Читать книгу Se lei udisse - Блейк Пирс - Страница 7
CAPITOLO QUATTRO
ОглавлениеQuando Kate e DeMarco si incontrarono all’auto nel parcheggio del bureau, parve che non fosse passato un giorno. C’era però qualcosa di notevolmente diverso, e di ben più profondo della mera apparenza, in DeMarco; praticamente come l’ultima volta che si erano viste, quasi sei mesi prima.
«Agente Wise, bello rivederti» disse DeMarco.
«Il piacere è mio.»
Si abbracciarono rapidamente e fu allora, in qualcosa di semplicissimo come quel breve scambio di effusioni, che Kate capì che in DeMarco c’era qualcosa di diverso. Erano passati meno di undici mesi dall’ultima volta che avevano lavorato insieme, ma la donna era cambiata in un modo di non facile interpretazione. Era più della semplice distanza temporale e del modo in cui Duran l’aveva ritratta alla riunione. Lei stessa pareva cambiata. Il primo pensiero di Kate fu che sembrava invecchiata, ma non era del tutto esatto. Aveva l’aria di una che teneva la testa alta, che guardava dritto avanti a sé senza bisogno di essere sostenuta. In quel senso, sì, DeMarco pareva invecchiata. Avendo appena avuto un bambino, Kate alla fine pensò a un’analogia calzante; nell’aspetto DeMarco era passata da una donna ingenua desiderosa di avere un bambino alla donna che l’aveva appena avuto: una madre ormai guidata dall’istinto materno.
Un altro cambiamento notevole risiedeva nel legame tra Kate e DeMarco. Fu evidente fin dall’inizio – dal momento in cui buttarono le borse nel bagagliaio della berlina del bureau per cominciare il viaggio verso la Carolina del Nord. Non era nulla di negativo. Erano entrambe estasiate di rivedersi, forse ancor più entusiaste di lavorare a un caso dopo quasi sei mesi. Ma c’era la sensazione di un cambiamento di leadership. DeMarco non era più la subordinata che ammirava Kate e ne seguiva la guida. Adesso in lei c’era una maggiore sicurezza. Era un’agente emergente che sbrogliava casi da sola.
Non era stato detto nulla – né da DeMarco né da Duran – ma Kate capì ancor prima che uscissero da Washington DC che di quel caso il capo era DeMarco. Era un fatto intangibile che percepiva. E, a dire la verità, a Kate non importava. Anzi, sembrava giusto.
La maggior parte del viaggio passò con gli aggiornamenti. Avevano sei ore da passare e trascorsero fin troppo in fretta. Kate raccontò qualche storia su Michael e su come ci si sentisse ad avere un neonato più piccolo della nipote. Parlò dei tentativi di rimanere acuta e attiva lontano dal lavoro quando il suo mondo essenzialmente era costituito da latte in polvere, pannolini da cambiare e sonnellini ogni secondo che poteva.
DeMarco, a sua volta, le parlò della sua vita. Tenne al minimo i dettagli personali, fornendo solo l’essenziale su una nuova donna con cui usciva e un rischio di cancro del padre. Ma parlò soprattutto di lavoro. Quando si mise a discuterne i punti salienti, lo fece quasi con imbarazzo.
«Non c’è bisogno di essere così timide» disse Kate. «Duran mi ha detto che stai lavorando benissimo, in particolare nelle ultime settimane. Allora… quando ha detto che hai preso quell’assassino da sola, che cosa voleva dire esattamente?»
«Vuoi davvero saperlo?» Sembrava sorpresa ma, nel profondo, un po’ entusiasta.
«Certo che sì!»
«Be’, non voglio vantarmi. Però sì… aveva ucciso due coniugi nella parte settentrionale di New York e poi aveva cercato di uccidere e derubare qualcuno a Washington DC. Abbiamo scoperto che era qui ed è stata avviata una caccia all’uomo. All’inizio non ero io a capo del caso, ma il responsabile ha preso l’influenza e sono stata praticamente costretta ad accettare il ruolo. Alla fine ho bloccato l’assassino e uno dei suoi amichetti in una vecchia casa appena fuori Georgetown. Ho dovuto sparare all’amico. Gli ho fatto fuori il ginocchio sinistro. Ho fermato l’assassino in un velocissimo incontro di wrestling. Per sbaglio gli ho dislocato l’anca e fratturato un polso.»
«Gli hai dislocato l’anca per sbaglio?» chiese Kate con una risata.
«Sì, per sbaglio. E poi… era fatto. Dopo abbiamo scoperto che aveva preso degli acidi. Fosse stato in sé e avesse capito che cosa stava succedendo, le cose sarebbero potute finire molto diversamente.»
«Resta comunque incredibile. Forse è la neomamma che c’è in me a parlare, ma sono orgogliosa di te.»
«Cos’è sta merda della neomamma? Stronzetta, tu sei la Miracolosa!»
Risero entrambe alla battuta, e quello fu il tono del resto del viaggio. Quando arrivarono nella piccola città di Harper Hills, fu quasi come se non avessero perso un giorno. Restava però la sensazione di un cambio nei poteri. Kate visse con calore il momento in cui DeMarco accostò nel parcheggio del dipartimento di polizia, spense il motore e aprì impaziente la portiera del conducente.
***
Gli interni del dipartimento di polizia di Harper Hills ricordavano a Kate i dipartimenti di polizia delle serie degli anni Ottanta. E non di quelle ambientate a New York o a Los Angeles. No, quel posto era un gradino o due sopra a Mayberry, una roba che si poteva trovare in un filmetto di serie B dove la cosiddetta detective era anche un’ottima cuoca o autrice di libri per bambini. C’era una sala centrale che avrebbe dovuto fungere da atrio d’ingresso. Oltre c’erano tre scrivanie, solo una delle quali occupata. Dietro alle scrivanie c’era un sottile corridoio e nient’altro.
La scrivania occupata era riempita da un signore sovrappeso con un taglio che Kate pensava di poter assimilare al mullet, per tornare all’atmosfera anni Ottanta. Lui fece un cenno nella loro direzione e si alzò rapidamente. Il cartellino sul pettorale sinistro diceva Smith.
«Voi dovete essere le agenti» disse Smith accorrendo nell’atrio per accoglierle.
Kate fece un passo indietro per far capire a DeMarco che le lasciava campo libero.
«Siamo noi» disse DeMarco. «Agenti DeMarco e Wise. Ci è stato detto che avremmo incontrato lo sceriffo Gates.»
«Sì, vero. È in ufficio.» Smith fece cenno di seguirlo. Loro obbedirono, tallonandolo nel corridoio, dove si fermarono alla prima porta a destra. «Sceriffo?» fece lui bussando sullo stipite della porta aperta. «Sono arrivate le agenti dell’FBI.»
«Avanti!»
DeMarco fece strada, e Kate la seguì. Lo sceriffo si alzò e allungò la mano per salutarle. Kate trattenne un sorrisetto all’idea di aver visto il dipartimento appena qualche gradino sopra al distretto di Mayberry nell’Andy Griffith Show. Lo sceriffo Gates in realtà pareva una versione attualizzata e ringiovanita dello sceriffo Andy della serie. Prese loro le mani e le guardò negli occhi in un modo che le diceva che non aveva problemi a lavorare con le donne, ma che probabilmente le avrebbe anche trattate con la vecchia, buona ospitalità del sud.
«Sceriffo» disse Kate «pensavo che il distretto fosse in fermento, vista la natura del caso.»
«Be’, fino a poco fa così era. È subentrata la polizia di Stato e ho mandato due dei miei uomini con loro. Stanno saggiando delle stradine secondarie; ce ne sono parecchie qua intorno, sapete. Io sono rimasto perché volevo incontrarvi.»
«Lo apprezziamo» disse DeMarco. «Che cosa può dirci esattamente sul caso? A Washington DC ci hanno detto qualcosa ovviamente, ma preferirei sentire la fonte.»
«Be’, ci sono stati due omicidi in una città che vantava un solo omicidio negli ultimi dieci anni. Entrambe giovani donne – tra i diciannove e i vent’anni. La prima vittima è stata uccisa cinque notti fa, nel parcheggio di un bowling. L’altra è stata trovata ieri mattina sul portico anteriore della casa della madre. Non esiste collegamento chiaro tra le ragazze a parte l’età e che erano entrambe del posto. L’ultima vittima, Kayla Peterson, era tornata a casa dal college per qualche giorno.»
«Un college dello Stato?» chiese DeMarco.
«No, uno della Florida.»
«Collegamenti tra le famiglie delle ragazze?» chiese Kate.
«L’unica cosa simile tra loro è che venivano entrambe da genitori divorziati. Ma abbiamo parlato con tutti i parenti prossimi e sembrano tutti a posto con gli alibi. Voi, ovviamente, potete pure ripercorrere i nostri passi.»
«Grazie» disse DeMarco. «Le spiace portarci al luogo del ritrovamento della seconda vittima?»
«Certo, si figuri.»
Gates si infilò una giacca e uscì dall’ufficio dritto davanti a loro. Kate si accorse che DeMarco adesso pareva comportarsi diversamente. Era una differenza leggerissima, e che Kate non sapeva definire, ma c’era. Era più sicura di sé. C’era stata durante l’interazione con lo sceriffo, persino in quel breve lasso di tempo. C’era persino nel modo in cui lo seguì guidando al contempo Kate.
È ancora così giovane, pensò Kate. Diventerà un’agente eccezionale.
Le scaldava il cuore e la rendeva felicissima essere tornata al fianco di DeMarco. Ma più di tutto, la rendeva felice essere su quel caso, anche se adesso era piuttosto sicura che sarebbe stato l’ultimo per lei.
***
Per recarsi all’ultima scena del crimine attraversarono quasi tutta Harper Hills. C’erano quattro semafori in città e le attività più riconoscibili erano un Burger King e un Subway, entrambi situati lungo la brevissima e più che altro insulsa Main Street. Sul finire di Main Street, Gates svoltò con l’auto di pattuglia in una strada secondaria, e DeMarco lo seguì con la berlina del bureau.
La stradina si trasformava in un’altra e quest’ultima si trasformava in un’altra ancora. Era una zona particolare, però. Kate aveva visto molti paesi remoti organizzati in modo simile, ma Harper Hills era quasi una suddivisione rurale priva delle periferie, celata nelle boschive pianure della Carolina del Nord. Il vicinato cui le guidò Gates non era tanto un vicinato quanto una collezione di zone boschive separate da fitti boschetti.
Kate si sporse sul sedile quando Gates imboccò un vialetto di ghiaino. DeMarco lo seguì, ed entrambe le agenti si accorsero che c’era un’altra auto nel vialetto. Parcheggiò dietro a Gates e i tre si incontrarono all’inizio del viale.
«Questa è la residenza Peterson» disse Gates. «La madre, Sandra, al momento sta con una vecchia amica di famiglia vicino a Cape Fear. Non ce la faceva a rimanere qui. Lo capisco, immagino. È devastata dalla cosa. Catatonica.»
Poi porse a DeMarco una busta di carta da pacchi. DeMarco la prese, la aprì e ci guardò dentro. Kate sbirciò oltre la sua spalla e vide che erano i dossier del caso. Ne avevano ricevuti la maggior parte digitalmente a Washington DC, ma non tutti. Stava attenta a guardare anche i dossier cartacei quando aveva i digitali. Vedere le informazioni stampate – soprattutto le foto delle scene del crimine – rendeva il caso più pressante.
«È stato lei a recarsi sulla scena per primo?» chiese DeMarco.
«No, è stato Smith. Ma io ero appena dietro di lui.»
«Può raccontarmi nel dettaglio cos’ha visto?»
A Kate piacque l’approccio. Invece di guardare subito i dossier, DeMarco voleva assicurarsi di vedere la scena così come si era presentata la mattina del ritrovamento del corpo. Foto e appunti erano ottimi strumenti, ma raramente buoni come sentir raccontare gli eventi dalla bocca dei primi giunti sulla scena.
«Stando alla madre, Kayla Peterson era venuta a casa per il matrimonio di un’amica. Due sere fa è uscita con delle amiche e la mattina seguente non era in camera sua. Ma l’auto era proprio lì, nel vialetto. Quando la madre ha aperto la porta per controllare la macchina, ha trovato Kayla morta sul portico. È riuscita a infilare la chiave nella serratura prima che l’assassino attaccasse; le chiavi erano ancora appese quando siamo arrivati io e Smith. A quanto ho visto, è abbastanza chiaro che sia stata strangolata.»
«Era completamente vestita?» chiese Kate.
«Sì. Il medico legale ha detto che non ci sono indizi di stupro né di altra aggressione sessuale. Pare che l’assassinio fosse l’unica cosa cui l’omicida era interessato. Lo stesso vale per la prima vittima.»
«Il medico legale ha idea di che cosa sia stato usato per strangolarla?» chiese DeMarco.
«Pensa a una specie di corda, probabilmente di plastica. E la forza che ci ha messo l’assassino dev’essere stata molta. Pensa che sia molto forte.»
«Quella è l’auto di Kayla?» chiese DeMarco con un cenno all’unica altra auto nel vialetto.
«Sì.» Ficcò la mano in tasca ed estrasse un portachiavi segnalato con un’etichetta delle prove. Lo porse a DeMarco e disse «Faccia pure.»
I tre trottarono giù dal portico e si avviarono di nuovo verso il vialetto. Kayla aveva una Kia Optima del 2017. Aveva proprio l’aria dell’auto di una ragazza del college per come se la immaginava Kate: piuttosto pulita, il portaoggetti cosparso di balsamo per labbra Chapstick, una bottiglia mezza vuota di acqua e un caricatore per cellulare. A parte questo, dentro non c’era nulla di interessante – sicuramente nulla che le avrebbe aiutate a determinare chi la stesse seguendo quella notte.
Dopo l’auto, Gates aprì il portone anteriore. Spiegò loro che, andandosene dalla città, Sandra Peterson aveva dato a Gates le chiavi di casa per le indagini.
«C’è qualche possibilità che sia una sospettata?» chiese Kate.
«Anche se ne avessi il minimo sentore – e così non è – la cosa non spiegherebbe la prima vittima.»
«È successo tre giorni prima di Kayla, vero?» chiese DeMarco.
«Precisamente. Anche se sicuramente non c’è modo di escluderla con sicurezza, ho interrogato ogni singola persona presente nella sala da bowling alla chiusura. Nemmeno una ha detto di aver visto Sandra Peterson. Una donna sapeva esattamente di chi parlassi e ha trovato oltraggioso anche solo che lo chiedessi. Inoltre… torno alla dichiarazione del medico legale. Chiunque abbia strangolato Kayla Peterson aveva moltissima forza. E se conosceste Sandra Peterson avreste difficoltà a includerla nella lista. È pelle e ossa. Ha perso molti chili quando il marito se n’è andato. E non facendo palestra. Pare quasi denutrita. Malaticcia, a volte.»
Kate e DeMarco osservarono l’ex stanza di Kayla. Mostrava i segni della ragazza che era stata, i residui dei poster di Hannah Montana a lato della cassettiera, dei quadrati leggermente sbiaditi sulle pareti dove un tempo erano appesi i poster. Trovarono due valigie fatte ai piedi del letto. Una era chiaramente adibita alle cose relative al matrimonio. Era piena di vestiti carini, trucchi e di quelli che sembravano appunti per un brindisi. L’altra era molto meno formale, con diversi abiti buttati lì insieme a un tascabile e ad articoli per l’igiene personale. Ma non c’era assolutamente nulla di utile per il caso.
«Ha parlato con le amiche con cui è uscita la sera dell’omicidio?» chiese DeMarco.
«Con tutte tranne una. A quel che ho raccolto, erano in tutto in quattro, Kayla inclusa.»
«Mi piacerebbe parlare con tutte» disse DeMarco. Poi si girò verso Kate, come in cerca della sua approvazione. Kate le fece solo un breve cenno col capo, apprezzando il gesto di DeMarco.
«Be’, è lunedì pomeriggio e lavorano. Potrei fare qualche telefonata per vedere cosa posso fare per radunarle tutte. Magari al distretto.»
«Che ne dice di un bar o un ristorante?» chiese DeMarco.
Gates parve perplesso, ma annuì lentamente. «Sì, in città ci sono un paio di bar. Be’, appena fuori città, in realtà. Sono piuttosto sicuro che alcune ragazze ne frequentino uno, un posto che si chiama Esther’s Place. Posso organizzarvi un appuntamento lì per le sei.»
«Si assicuri che sappiano che non è facoltativo» disse DeMarco. «Se non ce la fanno a venire, andremo a casa loro.»
Kate sorrise. Non era la strada che avrebbe percorso lei, ma era comunque efficace. Sapeva quello che stava pensando DeMarco. Solitamente, quando si interrogavano testimoni al di fuori di sale interrogatori e case private, la conversazione tendeva a fluire in modo più naturale. Kate non aveva mai preferito quell’approccio, in quanto le eventuali distrazioni diventavano un problema. Ma quello era il palco di DeMarco e le avrebbe permesso di condurre lo show come preferiva.
Il terzetto uscì di casa e quando raggiunsero le rispettive auto, lo sceriffo Gates era già al telefono per organizzare l’incontro.
«Mi chiedo perché abbia permesso alla madre di andarsene così» disse DeMarco montando in auto.
«Quella donna ha appena perso la figlia. A meno che non ci siano prove sostanziali della sua colpevolezza o che sia in possesso di informazioni valide, non ha senso trascinarla in tutto ciò. Inoltre il dossier dice che non ha parenti né amici in zona. E parenti e amici sono esattamente ciò che le servono in questo momento.»
DeMarco ridacchiò. «Cavoli, mi sei mancata, Kate. Stavo cominciando a temere di far volare fuori dalla finestra l’empatia per il prossimo quando lavoro a un caso.»
«È facile farlo» disse Kate. «Dopo un po’, per quanto sia triste, può diventare facile smettere di vedere la gente che incontriamo sui casi come delle persone vere. Noi abbiamo il nostro puzzle da risolvere e loro hanno gli strumenti per aiutarci a farlo. Un modo schifoso di pensare, ma penso che tutti gli agenti scivolino per questa china, prima o poi.»
«Io non ti ci vedo a comportarti così.»
Chiedi a Melissa, pensò. Lei ti racconterebbe di come ho messo il lavoro davanti a tutto.
Il pensiero le portò il bruciore delle lacrime agli occhi, che asciugò subito. Un ultimo strattone dalla vita che la trascinava a sé. Sì, era stata una madre terribile per Melissa, aveva sempre scelto il lavoro prima di lei.
Si trovava di nuovo lì, solo che adesso erano passati vent’anni e c’era Michael. Aveva l’opportunità di fare le cose nella maniera giusta, stavolta.
E, mentre quest’ultimo pensiero le bruciava ancora in mente, pensò che, finito tutto, avrebbe fatto le cose nella maniera giusta.