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Anche la famiglia Bonifazio si sentì colpita crudelmente dalla sventura del figlio. Alle lagrime dell'esule corrisposero da lontano le lagrime dei parenti, privi del conforto di stringere fra le loro braccia affettuose il povero orfanello e il padre desolato.

Così l'esilio colpisce sempre da due parti; tanto chi resta, che chi si allontana soffre egualmente, senza il sollievo del reciproco conforto, senza l'amara consolazione di piangere assieme.

Stefano guarito dalla sua ferita, andava spesso a Treviso, ove aveva molti amici. Un bel giorno girovagando per le strade della città, fu colpito dall'aspetto di una di quelle ragazze del popolo, tanto famose in tutto il Veneto per la rara bellezza dei lineamenti, per l'abbondanza dei capelli, la grazia della persona e l'eleganza del vestito. Si direbbero nate in mezzo al lusso d'uno splendido appartamento, e invece non sono che una curiosa aristocrazia della classe operaia, le contessine del popolo. Dove abbiano imparato a darsi quell'aspetto disinvolto, ed alzare quegli sguardi alteri di principesse, nessuno lo sa. Escono dalle povere catapecchie ove abitano, come da un palazzo signorile, scendono maestosamente dalle loro scalette di legno, come se fossero gli scalini del trono, raccogliendo, colla piccola mano coperta di guanti, e con flessuosa destrezza, gli svolazzi della veste, per lasciar vedere la elegante calzatura a talloni, portando con certa alterigia la testina graziosamente pettinata, e adorna d'un velo nero puntato con grandi spilloni. Camminano con franca andatura, portando l'ombrellino di seta, e il ventaglio, e vanno dalla sarta o dalla modista, ove dopo una lunga pratica giungono a guadagnare venti soldi per dodici ore di lavoro.

La ragazza seguìta da Stefano, aveva sulla nuca una treccia di morbidi capelli color castagno, acconciata in molti giri, da destare l'invidia dei più avveduti parrucchieri che le offersero invano molto denaro per acquistarla, dicendole che una treccia posticcia avrebbe prodotto lo stesso effetto, e che i capelli crescendo più rigogliosi, essa poteva farsene una rendita lucrosa, senza che nessuno se ne accorgesse. Era la povera figlia d'un falegname, ma non volle mai tagliare i suoi capelli per nessun prezzo; quella era la sola sua ricchezza, la sua corona, e non l'avrebbe ceduta per tutto l'oro del mondo. Suo padre le dava torto, perchè i parrucchieri lo avevano sedotto colla promessa irresistibile di certe bottiglie d'un vino delizioso, che gli avevano fatto assaggiare in un bicchierino, e che gli era sembrato un balsamo di lunga vita.

Ogni mattina la ragazza si metteva allo specchio coi capelli disciolti giù per le spalle, che arrivavano fino al ginocchio, e quella ricchezza la rendeva orgogliosa, perchè la più gran signora della città non poteva comperarli per nessun prezzo.

Poi faceva colazione con due soldi di pane e latte, si vestiva con eleganza, e correva al suo magazzino. Lungo la strada tutti si voltavano a guardarla, ed essa era beata.

Stefano non fece attenzione a quei capelli, che potevano anche essere posticci, ma fu sedotto dal sorriso degli occhi, dalla dolce espressione dei lineamenti, dalla bocca attraente, che indicava somma bontà e cuor contento, quantunque fosse un po' troppo grande in proporzione delle altre linee del viso.

La seguì parecchie volte dal magazzino alla casa, essa se ne avvide, e gli fece comprendere con uno sguardo che non disdegnava quell'omaggio, e che trovava il giovinotto di suo gusto. Egli non tardò molto ad esprimerle modestamente la sua rispettosa ammirazione, e le oneste intenzioni che lo animavano. Essa in principio si mostrò molto incredula, gli fece capire che era povera, e lo pregò di lasciarla in pace, di non voler renderla infelice per un capriccio.

Stefano la rassicurò con solenni promesse, e così non tardarono a prendere la dolce abitudine di vedersi spesso, di passeggiare insieme in luoghi solitari, nella più cordiale intimità, coll'espansione di pensieri e sentimenti che sono il melodioso linguaggio dell'amore.

L'affetto che i Bonifazio provavano pel figlio assente, pareva che volesse manifestarsi con doppie cure sul figlio vicino; l'indole soave e il carattere onesto del giovane lo rendevano degno della loro affezione.

Egli non tardò molto a rivelare alla madre il suo amore per la Beppina, mostrandole il desiderio di farla sua moglie, e la buona madre predispose favorevolmente il marito.

Il capitano Bonifazio, al contrario di molti padri, era sempre preoccupato dal timore che suo figlio potesse innamorarsi d'una signora. L'educazione delle ragazze nelle ricche famiglie cittadine gli metteva spavento, e diceva a sua moglie:

– Se Stefano vorrà prender moglie, la nostra quiete sarà in pericolo. Che cosa faremo noi di una sposa cittadina colle nostre abitudini campagnuole? Vorrà essa adattarsi alla semplicità di questa vita? che cosa farà tutto il giorno alla villa? vorrà essa occuparsi delle cure domestiche recando qualche sollievo alle tue fatiche, quando la età avanzata ti farà sentire il bisogno di riposo? Avvezza alle visite oziose, ai teatri, agli spettacoli, alla società elegante, potrà essa sopportare senza noia la solitudine, le sciocchezze del maestro Zecchini, le asinaggini dei Pigna, padre e figlio?

La povera Maddalena lo consolava facendogli osservare che la città era vicina, che i giovani avrebbero potuto fare una vita conforme ai loro gusti, e i vecchi si sarebbero dedicati ad allevare i bimbi, e a governare la casa, senza cambiare le abitudini di nessuno. Ma il capitano non era persuaso e pronosticava mille disturbi, in tal modo che quando Stefano gli annunciò il suo progetto, ne fu lietissimo, e volle subito vedere la ragazza.

La Beppina avvertita in tempo di questa visita aveva messo in ordine la povera dimora, e li aspettava ansiosamente fingendo di lavorare, seduta davanti al balcone, adorno di alcuni vasi di fiori, che le erano stati regalati da Stefano.

La visita fu breve, ma decisiva. Pareva che il capitano ne fosse più innamorato del figlio, tanto si mostrava entusiasta del soave sorriso di quel bel volto. Esso la trovò modesta e gentile, graziosa e intelligente, e ritornò a casa contento per darne l'annunzio a sua moglie, pronosticandole dei giorni felici, ed una vecchiaia tranquilla, con una figlia di più, la più cara e simpatica che si potesse mai desiderare, e diceva a Stefano:

– Facciamo presto; a domani la domanda al padre, e quanto prima le nozze.

E fu secondato in ogni suo desiderio. Al giorno seguente il falegname Morato non andò a bottega, e attese il capitano, dopo di essersi rasa la barba e vestito da festa, secondo gli ordini della figlia.

All'ora fissata i Bonifazio furono esatti, e in poche parole si trovarono d'accordo. Alla cortese domanda del capitano, il Morato rispose:

– Sono anni cattivi, siamo povera gente, mia figlia non ha nè dote, nè corredo…

– A questo ci pensiamo noi, soggiunse il capitano. Facciamo presto; io non vi domando altro, prima di tutto perchè non mi piacciono le cose lunghe, e poi perchè sono vecchio, e vorrei vedere un nipotino, prima di chiudere gli occhi per sempre.

– Non parliamo di malinconie, gli rispose il falegname, con naturale buon senso. Siamo a vostra disposizione, riconoscenti dell'onore.

Fissarono l'epoca delle nozze, il capitano baciò in fronte la Beppina, e i due giovani si mostrarono molto lieti degli accordi.

Stefano scrisse al fratello, raccontandogli minutamente tutti i particolari del suo amore, vantandogli le buone qualità della sposa, senza nascondere la sua povertà.

Poco tempo dopo arrivava dalla Francia una cassa pieni di arredi da donna con una lettera di Gervasio, nella quale egli si congratulava col fratello per il prossimo matrimonio, e gli faceva mille scuse se osava spedirgli il corredo della sua povera defunta, ancora nuovo, per l'immatura sua morte. «Non saprei farne un uso migliore, egli scriveva, la tua sposa non se ne offenda se la tratto fino da questo momento come sorella; fra fratelli che si amano quello che è dell'uno è anche dell'altro. Vivi felice in famiglia, intanto io pregherò il cielo che ci conceda di rivederci presto, per poter vivere tutti uniti in casa nostra, nella nostra patria, colla nostra famiglia, tutte cose preziose che ci vennero tolte dalla usurpazione straniera.»

Al tempo fissato si fecero le nozze. Il capitano accompagnò Stefano a Treviso di buon mattino, e dopo la celebrazione del matrimonio, montarono in carrozza colla sposa e suo padre e tornarono alla villa. La buona Maddalena li aspettava sulla porta, Beppina si gettò nelle sue braccia.

– Hai trovato la madre che ti mancava, disse alla nuora, baciandola in fronte.

Dopo una breve refezione fra soli parenti, Stefano condusse la sposa a fare un giro pel parco. Avvezza al chiuso ambiente della sua cameretta in una casa vecchia di città, in una contrada di povera gente, le parve di passeggiare in paradiso. Attraverso le fronde passavano pochi raggi di sole, che segnavano degli sprazzi d'oro sulla sabbia dei viali. Il silenzio dei boschetti era rallegrato da qualche gorgheggio d'un capinero, accompagnato dal mormorio delle acque cadenti d'una cascatella sul lago. Dalle macchie di rose, dai caprifogli e dai gelsomini che si arrampicavano sui muri emanava un soave profumo che imbalsamava l'aria. La ricca vegetazione nel suo pieno vigore esalava degli aliti vitali, raccolti da tutte le forze unite della natura, dalla terra e dall'acqua, dalla luce, dalle foglie e dai fiori. Un'arcana voluttà serpeggiava nelle vene e inebbriava i sensi.

Vagarono, ora bisbiglianti ed ora silenziosi, nella soave armonia delle commozioni e dei pensieri, sotto ai boschetti e sui prati di quell'incantevole giardino fino che udirono le campane dei villaggi vicini che suonavano il mezzogiorno. Era l'ora destinata al pranzo di famiglia coi parenti, e pochi amici. La stanza era adorna di fiori, la tavola apparecchiata con garbo, ma a quella mensa c'era un vuoto doloroso che ricordava la tristezza dell'esule lontano, gettava un velo di malinconia sulla gaiezza delle nozze, e faceva spuntare una lagrima sugli occhi della madre, mentre si atteggiava al sorriso.

Tuttavia gli amici festeggiando gli sposi con ripetute libazioni fecero echeggiare un po' d'allegria alla fine del pranzo. Il maestro Zecchini diventava loquace, papà Morato, volendo sostenersi con gravità, si teneva diritto con uno sforzo, e pareva diffidente delle sue gambe, il vecchio Pigna aveva due occhietti rossi e brillanti come rubini, suo figlio, con un sorriso immobile e costante, cogli occhi fissi, e due macchie rosse sulle guancie, mostrava il volto d'un ebete colla testa di legno. Dopo il caffè gli sposi presero congedo dai parenti e dagli ospiti e partirono per Venezia ove avevano fissato di passare i primi giorni del matrimonio.

Ritornati in famiglia presero le abitudini regolari, e la giovane si mostrò degna della sua buona ventura. Affettuosa coi suoceri, gentile cogli amici, d'indole facile e allegra, si faceva amare da tutti. Stefano ne era più innamorato di prima, e le buone qualità che le aveva trovate gli facevano giudicare con indulgenza quei piccoli nonnulla che saltano fuori col tempo e colla intimità. L'amore è un vetro appannato attraverso il quale appariscono le figure piane come nelle ombre; il matrimonio è un cristallo trasparente che lascia vedere gli oggetti in rilievo, con tutti i loro pregi e difetti.

Le belle qualità dell'animo, scoperte nella Beppina, compensarono Stefano della educazione incompleta, e la vista di quei capelli meravigliosi, che credeva prima un ornamento aggiunto alla natura, lo rese indulgente sull'ortografia e la grammatica, che mancavano alla sposa come il corredo.

La famiglia Bonifazio; racconto

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