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CAPITOLO UNO

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Mackenzie era in piedi nel bagno, appoggiata al lavandino, intenta a fissare il gabinetto. Ultimamente l’aveva fissato parecchio, superando il primo trimestre di gravidanza in un modo che era quasi troppo da manuale. Le nausee mattutine si erano rivelate peggiori tra l’ottava e l’undicesima settimana, ma ancora adesso, a metà della quindicesima, erano brutte. Non ne soffriva più spesso come prima, ma quando arrivavano era terribile.

Quella mattina aveva già vomitato due volte, e il suo stomaco sembrava pronto per la terza. Tuttavia, dopo aver sorseggiato dell’acqua e aver fatto del proprio meglio per controllare il respiro mentre si reggeva al lavabo, sentì la terza ondata di nausea allontanarsi.

Mackenzie abbassò lo sguardo sul proprio ventre e posò una mano con fare amorevole sulla piccola protuberanza che si era manifestata nell’ultima settimana. “Piccolo, quello è il mio intestino, non un poggiapiedi.”

Andò alla porta del bagno e restò lì un momento in attesa, per essere certa di aver finito. Quando le sembrò di avere recuperato il controllo, andò all’armadio e iniziò a vestirsi. Sentiva Ellington armeggiare in cucina e, a giudicare dai rumori, immaginò che stesse preparando il caffè. Mackenzie avrebbe amato una tazza di caffè, ma il caso voleva che il caffè rientrasse tra gli alimenti sgraditi al bambino durante gli episodi di nausea.

Infilandosi i pantaloni, si accorse che le stavano leggermente più stretti. Immaginò che nel giro di un mese avrebbe dovuto procurarsi degli abiti prémaman. E allora avrebbe anche dovuto rivelare al direttore McGrath di essere incinta. Finora non glielo aveva ancora detto perché temeva la sua reazione. Non si sentiva ancora pronta per essere relegata dietro una scrivania, oppure a fare ricerche per qualche altro agente.

Ellington arrivò alla porta con la fronte aggrottata. In mano aveva effettivamente una tazza di caffè. “Ti senti un po’ meglio?” le chiese.

“Porta quel caffè lontano da me” disse. Aveva cercato di sembrare spiritosa, ma le era uscito più risentito di quel che intendesse.

“Allora, mia madre continua a chiamare chiedendomi perché ancora non abbiamo deciso dove celebrare il matrimonio.”

“Lo capisce, vero, che non è il suo matrimonio?” replicò Mackenzie.

“No, mi sa di no.”

Ellington uscì qualche secondo dalla stanza per mettere via il caffè, poi tornò da Mackenzie. Si mise in ginocchio e le baciò la pancia mentre lei sceglieva una camicia.

“Non vuoi ancora sapere se è maschio o femmina?”

“Non lo so. Per ora no, ma probabilmente cambierò idea.”

Ellington sollevò la testa per guardarla. In quella posizione sembrava un bambino che cercava l’approvazione del genitore. “Quando hai intenzione di dirlo a McGrath?”

“Non lo so” ripeté Mackenzie. Si sentiva sciocca a restarsene lì in piedi mezza svestita con Ellington che poggiava la guancia al suo ventre. Allo stesso tempo, però, le fece capire che era lì per lei. Le aveva chiesto di sposarlo prima del bambino e, di fronte ad una gravidanza inaspettata, le era rimasto accanto. Pensare che era l’uomo con cui avrebbe passato il resto della sua vita la faceva sentire tranquilla e contenta.

“Temi che ti metterà in panchina?” le chiese.

“Già. Ma tra una o due settimane non credo che riuscirò a nascondere la pancia.”

Ellington rise e le baciò ancora una volta il ventre. “È una pancia davvero sexy.”

Riprese a baciarla, con fare languido. Mackenzie ridacchiò e si allontanò scherzosamente. “Non abbiamo tempo per quello, abbiamo del lavoro da fare. E, se tua madre non chiude la bocca, anche un matrimonio da organizzare.”

Avevano visto alcune location e avevano anche iniziato a informarsi sui servizi di catering per il piccolo ricevimento che avevano intenzione di dare. Ma nessuno dei due riusciva a entrare appieno nei preparativi. Stavano scoprendo di avere molto in comune: un’avversione per lo sfarzo, paura di avere a che fare con l’organizzazione e la tendenza a mettere il lavoro prima di ogni altra cosa.

Mentre finiva di vestirsi, Mackenzie si domandò se stesse in qualche modo privando Ellington dell’esperienza. La sua mancanza di entusiasmo nell’organizzare il matrimonio gli dava forse l’idea che non le importasse? Sperava di no, perché non era affatto così.

“Ehi, Mac.”

Mackenzie si voltò mentre iniziava ad abbottonarsi la camicia. La nausea era quasi completamente passata, portandola a credere di riuscire ad affrontare la giornata senza altri incidenti. “Che c’è?”

“Non organizziamolo. Nessuno di noi due vuole. E tanto, nessuno di noi due vuole un matrimonio in grande. L’unica a rimanerci male sarebbe mia madre e, a dire il vero, credo che mi piacerebbe.”

Un sorriso le si allargò sul volto, ma cercò di trattenerlo. Anche a lei sarebbe piaciuto.

“Credo di aver capito cosa vuoi dire, ma per essere sicura voglio che tu lo dica esplicitamente.”

Ellington le prese le mani nelle sue. “Sto dicendo che non voglio organizzare le nozze e non voglio più aspettare per sposarci. Sposiamoci di nascosto.”

Si capiva che non scherzava perché la voce gli si era incrinata a metà frase. Eppure… sembrava troppo bello per essere vero.

“Dici sul serio? Non lo stai dicendo solo perché…”

Mackenzie non riuscì a finire di formulare la domanda, così si guardò il ventre.

“Ti giuro che non è solo per quello” disse Ellington. “Anche se sono emozionato di crescere e potenzialmente rovinare un bambino con te, è quello che voglio adesso.”

“Già, mi sa che lo travieremo per bene questo bambino, eh?”

“Non di proposito.” La tirò a sé abbracciandola, poi le sussurrò in un orecchio e sentire la sua voce così vicina la fece sentire ancora una volta contenta e a suo agio. “Dico sul serio. Fuggiamo e sposiamoci di nascosto.”

Mackenzie annuì e si staccò da lui. Quando furono di nuovo faccia a faccia, entrambi avevano gli occhi lucidi.

“D’accordo…” disse Mackenzie.

“Bene, d’accordo” disse lui eccitato. Si chinò verso di lei, la baciò e disse: “Allora, adesso che facciamo? Accidenti, mi sa che anche così ci sarà comunque qualcosa da organizzare.”

“Immagino che dovremo chiamare il tribunale per fissare un appuntamento” disse Mackenzie. “E uno di noi due dovrà chiedere a McGrath un permesso per la cerimonia. Non io!”

“Maledetta” scherzò Ellington. “Va bene, lo chiamo io.”

Prese il cellulare, come per chiamarlo in quello stesso istante, poi però se lo rimise in tasca. “Forse questa è una conversazione che dovrei avere faccia a faccia con lui.”

Mackenzie annuì e finì di allacciarsi la camicia con mani tremanti. Lo faremo, pensò. Stiamo davvero per farlo…

Si sentiva emozionata, nervosa ed euforica, ed ogni emozione si agitava contemporaneamente dentro di lei. Reagì nell’unico modo che poté, ovvero andando da Ellington e abbracciandolo. Mentre si baciavano, le ci vollero appena tre secondi per decidere che forse ce l’avevano un po’ di tempo per fare quello che lui aveva iniziato poco prima.

***

La cerimonia si tenne due giorni dopo, il mercoledì pomeriggio. Durò meno di dieci minuti, e si concluse con lo scambio degli anelli che Mackenzie ed Ellington avevano scelto insieme il giorno prima. Il tutto fu così semplice e privo di preoccupazioni che Mackenzie si domandò perché mai le donne si sottoponessero a quell’inferno che erano i preparativi nunziali.

Poiché era necessario almeno un testimone, Mackenzie aveva invitato l’agente Yardley. Non erano mai state amiche, ma era una brava agente e, di conseguenza, una persona di cui Mackenzie si fidava. Fu proprio nel chiedere a Yardley di farle da testimone che Mackenzie ancora una volta rammentò di non avere amici. Ellington era la persona che più si avvicinava a quella definizione e, per quel che la riguardava, era più che sufficiente.

Quando Mackenzie ed Ellington furono nell’atrio del tribunale, Yardley fece loro un breve discorso porgendo i propri auguri, quindi si affrettò ad uscire.

Mackenzie la osservò allontanarsi, chiedendosi perché avesse tanta fretta. “Non dico che sia stata maleducata, ma sembrava che non vedesse l’ora di andarsene” commentò.

“È perché ho parlato con lei prima della cerimonia” rispose Ellington. “Le ho detto di levarsi dai piedi appena finito.”

“Che maleducato. Ma perché?”

“Perché ho convinto McGrath a concederci fino al prossimo lunedì. Ho impiegato tutto il tempo e lo stress che avrei dedicato ai preparativi per le nozze per programmare la luna di miele.”

“Che? Mi prendi in giro?”

Lui scosse la testa in segno negativo. Mackenzie lo avvolse in un abbraccio, non ricordando un altro momento in cui si era sentita tanto felice. Le sembrava di essere una bambina che aveva ricevuto tutto quello che desiderava a Natale.

“Ma quando ci sei riuscito?”

“Per lo più in orario di lavoro” disse con un sorrisino. “Adesso sbrighiamoci. Dobbiamo fare sesso e le valigie. Il nostro aereo per l’Islanda parte tra quattro ore.”

Quella destinazione in un primo momento le parve strana, poi però ricordò la conversazione sulla lista delle cose da fare che avevano avuto quando lei aveva scoperto di essere incinta. Cose che avrebbero voluto fare prima di mettere al mondo un figlio. Una delle proposte di Mackenzie era fare campeggio sotto l’aurora boreale.

“Ok, allora andiamo. Anche perché, per come mi sento in questo momento e visto quello che ho intenzione di fare con te appena siamo a casa, non so se ce la faremo ad arrivare in aeroporto in tempo.”

“Agli ordini, signora” disse lui affrettandosi verso l’uscita. “Ma ho una domanda.”

“E sarebbe?”

Fece un sorrisetto e le chiese: “Adesso posso chiamarti signora Ellington?”

Il cuore di Mackenzie le sobbalzò in petto. “Immagino di sì” disse. Poi lei ed Ellington uscirono dalla porta, entrando nel mondo per la prima volta come coppia sposata.

Prima Che Fugga

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