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CAPITOLO OTTO

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Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma era difficile resistere. Inoltre… era il modo ideale di dare il via al nuovo semestre che era alle porte. Un’ultima avventura. Un’ultima notte di assoluta pazzia. E, se le cose fossero andate come al solito, se ne sarebbe andata sentendosi più potente – così potente da accantonare facilmente i brevi sprazzi di rimorso.

Sarebbe stato un ottimo modo per iniziare il semestre.

Marie non aveva nemmeno cercato di convincersi a non farlo. Nel momento in cui aveva fermato la macchina nel parcheggio, sapeva che sarebbe finita lì quella notte. Tutto ciò che doveva fare era chiamarlo per dirgli che era tornata in città e voleva vederlo. Non l’aveva mai respinta finora e dubitava che l’avrebbe fatto adesso, dopo tre settimane che non si vedevano.

E infatti ebbe ragione.

Erano le 23:05 quando raggiunse a piedi il retro dell’edificio. Era una zona poco raccomandabile della città, ma non così malfamata da far sentire Marie in pericolo a camminare per le strade da sola. Inoltre, era a soli dodici chilometri dal campus e sapeva che il tasso di criminalità lì intorno era davvero basso. Ad ogni modo, era così eccitata per quello che l’aspettava nelle ore successive, che il suo senso del pericolo era come disattivato.

Quando raggiunse il portone sul retro dell’edificio, Marie non si stupì di trovarlo chiuso. Suonò il campanello dell’appartamento e subito sentì la serratura che veniva sbloccata. Non aveva risposto al citofono, si era limitato ad aprire. Questo la fece sorridere; probabilmente era di umore molto serio quella sera. Forse persino dominante.

Che carino, pensò. Ma sappiamo chi è tra noi due che finisce sempre per dominare…

Quel pensiero aumentò ancora di più la sua aspettativa, mentre entrava. Non volendo aspettare un istante di più, lasciò perdere l’ascensore e si fiondò su per le scale. Faceva due gradini alla volta, il cuore che le batteva forte sia per lo sforzo fisico sia anticipando quello che la aspettava. Tutte quelle ore di attesa, a partire dal suo viaggio da New York per raggiungere il suo appartamento, erano deliziosi preliminari.

Il viaggio era stato lungo. Era stressata. Tesa. Cavolo, l’avrebbe cavalcato per bene… l’avrebbe cavalcato sul pavimento…

Giunta alla porta dell’appartamento, la trovò aperta. Vide che le luci erano spente, ma da dentro casa proveniva un tenue bagliore, probabilmente di qualche candela.

“Che stai facendo?” chiese con voce suadente. Si chiuse l’uscio alle spalle e chiuse a chiave.

“Ti aspettavo” giunse la voce di lui in risposta.

“Bene, ma… non puoi avermi se non mi dici cos’è che vuoi esattamente.”

Lo sentì ridacchiare nel buio. Quando i suoi occhi si furono adattati alla penombra, riuscì a distinguere la sua sagoma nel soggiorno, sdraiato sul divano. Marie sorrise e andò da lui.

L’appartamento odorava di polvere e abbandono – essenzialmente perché era esattamente così. Sapeva che viveva in una casa migliore, ma sapeva anche che non la voleva lì. Preferiva tenere separata la propria vita privata. Da quanto aveva capito su di lui, passava ben poco tempo a casa. L’aveva vista solo da fuori, mentre solitamente si incontravano in quell’appartamento o, in un paio di occasioni, sul sedile posteriore della macchina di lui, o in albergo. Marie capiva il suo bisogno di privacy, ma avrebbe voluto rotolarsi con lui in un grande letto matrimoniale per una volta, magari con la musica e le luci giuste.

Tuttavia, anche fare tutto di nascosto era sexy. Aveva il suo fascino. Ecco perché adesso faticava a trattenersi dal saltargli addosso.

Ma la loro tresca si basava sempre sull’attesa. Si stuzzicavano, a volte c’erano preliminari violenti, altre volte addirittura giocavano a insultarsi.

“Vieni da me, Marie.”

Marie raggiunse il divano e vide che era ancora completamente vestito. Andava bene anche così, avrebbe semplicemente prolungato i preliminari.

“Che cosa dolce” disse Marie, mettendosi in ginocchio davanti a lui. Lo baciò dolcemente, accarezzandogli le labbra con la lingua, perché sapeva che gli piaceva.

“Che cosa è dolce?” volle sapere.

“Il fatto che credi di avere tu il controllo.”

“Ah, ma è così” rispose lui, alzandosi.

“Te lo lascerò credere per un po’” disse Marie mordicchiandogli il collo. Lui si spostò e Marie sentì le sue mani su di sé – una sulla schiena, l’altra dietro la nuca. “Ma sappiamo tutti e due qual è la veri…”

Senza preavviso, lui la afferrò per i capelli e le tirò la testa in avanti con violenza, facendole sbattere la fronte contro il ginocchio.

“Ma che…”

Prima che riuscisse a formulare la domanda, lui le fu addosso, premendole con tutto il peso sulla schiena. La testa le girava per il colpo, e per un momento Marì non capì dove fosse.

Provò a spingere con le mani a terra per divincolarsi, ma lui le afferrò di nuovo i lunghi capelli biondi e stavolta le sbatté la testa sul pavimento. Marie cercò di resistere, ma il mondo prese a vorticarle intorno e un dolore lancinante si irradiò nella sua testa.

Da quello che le sembrava un luogo lontano, era vagamente cosciente di lui che le sfilava i pantaloni. Poi tutto diventò nero per un momento, e Marie rinvenne solo perché sentì la sua bocca vagarle famelica sul corpo.

Non aveva senso. Si lasciava sempre fare di tutto e, in cambio, gli faceva tutto quello che voleva, quindi perché…?

Anche quel pensiero fu interrotto dall’oscurità che andava e veniva. Solo che stavolta durò molto più a lungo.

***

Era stato molto più impegnativo di quanto pensava, ma riuscì infine a rilassarsi verso le due di notte. La parte più difficile era stato farle perdere conoscenza. Semplicemente, non sapeva di esserne capace. Strozzare qualcuno era una cosa; era solo questione di convincersi a farlo, poi fare pressione con le mani sul collo. Ma sbattere la testa di Marie per terra aveva richiesto più grinta di quello che si era aspettato.

Una volta che Marie era svenuta, il resto era stato laborioso ma piacevole. Mentre procedeva, aveva iniziato a sentirsi più a suo agio con la decisione che aveva preso.

Jo Haley e Christine Lynch le aveva uccise e basta. Era andato a letto con Jo, ed era stato fantastico; poi l’aveva strangolata quando avevano iniziato il secondo round. Forse era stata colpa del sesso, ma aveva quasi cambiato idea, l’aveva quasi risparmiata. Aveva imparato la lezione e con Christine aveva saltato la parte del sesso. Quando il suo corpo era stato trovato e aveva visto il servizio al telegiornale, era stato come una rivelazione. Gli aveva fatto rivedere il suo modo di operare… non poteva ucciderle e basta.

Quelle che sarebbero venute dopo Christine, quelle che dovevano essere messe a tacere. Ce ne sarebbero state altre, inclusa Marie. E se non poteva ucciderle e lasciarle lì dov’erano morte, questo significava che avrebbe dovuto escogitare qualcos’altro. Avrebbe dovuto agire con più discrezione, più prudenza.

Osservò il suo lavoro e pensò che poteva cavarsela benissimo. Era davanti all’armadio per soprabiti nel corridoio. Dentro c’era Marie, completamente nuda e appesa per i polsi alla sbarra orizzontale dell’armadio. Sulla bocca le aveva messo tre pezzi di nastro adesivo rinforzato. Trovava quella posa stranamente seducente e si pentì di non essere andato a letto con lei un’ultima volta.

Restò lì in piedi ad osservarla e godersi la sensazione di potere per quasi un quarto d’ora, prima che Marie iniziasse a muoversi. Emise un gemito e quando provò a muovere le braccia, si accorse che erano immobilizzate. Questo parve svegliarla del tutto e si alzò in piedi guardandosi intorno febbrilmente. Le faceva male la testa, era nuda, imbavagliata e legata ad una barra di ferro in un armadio; l’uomo con il quale andava a letto regolarmente da due mesi la fissava con malizia.

Tentò di parlare attraverso il nastro adesivo, e dal tono aveva probabilmente chiesto: “Perché?”

Poi non riuscì a dire più nulla, quando si rese conto della gravità della situazione.

Lui si avvicinò e le prese il mento con una mano. Marie cercò di ritrarsi, ma i polsi legati le impedivano ampi movimenti. Lentamente, lui la accarezzò sul collo, sul seno sinistro, per poi scendere verso l’interno coscia. Per la prima volta da quando avevano iniziato ad andare a letto insieme, Marie chiuse con forza le cosce quando lui iniziò ad esplorarla.

Le rise in faccia e Marie tentò di gridare, ma attraverso il nastro adesivo sembrava il suono di un aspirapolvere lontano. Aveva fatto un ottimo lavoro a tapparle la bocca.

“È inutile” disse lui. Si sforzò di ignorare le richieste del proprio corpo e l’eccitazione che gli solleticava ogni nervo. Aveva alcune cose importanti da dire e da decidere.

Marie gemette piano.

“Io e te dobbiamo parlare di alcune cosette” disse, quindi le mostrò la pistola che aveva tenuto nascosta dietro la schiena. L’aveva comprata due anni prima, ma non l’aveva mai usata. E, sinceramente, non aveva nessuna intenzione di usarla adesso.

Ma, naturalmente, Marie non poteva saperlo.

“Se provi a gridare aiuto, ti uccido.” Avanzò di nuovo, appoggiando la sua guancia a quella di Marie. Con la mano libera, la prese per un fianco e la fece avvicinare, poi le puntò la canna della pistola allo stomaco. “Mi credi?”

Marie annuì freneticamente. Aveva lo sguardo confuso e ferito, e gli occhi le si velarono di lacrime.

Per un momento, pensò che forse era meglio usare la pistola. Sarebbe indubbiamente stato molto più veloce.

No… farebbe troppo rumore. E poi mi perderei quel magnifico istante in cui la vita fugge via dai suoi occhi.

Si appoggiò contro la parete alle sue spalle, tenendo la pistola casualmente, come se fosse una tazza di caffè.

Poi iniziò a parlare. Spiegò e fece le sue accuse, sforzandosi con tutto se stesso di non strangolarla in quel preciso istante. Riuscì a trattenersi dall’ucciderla persino quando le strappò il nastro adesivo dalla bocca, lasciandola parlare.

Ma le risposte che ottenne da lei e il modo in cui reagiva… molto presto l’avrebbe sicuramente strozzata. Mentre la legava nell’armadio, per un momento si era quasi convinto che avrebbe potuto lasciarla andare, se gli avesse detto quello che voleva sentire.

Ma era ridicolo. Lo avrebbe sicuramente denunciato, raccontando tutto quello che le aveva fatto.

Quindi anche lei sarebbe dovuta morire. Come le altre due.

Quando formulò quel pensiero, scoprì con piacere che, vittima dopo vittima, l’omicidio diventava un concetto sempre più facile da accettare.

Prima Che Fugga

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