Читать книгу Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia - Carlo Bianco - Страница 5
DISCORSO PRELIMINARE.
ОглавлениеLiberate diuturna cura Italiam.
Extirpate has immanes belluas, quæ hominis
Præter faciem et vocem nihil habent.
Machiavelli. Lettere Familiari, LXVIII.
Non meno disonorevoli che inumane per avventura, ed empie, parecchie massime nel presente trattato contenute, potranno a cert'uni parere; come tali eziandio crediamo, da considerarsi, sarebbero, se nelle guerre tra re e re ben di rado nazionali, o tra nazione e nazione per particolari convenienze, la loro pratica si proponesse; imperciocchè non mettendosi in quelle la libertà, o la politica esistenza di un popolo intero in forse, aver non debbono l'oppressione, o lo sterminio di nessuna delle parti belligeranti per iscopo; ma quando di una insurrezione nazionale si tratta, all'unione del paese, alla sua indipendenza e libertà, diretta, per quei sacrosanti oggetti, i più essenziali ed i più cari agli uomini dabbene, intrapresa, quando quegl'inalienabili diritti, dallo straniero e dai tiranni nazionali conculcati, si vogliano fermamente colla forza riprendere; allora ben lungi di doversi con tali sozze denominazioni qualificare, si debbono in conto di giuste non solo ma di sante, dagl'insorti popoli tenere. Deve la santità del motivo rendere di niun valore qualunque considerazione di onore, d'umanità e di religione che ad un fine così sublime, così sacrosanto si opponga.
Nessun Italiano certamente non havvi, che di sufficiente raziocinio e di un cuore sensibile dotato, non s'irriti.....: non frema..... non s'adizzi, ogniqualvolta si faccia ad attentamente considerare la triste, vergognosa e ributtante situazione politica e civile, a che trovasi la sua patria ridotta! di quel paese, che al dir di Giovanni Muller, nella sua storia universale, sembra dalla natura destinato ad esser la sedia dell'impero del mondo; il quale, per mezzo delle sue spiaggie, così soggiunge, che comode communicazioni con tutte le parti della terra facilitavangli, poteva senza difficoltà la sua preponderanza mantenere; mentrechè il mare e le Alpi servivangli di baluardo; i porti d'Ostia, di Ravenna e di Misène tutte le sue imprese politiche e commerciali agevolavangli, era la varietà del terreno all'agricoltura ed all'educazione degl'armenti vantaggiosissima; la lunga catena degl'Appennini, dava a ciascuna provincia i vantaggi delle montagne ad un tempo, e delle pianure, e numerosi fiumi l'esportazione di tutte le produzioni del paese favorivano. Situata l'Italia quasi in mezzo al mondo civilizzato poteva facilmente tutti i popoli invigilare, e la sua posizione la metteva in caso di poter le provincie lontane dal centro dell'impero prontamente soccorrere; ma che! avremo noi d'uopo di riandare quanto viene da stranieri scritto rispetto al nostro paese? Non è a noi tutti per avventura ben noto che sopra un suolo dalla natura prediletto viviamo? E che tutte le fraudi, tristizie, e trappolerie dello straniero, e dei tiranni nostrali non pervennero, come ne tengono in cuore il pravo progetto, per anco ad inaridire? In poche parti della terra esiste un clima più temperato, più dolce, e nessun altro in Europa viene da' fisiologi più atto, più favorevole allo sviluppo delle fisiche e morali facoltà dell'uomo per esperienza stimato; oppure, sopra una montuosa superficie di nove mila leghe quadrate, nati sotto l'influenza di quel beato clima, giacciono inerti, e pazienti sotto la verga che li flagella, venti millioni d'uomini, in una perfetta nullità politica all'estero, e ributtante oppressione interna? Null'altro all'Italia manca se non la sua unione in un corpo solo di nazione, indipendenza, e libertà; all'eccezione di quelle tre necessità essenzialissime la mancanza delle quali, quanto d'altro si possede rende di niun valore, ella in se contiene tutte le delizie nel paradiso terrestre figurate, in nessuna parte d'Europa la terra è meglio, che in quella coltivata, nè sono le scienze, e le belle arti così estese, e ad un più alto grado di perfezione portate; è la sua spiaggia di bellissimi, capaci e sicurissimi porti di mare abbondevole, incontransi ad ogni passo città magnifiche, campagne deliziose, paesi abbondanti e piacevoli; quantità di maestosi fiumi, e canali navigabili, molte non meno spaziose che comodissime strade cose tutte al ben essere ed alla miglioranza generale del viver civile utilissime; ubertosa terra di prospere granaglie, di delicatissimi erbaggi, e squisitissimi frutti produttrice, di gagliardi e saporitissimi vini, di finissim'oglio il migliore d'Europa, di cocciniglia, zuccaro e tabacco (se un buon governo volesse curare la sua coltivazione) germinatrice feconda; in modo pure, le patate, lino, canape, seta soprabbondano da poterne ancora molti altri stati a dovizia provvedere; boschi e foreste che il miglior legno di costruzione per edifizi e bastimenti forniscono; possede cavalli svelti, sani, e robusti, e dopo quelli di Spagna, e d'Inghilterra in bellezza, e forza i primi preziosissimi e rari metalli di moltissime diverse specie, fra le quali oro ed argento, trovansi nel seno delle nostre montagne contenuti; il sal minerale, il sal marino, le curiosissime e doviziosissime zolfatare, potrebbero un estesissimo commercio agevolmente civire, e chi mai da quanto veniam di esporre crederebbe che i posseditori di tanti beni sù cui natura di spargere a mani piene i suoi doni senza intermissione compiacesi, farne un buon uso non sappiano; e quella felicità cui dalla stessa sono destinati, si lascino dagli aggiramenti ed incannate di una mano di rustici ribaldi ladroni, sugl'istessi occhi loro sfacciatamente involare? Eppure così è, percorrasi da una parte all'altra l'Italia, volgasi l'occhio alle principali sue isole, lo stato in generale degli abitanti attentamente s'indaghi, e ben tosto la maggior parte di quelli oppressa dalla miseria scorgerassi, e l'intero numero degl'Italiani vedrassi per le sostenute sciagure avvilito, per mal costume anneghittito, e reso dai perfidi governi, a rea ignoranza, a detestabili vizj ed all'immoralità propenso; divisa la penisola in dieci piccole parti, chiamate stati, una peggio dell'altra dal potere assoluto di un papa, due re, duchi, e principi etc. governate, che in fatti altro se non umilissimi, e paurosissimi, prefetti del sospettoso, e rapace imperatore d'Austria non sono, le cui crudelissime ingiunzioni a puntino e senza replica obbediscono, ed alla lercia pungentissima sferza tedesca per la loro eccessiva codardìa, stanno rispettosamente sottomessi, ma siccome vogliono poi quei tirannelli la regia loro autorità, al solo potere circonscritta di far sfortuna ai loro popoli, in qualche modo esercitare, piombano con malignità e continua rabbia sopra i poveri disgraziati, che il cattivo destino fece nascere loro sudditi, e per la loro insaziabile ingordigia satollare, ad arbitrio di prepotenza bistrattano; le loro ricchezze con tanti sudori e veglie ammassate rapiscono, e di quelle onde con i corpi gli animi loro ammollire astutamente si servono; laonde a corrompere, e viziare l'onestà e buoni costumi tengono la mira, coll'intenzione di snervare in quel modo il loro coraggio; una volta giunti a tale, i vizj diventano bisogni od almeno lo pajono, e quelli a qualunque costo svegliano e fomentano l'idea del loro soddisfacimento; ed ecco dal governo l'ismodato amor di se stesso in ogni cuore per quanto gli fia possibile creato, e vezzeggiato, in modo che trovasi ciascuno allettato a vivere per se non meno che a ricavare il particolar suo utile in danno della massa dei cittadini, quindi l'uomo assueffatto a non curarsi del discapito che può agli altri concittadini ridondarne, in opposizione alle massime dei governi liberi, dove ognuno di contribuire per sua parte al ben pubblico reputasi a gloria, dimentico del suo dovere ad altro non pensa che a servirsi degli altri onde a man salva i creduti bisogni profusamente soddisfare. Il lusso, come il più sicuro, ed il più aggradevole mezzo per tenere i sudditi nella servitù è portato dagl'italici despoti in palma di mano; e col danaro dal cittadino annualmente pagato, che senza darne il menomo conto spendono e spandono, la voglia dell'oro in tutti i cuori fan nascere; imperciocchè con quello premiano le azioni che al sostegno del loro potere credono vantaggiose e fanno l'oggetto della publica considerazione tutto nel possedimento di ricchezze consistere; qualunque altro mezzo di ricompensa, perchè potrebbe col tempo idee forti e generose risvegliare che alla lunga metterebbero il trono in rischio di essere rovesciato, paventano; epperciò il perno sul quale tutta la macchina dello stato si aggira, è l'oro; ed i tiranni la migliore e maggior parte della nazione spogliano per la minore la più vile ma ligia al loro potere arricchirne; laonde con un ben stabilito giro di moneta, con le tasse e col fisco fanno sempre una più grande quantità di numerario in cassa rientrare, di quanta stata sia da loro all'immoralità per lo stipendio del vizio e l'avvilimento della virtù prodigata. Quale dunque non dovrà essere il cordoglio di quell'Italiano, che il pagamento di tante pesantissime tasse pel salario de' suoi carnefici seriamente consideri? Tutte ordinate dal solo capriccio del despota, che nè delle fondiarie, nè dalla carta bollata, nè di quelle sui mobili, sulle porte, e finestre, sul vino, sui comestibili di ogni specie etc., nè di mantenere a suo conto, il giuoco della lotteria pel quale migliaia di famiglie si rovinano ed evvi il certo guadagno pel governo, non ancora soddisfatto, vende pur anche per suo esclusivo profitto il tabacco, sale, e polvere da schioppo ne stabilisce il prezzo a sua volontà, e con gravissime pene quel cittadino che ne vendesse, o ne introducesse anche per proprio uso, punisce; senza mai dare al popolo, quello che veramente paga, il minimo ragguaglio sull'entrata, e sulle spese!.......... Massima giustissima, da chiunque un pò di senno racchiuda in capo come necessaria riconosciuta, e solo dai vili che sono dal despota corrotti, o da quei fanatici, che opinano essere un re signore della vita e delle proprietà dei sudditi, rispinta, quella, sì è, da tutti gl'Inglesi e dalla corona pur anche addottata, e bandita cioè: che spetti un diritto inalienabile a qualsivoglia suddito inglese, ossia libero uomo, o franco tenitore, come dicono essi, di non dare la sua roba, se non per proprio consenso; la camera dei comuni sola avere il diritto come rappresentante il popolo inglese, di concedere alla corona la pecunia di esso; essere le tasse liberi doni del popolo, dovere i principi usare l'autorità loro, e la pecunia del comune ad uso solo, e benefizio di questo; quanto sian le massime che dirigono i tiranni d'Italia, da quelle dell'Inghilterra differenti non v'ha certamente chi nol riconosca; e perchè mai dovranno dunque i discendenti dei Romani al godimento di quel diritto rinunziare, per compiacere i stranieri, ed una mano di rabbiosi imbecilli che si valgono dell'ignoranza del medio evo, e del barbarismo di quel tempo per fargli credere che obbedir debbono, e tacere? I loro capricci e latrocinj secondare (imperciocchè come furto dev'essere l'azione di prendere il danaro senza consenso di chi lo possede, e spenderlo senza darne conto, da ognuno considerata); e coi nomi poi di legittimità, di paternità, di eredità etc., titoli il niun valore de' quali è ora mai già in tutto il mondo ed anche dai più scimuniti conosciuto trar vogliono gl'Italiani nell'opinione, che a loro soli, tutti i diritti appartengano, e nessuno al popolo! E perchè mai dovran essere gl'Italiani da meno degl'Inglesi, degl'Americani, dei Francesi, et degl'Olandesi? Sono forse quei popoli d'un altro limo composti, che possano l'esercizio di certi diritti, il vantaggio di certe prerogative, la felicità provegnente da un certo sistema godere, a che noi nati nella bella Italia punto non siamo capaci? Saranno per avventura quelle istituzioni così sublimi, così complicate, così intralciate che all'italico genio, non meno a ben conoscerle che a metterle in pratica non sia dato d'arrivare? No certamente; e tutti ben sanno quei che lo vogliono sapere, che gl'Italiani, già illuminati e liberi quando tutte le dette nazioni erano ancora tra folte tenebre di supina ignoranza ravvolte, e nei ceppi della schiavitù contenute, le quali se non molti secoli dopo, quando già stanchi gl'Italiani di dominare il mondo, e di vivere in repubblica a sottrarsi al giogo non pervennero, posseggano quanto e più degli altri l'intelligenza, il genio, l'alacrità, la perspicacia necessaria onde capire la complicazione di un sistema popolare di governo, qualità che non saranno mai a quelle ben formate singolari teste, per essere mancanti. Qual dunque sarà la cagione, che quei citati popoli godono il vantaggio d'un governo migliore di quello degl'Italiani? Quali peculiari doti sopra gli altri li distinguono? Quai meriti straordinarj mettono forse in mostra? Eccone a vergogna d'Italia, le cagioni: prima d'ottenere un libero sistema passarono quei popoli per la trafila di molti guai, ebbero grandissimi urti a sostenere, ma li respinsero; ebbero per molti anni a patire, sopportarono miserie, disagi, afflizioni, e fatiche, ma sempre con quello scopo in mira punto non si disconfortarono, vollero fermamente, ed alla fine ottenne la loro costanza il ben meritato guiderdone; mentre in quell'epoche menzionate non ebbero gl'Italiani meno miserie, meno fatiche, meno guai a sofferire, ma senz'animo, e senz'amor di patria, da vituperevole avvilimento soprappresi, piuttosto a piegare, che a cozzare disposti, non sostennero mai, non respinsero gli urti, ed a servire di strumenti d'oppressione allo straniero contro loro stessi, ed i proprj fratelli volonterosamente assoggettaronsi, per quindi la rovina del paese, il disprezzo e vergogna per loro, e per tutta l'italica nazione in funesta ricompensa riceverne.
Per non aver dunque avuto l'unione, l'independenza e la libertà del loro paese per meta, quei conquistatori dell'antico mondo, quegli scopritori del nuovo, che poi a stranieri lo regalarono, quelle fervide menti cui l'uman genere va debitore d'averlo con le scienze, e le belle arti dirozzato, ed illuminato, quel popolo che può tanto impareggiabili antecedenti a giusto titolo vantare, eccolo tenuto dagli stranieri in niun conto, come inetto e vile, come l'ultimo del mondo! Imperciocchè per nulla nella politica europea bilancia è in oggi calcolato, anzi come mancante della prima virtù cioè quella di saper essere libero, ed indipendente, trovasi disprezzato e deriso. Il paese come cloaca di vizj, come culla d'impostori, codardi, raggiratori è riputato, che esser dicono un paradiso abitato da diavoli; e mal non si appongono, perchè sotto la ferrea rugginosa verga di tristi e paurosi tiranni, come inerti machine, come servi oziosi ed effeminati, privi dell'esercizio di qual sisia di quei diritti che possono agli uomini riuniti competere, trascinano gl'Italiani una ignominiosa, disonorata esistenza dai vili che circondano i tiranni viemmaggiormente amareggiata; imperciocchè, siccome al dir di Polibio, al libro secondo, i re per lor natura, non hanno nè amici, nè inimici, e che il solo interesse loro è la misura della loro affezione, o del loro odio: e che la posizione in che si misero dal 1814 in quà, è senza dubbio alla felicità dei sudditi affatto contraria, ne avviene, che i soli per cui si dimostra in quegli stati, considerazione o stima sono gli amici del re i quali altri non sono, che i malvagi, viziosi o deboli, e geme la parte buona della nazione all'insolenza di questi vituperevoli stromenti della tirannia vilmente sottoposta. Ci dice de Comminis al capitolo 12, libro sesto: che Luigi XI aveva paura di tutti gli uomini, e particolarmente di tutti coloro ch'erano degni di avere qualche autorità: sono i tiranni, che in oggi con le sostanze nostre le loro ingordigia satollano, altrettanti Luigi XI, anzi peggiori cui si potrebbe senza timore di sbaglio il detto di Sallustio con ragione applicare: Regibus boni quam mali suspectiores sunt; semper que his aliena virtus formidolosa est: vale a dire che paventano più i buoni, che i cattivi, e temono una virtù che non posseggono. Sono tanti Tiberj, che come dice Tacito, al libro primo dei suoi annali, non era un odio antico, ma le ricchezze, la destrezza, i talenti eguali alla sua reputazione, che avvelenavano i sospetti di Tiberio contro Arrunzio: sono però in oggi i quattro quinti del popolo italiano tanti Arrunzi, rispetto ai nostri Tiberj, per la qual cosa sempre più cresce l'inasprimento del loro cuore e fassi la loro tirannia progressivamente maggiore: in modo tale trovasi maltrattata la povera Italia che se lo stato d'altri paesi d'Europa potrà per avventura più, o meno sopportabile parere, quello dei governi della nostra penisola dal tempo in che il malvagio Castelreagh in seggio ripose gli antichi smaniosi tiranni, è tanto derelitto, rovinato, e vile, tutto và così di male in peggio, che l'indispensabile necessità d'un grande cambiamento, di un ordine di cose affatto nuovo, fassi più che altrove sentire; già ben lo scorgono i tiranni, ma vogliono illudersi, la credono ancora bastevolmente lontana, e si lusingano di poter tutta la loro vita in quell'atroce sistema continuare, lasciando poi ai successori la bisogna di porre ai loro imbrogli rimedio; s'addormentarono fin ora sopra un volcano, perdettero favorevoli occasioni di stabilire buoni ordini pel publico vantaggio, abbandonandosi scioccamente al pensiero dal lor pazzo modo di vedere le cose suggerito, che in accordando poi qualche maestrato, più nominale ch'effettivo, quando già i popoli siansi levati a romore, di poterli con simile treccheria in ogni tempo a lor piacimento abbindolare, da tutto il mondo è in oggi quella tattica ben conosciuta, e disprezzata; troppo tardi aspettarono; l'ora fatale del rendimento de' conti, sta lì, lì, per suonare e se gl'Italiani vogliono agir da uomini, e non come abbietti bigi orecchiuti animalon da soma, tutti alla sprovvista li coglie, da non potere schivare il giusto castigo dell'esecrande loro nequizie che nella loro partenza da questo mondo consiste; imperciocchè non debbono gl'Italiani a quei mostri mercede alcuna; e sarebbe pur loro delitto di lasciar quelle cagioni di tanti pianti, di tanti disastri, e di tanta infamia, per quel paese, dall'infezione del mostifero loro alito avvelenato, una vita criminale tranquillamente godere.
La soverchia paura ed il detestabile reo talento di queste belve le mantiene sempre in continua tensione ed attività, e da ciò ch'erano prima della rivoluzione di Francia ben differenti divennero; gemevano è vero in quel tempo sotto il giogo del poter assoluto i popoli, ma era quello assai mite; andavano i dominanti dietro agli usi antichi, cui erano pure i sudditi da secoli abituati; era la tirannia di quei tempi figlia del momentaneo capriccio ed il quasi patriarcale sistema del governo, con alquante buone azioni, che mitigavano il dispotismo continuamente la interpolava. Ma quella dopo il congresso di Vienna in Italia stabilita, è senza dubbio una vera tirannia sistematica, estratta da quanto vi era di despotico nelle leggi di Napoleone, alla crudele finezza, che distingueva gli italici governi del medio evo per nostro danno congiunta; tutto quanto sì nella rivoluzione francese, e nella repubblica come negli elementi dell'antica monarchia, e dei vecchi rimasugli della gerarchia romana, nel tempo della tirannia degl'imperatori vantaggioso al potere riconobbero, al governo assoluto sfacciatamente appropriaronlo.
La formazione del costosissimo, arcitirannico, e numeroso corpo de' carabinieri reali in Piemonte, pontificj in Roma, gendarmi in Lombardia, e Napoli, è una fralle tante piaghe dal napoleonico governo ereditate, che non solo molestissima ed oppressiva com'era conservossi, ma con tutta la malizia, e l'astuzia propria dell'inquisizione studiosamente raffinata. Quel corpo il cui solo scopo esser dovrebbe la persecuzione, e l'arresto dei banditi, ed assassini di strada, sparso in tanti separati drappelli a picciola distanza, in modo di potersi al primo segnale in forza rispettabile riunire, è senza dubbio il più tormentoso e funesto alla tranquillità, e felicità degli onesti cittadini; ciascun soldato pieno di boria e con rozzi modi esercita nei villaggi, borghi etc., il potere assoluto alla grossolana sui poveri pacifici ed onesti cittadini; ciascun comandante in quanto al poter di far male un piccolo sovrano; le varie separate suddivisioni del distaccamento danno conto delle loro funestissime operazioni al comandante che trovasi al centro, questi al colonnello, ed al ministero, egli è incaricato non solo di avere minutissima conoscenza del procedere apparente, od occulto di ogni cittadino, ma bensì perfino negl'interni pensamenti del suo cuore penetrare; deve tener registrate le opere di ciascuno, sì dei tempi scorsi, come del presente, di più le supponibili per l'avvenire; tutto dev'essere chiaramente notato, e ne deve una esatta generale relazione al governo frequentemente rimettere. Può, in via economica, senza sottoporre a regolar giudizio, ammonire, arrestare, carcerare, incatenare, chiunque non sia nobile, militare, o prete; vi esiste finora un solo esempio che una sua disposizione arbitraria stata sia dal governo disapprovata, od annullata. Questo tirannico magistrato, colle armi in dosso, che le tre qualità di accusatore, giudice, ed esecutore in se riunisce, il quale molte volte sul solo sospetto o per capriccio accusa, giudica, e punisce peggiore d'un vil boja, perchè questo non fa ch'eseguire la legge, mentre quello ad un tempo solo è spione, falso accusatore, giudice ingiusto, manigoldo grossolano, e giustiziere infame in continuo esercizio delle sue abbominevoli funzioni da tutti giustamente abborrito, e temuto, esercita sulla privata morale delle famiglie una perniciosissima influenza. Imperciocchè siccome non può dare alle non meno estese che complicate sue incumbenze con mezzi chiari, onesti, ed aperti una immediata esecuzione, trovasi nella continua necessità di adoperarne dei vili, disonesti, e turpi; laonde per sapere gli affari da casa delle famiglie, i pensieri di ognuno di quelle calcolare, gli è necessario di tenere uno stuolo di spie, d'agenti provocatori etc., giornalmente assoldati, per l'aumento di quali spende nella corruzione della gioventù, danaro a larga mano, da coloro stessi che sono l'oggetto della persecuzione, e che di continuo lavorano per soddisfare quelle tasse che servono a ribadire i loro ferri, annualmente pagato; nulla è da questa vituperevole classe di ribaldi tenuto in riverenza, i sacrosanti legami della famiglia non sono punto da essi rispettati; ed anzi ad indebolirli, ed a forza d'oro ingangrenarli sottilmente si adoperano; perciocchè nessun miglior modo per conoscere i pensieri di tutti potrebbero trovare: il segretaro, il servo, la cameriera, lo staffiere etc., sono comprati a denari contanti, e vien loro il regalo aumentato a misura che più negli affari dei padroni s'internano, e più importanti cose disvelano; dimodo che per ricevere frequenti donativi, quando non hanno che dire, quei servi corrotti s'inventano menzogne, e l'innocente vittima delle loro delazioni, senz'avvedersene, a poco, a poco atrocemente sagrificano. Per mezzo del giuoco, delle donne, e della crapula, seducono i giovinotti e, spesso il figlio, a palesare i segreti del proprio padre e degli altri parenti con doni e larghe promesse dispongono! Ecco quel giovine imprudente, forse l'idolo dei genitori, la consolazione dei parenti, la speranza della famiglia, da quei furfanti, circondato, allettato, e sedotto! Eccolo divenuto un traditore di quella, e fors'anche l'involontario assassino del proprio padre!........ Usano questi boja-inquisitori al servizio dei tiranni, arti finissime per trascinare la gioventù in gravi pericoli, od imbrogli, dai quali poi, in certo modo salvando i giovani, li mettono verso di loro in debito di gratitudine e di confidenza; inducono un inesperto garzoncello ad ingolfarsi nei debiti, onde quei vizi da loro nel suo tenero cuore innestati soddisfare; teme questo; e di farne una sincera ed aperta confessione ai parenti, che forte lo rampognerebbero, si vergogna; non sà dove dar la testa; ad altri non gli convien di rivolgersi che al seduttore; profitta il birro di questo bel momento, se lo rende grato, e debitore; rinnova parecchie volte il saggio; e quando il giovane gli si affeziona, ed ha tutta confidenza in lui, a costo allora dell'onore, del dovere, e della morale, con poca spesa lo compra!...... Non contenti quei mostri di valersi di tanto nocevoli ed infami agguindolamenti per eseguire le nequitose loro incumbenze, non risparmiano neppure le istituzioni sagre, e molte volte fornisce il confessionale abbondante materia, per ordire un'intricata tela di accuse! Non evvi al certo da far le meraviglie se alcuni dei ministri dell'altare abusano qualche volta del loro ministero, poichè i membri di quella corporazione al clero inferiore appartenenti generalmente in Italia molto rispettabili, sono tenuti in uno stato ben vicino all'indigenza, ed i prelati, vescovi, e cardinali tutte le ricchezze della chiesa ingordamente assorbono, quindi non è da stupirsi se abbagliati dall'oro che sono così poco usi a possedere, e gli viene in abbondanza offerto, alcuni di essi a danno di cattolici penitenti trafficano del sagramento in favore della corona!...... In questo modo però la confidenza è bandita! I vincoli morali che uniscono un uomo all'altro sono spezzati! Ognuno deve comprimere lo sfogo de' suoi sentimenti, e nel più profondo del suo cuore tenerli nascosti; ognuno si crede isolato in mezzo ad un mondo di nemici coi quali deve usare la simulazione e l'inganno; i membri d'una stessa famiglia l'uno dell'altro diffidano; teme il padre del figlio, il fratello del fratello, l'amico dell'amico, ed il contrito cattolico s'avanza tremante al tribunale della confessione, per timore di essere da quello che siede in quel casotto qual mediatore tra Dio e gli uomini, sotto colore di religione perfidamente tradito! Con questo sistema di reciproca temenza, di generale dislealtà, più non vi esiste contentezza nè calma per nessuno, e la menzogna, l'inganno, la frode, la fellonia, ed infedeltà onde schermirsi dalle trame, insidie, e lacciuoli tesi dalla tirannia sono dalla maggior parte della nazione messe giornalmente in pratica. Questo! questo! è lo stato pacifico, e tranquillo degl'Italiani che sono obbligati di vivere sotto quel dolce, beato, paterno dominio dei legittimi re; che per la grazia di Dio assassinano l'Italia....... Ben con ragione hanno gl'Inglesi gelosissimi della conservazione della libertà individuale, la proposta di una tanto perniciosa istituzione con forza rigettata ogniqualvolta i ministri, per aumentare il potere della corona cercarono l'approvazione del parlamento, cui fu sempre dai rappresentanti del popolo con saggio avviso risposto, amar meglio il cittadino Inglese, di correre il rischio nell'uscir fuori de' limiti della città di Londra, d'essere dai rubatori assalito e spogliato, che al despotismo di quei sgherri armati dalla inquisizione politica, un sol giorno assoggettarsi.
Oltre quella forza inquisito-militare, che in tutta Italia può ascendere, a più di ventimila uomini, divisa in cavalleria, e fanti, che i tiranni non credono per vivere tranquilli ancor sufficiente, instituirono al di più una polizia estesissima, e rovinosissima pel publico erario, che si vale dei carabinieri o gendarmi per l'esecuzione de' suoi raggiri, e contrammine, usa le stesse arti, accelera la corruzione della morale, mentre l'oppressione del povero cittadino crudelmente raddoppia. Ma ciò che più stupisce, si è di vedere che questi gendarmi, o carabinieri, e queste polizie sieno composte d'italiani, e che la maggior parte degl'impiegati principali di quegl'orribili e schifosi ministerj sieno scelti nella classe dei nobili, e facciano quelli di buona volontà il vile mestiero d'insolenti zaffi contro i loro fratelli, d'infami berrovieri dello straniero, per tenere oppressa, ed avvilita la loro patria, d'insediatori dell'innocenza, di persecutori della virtù!
Non meno funesta, nè meno insopportabile, fra le rimanenti napoleoniche istituzioni devesi certamente la coscrizione annoverare; la massima che ogni cittadino nasca milite della patria, è senza dubbio giustissima, pesa egualmente sopra tutti, ed è affatto republicana; ma quell'eccellente istituzione per un governo libero, se nel governo assoluto viene trasportata, conseguenze affatto differenti ne debbono emergere, le quali anzichè vantaggiose allo stato, perniciosissime saranno per riescire; ogni cittadino nel governo republicano avendo una parte attiva nell'esercizio della sovranità, chiaro ben vede che lo star continuamente pronto, in qualunque situazione particolare o civile si trovi, per lo stato con animo deciso difendere, tanto per suo dovere, quanto per suo vantaggio gli appartiene; ma come puossi una legge di republicana essenza nel differentissimo governo assoluto trasportata, e con severità eseguita pazientemente sopportare! Mette la coscrizione l'intiera massa di tutte le forze attive del popolo nelle mani del governo, nel cui arbitrio sta di muoverla tutta, od in parte a piacer suo, e così nel modo il più pronto, ed il più assoluto, nelle nequitosissime tiranniche opere impiegarla e di manierachè con quella formidabile forza a loro disposizione (della quale non si servono i tiranni d'Italia, che per opprimere i sudditi, poichè per la loro debolezza relativa, e viltà personale atti non sono a muovere una guerra straniera), ne avviene che la parte attiva della nazione, armata, ordinata, e comandata da persone ligie al tiranno, invece di servire alla difesa della patria, per la qual cosa fù la coscrizione istituita, serve in ajuto del tiranno ad angariare, avvilire, calpestare quella nazione che dovrebbe soccorrere, difendere, ed illustrare! Oltracciò, la parte del popolo da quella fornita, viene di quei diritti, e vantaggi, che godeva nel tempo di Napoleone defraudata; i soli pesi essendogli stati dai tiranni lasciati; primieramente sappiamo che sono chiamati secondo le regole di quella tutti i figli degli onesti cittadini a militare, senzachè alcuno esserne possa esente, imperciocchè l'esenzione di uno deve a danno di un altro ricadere; è dunque il più grande rigore nella sua esecuzione dalla giustizia strettamente comandato; mantenevasi nei tempi scorsi nel modo il più severo ma oggidì tutto va per parzialità e capriccio, molti figli di nobili nascono offiziali, e sovente accade che già si trovano di tenenti i più anziani ed ancor sono sotto la sferza del pedagogo, affatto di cosa sia un uomo, un'arma, od una teoria ignari; i nobili che si dedicano al foro, od all'amministrazione, ed i ricchi, comprando un uomo per lo più cattivo, di mala fama, o stupido e presentandolo in cambio delle loro persone facilmente da quel peso si esimono; in modo che tutta la severità della legge piomba sull'onesto cittadino, che o per disgrazie sofferte nel passato, o per afflizioni presenti, o per appartenere ad una numerosa famiglia, o per molte altre simili cagioni non si può in quel momento di due o tre mila lire privare, onde sborsarle a quell'uomo che per rimpiazzarlo si vende, epperciò quel povero infelice trovasi a servire, per anni otto o dieci in un reggimento, come semplice soldato malgrado suo costretto; perchè come non nobile, o non figlio di un qualche vecchio servo plebeo, che abbia qualche grande viltà per servizio del padrone antecedentemente commessa, non può neppure sperare avanzamento, poichè lo scopo della carriera militare dell'onesto plebeo, se la sua condotta con la necessaria ipocrisia, ed adulazione viene condita, ed è scevra da qualunque rimprovero, consiste nell'essere poi alla fine sotto tenente, ajutante di piazza, guarda porte, gendarme, carabiniere, o birro! Imperciocchè, sebbene abbia tutto il merito, valore, talento, e capacità immaginabili, nel tirannico sistema della truppa italiana d'oggigiorno inventato per umiliare, disgustare, e spegnere il fuoco, e lo stimolo di grandi talenti, ad altro, che alle pergamene, al raggiro, ed all'opulenza ignorante la via dei gradi superiori non si apre; sono quei dieci anni pel disgraziato coscritto, una serie di patimenti, e disgusti; costretto di star sottomesso a' giovani offiziali che per lo più non impararono ad obbedire, che l'amarezza del pane della servitù non conoscono, che la legge col capriccio confondono, e credono i peggiori modi, essere pel buon servizio del loro padrone, i più utili ed i più addattati, come pure a vecchioni imbecilli, dei doveri, e regole della professione delle armi affatto imperiti, che altro di buono e di bello non veggono, se non quanto è vecchio, e comune, e si approfittano della loro lunga esistenza, non meno per disgustare, che per contenere lo slancio dei genj nascenti, sempre da loro (perchè astrette a riconoscerne la superiorità) odiati e perseguitati; quegli stupidi, per mezzo del raggiro, e delle umiliazioni al comando inalzati, esigono con insolenza da' loro inferiori, quel tributo di viltà, e d'adulazioni ch'essi per giungere, a tale e mantenere la presente loro immeritata fortuna, ai superiori pagarono, e pagano. Si trovano in quei reggimenti il figlio dell'onesto artigiano, e quello del possidente, dell'agricoltore, e del negoziante, accozzati, la maggior parte di quelli educati nella semplicità nell'esercizio di una morale virtuosa, suscettibili di fare rapidi progressi nell'istruzione, ed alla necessaria severità della disciplina militare addattarsi; capaci, se fosse un pò di slancio al loro genio permesso, non solo di eguagliare in tutto e per tutto i migliori uffiziali, ma di gran lunga dietro loro lasciarli. Ma! Per la tristizia del tempo che corre, sono questi robusti ed onesti giovani per la patria del tutto perduti, quand'essere la vera sua speranza ragionevolmente dovrebbero, il loro genio è compresso, il loro desiderio di pervenire all'egualità degl'uffiziali è considerato delitto, e la loro sola prospettiva, l'apice della loro carriera, è un impiego non meno vile, che disprezzato! Poteva questo dannoso sistema di militare avanzamento, in vigore in quasi tutti gli stati d'Italia, meno ingiusto parere, quando erano i quadri dell'esercito da tutti i discoli, e malviventi dei paesi riempiti, che mediante una modica somma di premio, sotto le bandiere del re, per servirlo male, ed affliggere il pacifico cittadino, tanto in pace che in guerra, volontariamente si arruolavano; egli è ben vero che soldati di tal fatta, non dovevano, d'essere a gradi superiori promossi, non che pretendere, sperare, perciocchè pel fatto solo di entrare al servizio per una data somma convenuta, si obbligavano per quel prezzo, a servire dieci anni come soldati, senza pretensione da una parte, nè promessa d'avanzamento dall'altra, epperciò il re non era riguardo ai gradi verso di loro, in veruna maniera obbligato, e se glie ne accordava dovevasi una speziale grazia giustamente reputare; ottima cosa era senza dubbio che quella genia di mascalzoni fosse per sempre dagl'impieghi principali esclusa; e sarebbe stata imprudenza massima di mettere la direzione della truppa, la salute del trono, e dello stato nelle mani di gente immorale, scostumata, e priva di qualunque virtù; ma in oggi, che sebbene sott'altro nome, fu la coscrizione, contro la quale dai nemici di Napoleone tanto si gridava, rimessa in vigore (a malgrado di quanto venne da quasi tutti i nostri tiranni quando furono portati dalle bajonette straniere sù quei troni che avevano per eccesso di paura vilmente abbandonati con grande solennità dichiarato, vale a dire, la sua totale abolizione in perpetuo) che per quella istituzione il peso su tutti i cittadini egualmente ricade o dovrebbe ricadere, che di soldati galantuomini, ben nati, civili, e capaci, sono le truppe nella loro totalità composte, perchè privarli di quei vantaggi che solo possano render loro la disciplina ferrea, e capricciosa meno pesante, e far loro le fatiche dell'attuale militar servizio con pazienza sopportare? Ma no; ingiusto sempre il tiranno esser vuol solo a riscuotere tutto il vantaggio che pel suo potere ne ridonda, epperciò fecela in tutte quelle parti che potevano essere favorevoli al cittadino mutilare, onde non mai gli fia possibile di schivar d'essere sempre al privilegio, raggiro, ignoranza, ed al brutal trattamento sottoposto. Ma che non avremmo da dire, se intendessimo ad una ad una tutte le tirannie speciali a ciascun stato far palesi? Oltre i limiti che ci siam prefissi, trascorreremo, e non sarebbero varj in folio a tal uopo bastevoli. Come si potrebbero le nequizie del malvagio immanissimo Francesco di Napoli rapidamente dimostrare, il quale non contento di considerare il maggior numero de' suoi disgraziati sudditi, come una genìa di furfanti, e come cospiratori, e di continuamente malmenarli, fa ogni giorno in oscurissime, e pestifere carceri, molti e molti distintissimi cittadini trascinare, ove incatenati e tenuti a pane ed acqua, debbono aspettare degli anni, nei soffrimenti, un ingiusto, capriccioso, inappellabile, atroce giudizio di tribunali militari, che non si dilettano, che nel veder il capestro in azione; più di quanto in un tempo non fossero quegli dei figli di san Domenico in odio di virtù crudelmente accaniti; oltracciò, temendo il lazzaronico tiranno, che possano i Napoletani qualche minimo vantaggio dal commercio ricavare, addottò quell'antico sistema dei Borboni di Francia, ch'ebbe non poca parte a muovere la rivoluzione che mandò al patibolo Luigi XVI, cioè di appaltare le rendite dello stato ad avidi publicani; sistema che sparge il mal contento in tutte le classi de' cittadini, ed è ogni giorno d'irritevolissime e numerose vessazioni permanente cagione. Di più quell'altrettanto sciocco quanto barbaro governo stabilì il suo sistema proibitivo ad imitazione di quello presso gl'Inglesi anticamente in vigore, senza neppure far la necessaria distinzione delle mercanzie limitandosi a gravare, con esorbitanti tasse ciò solo che lo stato sia capace di produrre, ma tutte senza distinzione a pagare stupidamente sottopose.
Che non diremmo dello stato di quei poveri disgraziati costretti a sopportare l'odiosissimo insopportabile giogo pretile? A chi non son note le vessazioni dei puzzolenti austriaci nella Lombardia, e stato veneto? Dei tiranni di Modena, di Lucca, di Parma, di Piemonte? E se nel numero di tutti gli altri empj oppressori, non sarebbe cosa giusta il gran Duca di Toscana frammischiare, debbesi però fare attenta osservazione che tutto nel suo personale carattere consiste, non già nelle istituzioni; e non meno lo stato precario di quel ben essere che la necessità di un solido cambiamento in quel paese chiaramente appare; perchè se come vi è tutta probabilità la successione venisse ad estinguersi, quel ducato nelle unghie della rapace Austria inevitabilmente cadrebbe, e lo stato infelice delle parti che gemono sotto la sua barbarie, debbono servire d'esempio per ciò che in quel caso abbiano i Toscani ad aspettarsi.
In breve assassinj giudiziarj, frode nella fabbricazione delle monete, dilapidazione del publico danaro, latrocinj dei monti di pietà, e dei banchi, abuso continuo di potere, per parte sì dei civili, che dei militari; revisioni di cause già tempo addietro giudicate quindi affatto in contrario per spirito di partito rigiudicate; spie, polizie, gendarmi, etc., perplessità, e timore in ogni cittadino che sempre stà in paura di violare le leggi che non conosce, nè mai potrà conoscere, perchè nella maggior parte degl'italici stati non sono che la momentanea espressione del capriccio di un qualche ministro, o dell'imbecille tiranno: ecco brevissimamente accennato il triste compartimento degl'infelici Italiani, dalla restaurazione dell'antica tirannia in quà, e quale felicità abbiano per via della pace generale guadagnata!...... rispettivamente poi alla considerazione politica che l'Italia gode all'estero, egli è ad ognuno ben noto, non esser quella, negli affari europei, nè per bene, nè per male, nè per frazioni in particolare, nè in massa in un minimo calcolata; non essere l'Italia che come una grassa, ricca e vile appendice dell'infame Austria tenuta in conto; nulla rispetto alle armi, senza libertà, senza energia popolare, passiva nella sua esistenza, e degna di sprezzo, imperciocchè viene ora da tutte quelle nazioni che rozze, e barbare, furono nei secoli antichi per tanto tempo sue schiave, beffeggiata, schernita, e vilipesa mentre i venti millioni d'abitanti che possede, quei pronipoti dei gloriosi romani, oggidì neghittosi, ed abbietti, disuniti, schiavi, abbiosciati, scornati, e di gloria deficienti sono come tanti bamboli dai gabinetti europei, baloccati, aggirati, e delusi.
Ecco lo stato d'abbiezione, di oppressione, di miseria in che si trovano venti millioni d'abitanti, cui tutti i mezzi per godere i pregi d'una buona vita e passarla felice, la natura in abbondanza provvide; ecco lo straordinario fenomeno, quello cioè di vedere l'ignoranza, rusticità, codardia e sozzura tedesca mettere il genio, valore, entusiasmo, e civilità italiana sotto i lordi suoi piedi...... eppure questo incredibile fenomeno da molti anni pur troppo sussiste, per via della mancanza d'unione, ed energia italiana provegnente dalla continuata serie di calamità alle quali dovette da lungo tempo soggiacere; dall'ignoranza delle sue forze, ad una certa sciocca persuasione che i nemici astutamente cercavano di far nascere, e nella mente dell'italiano alimentavano, cioè quella di non essere da se solo a nulla di buono capace; dalle divisioni fra provincia, e provincia, dai nemici d'Italia a bella posta eccitate, e mantenute; dalle false massime di superiorità provinciale dall'una contro l'altra nutrite; dai vizj, dal troppo amore dei divertimenti, dalle effeminatezze nelle quali erasi la parte pensante della nazione, per mezzo degl'incitamenti con molta finezza messi dai nemici in voga, lasciata trascinare; ecco da dove proviene tutta la vergogna dell'amatissima nostra patria; noi con fiducia nondimeno speriamo, che sieno in oggi tutte le illusioni, e tali cagioni di servitù svanite e riprovate; ci lusinghiamo che il popolo italiano abbia lo stato infame e vile, a che quelle lo ridussero, finalmente conosciuto, che l'opinione di tutti gl'italiani che posseggono un cuore generoso (e non son pochi) sia tutta non men favorevole che ben disposta per l'unione, la independenza e la libertà della penisola; che ognuno sia persuaso essere quel cambiamento una necessità del paese; che ognuno conosca non potervi essere senza quelle, per chi nasce su quel suolo nessuna durevole felicità; questa buona opinione, con fondamento da noi supposta, è certamente lusinghiera, e può essere di grandissimo vantaggio alla patria, ma non già bastevole; il tempo è giunto in che debba il popolo i suoi robusti pensieri con azioni patrie forti e generose accompagnare; quando le ottime idee non sono a fatti accoppiate, inutili divengono, e come se neppure esistessero; egli è pur tempo che dimostri una volta al mondo, non essere gl'Italiani men forti, nè meno sagaci, nè meno virtuosi degli altri popoli che li circondano; che cessi di mormorare in segreto dall'abitudine e dai vizj forte incatenato; che cessi di continuare qual coniglio nella meschinità, e dappocaggine; egli è tempo che conosca la vituperevole mollezza d'animo degl'Italiani dei secoli scorsi, che da quella riconosca la rovina d'Italia, e con odio estremo l'abborisca; egli è tempo infine, che colga la propizia occasione di trarsi dall'aggecchimento, in che si trova, e corra subitamente alle armi con giuramento di quelle non deporre, finchè i nemici stranieri ed interni fino all'ultimo distrutti, non sia pervenuto a stabilire sopra una solida base l'unione, la independenza, e la libertà di quella patria, che fù dalla natura come paradiso del mondo benignamente creata.
Potrà per avventura un qualche malvagio, od imbecille, quella ingiuriosa obbjezione opporci, che i nemici d'Italia compiacevansi nei secoli scorsi di trombettare, cioè che non fossero gl'Italiani atti alle armi, perchè troppo essendo dalle loro effeminatezze e vizj spossati, erano resi deboli come donne; dovrebbe la voce dell'Europa intiera testimone del valore italiano quest'ingiuria smentire non di rado ancora dagli stranieri al dì d'oggi rinnovata, e sebbene calunniosa, non dimeno dagl'Italiani ben meritata finattantochè non siansi da quel fango della nullità e del vituperio che gl'imbratta interamente, sbruttati; a quest'obbjezione tuttavolta noi risponderemo che le relazioni, e le storie delle guerre da Napoleone in Italia, Germania, Russia, Prussia, Spagna, etc., sostenute, bastano per provarne la inconsistenza, imperciocchè a tutto il mondo fanno palese che quegl'Italiani i quali sotto la grossolana, e bestiale direzione dell'incomportabile Austria, e de' stupidi e maligni loro tiranni, come pecore davanti i Francesi la davano bruttamente a gambe, furono in quelle guerre parte, integrante, e forte dell'esercito napoleonico, possono a giusto titolo fregiarsi degli allori in abbondanza da quelle legioni mietuti, ed erano in ogni rispetto se non migliori, senza dubbio ai loro conquistatori eguali; ma se ci si dicesse che quei prodi sono al giorno d'oggi o già passati ad altra vita, o vecchi troppo per guerreggiare, noi risponderemmo, che forse non saranno i presenti Italiani come quelli tanto usati alle battaglie, perciocchè loro mancò l'opportunità di acquistare sui campi della gloria la necessaria sperienza, ma che non è il valore qualità esotica in Italia e che ben al contrario ella è peculiare della gioventù attuale atta più di qualunque altra ad intraprendere, e sostenere una guerra leggiera, per bande, nella quale affrontando a bella posta con ardire i pericoli, e rendendosegli famigliari, sarà luminosi trionfi per riportarne: continui e difficili combattimenti nelle montagne dai Greci antichi sostenuti, assaissimo contribuirono a renderli poi nelle battaglie campali alla pianura vittoriosi; vinsero primieramente i Barbari, ed i Sciti nelle gole dei monti e quindi appresso in pianura dense nuvole d'Asiatici dissiparono, sui quali non meno una decisa superiorità, che la certezza morale della vittoria, per quanto fosse il loro numero, avevano in quel modo acquistata. Così faranno pure gl'Italiani attuali, cui se forse manca per ora l'arte, non manca certamente il valore, migliaia d'esempi non meno degli antichi tempi, che dei moderni potrebbersi citare, tutti la bravura italiana comprovanti: non meno gagliardi nell'esecuzione, che abili a comandare, e ben dirigere, figurarono essi brillantemente nelle file francesi, ed al buon successo delle conquiste di Napoleone, pure nostro compatriota, perchè nato italiano, assaissimo cooperarono; e di quanti generali ed uffiziali superiori distintissimi, che le pagine della gloria francese illustrarono, quel paese nelle sue produzioni, da più di tutti gli altri, non gli ha per avventura forniti? Non era forse Italiano quel maresciallo Massena, figlio prediletto della vittoria, dopo Napoleone il miglior duce degli eserciti francesi? E i Rusca, i Fresia, i Seras, i La Villa, i Pino, i Lecchi, i Zucchi, i Severoli, Pejri, Eugenio, Mazucchelli, Rossaroli, Russo, etc., e tanti e tanti altri prodi, e valorosi guerrieri, non meno abili, non meno celebri dei migliori generali francesi, che se non sopravvanzarono al certo viddersi, più che del pari all'acquisto della gloria valentemente camminare? Quei sciagurati che per le funeste sconfitte di Rieti e di Novara dovettero all'ingiusta taccia di codardia soggiacere, mentre tutto da mala direzione, e vicendevole invidia dei capi proveniva, non provarono essi tanto in Ispagna, che in Grecia con tratti maravigliosi di uno straordinario valore, non essere di quella nefanda imputazione meritevoli? Pacchiarotti, Brescia, Cepi, Gaddi, Lubrano, Bussi, Arrighi, e trecento altri prodi colleghi che in difesa della libertà di Spagna, carichi di ferite, dando uno stupendo esempio di stoica fortezza sul campo dell'onore combattendo spirarono, non erano essi tutti di quelli che si trovarono in Rieti, od in Novara? E se volgiamo l'occhio alla Grecia, non vediamo noi un Tarella lasciato in abbandono dai Greci al campo di Peta, e per ogni parte dai Turchi furiosamente assalito, far testa con un pugno de' stranieri ad un numero molto maggiore di nemici, non tralasciando la pugna finattantochè non cade sul posto che difende, da mille colpi trafitto? Un Raseri che con mirabile arte la difesa di Missolungi diretta, dopo aver fatto per mezzo di certe mine avvedutamente praticate, saltare parecchie colonne turche in aria, e dopo aver per varie ore il passaggio della breccia contrastato, combattendo da leone, perdè valorosamente la vita! Un Basetti, che mortalmente ferito e dal sangue che scorrendo da molte parti del suo corpo gorgoglia da capo a piedi cosperso, tutta l'energia vitale a se rechiamando, con un incredibile magnanimo sforzo stende ancora prima di spirare, nove Turchi al suolo, compiendo con quell'eroico slancio d'impareggiabile valore, la sua virtuosa e brillante carriera! Un Santa Rosa, che nell'isola di Sfacteria, lasciato solo in fronte ad un numeroso stuolo di nemici, con raro sangue freddo s'arresta, si rivolge ad un suo compagno cui impone di ritirarsi e così soggiunge: Farò in oggi palese al mondo che uno eravi almeno in tutto quest'esercito che non paventava la morte: ciò detto spara un'archibugiata contro il nemico, dal quale viene immediatamente circondato e tagliato a pezzi! Un Pecorara, modello di virtù cittadina, che nello stesso modo abbandonato, combatte solo contro un drappello di nemici che ferisce, e contiene parecchie ore, a cui essendo però alla fine costretto di soggiacere, preferisce alla resa od alla fuga, una gloriosa morte, è la sua testa inviata a Costantinopoli, attesa la pertinacia da lui dimostrata nel combattere ove trovasi qual brillante trofeo, d'indomabile nemico, al serraglio collocata! Un Rittatore che, comandante d'una batteria, da forza maggiore assalito, si lascia tagliar a pezzi sul cannone piuttosto che cederlo, od abbandonarlo? E cento e cento altri che non finiremmo se tutti volessimo enumerarli? Non potranno al certo essere quelli di codardo procedere accagionati, come neppure quei loro colleghi, che pur con onore combatterono, ma che non sappiamo se dobbiam dire per buona o per mala fortuna, loro non toccò la sorte di morire! Non son codardi no quei migliaia di forti rimasti a trascinare nella miseria, ed amarezze di ogni sorta quella vita che alla patria consagrarono, e che pel suo miglioramento ancor sarebbero ben contenti di sagrificare! Chiaro dunque appare che non mancano gl'Italiani d'animo, spirito e capacità guerriera, ma che solo trovasi questa, per la sozza schiavitù che gli opprime, come paralitica intirizzita. Se quanto abbiamo di sopra esposto per intieramenle convincere un qualche ostinato non bastasse, noi ci varremmo delle parole del ben noto cavaliere Follard, nella sua storia di Polibio, al tomo quinto, pagina 379, alle quali non potrebbesi, senza taccia di scimunito o di mentitore, dei falli obbjettare: dappertutto, dic'egli dove nascono uomini, nascono soldati, e se questi mancano, quando gli altri abbondano, il torto è del governo, perchè nulla è più facile che formare un'eccellente milizia, ed uffiziali per condurla, e ciò in minor tempo che si crede; se ne vuole forse un bel esempio? Citare Pelopida ed Epaminonda, che di un numero di Borghesi di Tebe, senza nessuna esperienza di guerra, ne fecero dei soldati intrepidi, sarebbe riandare cose troppo lontane; contentiamoci di citare Pietro il Grande, Czar di Moscovia, il più grand'uomo che sia comparso al mondo dopo gli antichi, che col mezzo di un'ammirabile disciplina, cambiò i suoi sudditi per lo addietro dispregevoli in intrepidi soldati: portano pure la stessa opinione, i più grandi politici conosciuti; Polibio e Tacito, non meno che un'infinità d'autori antichi e moderni, sono dello stesso parere; non v'ha dubbio dunque sulla capacità degl'Italiani alle armi, e solo sono, e meritano di essere in niun conto per la guerra dell'Europa tenuti, perchè non vollero fin ora, con uno scopo onorevole per la nazione impugnarle; ma presa una volta quella tanto sublime determinazione non molto lontana, e pervenuti a scuotersi, ed infiammarsi, vedransi (noi siam persuasi) gli antichi prodigi di valore dei mai sempre illustri avi nostri ben tosto con somma gloria ripetere.
Altri, educati alla scuola di Buonaparte, o timidi di cuore, o pseudi-filosofi, più stranieri che italiani, non vogliono persuadersi, che la nazione abbia l'energia, e volontà necessaria per digiogarsi da se sola, senza che siale mestieri d'aver all'appoggio straniero, ricorso, la loro mente presenta sempre ai lor occhi l'Italia ai tempi dell'invasione di Carlo VIII di Francia, o di Buonaparte; essi altro non vedono che quegl'Italiani ora dall'uno, ora dall'altro disprezzati, e malmenati, che sopportando a capo chino e ginocchia piegate le ingiurie degli stranieri; la mano del carnefice che gl'immolava, umilissimamente baciavano! Non considerano questi che le circostanze d'allora, erano da quelle d'oggi ben differenti; che il modo di pensare, e di agire degl'Italiani è cambiato, che il loro genio si allontana per adesso dalle scienze e le belle arti per addirizzare le sue brame ad una più solida, e brillante gloria, cioè per quella degl'antenati riacquistare, che qualunque buon italiano respinge con isdegno l'idea di essere stromento, od agente dello straniero; ben compresero per esperienza gl'Italiani essersi giustamente apposta Madama di Staël, quando stabilì per massima che: la libertà non vuol essere data, ma vuol essere presa: l'Italia più che qualunque altro paese ha già provato quanto valga la libertà dagli stranieri accordata, che quando, sotto Napoleone, scesero i Francesi dalle Alpi, le dissero che venivano a trarla dalle sozze mani d'una razza di degenerati dominatori, che come tiranni, non erano della sua stima, nè del suo amore meritevoli; che agl'Italiani come liberatori si presentarono, e dichiararono loro socj, loro uguali, e come loro liberti da schiavitù redenti, cui per diritto il godimento della libertà, ed independenza giustamente spettava! Erano queste parole certamente bellissime, ma non furono che parole, e ben conoscono in oggi gl'Italiani altro che buone parole inutili non doversi dallo straniero aspettare; e per verità quali furono i fatti? Spogliarci, tenerci dipendenti, divisi, schiavi, col nostro sangue, e con le nostre sostanze farci ad ajutare, ed aumentare la loro gloria, contribuire, grande porzione della quale, fu senza dubbio opera nostra, per poi con biasimevole mancanza di generosità, nelle loro storie e relazioni di quell'epoca, finanche dei meritati encomj che ci sono per giustizia dovuti, del tutto defraudarci! Ecco la libertà regalataci dai Francesi! Che dovremmo noi dire di quella che dagl'Inglesi potrebbe l'Italia sperare? Le promesse e dispromesse di lord Bentink, la tergiversante, cupa, e turtuosa, condotta di quel gabinetto in tutti gli affari d'Europa, quella che tenne ultimamente rispetto al Portogallo avendo egli stesso consigliato ed animato il tiranno Miguel, a rientrare in Lisbona, e tosto le truppe sue, che quella città presidiavano ritirate, alfine di lasciare quella feroce tigre in arbitrio di saziare le sue scellerate brame nel sangue dei poveri Portoghesi, che quantunque tremanti, pel timore della mala fede inglese, avevano però seguito l'impulso costituzionale in certa qual apparenza dato dall'Inghiterra, e furono quindi, a bella posta ed a sangue freddo, al saccheggio, al carcere, al fuoco, all'assassinio, da essa crudelmente abbandonati! La liberalità, la virtù, l'umanità, di quel ministero già, è a tutto il mondo ben nota e sopra tutto la sua lealtà che dai fatti succitati chiaramente appare; noi non vogliamo supporre vi esista nessun Italiano di senno, che in buona fede speri nell'intervento di quella potenza, onde all'acquisto della sua independenza, e libertà, pervenire. Trattare poi della cooperazione, che a quell'uopo, si possa dall'Austria, Russia, o Prussia sperare, ci parrebbe altrettanto ridicolo, per chi lo trattasse, come sciocco per chi potesse pensarlo; infine consultino con attenzione le storie, e guardino gl'Italiani se v'ha in quelle un solo esempio che le bajonette straniere abbiano mai una divisa nazione unita, o resa forte quando era debole, che le abbiano data l'independenza quando potevano dominarla; e la libertà, quando più forte si potevano da quella come schiava far servire? Sappiano gl'Italiani, che nulla hanno da sperare dall'estero, se non catene o guai; che non saran mai felici, se non si sentono da loro stessi capaci di quella felicità procurarsi, che mai potrà dalle bajonette degli stranieri emergere! Chi non è da per se atto a procacciarsi la felicità, e d'uopo, è ad uno più forte di lui per ottenerla, sommessamente ricorrere, tardi o tosto sempre se ne avrà da pentire, imperciocchè l'umiltà, e l'obbedienza che debbono sempre il ricorso al forte accompagnare, mettono il ricorrente nell'intera dependenza sua, egli se ne approfitta pel solo suo particolare vantaggio, e nulla più si cura delle promesse fatte, di far felice il debole imbecille che in lui aveva tutte le sue speranze, riposte.
Altri vi sono, che ben conoscono, il niun conto, in che si deve un appoggio straniero, tenere, se veramente si ha per iscopo la felicità d'Italia, che riconoscono pure la facilità d'acquistarla, se fermamente la maggior parte degl'Italiani la vuole; ma che, per sciocchezza o per debolezza di spirito, e di cuore, o per educazione assuefatti a veder nero, ciò che in fatti è bianco, a considerare il giusto per l'ingiusto, e così viceversa, dichiaransi amatori della cosa, ma non dei mezzi da impiegarsi per ottenerla, e così dicendo nulla dicono di vaglia, e coloro dansi per paurosi, colla maschera d'umanità, e diritto, a divedere. Ci sia permesso, all'oggetto di persuadere questi ripugnanti al nome di rebellione, di citare le parole del celebre Wilkes, al parlamento d'Inghilterra, quando trattavasi della questione americana; sappiate dunque, diceva egli, che una resistenza che riesce a suo fine si chiama una rivoluzione, e non una ribellione; che il nome di rebellione, sta scritto sul dorso del sedizioso, che fugge, e quello di rivoluzione brilla in sul petto del guerriero vittorioso: nel vincere dunque sta la sentenza riposta, non nei mezzi adoperati; il male consiste solamente per noi nel mancare di cuore, imperciocchè tutte le ragioni d'insorgere sono dalla nostra parte. Ben lor conviene pure di conoscere, a quest'Italiani di parole, e non di fatti, i più dannosi alla patria che forse vi esistano, ciò che dice il celebre Locke! Cioè: che ogni governo legittimo deriva dal consentimento del popolo, perchè siccome gli uomini sono naturalmente eguali, nessuno possede il diritto d'ingiuriar gli altri, nella vita, salute, libertà, o proprietà, e nessuno di quanti compongono la società civile, è obbligato di star soggetto al capriccio degli altri, ma solamente a leggi fisse, e conosciute, fatte pel benefizio di tutti: non si debbono stabilire tasse, senza il previo consenso della maggiorità espresso dal popolo stesso, o dai suoi delegati; i re, i principi, i magistrati ed impiegati di ogni classe, non esercitano altra autorità legittima, che quella stata loro delegata dalla nazione, e pertanto quando quest'autorità non s'impiega in prò della communità, allora il popolo ha diritto di riassumerla, in qualunque mani sia essa collocata: saravvi alcuno che osi ancora opporsi al giudizio di questo valente, e rinomatissimo scrittore? chi si opponesse, non potrebbe esentarsi dalla taccia di scioccone imbecille, o di malvagio inumano; eseguiscono i principi d'Italia, quanto dice Locke, esser loro dovere di eseguire? No; commettono essi quei delitti pei quali, dice il citato autore, aver diritto il popolo di riassumere l'autorità, e spogliare coloro che ne sono rivestiti? Sì, senza dubbio; dunque noi abbiamo tutto il diritto; quando si trova il buon diritto, colla volontà, e la forza congiunto, i mezzi sono tutti buoni, purchè, chi con sfacciataggine lo conculca si rovesci, e compiutamente si distrugga; noi siamo in quel caso e fin da secoli; non può l'esistenza dei nostri nemici essere che passeggiera in Italia, se noi lo vogliamo; perchè siamo assai di loro più forti, e la base, sulla quale poggia il loro potere, altro non essendo che la forza artificiale, al momento che si troverà questa da una maggiore opposta, non potrà evitare di venir del tutto sobissata; non può l'antichità in nessun modo la violazione del diritto confermare, solo rende necessarj, più violenti rimedj, sono quelli dalla giustizia non solo permessi, ma indicati, ed è cosa giusta, e doverosa lo avere al ferro, ed al fuoco, ricorso, per questa inveterata piaga risanare, cioè per esterminare i tiranni e svellere fin dalle sue radici, l'insopportabile tirannia; aggiungasi eziandio quanto pure dal Locke viene in proposito soggiunto: ma se una lunga serie di abusi, prevaricazioni, ed artificj, tutti tendenti ad uno stesso punto, rendono visibile al popolo un disegno, in maniera che tutti risentano il peso, che gli opprime, e vedano il termine, a che sono condotti, non sarà da stupirsi se si solleveranno, e depositeranno il potere in mani, che gli assicurino gli oggetti, pei quali fù istituito il governo: a chi non son noti i raggiri, gli artificj, messi continuamente in opera per tenerci divisi, poveri, senza riputazione ed impotenti, alfine di non dar ombra ai vicini, ed essere all'infame Austria eternamente sottomessi? Chi non lo vede? Chi potrà negarlo? Si veggano i protocolli dei congressi di Vienna, di Parigi, di Lubiana, di Trappavia, e di Verona, ed in quelli non solo un disegno, non solo una tendenza, non solo un vago progetto di rovinare l'Italia per sempre, scorgerassi, ma una condanna inappellabile, definitiva, atroce da quei congressi pronunziata onde impedire che mai più possa nell'avvenire risorgere, ed essere una volta fra le nazioni rispettabili del mondo annoverata! Sono pure notorie le promesse d'uffizio fatte da tutti quei principotti vili, che tiranneggiano l'Italia, al loro padrone il tiranno d'Austria, di non mai accordare nessun cambiamento nel sistema di governo, che possa migliorare la condizione dei loro sudditi!
Che questa promessa esista, nessun lo nega, nessun lo pone in dubbio, e ben si sa essere stata la principale cagione, perchè nel 1821, Vittorio Emmanuele di Savoja abdicò la corona, ad ognuno deve dunque chiaro, e manifesto apparire non solo il disegno ma la condanna eziandio, della quale già ben se ne risente l'esecuzione! Era la politica dei Persiani rispetto ai Greci quella di indebolirli, e mantenerli divisi; la loro massima fondamentale di non permettere in Grecia l'aumento, e la felicità di nessuno stato, che potesse divenire abbastanza forte, onde a quello fosse poi agevol cosa, gli altri, a riunirsi contro l'Asia, nell'avvenire trascinare; per via del vergognoso trattato d'Antalcida, divenne il gran re, l'arbitro supremo del Peloponneso. La politica dell'Austria, è rispetto all'Italia interamente la stessa e da suoi alleati, che di vedere l'Italia avvilita, e serva sono contentissimi, viene quella funesta politica sfacciatamente approvata, per via dei succitati congressi: l'imperatore d'Austria, che par nato ad infamare la stirpe umana, è pure l'arbitro esecrabile dei nostri malavventurosi destini! Ma come fecero i Greci; che con la guerra posteriore, la vergogna di quel trattato ripararono; così dovranno pur fare gl'Italiani; per loro non vi dev'essere, del disegno di rovinarli sempre di più, ed interamente, il minor dubbio; egli non è solo visibile per l'avvenire, ma già si risente in giornata, si osservi che per la massima di ristabilire l'Europa nello statu quo addottata nel congresso di Vienna, le due antiche republiche di Venezia e di Genova avrebbero dovuto essere rimesse; ma siccome sebbene tiranne ed aristocratiche nell'interno, mantenevano però all'estero in certo qual modo viva la riputazione Italiana, furono a perpetua estinzione condannate! Quella Venezia che nel medio evo padrona del Mare, contavasi fra le maggiori potenze del mondo! Che possedeva ella sola tante ricchezze quasi come tutte quelle riunite dei sovrani europei di quell'epoca. Quella Genova emola dello splendore di Venezia, che per tanto e tanto tempo si mantenne dalle molte, e forti tempeste che minacciavano la sua rovina, illesa, e godeva pure in Europa grandissimo credito, e ricchezza! Se furono invero ambedue da quella meteora distrutte, che uscita di Francia per dare la luce all'Europa, invece d'illuminare abbruciava, e dovette poi alle tenebre ed al pregiudizio, che l'incalzavano, lasciare il luogo, era puranche giusto che fossero queste republiche restaurate, ma siccome cambiando i loro ordini a seconda dei lumi del secolo, avrebbero sebben parzialmente tuttavia potuto in buona riputazione il nome italiano mantenere, furono da quei congressi condannate a mai più risorgere, mentre nel potere tutti quei re, principi, duchi, etc., in varie parti d'Italia ristabilivano! e che diritto avevano quei sozzi tirannucci, piuttosto di quelle republiche per essere dall'Europa in armi nell'antico seggio riposti? Furono le republiche in principio dalla volontà popolare stabilite, ed avrebbero dovuto essere come assai più legittime di questi manigoldi considerate! Imperciocchè questi con la conquista, il raggiro, o l'astuzia, pervennero anticamente al trono, e furono dalla forza cacciati, alla quale, poichè tenevano assai più in pregio la vita che l'onore, con massima viltà generalmente soggiacquero; e chi si nascose in una parte, chi si ritirò in un'altra, nessuno volle neppur tentar di mettere la sua vita in rischio, per la difesa di quel trono che abbominevolmente sporcava, volevano scappare, e non combattere, ecco i loro meriti, i loro diritti pei quali furono dagli alleati rimessi, espressamente col fine di tenere l'Italia raumiliata, depressa, ed abbietta! Prima però di abbandonare i loro sudditi nelle mani dello straniero affamato di rapine e di sangue, dall'obbligo del giuramento dato alle loro persone, quei tiranni gli sciolsero, ed esortarono a darne uno nuovo al conquistatore! La qual esortazione d'un re fuggitivo non significa nulla, perciocchè il nemico essendo padrone del territorio, se mai si fosse vacillato, se lo sarebbe fatto prestare per forza, non pertanto fummo legalmente sciolti dal giuramento dato a loro, ed il nuovo che si fecero dare nel 1814, essendo portati dalle bajonette degl'alleati, non è in nulla più valevole, di quelli prestati ad altri sistemi, ed in altre congiunture; portandosi a guardar più in dietro; vediamo che i nostri avi prestarono il giuramento alla forza, od all'astuzia, raggiro, ed inganno, e noi seguitammo macchinalmente a servare quello da loro fermato; vennero i Francesi, e ci obbligarono a darne un altro, alla libertà Italiana; poscia dovettero i Piemontesi ed alcune altre provincie, unite quindi alla Francia, cambiare nuovamente il loro giuramento, e darlo alla libertà Francese; rovesciato un pò più tardi, il governo republicano in Francia, e con l'imperiale in quel paese e reale in Lombardia, e Napoli, etc., surrogato, dovettero gl'Italiani spergiurare alla libertà, e giurare di essere fedeli all'impero ed al regno; vennero sei cento mila alleati a distruggere l'impero, il regno, etc., ed a mettere la superstizione, l'inganno, la viltà, i pregiudizj, e l'ignoranza in trono, ed eccoci di bel nuovo giuramentati ad essere fedeli in eterno, a questi nostri vecchi signori, dall'attual generazione sconosciuti, e dai buoni Italiani abborriti! Or noi diciamo, quale di tutti questi giuramenti dovrà essere per noi il più obbligatorio? Sarà egli il più antico, od il più recente? se ci si dirà essere il più distante, noi risponderemo allora, che sono invalidi tutti quei giuramenti dai nostri avi, agli avi degli attuali tiranni prestati; perchè noi dovremmo in questo caso servare quello prestato alla republica romana, come la più antica e ben conosciuta potenza italiana, che abbia in tutte le parti della Penisola dominato; se poi ci si dice che sia da servarsi il più recente, noi non vediamo perchè debbano gl'Italiani essere legati da un giuramento dato alla coazione straniera, e non abbiano diritto, di darne e servarne uno volontario, e recentissimo, che meriti veramente di essere servato, qual sarebbe quello che si prestasse all'unione, independenza, e libertà d'Italia? Ognuno deve da ciò essere persuaso, che nè il giuramento dato da noi o da nostri avi per conto nostro, agli antichi dominatori in Italia, nè quello al conquistatore straniero, nè quello ai restaurati nel 1814, sia obbligatorio, perciocchè non furono da un movimento universale di popoli in loro favore liberamente pronunziati, ma dalle armi straniere colla forza richiesti, che a chiunque si negasse di voler loro prestare il giuramento di fedeltà, e sommissione, avrebbero alla mannaja del carnefice, sottoposto; viene da tutti i giurisperiti riconosciuto, che un giuramento coatto è nullo, e da non servarsi; epperciò i tiranni di Napoli, Ferdinando e Francesco, il tiranno Ferdinando di Spagna, il tiranno Giovanni di Portogallo, sebbene in nessun modo fossero stati a concedere certe moderate costituzioni forzati, se non dalla loro speziale grandissima paura, non dimeno, per dare una idea di giustizia al loro procedere, (che in fatti non era che un chiaro, e patente tradimento per rovinare vieppiù i loro popoli), e per coprirlo di un velo ipocrita riconobbero la suddetta massima, dichiarando d'essere stati violentati, e non valere un giuramento dell'uomo, che non è libero; ora noi ripetiamo, siamo forse noi liberi di rifiutare il giuramento ai nostri tiranni quando lo richiedono? No certamente; perchè se uno ardisce di rifiutare, lo mandano all'istante come ribelle alle forche; dunque noi più di loro siamo da qualunque giuramento svincolati, che sia da noi stato in addietro a loro prestato; oltracciò ella è cosa certa, essere delitto servare un giuramento quando si conosce quello essere contrario alla libertà, e dell'esercizio dei diritti del popolo, impeditivo, di pregiudizio al paese, e funesto alla felicità e tranquillità dei compatrioti; e tutte le persone convengono che: Judicio caret juramentum incautum; e che: si vero sit quidem possibile fieri; sed fieri non debeat vel quia est per se malum vel quia est boni impeditivum, tunc juramento deest justitia, et ideo non est servandum: mettiamo dunque in non cale, anzi con tutto cuore abborriamo quella formalità del giuramento prestato ai tiranni, alla quale fummo nostro malgrado costretti, e che non è, se non per via del tormentoso patibolo obbligatoria; come non sarà per ripugnare, ad un cuore veramente italiano, d'essere da quella costretto a servire i capricci d'un tiranno, ajutarlo nelle rapine; oppure dare la roba, e fino la propria vita, per ingrassare un imbecille dominatore, poltrone, e maligno, in detrimento della massa de' cittadini, e della gloria della sua patria? Diasi dunque, ripetiamo, un nuovo giuramento all'Italia! Sarà quello senza dubbio inviolabile, perciocchè ogni cittadino verrà egli stesso ad eseguirlo, e mantenerlo personalmente, interessato, non meno che a costringere tutti gli altri ad osservarlo, mentre dall'osservanza esatta di quello, saranno il ben essere di tutti, la felicità, e gloria del suo paese dipendenti!
Ci pare di aver sufficientemente provato che trovasi l'Italia nell'ultimo grado di abbjezione, per essere stata da lungo tempo in qua, negativa, o passiva negli avvenimenti europei; per la sua vile prontezza nel sottomettersi a chiunque più forte di lei, falsamente stimava; e per aver tutti i gabinetti d'Europa piuttosto alla sua prosperità, elevazione, e grandezza contrarj che favorevoli, e soprattutto alla sua unione in un corpo solo di nazione, decisamente opposti; perciocchè se avviene un giorno che questa, sotto le stesse leggi, sotto lo stesso impero si riunisca, che tutta la sua energia attualmente dilatata, separata, e sparsa, ad un solo, e comune centro sia rispondente, sarà in poco tempo, ad un tanto alto grado di potere, di forza, e di grandezza per giungere, che i più potenti gabinetti d'Europa nè possono, nè vogliono tollerarne l'idea, poichè bene scorgono, che se non pel momento presente, certamente nell'avvenire, questa nazione ardita, ed intraprendente, divenuta florida, e prospera abbaglierebbe col suo splendore quelle che sono attualmente le più resplendenti, la nostra influenza diventerebbe preponderante in Europa, ed ecco il perchè, o apertamente o copertamente, tutti i gabinetti sono, per così dire, di comun accordo congiurati a tenerci avviliti, disprezzati, e di niun conto nella politica generale; abbiamo veduto, come siamo, non solo obbligati a violare quel giuramento dato alla forza, ma bensì a darne uno nuovo all'Italia, e ci pare aver le obbjezioni più delicate che far si possano dai contrari alle insurrezioni, con ogni scrupolo vittoriosamente respinte. Abbiam pure dimostrato che non ci manca nè la forza, nè gli elementi per resistere contro qualunque nemico, se veramente saremo armati di quella ferma volontà, che ad un tal uopo è necessaria; soggiungeremo quindi, per avvertimento degl'amatissimi nostri compatrioti, quanto dall'illustre scrittore Raynald viene in proposito di rivoluzione consigliato, cioè: che sollevato un popolo contra i suoi oppressori al momento che questo, schiavo del despotismo spezza le catene, e commette la sua sorte alla decisione del brando, è costretto di esterminare tutti i tiranni, di annichilarne la razza, e la posterità, di cambiare per intiero quella forma di governo, di che fù vittima da secoli: e se non osasse di ciò fare interamente, sarebbe tardi o tosto ben punito di non essere stato coraggioso che a metà, il giogo ricadrebbe con maggior forza, e peso sulla sua testa, e la simulata moderazione de' suoi tiranni, non sarebbe che una nuova insidia, dalla quale verrebbe accalapiato, ed incatenato per sempre: ci è stata questa verità gl'anni scorsi in Napoli, Piemonte, Spagna, Portogallo bastevolmente dimostrata; e da quella persuasi tutti gl'Italiani, che non avranno mai felicità da sperare se non insorgono, e fino all'ultimo, i tiranni che calpestano l'Italia, siano essi indigeni o stranieri, non distruggano; che non hanno bisogno di alcun appoggio straniero per divenir felici, nè debbono aver timore degli eserciti nemici, che siano ad invadere il nostro territorio disposti, fosse pur anche il loro numero d'un milione d'uomini, se forti, e decisi metteranno in pratica i precetti da noi in questo trattato minutamente esposti, e con argumenti ed estratti storici, comprovati; dal quale, fatti delle loro forze capaci, potranno trarsi da per se stessi, da quella fetida fogna, in che sono per essere affogati, e faranno sì che la loro patria, occupi quella brillante posizione in mezzo agli stati europei, a che viene dalla natura favorevolmente destinata.
Dice un autore moderno: che ai soli popoli classici, è concesso di riprodursi col loro proprio genio, o per via d'una recondita essenza, propria della terra degli eroi, e del sapere; ben chè lo straniero per sua convenienza gli privi dei loro mezzi, conoscenze, e virtù, ed estenda il vizio, l'ignoranza, e la miseria. Si domanda continuamente, che cosa sia la fenice d'Arabia, ella è l'Italia, che sempre rinasce dalle sue ceneri! Sì! e tocca pure oggi a questa fenice di rigenerarsi, svellendo il male dalla sua radice, se vuole la sua intiera rovina prevenire, essa è ben conscia, che da qualche tempo, i suoi tiranni la guardano con maggior avversione, e furore perchè sanno di essere dagl'Italiani abborriti; che la sua rigenerazione non potrà mai essere intiera, se uno solo lascierà in vita di quelli, avvegnacchè alcuno possa imbelle, mansueto, o nullo parere; che nessuna confidenza dovrà riporre in coloro, che la resero l'obbrobrio delle nazioni, e la tengono come loro trastullo; essa ben vede che una volta unita, independente, e libera, diverrà felice, e possente; che il fertile suo territorio darà un triplo prodotto di quello d'oggidì, che i costumi depravati, e molli, per via delle buone instituzioni diverranno migliori; che il vizio sarà precipitato dal trono, ed alla virtù verrà nel cuore di ognuno, un altare innalzato; che numeroso, attivo, obbediente alle leggi da lui fatte, o consentite, felice il popolo nell'interno; con la sanità, robustezza, e valore in una guerra laboriosa con le fatiche acquistato, si farà rispettare dagl'esteri, e quelle messi, che non saranno più scialacquate dai tiranni domestici, o dallo straniero divorate, vorrà, e saprà ostinatamente difendere; che venti milioni d'uomini uniti, liberi ed independenti, d'un genio maraviglioso, godranno come nazione, fra le potenze europee quella considerazione, che (quando schiavi deboli e divisi, non eccitavano che la compassione, o il disprezzo di tutti) giustamente gli rifiutavano; che spariranno le miserie, le iniquità, e vizj, per dar luogo al regno dei lumi, della prosperità, dell'abbondanza, e delle virtù; che tutte le parti della Penisola egualmente floride, egualmente contente, avranno fra di loro facile comunicazione, ed utilità comune; dimodocchè al primo cenno tutte le forze nazionali troveransi, laddove sarà il pericolo tosto riunite, per defendere i confini ma non per estendersi; essa già ben conosce i tanti e tanti beni che si dovrà a quell'uopo da una generale insurrezione promettere. Accingiamoci dunque all'opera, Italiani; svelgasi dalle fondamenta la gotica mole, facendola con terribile, inaudito scoppio precipitare; rimangano gli stranieri, ed i tiranni sotto le sue rovine sobissati, si annientino quei rapaci e sanguinosi nemici d'Italia, il cui solo intento è stato, e sarà sempre, di comandare, di sforzare, di uccidere, e di rapire, che mettono la crudeltà, la menzogna, il tradimento, le invidie, le minacce, e lo spavento indistintamente in uso, che producono le false, ed infide amicizie, le paci simulate, e le pestifere, infinte lusinghe! Si celino le loro ossa agli occhi d'ogni vivente, se ne perdano le vestigia, e solo la loro memoria rimanga perpetuamente al cuore di ciascun Italiano, cagione di fremito ed orrore....
Per giungere a quel punto, converrà insorgere contro i nemici, e giurare di fargli una guerra eterna, ed efficace; sguainar con animo deciso la spada e gettarne per sempre via il fodero. Non mai abbattuti da rovesci, risorger sempre finchè non siano compiutamente annichilati; trasportato l'Italiano da santissimo patrio furore, si slancierà con il pugnale alla mano, contro il barbaro Goto, che a bajonetta spianata l'attende, lo affronterà petto a petto, glie lo immergerà, tutto tutto nel cuore, e strapperagli dalle mani quello schioppo, che gli è per ammazzarne degli altri, necessario; abbandonate le pianure, in luoghi scabrosi ed inacessibili raccolti gl'insorti, piomberanno da ogni parte con furia, ed accanimento sull'atroce, sfinito ed affamato avversario; risoluti gl'Italiani di morire piuttosto che al giogo infame degli stranieri, e tiranni interni star sottomessi, assai più la servitù che la fame temendo, disposti a cessare di esistere sulla terra piuttosto che strascinar come schiavi una vita obbrobriosa, lascieranno come dice il citato Raynald, il nemico, e suoi squadroni, battaglioni, armi, vettovaglie, munizione, ospedali, etc., nelle pianure, e nel cuore delle montagne, senza bagaglio, senza tetto, senza provigioni ritireransi. Saprà la natura nutrirli, e difenderli, dimorino in quelle, degli anni, se sarà d'uopo, per aspettare che il clima, il caldo, l'ozio, le dissolutezze abbiano divorati e consumati quei numerosi campi di stranieri, che non avranno più nè da sperare bottino, nè allori da cogliere; scendano coi torrenti dai monti per sorprendere il nemico nelle tende dove riposa, e distruggere le sue linee; disprezzino finalmente gl'ingiuriosi titoli di briganti ed assassini, che gli saranno dati dai nemici: ed in questo modo riporteranno una certa e compiuta vittoria. Questo sistema applicato all'Italia, e sviluppato in tutti i principali particolari, per quanto meglio a noi sia stato possibile, forma l'oggetto del nostro trattato.
Eccovi dunque Italiani il metodo per guidarvi! La teoria delle vostre operazioni, i precetti della sola guerra che in oggi vi convenga: a voi tocca di mettervi in campo! Sventoli una volta lo stendardo Italiano! Risorga l'europea fenice! Spieghi nuovamente l'aquila del campidoglio le sue ali dal ferro straniero fin oggi a vergogna nostra tarpate! Vendichiamo la nostra bellissima patria da tante sofferte ingiurie, e cada non meno inesorabile, che intiera la nostra vendetta sopra gli autori del suo scorno e delle sue sciagure! che l'impuro sangue dell'abborrito tedesco, a quello della razza degenerata de' nostri tiranni commischiato, ci asterga finalmente dalle contaminazioni, che finora la nostra cara Italia bruttarono! Venga con quest'olocausto dall'oppressione in perpetuo liberata! Col fuoco e col ferro fino all'ultimo de' nostri nemici si distrugga, e facciasi con questa intiera vendetta, qualunque dei gabinetti europei, che avesse intenzione di inturbidare nell'avvenire il nostro riposo, ragionevolmente paventare! I nemici nostri, gli sciocchi e deboli di tutto il mondo, faranno le maraviglie, ci chiameranno ribelli, barbari, assassini, briganti, violatori dei diritti, perchè non verranno da noi tutte le pretese leggi della guerra osservate; noi sorrideremo con disprezzo a queste stolte invettive, e direm loro che barbari, assassini, briganti, e violatori dei diritti erano i sozzi Tedeschi, e tiranni nostrali, che noi abbiamo trucidati o siamo attorno ad esterminare; in fine che il nostro diritto è fondato sulle leggi della natura da loro barbaramente conculcate! Cada, o Italiani, la spada vendicatrice su tutti i delinquenti! Purghisi da quel turpe stuolo d'infami il suolo della nostra bella penisola! Riviva l'antico valore negl'italici petti! Vengano le virtù di Roma nel premiero loro seggio riposte! Si corra tosto armata mano, all'alto, e glorioso acquisto dell'unione, independenza, e libertà della nostra afflitta patria! da che solo ne può essere ingenerato lo splendore, la gloria, e la felicità d'Italia!