Читать книгу Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia - Carlo Bianco - Страница 10
CAPITOLO IV. ORDINAMENTO SEGRETO PREPARATORIO ALLA GUERRA D'INSURREZIONE PER BANDE.
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Il mezzo più efficace, e decisivo, per un tirannico governo cui la pubblica opinione sia contraria, rovinare, quello certamente delle leghe cittadine si è, per via delle quali concordemente operando, gli amici della patria agevolmente, ed in poco tempo possono il loro fine ottenere. La lega cattolica, la setta degli Ugonotti; la lega de' politici, furono quelle, che le guerre civili di Francia sulla fine del secolo 1500 suscitarono, e mantennero; la lega degli Svizzeri, quella fù che dall'oppressione austriaca gli liberò, la lega dei Pitocchi, dei Guidoni, di Brilla, quella che nei Paesi Bassi, il primo crollo diede alla potenza spagnuola, finalmente il Tugen-bund, nella Magna nel 1812 fù quello che franse l'impero di Napoleone e mandollo quindi in precipizio. Tutti i popoli dunque, che mossi da sentimenti generosi hanno voluto il despotismo, che gli opprimeva, dalla loro patria stirpare, ebbero a tali leghe ricorso; ma chi alle sette publiche, chi alle congreghe segrete si rivolse; alle publiche coloro i quali sotto un governo vivevano, che sebbene tiranno, le riunioni di cittadini, però non vietava, ed alla facoltà di parlare, e scrivere non metteva grande intoppo; alle segrete, quei popoli ricorsero, cui come agl'Italiani ogni esercizio delle facoltà intellettuali era vietato, ed altro diritto che di una semplice vegetazione fra il timore, e disagi, non godevano; dei primi, furono i presbiteriani inglesi nel tempo di Carlo primo, quando questi spinto, e principalmente diretto dal suo favorito Buckingam introducendo il governo assoluto, ed il cattolicismo favoregiando, di conculcare la magna carta, e la religione riformata sovvertire, tentava, furono le confederazioni in Polonia contro i tre invasori limitrofi, i quali posto il diritto delle genti in non cale, a rapirgli la independenza, e la libertà, armata mano si portarono, e ciascuno quindi una conveniente porzione del suo territorio appropriatasi, fecero in tal modo un popolo guerriero ed innocente dal numero delle nazioni europee scancellare; e se a respingere quei ladri, non fecero le confederazioni buona prova, d'altra origine ciò non provenne, se non dall'essere quelle anzicchè popolari, ad all'universalità de' cittadini estese, ai soli nobili circoscritte; e se furono i loro sforzi contro quei tre possenti nemici, infruttuosi, ne fù la lentezza ed inazione dei capi, la precipua cagione; perciocchè dall'opportunità, che già loro erasi affacciata, ed ancora stavano ad aspettare, a tempo, il minimo profitto di trarne non si accinsero; ciò che non ispirò confidenza agli amici, nè timore ai nemici, e fece loro il tempo favorevole per agire, trasandare. I figliuoli della libertà in America, coi loro sforzi, e con la loro attività, abbenchè popolo coloniale, generalmente non creduto atto all'armi, povero, disarmato, e mancante di molte risorse necessarie alla guerra, pure dal giogo di quella che si titolava la madre patria a sottrarsi pervennero, ed a rendersi la nazione più libera del mondo, con somma gloria riescirono. Tutti questi popoli agivano publicamente, perchè non era in quelli stati, di riunirsi per ragionare sulla situazione del paese, e sui mezzi più adatti per migliorarla, di trattenersi interdetto.
Dei secondi, che alle congreghe segrete appigliarsi dovettero per un libero civile vivere ed independente, nella loro patria ordinare, furono i Francesi, che sotto la regola di franchi muratori con ben custodito segreto accozzati, quella rivoluzione, pei principj messi in chiaro lume, sublime, energica e tremenda, pei mezzi adoperati, biasimevole nel suo fine, per la facilità con che fù da Bonaparte calpestata, mossero, e diressero. La quale, come che aborto possa denominarsi, non v'ha dubbio, stata non sia di un gran bene dalla nazione attualmente sentito, e goduto, produttrice; minima parte però di quello che avrebbe dovuto sperare, se quella libertà che per un falso amor di gloria e d'un versatile carattere i Francesi sagrificarono all'impero, ed a cadere sotto lo schifoso scettro dei Borboni portaronli, consolidata si fosse. Gli Spagnuoli pure nella guerra della independenza in che la gloria delle operate imprese de' loro antenati, oscurarono, quando l'invasore francese, già padrone di quasi tutte le fortezze, e delle città; e che una forza colossale, dal prestigio della vittoria accompagnata, possedeva, energicamente dal loro paese ributtarono, dovettero per giungere a tal fine, alle congreghe segrete aver ricorso, e le tertulias patrioticas, in unione colla setta dei cattolici fanatici partigiani dell'inquisizione, ma nemici dello straniero, possono d'aver il loro paese dal flagello dell'invasione salvato, darsi pienamente il vanto.
Finalmente i Greci, che col mezzo dell'Eteria, quell'ammirabile insurrezione, che da otto anni eroicamente si sostiene, ed è sul punto di essere consolidata, impresero, e guidarono coll'applauso del mondo tutto che alla vittoria di un nano contro un gigante, stupefatto sorride.
Tutti questi essendo stati nella difficile congiuntura, in che ora trovansi gl'Italiani, misero quelle congreghe segrete in essere, e giunsero dell'alto loro intendimento a buon fine. La direzione di un tanto progetto da maneggiarsi con segretissima cautela, sendo mestieri che le ragunate per le case, delle brigate di quei valorosi, che al ben della patria cospirano, in ascoso si facciano, ed alla sfuggiasca, assai più difficile deve riescire, ma quando ad una ferma volontà, la prudenza, e l'energia s'accoppino, esser non impossibil cosa, i summentovati esempi ci provano.
Come chè dell'immenso vantaggio di possedere maestrati eletti dal popolo, avessero gl'Americani il godimento; e che la camera dei borghesi di Virginia si fosse la prima contro l'Inghilterra, protestata, non essere ciò bastevole, onde al fine giungere, che proposto si erano, ad avvisarsi non tardarono, ed una lega col titolo dei figliuoli della libertà fermarono, nella quale tutti coloro, che decisi, ed energici, erano a dar l'impulso al gran movimento disposti, volontariamente s'iscrissero; creò questa lega, una commissione, che chiamossi di corrispondenza alla quale diedesi, di scrivere ai principali personaggi del paese il carico, esortandoli a congiungersi con loro in opinione ed in fatto; ciò ch'ebbe, fra non molto, un compiuto effetto, e le varie provincie d'America di mano in mano le une alle altre si collegarono; quindi in tutte le città, e terre delle provincie istituendosi congregazioni di corrispondenza, da una congregazione principale, che sedeva nel capo luogo dipendenti, si era una specie di gerarchìa politica costituita, sei caporioni ciascuno alla testa di una divisione, e capi secondarj alla testa delle molte suddivisioni, il tutto guidavano. Dimodocchè data la mossa da quei primi, ad un tratto essa alle divisioni communicavasi, quindi alle suddivisioni, e così subitamente per tutto il paese si propagava; fù da questa lega, la maravigliosa determinazione degli abitanti di rinunziare a tutti quegli oggetti, che importati dall'Inghilterra avrebbero potuto, essendo da essi comprati, dare un qualche guadagno a loro nemici, menata ad effetto, e costantemente sostenuta. «Ognuno, dice il Botta, anche i più ricchi, anche i più pomposi o sfoggiati, allora per general modo si contentavano di portare vestimenta fatte nel paese, o logore, piuttostochè di usare merci Inglesi.» E quella determinazione gli recò, a privarsi financo di bere il tè, al quale fin dalle fasce erano abituati, ed un reale bisogno era per loro divenuto, ed a misura che dall'Europa colà giungeva, in mare lo gettavano. Eroico sforzo al quale tutte le classi de' cittadini indistintamente, e di proprio moto si sottomisero. Ed in tal modo misersi gl'Americani per la loro stupenda rivoluzione inpronto; un numeroso, e forte esercito levarono, e saldi fino al compimento della vittoria seppersi conservare. Tutti i moltissimi necessari maneggi, tutte le disposizioni per infiammare lo spirito publico, e ad un felice risultamento a favore della libertà ed independenza del paese indirizzarlo, potettero come già abbiam detto dagli Americani eseguirsi, e portarsi a buon fine, perchè molte facilità dalla maniera dolce colla quale venivano governati erangli porte, e pel godimento di varj dritti che furono sempre dalla madre patria, così detta a quei Coloni conservati, e rispettati. Ma tale non essendo la situazione degli Spagnuoli quando ad intraprendere la guerra per la loro independenza si accinsero, perchè dovettero, contro i Francesi già padroni della Spagna, insorgere; nè quella dei Greci, che fin da secoli d'ogni ombra di libertà spogliati, erano dai Turchi con sfrenato immanissimo despotismo afflitti e malmenati; fù d'uopo dunque, a costoro, per giungere allo scopo stesso degli Americani, di segretamente disporre, quanto venne da loro, senza mistero praticato. Epperciò dalla grande tertulia patriotica della capitale di Spagna, emanavano tertulias principali nelle provincie, le quali per mezzo di juntas secretas in tutte le città, terre, borghi, e villaggi si diramavano; in modocchè potevano così i movimenti generali delle masse, agevolmente addirizzarsi; collegati i patrioti, se non nei mezzi, almeno nel fine, con la numerosa classe di preti, e frati di molto seguito, e potere in quel paese, la quale ordinata in parrocchie e conventi l'intiera superficie copriva della Spagna, a vicenda questi due grandi corpi sacro, e profano in reciproco sostegno appoggiandosi, l'uno cogli scritti, e con tutti i mezzi mondani di che poteva disporre poneva studio a persuadere le persone illuminate, ed in prò della patria oppressa le loro menti stimolare, non menocchè di fornire il necessario alle molte bande in campo, per liberarla; e l'altro col potere, ed influenza che lo stato ecclesiastico sopra l'animo dei contadini ignoranti gli somministrava; il confessionale volgeva, come il più segreto, efficace, e sicuro mezzo di cospirazione in prò della patria, contro chi allora nel paese padroneggiava; e tanto conseguirono l'intento loro, che in breve la superficie di quella penisola fecero tutta di ardimentose bande di cittadini armati pullulare, e tutta la popolazione in generale, che poi spiegò un eroismo maraviglioso, ed una pertinacia a tutta prova, a scuotere gagliardamente pervennero. Usarono presso a poco degli stessi modi, i Greci volendo in istato libero costituirsi, e far impeto, contro l'oppressore ottomano; e fino dall'anno 1814, come viene dallo storico signor de Poqueville riferito, cominciò a mettersi in piede la grande lega segreta dell'Eteria, avendo essa pure per centro la synomotia ardente, che sù tutti i punti del continente da essi inteso di liberare, per irradiazione si spargeva; la quale poi alla grande epanastasia, ossia rivoluzione, sì meritamente, pei moderni Greci onorevole, diede avventurosamente origine. Chiaro da tuttocciò argomento appare, che le nazioni per affrancarsi dalla tirannide contro i loro iniqui oppressori insorte, tutte alle publiche o private leghe si rivolsero. E che essendo noi nel caso degli Spagnuoli e dei Greci, se non vogliamo del nostro desiderio restar schermiti, c'è forza di avere a quest'ultime ricorso. Quando al sublime progetto di regenerazione della patria, uno si appiglia, non mai potrassi quel saggio proponimento menare ad effetto, avvegnacchè sia generalmente il popolo ben disposto, senza un previo convegno fra cittadini a levarsi i primi in difesa della patria determinati; perciocchè il popolo senza un impulso uniforme, e concorde, di leggieri mettesi in iscompiglio, ed ordinariamente avviene che con pochissima forza, a pacificarlo, o sconfiggerlo, i tiranni pervengono. I tumulti che in varie parti d'Italia, in Genova, in Napoli, etc., le tante volte successero, per particolare convenienza d'alcun cittadino, per fame, per respingere la bolla dell'inquisizione, per ridurre le gabelle sui viveri, quella di Masaniello, etc., essendo solamente commozioni, e non da patrio incitamento prodotte, ne consegue, che in accordando subitamente tutte, o parte delle domande del popolo a rumore levato, o movendo truppe regolari contro lo stormo, diradasi all'istante la folla mancante dell'ordine conveniente, e poco dopo tutto è finito, dimodocchè puossi ad un fuoco fatuo paragonare; ma deve il fuoco di una insurrezione nazionale di principj essere ben guidato, lento, sostenuto ed inestinguibile. Per regolare lo slancio generale, e portarlo a buon fine, converrà dunque che i buoni, e decisi Italiani, una lega fermino segretamente frà di loro; nuove non sono queste in Italia; perchè senza riandare nel tempo antico quelle dei Guelfi, e Ghibellini, dei Bianchi, e dei Neri, ed altre che sono lontane, abbiamo recenti esempi, che ci fan fede; esser quelle nel nostro paese ben conosciute, e praticate come sarebbero la carboneria che negli ultimi tempi fece tanto parlare di se, quantunque non sia stata nel suo operato, felice, la lega degli Adelfi, dei Filadelfi, e finalmente dei sublimi maestri perfetti. Tutte queste in varie differenti maniere, le une con vedute più estese, le altre più ristrette, alla liberazione della patria tendevano. Ora a noi pare che tutte dovrebbero pel bene di quella a rinunziare alla loro peculiare esistenza, ed in una sola nuova trasfondersi, ed affine di potere con passo regolare, ed uniforme giungere allo scopo, sotto una sola direzione frà di loro collegarsi; ella è cosa evidente, che ciascuna in corpo separato operando, non potranno mai produrre un effetto intiero, e le gravi, e delicate operazioni di una generale insurrezione italiana, ben dirigere. Stabilito quindi un principal centro in una qualunque città della peninsola, questo dovrebbe in centri secondarj dai quali dipenderebbero altri di terza e quarta e quinta classe, per irradiazione diramarsi, onde viemmeglio rimanere capaci del sovraesposto. Supponiamo che i veri amatori della patria un centro, o congrega principale costituiscano; dovrebbe quella, primieramente il quadro geografico statistico della penisola che conta venti milioni d'abitanti, ben osservare, e quindi quella in quattro grandi partimenti eguali dividere ed a ciascuno dare il nome di provincia, ad una congrega provinciale segreta la direzione di quei cinque milioni d'abitanti affidarne, che secondo il calcolo di venti per cento dovrebbe dare un milione di uomini atti a combattere; ogni provincia in cinque cantoni, di un milione d'abitanti ciascuno, dividere, che potrebbero duecento mila uomini mettere in campo; ogni cantone in dieci distretti di cento mila, che venti mila combattenti ciascuno, darebbero; questi distretti si diramerebbero ed in ogni città, borgo, paese, o villaggio piccolo, o grande che fosse, avrebbero una congrega a loro rispondente.
La congrega distrettuale corrisponderebbe con le assemblee di cantone, queste con le congreghe provinciali, che dalla congrega principale direttrice di tutto il movimento, dipenderebbero, così tutte le subalterne al centro superiore rispondendo, la massa degli abitanti d'Italia in tal modo divisa, e regolata, il movimento d'una macchina tanto grande agevolerebbe.
Il dovere di queste congreghe, ed assemblee una volta costituite, sarà di far giurare i capitoli della lega a tutti gl'Italiani ben disposti in favor della patria; di fomentare in ogni modo lo spirito publico, e quegli Italiani propensi alla guerra d'insurrezione ammettere alla taglia; dare l'impulso alle masse; far sorgere bande in ogni parte, e provvederle del bisognevole; in somma fare in segreto tutto quanto verrà nel capitolo del governo provvisionale da noi proposto, e sarà possibile nella loro critica posizione, di ben eseguire.
I capitoli della lega, dovranno obbligare al giuramento di combattere fino alla morte, o alla riescita dell'impresa; di non mai negoziare col nemico, ma con una guerra accanita, di giorno, e di notte senza dargli riposo, del tutto esterminarlo; d'impiegare in quella non solo la forza aperta, ma pure il veleno, e la fraude; di far la guerra a sue spese, e non mai un soldo regolare pretendere, di non posare le armi fino alla fine della guerra; gli altri capitoli comprenderanno la nuova forma di governo da stabilirsi; la subordinazione ai condottieri, etc. Dovranno questi capitoli nelle parti non ancora liberate davanti una delle congreghe segrete, ed in quelle che di già lo saranno, al cospetto dei primati, essere con solenne giuramento da ogni cittadino accettati, e quindi a puntino eseguiti. Saranno in oltre quelle congreghe in dovere di occuparsi dello stato politico interno, ed estero; tutto sapere; a tutto provvedere; mantenere intelligenze nelle fortezze, e presso i nemici, onde potersi impossessare delle prime, e distruggere i secondi; osservare, che i giuramenti vengano eseguiti, e punir di morte inevitabile tutti gli spergiuri; insinuarsi nelle truppe al soldo in oggi della tirannide, e trar con loro tutti quei cittadini, che caldi di amor patrio, di unirsi alla santa lega sono impazientemente bramosi; in somma, e con iscritti, e con parole, e con fatti venire a capo dell'opera, o morire.
L'esempio degli Spagnuoli che lavorarono a quell'uopo quando il proprio paese, era dalle truppe francesi occupato, e che quando in apparenza umili e tranquilli obbedivano nelle città agli ordini loro, numerose bande di tutto punto provvedute, al campo mantenevevano provaci a sufficienza l'agio col quale puossi eziandio in un paese sotto il dominio del nemico, attivamente operare. Il maresciallo Govione di San Ciro, nella sua opera sulla guerra de Francesi in Catalogna, al capitolo sesto, dice che «la città di Barcellona aveva in campo due battaglioni di Micheletti; gl'individui di quei corpi, senza divisa entravano tutti i giorni in città, per ricevere la paga, gli abiti necessarj, e le reclute per tenersi sempre al completo; mai fu possibile al generale Duhesme di farne un solo catturare, tanto era ben mantenuto il segreto». Notisi, che un'astuta, ed attivissima polizia vegliava sù la condutta di tutti i cittadini nell'interno, s'immischiava nei loro più minuti affari, a tutte le ore della notte, con visite domiciliari gli sorprendeva, ed erano da due corpi di truppe rispettabili, l'uno da dentro, e l'altro da fuori della piazza in grande soggezione tenuti; e che qualità de soldati! Quelli che tutti i re d'Europa, e le loro legioni mandarono a sbaraglio! Potrebbe alcuno in leggendo il capitolo delle congiure del sommo nostro Machiavelli, nel quale vengono minutamente descritte le numerose difficoltà che al perdurle al effetto sono d'ostacolo, e quasi persuadono essere cosa anzi che difficile, impossibile, di poterle portare a buon fine, lasciarsi per avventura dal timor soprapprendere, ma se poi maturamente questi rifletterà, gli sarà facile di persuadersi la nostra congiura non essere come quella dal segretario fiorentino descrittaci, maneggiata da particolari per loro privata individuale convenienza, ed utilità; ma una di quelle grandi, e generose ispirazioni nella quale tutti i cittadini pensanti, tutti i cuori benfatti, e capaci di emozioni virtuose cospireranno, e che non si possono sperare se non dai popoli che nell'incivilimento progrediscono. Quando la meta di una congiura, il bene di tutti, e non la sola utilità di un qualche cittadino concerne, è sempre assai più probabile, venga ben conservato il segreto, ed una prova ne sia, la cospirazione del Piemonte nel 1821, che contava circa trenta mila federati, i quali tanto bene il segreto mantennero, che nè dal governo, nè dalla polizia mai nulla, se non al momento dello scoppio, si traspirò; al quale inaspettato avvenimento, oltremodo stupefatti ed impauriti rimasero, i rettori dello stato. Come sarà noto ai cospiratori, la lega per tutto il continente italiano esser generalmente accettata, e che se un traditore ad un principe, il segreto, che lo concerne, scoprisse, a quella spezial parte, potrebbe danno arrecare, ma non perciò, che il movimento in altre parti seguisse, impedire, difficilmente chicchessia, al guiderdone momentaneo, che può essergli dato dal principe, quello stabile della patria sarà per postergare: trattenuto eziandio dal timore di dover poi un giorno, e non lontano, caramente scontarlo, se in qualch'altra parte della penisola sarà vittoriosa la causa nazionale. Non vogliam però dire con ciò, che debbano i cospiratori tralasciar di prendere tutte quelle precauzioni necessarie, affinchè non possa il loro segreto, non che, la loro esistenza venir palesata, e conveniamo con Trajanno Boccalini, che «nelle congiure bisogna prima essere sicuro col pegno del rischio, di colui al quale si dicono» e che non debbonsi in quella scambievole paura, ch'è il vincolo delle medesime, di continuo mantenere. Ma solo è stata nostra mente di scemare con quelle osservazioni il troppo timore dal quale, animi non abbastanza decisi, e poco riflessivi cervelli, potrebbero lasciarsi invadere, ed impauriti dal nome di congiura, o cospirazione, e dalla lettura dei pericoli, che in quelle si corrono, fors'anche a bella posta dal nostro citato autore, amplificati, ed esagerati, di compiere un obbligo per ogni Italiano sacrosanto, vilmente tralasciare.
E quanto finalmente abbiam detto di doversi i cospiratori nelle truppe degli attuali tiranni d'Italia insinuare, ella è cosa più difficile in apparenza che in fatto; a tutti è ben noto, e gli avvenimenti nell'anno 1820, e 21, ce lo confermarono, che forti, e generose idee sono in quelle truppe germoglianti, e che la maggior parte della gioventù ardente di cui sono composte, sarà senza dubbio al primo grido di libertà, in favor della patria, e dell'uman genere, per parteggiare. Ed avvegnacchè i tentativi del 1820 e 21, i primi che da secoli si siano armatamente intrapresi con intenzioni italiane, abbiano avuto un esito infelice e disastroso, e che i capi, e maneggiatori di questi siano stati dai tiranni, che coll'ajuto della perfidia, e dello straniero rimasero vincitori, esiliati, o carcerati, o alle forche appesi; sarebbe un grave errore, perciò conchiudere, siano per essere, attualmente gli eserciti Italiani tutti di persone devote alla tirannia, ed ai persecutori d'Italia, composti, perchè i condannati, e perseguitati, non furono, che una minima parte di quella grande massa d'amatori della italica patria che prima delle succitate rivoluzioni già esisteva, e soprattutto in Piemonte, dove molti per la rapidità degli avvenimenti, che fin dal principio, il nuovo stabilimento del governo rovesciarono, neppure il tempo ebbero di manifestarsi, ed inerti od anche nelle file dei tiranni sotto apparenza di nemici astutamente se ne rimasero; di fatto il numero dei scoperti, e condannati dal tiranno ascende in Piemonte a circa tremila, ed in quel paese prima della rivoluzione più di trenta mila federati si contavano e così più o meno negli altri stati italiani accadde; un forte numero dunque di prodi militari, che amano l'Italia, ed odiano i suoi oppressori, ancora in quelle esecrande file si trova. Il quale, a seconda dei progressi dell'opinione in quella penisola, dev'essersi fatto considerevolmente maggiore. Laonde non sarà a quelle congreghe molto disagevol cosa, di mettersi con uno o più uffiziali, per reggimento, in contatto, ed a quei militari accostandosi, che per la rettitudine del loro pensare, la prudenza del loro agire, o l'energia del loro animo essere idonei alla difesa della patria, hanno per certissimo; nella lega dei cittadini italici, prontamente annoverarli.
Abbiamo detto uno, o più uffiziali, siccome siamo persuasi non esser di tanto nei reggimenti insinuarsi, ed allargarsi con molti di quelli in parole, per riescire, necessario; e che anzi crediamo addursi per tal modo troppo in forse, l'indispensabile segreto, e portiamo opinione, che uno, o pochi uffiziali scelti con precauzione, e dotati delle qualità convenienti per trar con loro il giorno stabilito, il reggimento intero, o una gran parte di quello, sia quanto si richiede, quand'anche uffiziali superiori non siano, ma solo sagaci, fermi, prudenti, la stima godano dei soldati, ed abbiano in somma, influenza e buon nome.
In prova di questa nostra asserzione, alcuni particolari accenneremo della condotta di un uffiziale piemontese, a quel reggimento appartenente, che il primo in Alessandria per la libertà, ed indipendenza italiana si mosse, e quello fù, che nella mattina del 10 marzo, entrò alla testa del reggimento nella cittadella d'Alessandria. Pel corso di varj anni, il modo di cooperare alla liberazione, ed unione d'Italia, questi seco divisava; altro nella sua positione, non poteva rinvenirne, se non quello di affezionarsi i soldati, onde essere da quelli nel giorno pericoloso del tentativo ajutato, e sostenuto; tre continui anni a tal uopo, il suo tenor di vivere dirizzò; chiaro, sincero, ed animoso, nel trattare con ognuno; ma cupo simulatore in ciò, che poteva al suo proponimento aver relazione, ben lasciava i suoi italici sentimenti, il suo amore alla libertà, ed independenza italiana traspirare, ma con avvisamento, e circospezione tale, che pensieri affatto inerti, e solo desiderj, come quasi ineseguibili da lui stesso riputati; ed al dovere di buon servitore di chi reggeva il Piemonte, posposti comparissero; nell'esecuzione del proprio dovere puntuale, ed attivo, contro i negligenti, ed infrattori dei regolamenti di disciplina, severissimo si demostrava; come quello, che il condiscendere al rilasciamento di quella, essere il vero modo di affezionarsi il soldato, non credeva, poichè questi la condiscendenza de' superiori, come una dimostrazione, d'affetto per lui, non interpreta, ma bensì a dappocaggine, e trascuranza del proprio dovere, glielo appone; se ne prevale, epperciò sfrenato, licenzioso, e disonesto, diventa; cessa la subordinazione, ed il dovuto rispetto; nello stesso tempo la stima perde, verso il suo superiore, e quindi l'affetto, che n'è la conseguenza; epperciò chi d'averlo in tal modo reso ligio alla sua volontà s'immagina, trovasi nel giorno del cimento messo dal soldato, in abbandono, perciocchè debole, ed incapace vien reputato; e quel soldato ch'egli credeva guastandolo, far suo, è costretto di vederlo nel momento critico sotto la direzione di un altro severissimo, accorrere, perchè da lui più energico ed attivo considerato. Ma non dimeno, se dall'un canto tutta la severità da una buona disciplina comandata, giammai dalla retta giustizia allontanandosi, metteva rigorosamente in uso; da altra parte, per quanto più possibile gli fosse, dei modi i più conducenti, onde a se trarre gli animi degli ufficiali, e soldati, di servirsi non tralasciava. Se uno de' primi alle strette di danaro si trovava, ciò che non di rado succedeva, con la conveniente somma, che a titolo di prestanza gli somministrava, senza mai più in seguito ricercarne il rendimento, a sovvenirlo s'affrettava. Salvò in quel modo l'onore ad alcuni ufficiali, che trovandosi al maneggio di fondi del reggimento, avrebbero, in mancanza quel soccorso, inevitabilmente perduto la spallina; quanto quelli grati gli fossero ed a lui intieramente devoti, ben può ciascuno immaginarsi! per le particolari occorrenze sapere dei sergenti e soldati, pur faceva continuamente diligenza, e se gli veniva a notizia, quegli essere indebitati, valendosi d'un terzo amico loro, con molta precauzione, e segreto, del pagamento incaricato, immantinenti a loro insaputa, il creditore soddisfaceva; due vantaggi in quel modo gli ridondavano; primieramente perchè quando il sergente, o soldato giungeva a sapere, che il suo debito era stato in una maniera delicata, che non offendeva il suo amor proprio, da lui pagato, maggiormente se gli affezionava; e secondariamente, perchè confidandolo ad un terzo, egli ben poteva supporre, che all'orecchio d'uno in altro passando, a breve andare, sarebbe il segreto, in contezza di tutti pervenuto, e la fama della sua beneficenza, viemmaggiormente estesa e magnificata. Come quello, che aveva il nome di ben conoscere le imbrogliatissime leggi del paese, era sempre dai soldati sottoposti ai consigli di guerra, scelto per difensore, ed o con la ragione, o con maneggio, o astuzie li salvava, o per mezzo de' molti amici, che aveva nella capitale, ogni qualvolta uno di questi era dal consiglio di guerra condannato, prima che la sentenza si eseguisse, dal Re la sua grazia otteneva.
Incaricato per qualche tempo dell'istruzione delle reclute a cavallo, armato di molta pazienza, con buone maniere, a rendersi da bel principio quei giovani soldati amici, s'adoperava; ogni giorno nelle cucine del quartiere ad assaggiare il pane e la zuppa si portava; se il denaro dell'ordinario era tutto speso, senza che la minima parte per altri oggetti fosse invertita, munitamente prendeva informazione; e nel tempo, che il soldato mangiava, egli porgeva orecchio alle sue lagnanze, lo confortava con buoni consigli, e bonariamente affratellandosi con tratti confidenziali, una stretta momentanea dimestichezza fra di loro si stabiliva. Soventi volte, finite le militari incumbenze, una generale distribuzione di vino a sue spese, per lo squadrone ordinava, ed in un coi quasi brilli soldati un bicchiero ne tracannava allegramente, ma tosto dopo, alla consueta disciplinaria rigidità, faceva ritorno.
Nel reggimento, dieci o dodici uffiziali esistevano, che avendo i loro gradi con lo spargimento di sangue, con patimenti, e con merito, e non per via di raggiro, viltà o privilegio acquistati, erano per disprezzo, uffiziali di fortuna denominati, per istituto nei gradi subalterni tenuti, senza speranza di poter mai essere neppure a quello di capitano, promossi; trattati con poco rispetto dai comandanti ed abborriti dal loro colleghi nobili, perchè come materia eterogenea, li consideravano; solo con un umile, e servile procedere potevano questi l'onore d'un benigno saluto di protezione, da quelli ottenere; non sofferendogli l'animo di vedersi di continuo, ingiustamente disprezzati, e di soli dover tutta la severità della disciplina sopportare, avendo d'altronde la coscienza di non aver altro demerito se non quello di esser nati plebei, egli pungeva il loro amor proprio, ed a rintuzzare gl'insulti e minacce degli orgogliosi loro compagni, gli stimolava, ogniqualvolta non potevano più contenere la piena del loro cuore contro qualcuno, davano sfogo alla loro collera, per la qual cosa continue risse ne provenivano, l'uffiziale di cui parliamo valevasi dell'amicizia, a lui professata d'ambidue i contendenti per barcheggiare in modo, da potersi nelle frequenti sfide, che di conseguente succedevano in neutralità mantenere, veniva egli per l'ordinario, dai due contrarj separatamente come padrino, o spettatore richiesto, e si serviva del suo ascendente, sempre chè le cose non erano spinte al punto di esigere imperiosamente lo spargimento di sangue, onde mettergli fra di loro in buona pace. Pranzava coi nobili, e quasi ogni sera cenava co' plebei; erasi con somma cura, l'affetto del colonello tirato a se, e così una decisa influenza morale sul corpo intiero degl'uffiziali, tacitamente possedeva. Della quale non menandone vanto, mai fugli da invidioso alcuno contrastata; se avveniva, che dal reggimento, a convito solenne, uffiziali d'altri corpi, o personaggi d'alto affare si onorassero, non potendo i nobili, da quello escludere i plebei, perchè pure erano uffiziali, non permettendo di pagar la loro parte ma invitandoli, come se stati fossero forestieri, li mortificavano, pungentissimo insulto, che coloro i quali avrebbero pagato il doppio ben volontieri per non ricevere quella cortesia, ad una apparente gratitudine obbligava. Tenevano i nobili al teatro un palco in comune dal quale erano esclusi i plebei, cui solo rimaneva, se volevano godere dello spettacolo, d'andarsi nella platea col publico a tramischiare; tutte queste ed altre simili cose di poco rilievo per se stesse; ma di continuo stimolanti, in piede permanente, la discordia tenevano. Temendo quell'uffiziale di doversi poi un bel giorno apertamente per una delle parti dichiarare, pensò di porvi convenevol riparo, epperciò di tanto, in tanto ambi i partiti, a casa sua, a festini, gozzoviglie, e divertimenti cortesemente invitava, ove in sul mangiare, ed in sul bere, e nel festeggiare, in lieta, e festevol brigata trovandosi tutti ad una avvinazzati, in precaria unione si mantenevano. Preso, per sè solo, oltre la sua porzione di quello con gli altri uffiziali, un palco in allogagione al teatro, in quello senza distinzione di schiatta, gli uffiziali tutti convitava, ed ogni sera, per maggiormente attirarli, faceva sì, che le più belle e vezzose ballerine, e cantanti andassero colà a visitarlo, e quindi fatta seralmente alla metà dell'opera di squisite vivande, e finissimi beveraggi una lieta cena imbandire, unitamente si banchettava; la qualità dei cibi, e la piacevolezza della compagnia, continua, e dilettosa rendeva la concorrenza serale; con questi ed altri tratti di tal fatta, fra i due partiti, senza per un dei due venire a dichiarazione, si regolava. Ma se di mantenere in apparenza l'unione gli conveniva; come quello, che sempre in favor della patria speculava, ei conosceva benissimo, che nel fatto questa sarebbe stata per essere nocevole al suo fine, perciocchè se i plebei si fossero della loro sorte contentati, sarebb'egli per avventura rimasto solo, e non avrebbe potuto all'occorrenza, sopra l'appoggio di alcuno, le sue speranze fondare. Per ciò evitare, e nel suo proponimento progredire, egli sotto pretesto di un qualche affare, come per caso, dal capo armajuolo del reggimento con frequenza si portava, dov'era informato, che quasi tutti gli uffiziali plebei malcontenti, alcuni dei più stimati sorgenti, e vecchi caporali, a pranzo, e a cena frequentemente attendevano; offerivangli quelli da sedere, e partecipare alla mensa; fattosi un pò pregare, egli sempre di sedersi a tavola al fine acconsentiva, ed in mezzo ai bicchieri, ed alle barzellette, senza lasciarsi dalla troppa volontà, a trascorrere in parole men che servili, trasportare, le quali il suo intendimento fuor di tempo palesassero, tutto attentamente udiva, ed al racconto dei maltrattamenti a che andavano quegli infelici soggetti, tema continuo della loro conversazione, leggermente sogghignava; dal vino, e dalle parole i commensali, riscaldati, prorompevano quindi in così veementi, e chiare invettive contro il mal governo del paese, e la condotta dei superiori, che una semplice delazione sarebbe stata sufficiente per accusarli, ed anche come convinti di trame sediziose, punirli. Allora vedendo quell'uffiziale, che trasportati dall'ira, avevano i termini del dovere trapassati, e giunti erano al punto di poter essere da una sola parola sua compiutamente rovinati, epperciò stare la loro sorte nelle sue mani, mezzo in ischerzo, e mezzo seriamente, prendeva la parola, ed alla pazienza esortavagli, loro diceva, che sotto un governo interamente assoluto come quello del Piemonte, gli uni, cioè i nobili, che circondano il trono col diritto di opprimere nascevano, e gli altri, per essere oppressi, cioè i plebei, che debbono servir di sgabello alla nobiltà; alla qual dura sentenza della sorte, non potendo l'uomo destinare il luogo dove nascere, e determinare previamente la classe a che vuole appartenere, forza gli era di sottomettersi, che in un stato così ristretto qual era il Piemonte, non si poteva un cambiamento vantaggioso al popolo per allora sperare, che per verità, era quegli in generale malcontento. Ma che può fare, diceva egli un solo popolo disordinato, contro tanti ben regolati guerrieri, i cui commandanti, come da quanto avete detto, appare, hanno particolare vantaggio a che il paese nell'oppressione si mantenga? Quindi loro consigliava la prudenza, e a non esporsi così favellando con alcun altro, inutilmente a severo castigo; soggiungendo che deplorava la loro triste condizione, e che della confidenza in lui riposta, facendolo così apertamente dei giusti motivi della loro afflizione partecipe, credevasi degno; i commensali allora lo ringraziavano, e cominciavano ad entrare nella discussione se si potesse, o no scuotere quel giogo, ei lasciavagli in quella internare, e col pegno in mano, di quanto già detto avevano, senza prendere ulterior parte, si alzava, e sortiva; ma sempre avveduto non gli perdeva più d'occhio nell'avvenire e tostocchè, o per istrada in parti remote, od in casa sua, od altrove, in uno di questi s'imbatteva, da solo a solo, sul soggetto della discussione passata, seriamente seco lui ragionava, facevagli toccar con mano, quanti e quali mezzi fossero alla loro disposizione; quanto facile fosse di riescire nella causa popolare, se l'esercito a favore di quella si dichiarasse; insinuando la vera gloria di un militare che abbia a schifo d'essere salariato sicario di un despota, nell'impugnar le armi per la patria, consistere, per solo vantaggio di quella, e non pei capricci d'un uomo, per un malinteso onore, o credula brama di conquiste, esser cosa gloriosa di sguainar la spada; e così sui mezzi possibili di muoversi a danno degl'oppressori, si dilungava, e quando l'altro scorgeva a tutto intraprendere, persuaso, e deciso, coglieva il momento opportuno, e con un giuramento terribile, di seguirlo ed obbedirlo in ogni dove, cosa, e momento, se avvenisse un giorno, che la liberazione d'Italia si tentasse, tenevalo legato, e dai suoi cenni dipendente. Per tal modo senza mai correre il pericolo di essere scoperto, continuamente inaspriti, ed a lui devoti manteneva gli uomini cui favellava.
Incaricato un giorno dalla congrega segreta, di far affiggere in tutti gli angoli della città dove si trovava, un proclama, col quale i Piemontesi all'armi in favor d'Italia si chiamavano; giorno precisamente in che trovavasi il re di passaggio andando a Genova, e doveva in città alla mattina di buon ora, fare il suo solenne ingresso, sparse il nostro uffiziale nel corso della notte, una quantità di quei scritti nei quartieri, un'altra sugli angoli principali della città, prima delle quattro del mattino ne affisse; trovossi alle cinque, ora della riunione del reggimento, al suo posto, per andare all'incontro del re, e come, nel rendersi al luogo di riunione, passa davanti un angolo, dove uno di quei proclami stava da lui stesso previamente affisso e molti vede a leggerlo, intenti, egli si stacca dalla testa del suo squadrone, dà una occhiata allo scritto, dimostra somma meraviglia, lo strappa e se lo prende. Tosto che sulla piazza d'armi vede il colonnello comparire, spicca il suo cavallo al galoppo e gli presenta il proclama, dicendogli, ch'essere il suo dovere credeva di rimettergli quella carta, affinchè nella sua saviezza, quelle misure, e disposizioni ordinasse le più atte ad impedire, che tali massime sediziose un qualche serio effetto sulla mente del soldato operassero. Trasportato il colonello dalla contentezza di essere stato il primo di ciò, informato, lo colmò d'elogi, ed ebbe sempre una intiera confidenza in lui, della quale mai gli avvenne d'abusare, ma ben gli servì, onde poter con più sicurezza il suo santo progetto, a buon fine incamminare.
Erano tutti gli animi degli uffiziali, compreso quello del colonello, concitati contro il maggiore, uomo pessimo, immorale, raggiratore, senza fede, e pieno di millanterie, dalla Regina sommamente protetto, perchè disertore dall'esercito napoleonico, erasi sotto le schifose, puzzolenti bandiere austriache riparato; e di questo mezzo, per mantenersi gli uffiziali amici, pure con profitto si valse; in continua guerra contro di lui, ma con tal politica, con un calcolo così maturato si mantenne, che ad ogni momento facevalo scomparire, e lo rendeva sempre più esecrato, non lasciandogli mai appicco di punirlo, nè di riprenderlo. Fù sempre, in quella lunga, e simulata tenzone vincitore, e l'avrebbe finalmente, a sortire dal reggimento, costretto, se non l'avesse la Regina fortemente spalleggiato. Dal colonnello, una volta, della verificazione dei magazzeni, delle vestimenta, e dei conti di quell'amministrazione incaricato, tanto nella commessagli incumbenza internossi che, potette in una relazione da lui sù quel particolare data al consiglio d'amministrazione del reggimento, essere stato il soldato nei conti defraudato, ed essere gli uffiziali delegati a quell'uffizio in unione con lo stesso maggiore i ladri del suo avere, irrevocabilmente provare. Andò sossopra l'uffizio, il capitano d'abbigliamento fù mandato in semestre, e rimase per via della complicità del maggiore, l'accusa soffocata. Fù posto il nostro uffiziale alla testa di quell'azienda, che solo accettò provvisionalmente, non convenendogli per stare cogli artigiani, dagli squadroni separarsi, e tanto quella sua operazione gli valse, che l'affetto di tutti i soldati gli cattò, ed in ogni squadra, in ogni camerata, con somma attenzione, ed applauso la suddetta relazione, si leggeva, e rileggeva. Andava giornalmente ed anche più volte al giorno, all'ospedale del reggimento, e colà senza affettazione, e senza che per dovere apparisse, assiso sulla sponda del letto or di questo, or di quell'altro ammalato, sulla maniera colla quale erano dagli infermieri, ed altri impiegati serviti, affettuosamente gl'interrogava; l'occhio volgeva alle distribuzioni, se di buona qualità erano, e ben regolate; se le medicine efficaci, etc. Quindi nei particolari alla persona cui parlava relativi, s'introduceva; in confidenza offriva, e dava danaro a chi conosceva abbisognarne; s'incaricava di commissioni per la sua famiglia; e sull'esito della malattia, con buone parole il confortava; per lusingare alcun tanto il suo amor proprio, dicevagli l'esistenza del Re sulla salute del soldato riposare, dover quella prima cura degli uffiziali stimarsi, perchè senza soldati non vi sarebbero reggimenti, e senza reggimenti non potrebbe sussistere il governo, epperciò essere il soldato la prima, e la più necessaria persona di uno stato; assisteva alla medicatura delle ferite, e sempre ora questo, ed ora quello, in modocchè il malato ben lo intendesse, al dottore specialmente raccomandava; in ultimo possedeva egli tutta la confidenza degl'infermi, profittavano delle sue esibizioni, e per tal modo, l'agente pei loro affari di famiglia, il loro vero amico, il loro esecutore testamentario, era insensibilmente diventato. Quando per avventura di partire col suo squadrone, in distaccamento, gli avveniva, e di dover qualche tempo dal reggimento, separato rimanere, egli allora trovandosi capo, quel sistema di condotta, più opportuno, per affezionarsi il soldato non meno, che per assuefarlo ad essere sempre in ogni ora, o momento senza saperne il perchè, pronto a sortire in armi, e bagaglio, indefessamente, e con somma cura seguiva; alla massa d'economia del reggimento, la stessa somma spedita dagli altri ed anche maggiore rimetteva, il soldato ben pasciuto manteneva, e vestito come gli era passato dal governo; ma il riso, le paste, etc.; egli stesso all'ingrosso, e non al minuto giorno per giorno comprando, e con altre simili operazioni aveva sempre un vistoso fondo nelle mani, che in nessuna parte compariva, e siccome non voleva rubarlo, dava ad ogni soldato per tutto il tempo del distaccamento, un convenevole caposoldo, regalava i più diligenti, e nelle domeniche avendo stabiliti giuochi di destrezza a piedi, ed a cavallo, dall'eccitamento de' premj sostenuti, in caserma riuniti li divertiva; amavanlo, e stimavanlo per tal modo i soldati, e quelli de' distaccamenti successivi, non avendo uffiziali, che volessero, o sapessero quei fondi far sorgere, ed all'uopo servirsene, avuta del ben essere goduto dagli antecedenti notizia, si disgustavano, servivano male, e qualche volta ai loro superiori anche si ribellavano, impazientivansi gli uffiziali di dover da meno comparire di quello, ed i soldati d'essere sotto di lui con tutto il cuore bramavano. Onde poter sempre tenere il suo squadrone in pronto, per agire secondo la sua volontà, il nostro uffiziale lo sorprendeva, e di giorno, o di notte, quando meno si pensava, udivasi dal trombetta suonare a cavallo, ed in venti minuti di tempo tutto lo squadrone doveva essere in armi, e bagaglio, dal quartiere partito, senza nessun effetto di corredo dietro di sè in caserma lasciare, il primo dragone a cavallo riceveva un premio, l'ultimo, alla prigione per quattro giorni era inesorabilmente condannato; un quarto di miglio lontano ad una esatta revista del bagaglio d'ogni individuo, procedeva, gli effetti dimenticati al quartiere, erano in prò della massa generale dello squadrone invertiti, notati erano i mancanti, ed al ritorno subitamente surrogati, ma veniva al perditore, il gastigo di quattro giorni d'arresto, inflitto, seguiva la rivista, un lungo passeggio militare, il termine del quale era in qualche villaggio dove nel mentre, che i cavalli mangiavano la biada ed il fieno portato da ciascun dragone, all'anello della sella bistorto, ed aggomitolato; un competente asciolvere veniva a spese del comandante ad ogni soldato distribuito, dopodichè ritornavasi lietamente in caserma; insomma ben conosceva quell'uffiziale che il migliore, anzi il solo veicolo, onde cose grandi, e sublimi operare, quello si era di farsi il maggior numero possibile d'amici, che tutto quanto hassi in questa vita, e sopra ogni altra cosa, la riputazione, e la stima, dall'altrui volere dipendono, che l'uomo è di vivere continuamente, o con gli amici o con nemici costretto, che in mezzo a questi ultimi non gli verrà mai fatto di potere con fondata speranza di felice risultamento buone, ed atte cose intraprendere; perchè ogni miglior impresa, verrà sempre a tutta possa da loro impedita, incagliata, ed al popolo con falsi colori dipinta, onde una sublime, magnanima e gloriosa azione, far, che un basso raggiro per particolar convenienza praticato, mosso da volgare, o vizioso incentivo, appaja, ed anzicchè la ben meritata approvazione, e la singolar gloria, dalla vera virtù non mai disgiunta, che a buon diritto le spetta, publico biasmo, e disprezzo generi, contro chi con pure intenzioni valorosamente l'imprende. Della peculiare, e delicata situazione di chi difficilissime cose desiderava portar a buon fine, il detto uffiziale facevasi carico. Epperciò bel bello nel cuore di coloro che l'avvicinavano insinuandosi col destato affetto, della lor lingua s'impadroniva; salito in fama, gli si aumentava la stima, e con questa il numero degli amici, notabilmente accresceva; tuttavolta durar dovette non poca fatica onde questa sua brama conseguire; persuaso egli, che la somiglianza di costumi, sia d'amore conciliatrice; ad ogni umore, ad ogni sorta di gente si addattava; scevro di antipatia, e fermo di volere il loro cuore cattare, studiosamente la dominante passione di ciascuno de' suoi compagni investigata, la blandiva, e vezzeggiava; ora parlava da savio, ora da volgare, pensava sempre come il primo, ma per lo più come il secondo, si dimostrava; i giusti encomj rendeva alla virtù trattando co' virtuosi, e ad una qualche opera, non diremo men che onesta, ma anzi alla licenza tendente che no, propostagli dagli oziosi, non si negava, senza mai però alla pania del mal vezzo lasciarsi invescare. Per acquistare la buona riputazione ed in essa mantenersi, i suoi propri difetti occultava, senza darsi a vedere degli altri più savio, mai apparentemente negli affari particolari de' suoi colleghi immischiavasi, ma per trar partito dai loro difetti, passioni, abilità, e bisogni tenevasene segretissimamente informato; non parlava mai di sè stesso; diceva cose piacevoli, ed i compagni di tanto in tanto, e separatamente senza affettazione, di prendere all'esca di begli atti, modi, e parole si studiava; mai non mentiva, sebbene sempre tutta l'intiera verità non palesasse; senza boria, nè maldicente, nè riprenditore, il tempo, e le cose per addattarvi le sue azioni, di continuo studiava; di apertamente, e chiaramente manifestarsi, e dare i suoi pensieri a conoscere, avvedutamente sfuggiva, e gl'impegni soprattutto quando appariva dubbia la vittoria, in tal maniera schifava. Con accortezza, cautela, giudizio, ed acume, con simulazione operando, si serviva d'ingegni ausiliarj per deludere l'arte con l'arte, ed essere alle contrarietà superiore; e come quello, che ben conosceva, essere l'arte di saper intraprendere a proposito in affari d'alto rilievo, la principale, e decisiva, con calma le occasioni aspettava, e con profondo calcolo le bilanciava, nel mentre, che con somma accuratezza si disponeva, e coll'ingegno, le forze sue prima d'intraprendere, con quelle dell'avversario, ponderatamente misurava. Con sì fatto seguitato, ed invariabile procedere, gradatamente, e tacitamente a quel grado d'influenza necessario portossi, onde poter un giorno di bisogno, dare al reggimento in favor d'Italia la mossa. Infatti il giorno dieci marzo 1821, destinato dalla congrega segreta per agire, alla testa del reggimento dragoni del Re, con soli nove uffiziali subalterni, nella cittadella d'Alessandria portossi; ove in unione con una brigata di fanteria, fù lo stendardo della libertà italiana con gioia universale inalberato. Quando si considera che quel reggimento, da tre quartieri separati, si mosse nel centro d'una città chiusa, e popolata con tutti i posti militari dalla brigata di Savoja creduta contraria ad un movimento italiano, occupati; con una stazione forte di carabinieri a piedi, ed a cavallo, che avevano le loro scuderie contigue a quelle del reggimento in questione, e con un immenso stato maggiore di piazza, un generale governatore, un generale di divisione, colonelli, ajutanti, ed una furia di spie, lasciando in oltre a parte, ventisei uffiziali del proprio reggimento, compreso lo stato maggiore, non vi sarà certamente chi non venga da maraviglia compreso, quando facciasi a considerare, che malgrado tanti scogli, tanti impedimenti, fosse il reggimento a cavallo, alle due del mattino, tranquillamente in tre separate porzioni uscito, e sulla piazza del grande ponte del Tanaro riunitosi, sorprendesse il posto d'infanteria di Savoja, che stava a guardia di quello e trattolo seco, senza, che neppur uno di contrarj se ne sia accorto, la divisata operazione a compiere pervenisse. Ecco abbozzata la regola di procedere d'un uffiziale cospiratore, che voglia fermamente il reggimento a che appartiene, in favore della causa della patria portare, sebbene siasi in ristretto esposta, e per l'amor della brevità, molte, e molte delle sue operazioni siano da noi state sotto silenzio passate. Crediamo quei cenni però bastevoli, onde dar a divedere la vera via, che per giungere a tale scopo percorrere si debba; e senza mancare alla verità, e senza raggiri bassi e comuni, colla sola perspicacia, prudenza, ed una volontà ferma, e costante, un felice compimento di magnanimi divisamenti ottenere.
Esposto come debba un militare a quell'uopo le sue azioni dirizzare, il quale in una assai più dilicata posizione, di qualunque altra persona si trova; con molta maggior facilità, un impiegato civile, un uomo independente, potrà quella parte delle sopra indicate regole, che gli compete seguire, e ad effetto la grande impresa felicemente perdurre. Sovvengansi però sempre, il cospiratore, le congreghe, le leghe, tutti insomma coloro, che in segreto al fine di preparare lo scoppio generale si adoperano, che la prudenza, l'attività, lo zelo sono alla riuscita necessarie, ma che non bastano se non sono con l'ostinazione unite. La cospirazione perciò dev'essere perpetua, se un tentativo fallisce nel suo effetto; se un ben combinato movimento è scoperto; se una parte dei cospiratori viene arrestata; se altri sono mandati al supplizio; nulla di tutto ciò deve indurre i rimanenti, di cospirare di nuovo a rinunziare, ma cambiando le forme, i segni, coi quali fra di loro si riconoscono, sbagliata, scoperta, distrutta, una cospirazione, deve a quella immantinenti un'altra conseguitare, e sempre maggiore, e più di prima formidabile rinascere; a capital delitto devesi la cessazione delle pratiche, finchè un solo rimanga dei collegati, ascrivere. Uno, due, tre, dieci, venti tentativi abortiranno, ma alla fine il trentesimo riescirà; molte saranno per avventura le vittime, e di qualità, egregie persone, uomini sublimi, dalla scure dei tiranni, pel bene della patria, prima di riescire sagrificate; ma non dovrà mai questo pericolo da chi ad una sì grand'opera si consagra essere paventato. Freddo il cospiratore alle disgrazie della lega; o della congrega, mai non si stancherà di operare, abbenchè delle sue opinioni, un solo in Italia rimanesse, supposizione impossibile, perchè sempre in quella, uomini generosi, che veramente le sono affezionati e la gloria ambiscono di cooperare alla sua liberazione, avventurosamente rinverrà.
Non si ristaranno dunque i cospiratori per qualunque accidente loro avvenir possa, dall'avventurarsi pell'esecuzione del gran disegno, ben persuasi, che qualunque sia per essere il loro destino, cadano essi sul campo della patria; o come Confalonieri, nelle oscure prigioni dei tiranni imputridiscano; come Morelli, Silvati, Garelli, Laneri, Andreoli, e Deluca, per le mani del carnefice sul patibolo periscano; od al coltello o veleno degl'assassini, come Rossaroli per mala ventura soggiacciano, oppure onde in pace godere le benedizioni, e le ricompense della lor patria riconoscente sopravvivano, saranno sempre, i loro nomi negli annali d'Italia distinti, e commendati, ed avranno nel cuore dei posteri la condegna, e ben meritata apoteosi.