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VII

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La notizia di questa catastrofe colpì tutta Italia come una calamità nazionale; si sparse dovunque, ridestò l'odio degli esuli che soffrivano lontani dal focolare domestico, portò la desolazione a Treviso e in Brianza, ove i parenti e gli amici appresero con orrore la rapida morte dei loro cari, che parve a tutti lo schianto di due fiori prodotto dalla violenza d'un uragano. A tale sventura si aggiunsero le relazioni dell'infame processo, i patimenti di chi languiva nel carcere, i supplizi che lo seguirono, e tutto insieme accumulava le maledizioni degli oppressi sugli oppressori.

I due poveri vecchi che in così breve spazio di tempo avevano perduto i due diletti figliuoli involati violentemente alla pace domestica, compiute le onoranze funebri, ritornarono piangenti alla loro casa, ove un'orfanella innocente li aspettava colle braccia protese invocando il ritorno della sua buona mamma, e del babbo.

La nonna Maddalena dovette assumere gli uffici di madre, e dissimulare la grave disgrazia all'infelice bambina, essa che aveva tanto bisogno di piangere.

Il capitano scriveva lettere di fuoco al figlio superstite, perchè gli esuli si agitassero anche in Francia, e spingessero quella nazione a non tollerare più oltre in Italia la infamia della dominazione straniera, e aiutassero gli schiavi ad infrangere quelle catene che li rendeva impotenti alla rivendicazione dei loro diritti.

Da ogni parte venivano voci di speranza, ma il frutto non era maturo.

Intanto le disgrazie accasciavano i vecchi. Il capitano curvava la schiena sotto il peso degli anni aggravati dal dolore. Soffriva delle vertigini che lo esponevano a cadere, se non trovava un sostegno. Il maestro Zecchini lo consigliava a consultare un medico, il Bonifazio alzava le spalle con dispetto e non gli dava retta.

– Avete bisogno d'un salasso, insisteva a dirgli il maestro.

– Il salasso bisogna farlo all'esercito austriaco, abbondante fino allo svenimento, e allora sarò sicuro di guarire.

La piccola Maria cresceva in salute ed in grazia, sotto quegli alberi maestosi che colle loro ombre avevano protetta l'infanzia di suo padre, ed avevano consolato i giorni più lieti della breve esistenza di sua madre. La bimba giuocava coi fanciulli della sua età, e coglieva fiori e farfalle intorno a quei viali tortuosi che erano stati percorsi dai suoi genitori nel tempo felice.

Il maestro Zecchini le insegnava a leggere sui vecchi libri che avevano servito al suo babbo ed allo zio Gervasio; ma quando la bambina si rifuggiava sui ginocchi della nonna, mostrandosi annoiata della monotona cantilena del maestro, implorando la grazia di ritornare ai suoi diletti infantili, la buona donna la liberava subito dal peso della lezione, e la rimandava libera ai boschetti del parco.

– A che cosa serve l'istruzione per chi non ha patria? essa diceva a Zecchini, a che cosa hanno servito tanti studi al mio povero Stefano? se fosse stato un ignorante, sarebbe ancora con noi.

– È vero! pur troppo è vero! rispondeva il maestro, il diritto, la ragione, la scienza sono impotenti contro la forza brutale. Contro le baionette non valgono che i cannoni, e il nostro popolo subisce la dura tirannide senza rivoltarsi. – L'uomo è un asino!.. condotto colla cavezza e spinto col bastone, cammina rassegnato da vera bestia da soma. – E dopo qualche sospiro, riprendeva: – Tuttavia l'istruzione è l'unica arma che ci resta. Bisogna istruirsi per saper distinguere il male dal bene, l'intelligenza e la coltura aprono tutte le strade, è un dovere di tutti istruirsi; non solo gli uomini, ma anche le donne. Avete torto di incoraggiare la bimba a trascurare lo studio…

– Che sia felice almeno nella infanzia, interrompeva la Maddalena; chi sa a quale sorte è riservata nell'avvenire!.. i pochi giorni felici sono tutti guadagnati.

Così la bambina, secondata dalla nonna, cresceva ignorante, ma bella come la sua mamma, della quale aveva i capelli abbondanti, il sorriso degli occhi, e la bocca un po' grande, ma affettuosa.

Essa, che adorava la nonna, si prestava però volentieri per assisterla nelle faccende domestiche, le piaceva di stare in cucina ad ammannire le vivande, imparava prontamente ad apparecchiare a condire ed a cuocere le varie pietanze, e a sorvegliare i fornelli. Faceva grande attenzione alle faccende della casa, voleva che la nonna la lasciasse fare da sola, era contentissima quando riusciva bene, e che il nonno le faceva un elogio, per qualche manicaretto elaborato dalle sue tenere mani.

E imparò presto a cucire, a rammendare la biancheria, a inamidarla e stirarla a dovere. Faceva bene la pulizia delle camere, metteva tutto in assetto con attenzione, le piaceva l'ordine in ogni cosa.

Si annoiava soltanto quando le mettevano in mano un libro, o la facevano scrivere; allora sbadigliava, faceva delle smorfiette, e si rassegnava soltanto per contentare il nonno, che non divedeva l'opinione di sua moglie sull'istruzione, ed esigeva questo sacrifizio come un dovere indispensabile. La nonna difendeva sempre Maria, che non aveva voglia di studiare.

– Lasciala in pace, diceva a suo marito, lascia che sia felice, le donne più felici sono quelle che sanno meno.

La famiglia Bonifazio; racconto

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