Читать книгу Il Travestimento Perfetto - Блейк Пирс - Страница 5

CAPITOLO DUE

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Jessie Hunt mise il telefono in modalità silenziosa e si distese tranquilla a letto con gli occhi chiusi, sperando di addormentarsi subito. Dopotutto non doveva andare da nessuna parte.

Ma non servì a nulla. La sua mente stava già galoppando, nonostante i suoi migliori sforzi per farla rallentare. Era lunedì mattina. Avrebbe dovuto essere un giorno rilassante, almeno confronto a quella che era la routine in quel periodo. Non aveva incarichi per le mani. Non doveva fare fretta ad Hannah perché si preparasse per andare a scuola. Con una sola eccezione, il suo programma era esattamente quello che avrebbe voluto. Eppure si sentiva rosa dalla pressante sensazione di avere del lavoro da fare. Si mise a sedere.

Il movimento le mise il corpo in condizione di totale disagio. La spalla malandata le faceva male, probabilmente per averci inavvertitamente dormito appoggiata sopra. E la pelle ancora irritata alla base della schiena le dava una sensazione strana, come di un costante prurito che sapeva di non potersi grattare.

Guardando l’altro letto dalla parte opposta della stanza, vide che Hannah Dorsey, la sorellastra di cui era tutore a tempo pieno, era ancora addormentata e russava leggermente. Jessie si alzò e uscì in punta di piedi, percorrendo il corridoio in direzione del bagno. Vide che la porta dell’altra stanza era chiusa, il che significava che Kat era ancora addormentata o, più probabilmente, si stava vestendo e preparando per la sua giornata. Ad ogni modo, significava che il bagno era libero.

Katherine ‘Kat’ Gentry, la migliore amica di Jessie, stava ospitando lei e Hannah a casa sua mentre cercavano una nuova sistemazione. Jessie non poteva più sopportare il pensiero di vivere nel precedente condominio. Lì erano successe troppe cose orribili.

Aveva promesso a Kat che se ne sarebbero andate nel giro di un mese, e anche se erano passate solo due settimane da quando si erano trasferite lì, si sentiva addosso una certa pressione. In parte era perché si sentiva in colpa che Kat non potesse comodamente avere lì quando più le faceva comodo il suo compagno, un vice sceriffo di Arrowhead Lake che si chiamava Mitch Connor. Al momento riuscivano a vedersi solo durante i finesettimana. E ora erano stati costretti a mettere in sospeso anche quello.

Ma oltre a questo, trovare un nuovo posto con sufficiente spazio per due persone – e magari tre a un certo punto – e che offrisse tutte le misure di sicurezza necessarie, non era facile. Anche se il suo ex marito Kyle Voss non era più una minaccia, Jessie aveva ancora un sacco di altri nemici, molti dei quali avrebbero gioito di fronte a una possibilità di poterla sistemare una volta per tutte.

E poi ricordò a se stessa che c’era anche un’altra necessità. La nuova casa avrebbe dovuto essere accessibile alle persone con disabilità. Il compagno e convivente di Jessie, il detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles Ryan Hernandez, non era ancora per niente pronto a lasciare l’ospedale. E a dire la verità non era certa che ci sarebbe mai riuscito. Ma se un giorno l’avessero mai dimesso, avrebbe avuto bisogno di rampa per la sedia a rotelle, barre di sicurezza e tutte le attrezzature a cui lei neanche aveva ancora iniziato a pensare.

Jessie si diede un’occhiata nello specchio prima di lavarsi la faccia. Non aveva l’aspetto rilassato di una donna nel suo giorno libero. Le borse scure sotto ai suoi luminosi occhi verdi erano meno evidenti, ma il rossore attorno alle iridi lasciava comunque intendere una certa mancanza si sonno. I capelli castani che le arrivavano alle spalle non erano raccolti nella sua solita coda, ma apparivano sfibrati come si sentiva lei stessa. Così china sul lavandino, la sua figura atletica di un metro e ottanta appariva molto più minuta. Addirittura gli zigomi ben delineati sembravano meno pronunciati del solito. Aveva compiuto trent’anni da poco, ma questa mattina si sentiva più vecchia di un decennio.

Finì di lavarsi e uscì dal bagno, dove trovò Kat che aspettava con pazienza. L’amica era vestita in modo casual con un paio di jeans e una maglietta larga che copriva il suo fisico ben tornito. Anche se non era più un ranger dell’esercito, né il capo della sicurezza in un penitenziario psichiatrico, aveva sempre l’aspetto di qualcuno che era meglio non fare arrabbiare. Era probabilmente una buona cosa, perché la sua nuova professione di detective privata le forniva ancora qualche opportunità di ficcarsi in delle scaramucce di tanto in tanto.

“È tanto che aspetti?” le chiese Jessie con tono colpevole.

“Un paio di minuti,” la rassicurò Kat. “Non ho fretta. Mi devo solo dare una spazzolata ai capelli. Il caffè è quasi pronto se ne vuoi un po’.”

“Grazie. Potrebbe tornarmi utile.”

“Un’altra nottataccia?” chiese Kat comprensiva, ben consapevole delle recenti traversie vissute da Jessie.

Lei annuì.

“Questa volta non ricordo gli incubi nel dettaglio, ma ho ancora delle immagini che mi fluttuano nella testa.”

“Vuoi parlarne?” le chiese Kat con delicatezza.

Jessie era dibattuta se farlo o meno. Era preoccupata che, parlando dei suoi brutti sogni, avrebbe dato loro maggiore potere. Ma tenersi tutto dentro, come aveva spesso fatto in passato, non le aveva comunque giovato molto. Alla fine decise di scegliere il versante della confidenzialità.

“È sempre la stessa roba. Vedo Kyle che strangola Garland Moses fino a ucciderlo in quella casa sulla spiaggia. Lo vedo piantare in coltello nel petto di Ryan. Vedo me stessa mentre presto a Ryan i primi soccorsi, fino a che non riesco più a muovere le braccia. Poi passo a Kyle che sbatte Hannah sul divano e lei che si accascia. Rivivo la sensazione di soffocare Kyle, il piacere di sentire la sua trachea che si spezza. Sai, roba divertente di questo tipo.”

Kat rimase in silenzio un momento. Jessie capì che stava pensando a come rispondere. L’amica di certo sapeva come funzionava l’elaborazione dei traumi. Aveva visto buona parte della sua squadra che saltava in aria a causa di una bomba mentre prestava servizio in Afghanistan. L’incidente l’aveva lasciata con ricorrenti mal di testa e una lunga cicatrice verticale che le segnava il volto a partire dall’occhio sinistro. Jessie ancora non conosceva i dettagli di quello che era accaduto quel giorno.

“Vedi ancora la dottoressa Lemmon?” le chiese Kat alla fine, riferendosi alla terapeuta di Jessie, che la stava accompagnando ormai da anni attraverso innumerevoli odissee.

“Sia io che Hannah ci andiamo regolarmente,” confermò Jessie. “In effetti, l’ho vista proprio venerdì scorso.”

“Ti ha dato qualche consiglio speciale?” chiese Kat.

“Certo, come al solito: non tenerti tutto dentro. Parlane, ma senza piangerti addosso. Tieniti occupata. Fai movimento per quanto ti permettono le tue ferite.”

Il riferimento era tanto alla spalla sinistra slogata che si era procurata nel combattimento letale contro Kyle e alle ustioni alla schiena derivate dal salvataggio di una donna da una casa in fiamme con un serial killer all’interno.

“E quanto ti permettono?” chiese Kat.

“Quello che mi concede la mia soglia del dolore. Le ustioni non sono più così terribili. Il medico dice che stanno guarendo bene e che dovrei riuscire a togliere le bende tra una settimana o giù di lì. La spalla fa ancora male, ma almeno non devo più tenere il braccio al collo. Ma dovrei andare a fare fisioterapia per altre due-quattro settimane.”

“Beh, almeno non avrai nessuna distrazione professionale a complicarti gli appuntamenti,” disse Kat con tono ottimista. “Questo è il tuo primo giorno ufficiale da disoccupata, giusto?”

Jessie annuì. Era tecnicamente vero. Lo scorso venerdì era stato il suo ultimo giorno di lavoro come profiler criminale al Dipartimento di polizia di Los Angeles, e ultimamente non aveva lavorato poi tanto. Aveva dato il suo preavviso, con grande delusione del suo capitano, ormai due settimane prima.

Nonostante l’avesse implorata che si prendesse un periodo sabbatico e vedesse come si sarebbe sentita alla fine, Jessie era stata irremovibile. Aveva bisogno di liberarsi dalla spirale di violenza che aveva dominato la sua vita professionale e personale negli ultimi anni. E poi, girare per gli stessi uffici dove era stata abituata a vedere Garland ogni giorno non faceva che rigirarle il coltello nella piaga.

A causa delle sue ferite, dell’ospedalizzazione di Ryan, dell’aiuto nella risoluzione dei casi di Garland, del trasloco e del prendersi cura di Hannah, alla fine era stata in ufficio solo due volte. L’ultima era stata venerdì, quando aveva ripulito la sua scrivania.

“Spero che la disoccupazione sia temporanea,” disse Jessie. “Ho dei colloqui in lista in diverse università la prossima settimana per discutere dei posti da insegnante in autunno. Nel frattempo sto abbracciando la possibilità di non avere una lista di cose da fare così grande.”

Nessuna delle due fece cenno al motivo principale per cui non serviva avere tanta fretta per cercare un lavoro. Il suo divorzio da Kyle era stato redditizio. Prima della sua condanna, l’ex marito aveva contribuito a un ricco fondo di gestione, quindi Jessie avrebbe comunque guadagnato bene da un normale divorzio. Ma il fatto che Kyle avesse tentato di incastrarla per l’omicidio che lui aveva commesso e avesse poi cercato di ucciderla, aveva facilitato ancora di più le cose.

Inoltre, Jessie aveva anche ricevuto una generosa eredità dai suoi genitori adottivi, che erano stati assassinati dal suo padre serial killer qualche anno prima. L’avvocato di Garland le aveva anche detto di aspettarsi un sostanzioso regalo quando il testamento del suo mentore sarebbe stato letto alla fine di quella settimana. Jessie si sentiva in colpa a vivere in maniera così agiata come risultato di tanto dolore e sofferenza. Ma con Hannah di cui prendersi cura, le spese mediche che si sommavano e le misure di sicurezza di cui aveva bisogno in casa, ormai aveva accettato la cosa.

Prima che potesse spiegare più a fondo le sue prospettive future, la porta della sua camera si aprì. Ne venne fuori una Hannah dagli occhi assonnati, con indosso slip e canotta e i capelli tutti arruffati.

“È il tuo ritratto,” disse Kat sarcasticamente.

Nonostante la battuta, Jessie non poteva negare che fosse vero. Anche senza i due centimetri di altezza che le donavano i capelli scompigliati, Hannah era già quasi alta quanto Jessie. E tutte e due avevano la stessa corporatura slanciata e atletica. E quando finalmente aprì gli occhi del tutto, mostrò loro lo stesso sguardo tinto di verde che anche lei aveva.

“Come va, bella addormentata?” le chiese Jessie.

“Programmi interessanti per oggi, principessa?” aggiunse Kat.

Hannah le guardò tutte e due in cagnesco, poi entrò in bagno e chiuse la porta senza dire una parola.

“Che cara ragazza,” disse Kat con tono asciutto.

“Sempre un raggio di sole,” confermò Jessie con ironia. “È di malumore perché la pausa estiva è quasi finita. La prossima settimana deve andare a scuola, e la cosa non la rende per niente contenta.”

“Solo una settimana ancora per starsene a ciondolare senza fare niente,” sottolineò Kat. “Povera piccola. Mi piacerebbe avere lo stesso programma.”

“Qual è il tuo programma per oggi?” chiese Jessie.

“Niente di entusiasmante: questa mattina devo rivedere dei documenti. Poi c’è una coppia di ricconi che vuole che scopra cosa sta combinando loro figlio. Non sono Philip Marlowe.”

“Ti serve aiuto? Potrei dare un occhio ai documenti e…”

“No, signora,” la interruppe Kat. “Tu devi concedere una pausa sial al tuo corpo che al tuo cervello. Fai una passeggiata. Vediti un brutto film. Quello che ti pare, ma niente lavoro.”

Jessie stava per rispondere quando il suo telefono suonò. Ormai conosceva molto bene il numero. Rispose immediatamente.

“Pronto, sono Jessie Hunt.”

“Salve, signorina Hunt. Sono l’infermiera Janelle della terapia intensiva al Centro Medico. Il dottor Badalia avrebbe piacere di fare due parole con lei. Quando sarebbe disponibile?”

“Posso essere lì tra quindici minuti,” disse Jessie, poi riagganciò.

Guardò Kat, che sembrava aver capito quello che stava succedendo.

“Vestiti,” le disse l’amica. “Io ti verso una tazza di caffè e ti preparo un toast. In cinque minuti puoi essere fuori di qui.”

“E Hannah?”

“Non preoccuparti per lei. Questa mattina la tengo d’occhio io. Quando me ne vado, le può fare da babysitter Instagram.”

Jessie era già a metà del corridoio, diretta verso camera sua quando gridò all’amica un sonoro “Grazie!”

Il Travestimento Perfetto

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