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CAPITOLO DUE

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Sandra Peterson si svegliò quindici minuti prima del trillo. Per alzarsi usava la stessa sveglia, impostata sulle sei e trenta, ogni mattina da un paio d’anni. Aveva sempre dormito bene, e riusciva a dormire dalle sette alle nove ore ogni notte senza mai svegliarsi in anticipo. Ma quella mattina era in preda all’entusiasmo. Kayla era tornata dal college e avrebbero trascorso tutta la giornata insieme.

Era la prima volta che avevano più di mezza giornata tutta per loro da quando Kayla, l’anno precedente, aveva cominciato il college. Era a casa perché un’amica d’infanzia si sposava. Kayla era cresciuta ad Harper Hills, Carolina del Nord, una cittadina di campagna a una ventina di miglia da Charlotte, e aveva scelto di iscriversi al college di un altro stato il prima possibile. L’università statale della Florida faceva sì che i loro momenti insieme fossero rari. L’ultima volta si erano viste a Natale, quasi un anno prima e per appena dieci ore prima che Kayla partisse per far visita a suo padre nel Tennessee.

Kayla aveva sempre gestito bene il divorzio. Sandra e il marito si erano lasciati quando aveva undici anni, e non era mai parsa soffrirne. Sandra immaginava che quella fosse una delle ragioni per cui Kayla non aveva mai preso le parti di nessuno. Quando andava a trovare un genitore, insisteva per andare anche dall’altro. E dato il viaggio tortuoso – da Tallahassee, ad Harper Hills, a Nashville – Kayla non veniva molto spesso.

Sandra si trascinò fuori dalla camera in pigiama e pantofole. Percorse il corridoio verso la cucina, superando la stanza di Kayla. Non si aspettava che la figlia si svegliasse prima delle otto, e le stava bene. Sandra pensò di mettere su il caffè e preparare una bella colazione per il suo risveglio.

E così fece, strapazzando uova, friggendo pancetta e preparando una dozzina di mini pancake. Per le sette in cucina c’era un bel profumino, e Sandra si sorprese che questo non avesse ancora svegliato Kayla. Quando Kayla era a casa funzionava, soprattutto alle superiori. Ma adesso i profumi della sua cucina apparentemente non avevano lo stesso effetto.

Comunque Kayla era uscita con delle amiche la sera precedente – amiche che non vedeva dal diploma. A Sandra non sembrava giusto attenersi al vecchio coprifuoco adesso che era al college, quindi l’aveva semplicemente messa così: Torna a casa tutta intera e preferibilmente sobria.

Mentre la mattinata arrancava verso le otto senza che Kayla uscisse, Sandra cominciò a preoccuparsi. Invece di bussare e rischiare di svegliarla, però, guardò fuori dalla finestra del soggiorno. Vide l’auto della figlia nel vialetto, parcheggiata appena dietro alla sua.

Sollevata, riprese a preparare la colazione. Fu tutto pronto alle otto meno cinque. Odiava svegliare la figlia (era sicura che la cosa sarebbe stata vista come maleducata e scorretta), ma non poté proprio farne a meno. Forse dopo colazione Kayla avrebbe fatto un sonnellino e avrebbe riposato un po’ prima di dare il via alla giornata di shopping seguito da un pranzetto a due a Charlotte. E poi… le uova si sarebbero freddate e Kayla diceva sempre che le uova fredde facevano schifo.

Sandra percorse il corridoio e raggiunse la camera di Kayla. Una cosa surreale e disagevole allo stesso tempo. Quante volte aveva bussato a quella porta nella sua vita adulta? Migliaia, sicuramente. Rifarlo le scaldò il cuore.

Bussò, aspettò un attimo e poi aggiunse, con voce dolce: «Kayla, tesoro? La colazione è pronta.»

Dall’interno non ci fu risposta. Si accigliò. Non era tanto ingenua da pensare che Kayla e le amiche la sera precedente non avessero bevuto. Non aveva mai visto la figlia ubriaca né con i postumi di una sbronza, e non voleva vedercela se poteva evitarlo. Si chiese se Kayla non avesse proprio i postumi; magari non si sentiva pronta ad affrontare la madre.

«C’è il caffè» aggiunse Sandra, sperando di aiutarla.

Ancora nessuna risposta. Bussò un’altra volta, stavolta più forte, e aprì la porta.

Il letto era fatto alla perfezione. Nessuna traccia di Kayla.

Ma non ha senso, pensò Sandra. La macchina è qua fuori.

Poi ricordò un momento particolarmente infelice dei suoi anni adolescenziali in cui aveva guidato fino a casa ubriachissima. Ce l’aveva fatta, ma era svenuta in macchina, nel vialetto. Trovò difficile immaginare Kayla comportarsi così, ma non c’erano tante altre possibilità da considerare.

Chiuse la porta della camera di Kayla e tornò in cucina con un nodo allo stomaco. Forse Kayla le nascondeva problemi con l’alcol e le droghe. Forse avrebbero trascorso la giornata parlando di questo invece che divertendosi come da programma.

Sandra raccolse il coraggio per affrontare una conversazione del genere aprendo il portone principale. Non appena uscì sul portico, raggelò. La gamba sinistra le si bloccò letteralmente in aria, rifiutandosi di scendere.

Perché, posando il piede, avrebbe varcato la soglia di un mondo nuovo – un mondo in cui ciò che vedeva avrebbe dovuto essere affrontato e accettato.

Kayla giaceva sul portico. Era supina e guardava in alto con gli occhi fissi. Aveva delle abrasioni rosse attorno alla gola. Era immobile.

Sandra posò finalmente il piede. Quando lo fece, il resto del corpo lo seguì. Cadde raggomitolata presso la figlia, completamente dimentica della colazione e dello shopping.

Se lei udisse

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