizi che non poggino sovra basi reali e ferme.

Certo, o signori, questa Igiene per così dire trascendentale, estolle il capo sino al più sublime dei cieli, e certe segrete armonie suppone tra il corpo e lo spirito, le quali la scienza non sospetta nemmeno: ma se il capo si erge al cielo, i piedi posano in terra; se i suoi principj sono sovraumani e sovrasensibili, i suoi effetti, le sue leggi di second’ordine, il suo teatro, la sua applicazione sono sensibili, sono palpabili, nè la scienza li revoca in dubbio. Ma qui non si ferma il carattere per così dire terapico di nostra fede. Ella non è soltanto come vedeste un’Igiene, non solamente contra i morbi assicura e guarentisce, ma i morbi combatte sopravvenuti, ma la salute restituisce perduta, ma ella è una vera e propria Terapeutica che lo scopo suo prosegue con due ordini di mezzi.—Sono i primi mezzi naturali, scoperti, naturali medicamenti che il genio enciclopedico universale delle antiche Religioni restrinse ed accolse in grembo ai tempj, fece banditori primi i Sacerdoti, ed a cui il carattere sacro appose, al primo apparire, di religioso e divino trovato. Sono i secondi quei mezzi cui l’arte umana verrebbe meno; sono quella dittatura instantanea che l’uomo ispirato assume, Dio consenziente, sopra il Creato; sono la taumaturgia propriamente detta; sono le guarigioni prodigiose del Vecchio Testamento; è Elìa, è Eliseo nell’atto di riaccendere la fiaccola che è per spegnersi nel povero infante. Chi furono, di questa doppia Terapìa, umana e divina, gli organi, i professori? Furono i Sacerdoti ed i Profeti.—I Sacerdoti, che più dimessamente procedono, e l’arte principalmente considerano e praticano dal lato umano; i Profeti a cui spetta per eccellenza la medicina straordinaria taumaturgica, che, nuovi Prometei, rapiscono di tratto in tratto il foco celeste per riallumare la lampada della vita. Vedete però, o miei giovani! sacerdozio e profetismo conscj ambedue delle prerogative, non vogliono rivali, non tollerano che altri l’impero divida che esercitan sui corpi. Non fu accademia così ostile alla importazione di nuove teorie, alla consecrazione di nuovi farmachi, che più nol fossero Sacerdoti e Profeti contro la medicina non officiale, non sacra, non religiosa. I Re d’Israele sono presi a biasimare perchè, piuttosto che consultare il Signore, gissero a interrogare la scienza spuria dei medicastri (Croniche II, Cap. XVI, 12), e, se crediamo ai nostri dottori, Ezechia Re santo avrebbe soppresso un intero trattato di Medicina che sotto il gran nome si ammantava di Re Salomone; ed allo stesso Ezechia affetto di scabbia, non sdegna il grande Isaia di prescrivere egli stesso quell’impiastro di fichi che ridonargli doveva la sanità. Ma Profeti e Sacerdoti cessarono.—Cessò forse la Medicina religiosa, nel doppio suo genio naturale e divino? si estinse forse con essi, o trasmigrava nei successori dei Profeti, dei Sacerdoti? Così è, ai Profeti, al sacerdozio tenne dietro il Dottorato, e il Dottorato raccolse di ambedue il retaggio nella doppia Medicina naturale e miracolosa che insegnava ed esercitava congiuntamente. Naturale nelle infinite vestigia che di essa reca il Talmud, e tutta l’enciclopedia rabbinica dei primi secoli; arte se volete meglio che scienza, cieco empirismo anzi che principj e metodiche deduzioni, ma pure, o signori, tutti di medicina gli officj e tutte le parti; prodigiosa però in quelle guarigioni portentose taumaturgiche che sono, a così dire, uno strascico dell’Èra profetica, e che l’impero rivelano non del tutto dismesso dell’uomo perfetto sovra le forze create, che la Genesi augurava sin da principio (Genesi I, 28).[13] Ora, questa duplice Terapia, quest’uso simultaneo di mezzi così dispari, di semplici e di scongiuri, di virtù naturali e di angeliche potestà, questa terrena e celeste farmacopea, ella è, sappiatelo a dirittura, ella è il più vistoso, il più manifesto distintivo della scuola che togliemmo a studiare. Non è da ora, o miei giovani, che a noi è dato il vederlo; ma verrà tempo, e non è lontano, in cui queste cose ci saranno manifeste. Vedrete gli Esseni a questa duplice Terapia dar opera solerte; li vedrete studiar sulla natura, sulle virtù dei semplici e sulla composizione dei farmachi; li vedrete studiosi sui libri della recondita Medicina dagli avi loro trasmessa; li vedrete in una parola Esseni in tutta la forza della parola, che è quanto dire Medici—Medici, risanatori per eccellenza.

Questo è il primo senso in cui si dissero gli Esseni medicatori e Terapeuti. Ma non vi fu un altro, che il primo immensamente sopravanza in altezza, in nobiltà? Sì, vi fu; e tanto il primo trascende per ogni verso, quanto l’animo il corpo trascende, quanto la sanità, la purità e la interna armonia dello spirito, quelle vincono di gran lunga che il frale riguardano. Gli Esseni non furono soltanto i Medici del corpo, ma Medici si dissero pure dell’animo umano. Era egli cotesto nuovo officio, nuovo vocabolo nella lingua religiosa dell’Ebraismo? Dite piuttosto che era antichissimo; che la Bibbia rigurgita di simili esempi; che lo spirito non meno che il corpo fu sempre dall’Ebraismo considerato siccome un ente che a tutte le vicissitudini soggiace, buone e triste, della vita; che ha la sua salute, le sue infermità, le sue crisi, le sue cadute, le sue ristorazioni, e quindi una vera e propria scienza mediatrice. Ma dite piuttosto che univoci attestano di queste idee predominanti i Profeti; che lo attesta Davide quando chiedendo la remissione delle colpe, e la rigenerazione dell’animo suo, chiede farmaco e guarigione, Guarisci l’anima mia, chè a te peccai;[14] che il Perdono è da Isaia dichiarato qual suprema sanatoria;[15] che lo stesso Isaia parlando nel nome di Dio, ci presenta il peccatore amnistiato qual malato medicato e guarito[16], che lo attesta, infine, Geremia e quasi al sommo reca la forza dell’argomento, quando il Profeta istruttore chiama col nome istesso di Rofé, Medico; e farmaco dice per avventura e teriaca preziosa la dottrina di lui.[17] Sono elleno men di questi frequenti, meno di queste eloquenti le prove che dai Rabbini si traggono? Hanno eglino con manco predilezione usate in questo senso traslato, in questo senso metaforico l’idea, il vocabolo di Medicina e i suoi derivati? Sarebbe ignorare assolutamente dei Dottori la fraseologia, il disconoscere di questa Idea, di questi traslati, gli esempj parlanti. Volete sapere che cosa sono le religiose dottrine per i nostri Rabbini? Sono potentissimi cardiaci pei cuori infermi; sono collirj pegli occhi oftalmici, e antidoto, in breve, efficacissimo contro ogni malore. Ho io bisogno di avvertirvi che così magnificando delle religiose dottrine i privilegi a tutt’altro intendevano che ad una vera e propria virtù curativa? Voi già comprendete, o signori, a che cosa si allude. Si allude sotto il corpo allo spirito, si mira a traverso le infermità corporali, a quelle infermità che affliggono la parte migliore di noi medesimi: all’occhio della mente ottenebrato, al cuore fatto recesso d’ogni vizio. Che più, o signori? Se un dottore trova agli ignoranti della legge difesa nel dì della Resurrezione, egli chiama questo trovato Medicina, e trovai per loro guarigione nella legge:—se il pregio si vuol accennare trascendente di uno studio disinteressato, Farmaco si dice cotesto di vita Eterna, Sam haim; come tossico mortale si dice il suo contrario, ch’è quanto dire ministero religioso sostenuto per argento, Sam ammavet. Che volete di più? Non solo è il linguaggio tal quale ve lo descrivo, non solo idee siffatte di Terapia ricorrono ad ogni tratto, e più che non dissi ne riboccano gli antichi rabbinici monumenti; ma ciò che infinitamente si lascia dietro ogni prova, ciò che è lo specchio vivo e parlante dell’Essenato salutare e medicativo, è l’attitudine esteriore—sono le forme curiosissime, sono gli atteggiamenti espressivi, parabolici, figurativi, che prendeva talvolta il dottorato insegnante. Avete udito d’Isaia che seminudo percorre le vie di Gerusalemme, ed in sè raffigura gli Ebrei da esso vaticinati, che fuggono dalla spada babilonese? Avete mai letto di Ezechiele che, in realtà o in visione, si giace or da un fianco or da un altro, e i cibi ingolla che l’umor satirico divertirono per lungo tempo del filosofo di Ferney? Or bene—non dissimili da queste immagini parlanti ci offre talvolta il dottorato mimiche rappresentazioni, e la medicina n’è il subbietto. Vedete questo rivendugliolo che, andando attorno per i villaggi che coronano Sippori, non rifinisce di gridare a squarciagola e quasi con piglio ciarlatenesco—chi vuol della vita lo elisire, venga e compri? Man bae lemizban sam haim. Chi è costui e quale è il mirabilissimo specifico che proferisce? È un farmacista, dice semplicemente il Medrasce, e nulla dell’esser suo aggiunge di più. Ma il farmaco che cosa è? Il farmaco ve lo darei in mille a indovinare. Pure se punto vi cale saperlo, salite qui.—Il pseudo farmacista è già nelle stanze entrato di un dottore il quale affacciatosi al noto grido, gli fece cenno dalla finestra, salisse pur su, che un confratello avria trovato con cui alternare i saluti e le soavi parole. Che cos’è, o gentil farmacista il Farmaco che tu ci vendi? Alla quale domanda ratto trasse fuora un salterio che sottopose agli occhi del dottore, dove questi detti si leggono significanti—chi è l’uomo che ami la vita, che giorni chiegga per esser felice? La lingua sua guardi dal male, le labbra dalla menzogna, ec. (Vaicra Rabba, sez. XVI.) Ecco il farmaco vantato. E pure, qual vero e proprio farmaco lo bandiva per terra e castello. E pure, a quel grido gran calca fattaglisi intorno di incettatori, la innocente frode per avventura disvelava, e testo prendeva di là ed occasione a moralizzare le turbe, in quella guisa che il fondatore del Cristianesimo ci dipingono gli Evangeli andando attorno per le campagne e le moltitudini accorrenti concionando di tratto in tratto dalla sommità di un poggio.[18] Vi pare che sia abbastanza decisivo cotesto esempio? E pure una circostanza vi manca sapere, ed è la più concludente. E quale è, o signori? É il nome vero, il vero ufficio e il vero carattere dello pseudo farmacista. Già voi sospettate che qualche cosa di più nobile sotto i panni si asconda del cerretano: già i fatti presenti parlano troppo in favor mio; ma la provvidenza ci serbava ancor più.—Per una di quelle singolari coincidenze che nei libri rabbinici si dànno in mille volte, ciò che implicito rimase nel Medrasce, trovammo esplicito nel Talmud; ciò che col nome fittizio, supposto, quivi si designa di Rohel, col vero e genuino nome si accenna nel Talmud. In una parola, nel fatto stesso, ma più brevemente dal Talmud raccontato, il Rohel non è più Rohel, il cerretano non è più cerretano, ma è un vero e proprio dottore, un vero e proprio Fariseo, nomato Alessandro.

Aveva io ragione quando diceva, il concetto che suggerì l’appellazione di Esseni, profonde, vaste gettare le radici nei Profeti e nei Rabbini, nella Bibbia e nella tradizione? Io credo, e non è troppo presumere, che queste prove da sè basterebbero. E pure non sono le sole; vi sono analogie, vi sono concetti, vi sono appellazioni non dissimili nell’istesso paganesimo. Che dire della Biblioteca Egiziana? Domandatene ad Orapollo e poi a Bossuet, che la narrazione ne riferiva. Essi attestano concordi, come le Biblioteche si chiamassero in Egitto con nome che in quella lingua suonava medicina dell’anima. Domandatene Diodoro Siciliano. Egli parlando del sepolcro di Osimandia, vi dirà che tra gli appartamenti di quel palazzo era una sacra Biblioteca alla quale queste parole soprastavano incise: Medicina dell’anima. E per ultimo, le buone ragioni si guadagnarono i buoni autori;—la buona causa trovò buoni avvocati che la difendessero. S. Epifanio, che conobbe il vero, e amore del nuovo trasse fuori del cammin dritto; il sig. Munk, che nella Palestina alla interpretazione nostra fa ossequio; il Salvador, che esplicitamente vi assente nella grandiosa sua opera J. C. et sa doctrine, ed altri molti che sarebbe lungo annoverare; tutti intesero egualmente nel vocabolo di Esseni quel concetto di sublime, di superlativa Terapeutica, che noi v’intendemmo; tutti vi prestarono ferma e ragionevol credenza: a guisa del ver primo che l’uom crede. Ella è, infine, una deposizione il cui valore non sarebbe possibile dissimularsi. Non è da ora che non possiamo insistere sulla identità originaria degli Esseni coi Cabalisti. Sull’autorità di scrittori gravissimi, ci permettiamo aggiungere quanto verrà più a lungo trattato nel corso di questa istoria, ponendone i titoli in una luce che non si potrebbe più sfolgorante. Intanto non è fra gli ultimi indizii che a questa identità ci conducono, il fatto per più d’un verso eloquentissimo, che nel Zoar il nome di Assia vien conferito a un dottore Cabbalista; e ciò che è più, nel senso che qui si accenna, di medico spirituale, di Risanatore delle anime. E tanto si legge in quell’opera a proposito di R. Samlai (Zohar, vol. III, 75, 2.)


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