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CAPITOLO II. DELLA CAPITALE.

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Dall'epoca della rivoluzione di Francia infino al giorno d'oggi, misesi dai guerreggianti capitani, la napoleonica massima di marciare a dirittura sulla Capitale dell'avversario, continuamente in pratica, il possesso della quale metteva un termine alla guerra e faceva la vittoria in favore di chi assaliva, dichiarare; ella è in oggi opinione universalmente ammessa, che una volta la Capitale caduta, debbasi aver la guerra per terminata; e ben si appone, perchè molti, e molti esempi delle ultime passate guerre lo comprovano; e noi quando si tratti di una guerra regolare, tra tiranno e tiranno, o tra re e re costituzionale, e che non sia una guerra nazionale d'insurrezione non possiamo, nè vogliamo il contrario asserire; perchè siccome nel primo caso le principali risorse, per fornire l'esercito del bisognevole, magazzeni, depositi di materiali, d'armi, e di munizioni, le casse dello stato, e dei principali possedenti, e ricchi del paese, le più distinte famiglie, e magistrature in quella trovansi raccolte; ne avviene che se il nemico giunge ad impadronirsi di quell'emporio delle risorse dello stato, manca la fonte delle provigioni pell'esercito, cade in isfacelo il trono, e privo il principe degli elementi, pel possesso, di quali pareva agli altri uomini superiore, ed agli occhi degl'imbecilli un certo prestigio conservava, diventa un uomo come gli altri, e sovente meno de' suoi sudditi, perchè assai più inetto di loro, per la sua dappocaggine, paura, e stupidità vituperevole; così lo stato è conquistato, e messo a soqquadro, per la sola caduta della città ordinariamente la più corrotta, e fra tutte le altre la meno energica, gli abitanti della quale sono per lo più dalle dilicatezze d'una vita effeminata, e lussureggiante, che passano spensieratamente nei bagordi, e vizj d'ogni specie, ammorbiditi, e snervati; per lo chè diventano gracili di corpo, cagionevoli di salute, raggiratori, paurosi, di sottili e timidi consigli, perchè conscii della loro individuale debolezza; non resi pertanto da quella conoscenza, di esser da meno dei provinciali, persuasi, dannosi sopra quelli, con incomportabile jattanza, il vanto di superiorità, sui quali non hanno diritto alcuno di primeggiare se non nei vizj e nella fiacchezza; e vogliono senza esporre la loro vita alla durezza delle fatiche di una guerra laboriosa, a tutti i loro compatrioti orgogliosamente comandare; si cimenteranno forse con ardore in una zuffa passaggiera, e si comporteranno anco gagliardamente, a ciò, dalle massime d'onore stimolati; ma non avranno mai quella tanto commendevole, e tanto necessaria ostinazione, che col prolungare la contesa, assicura la vittoria, perchè il loro imbozzacchito dilicatissimo corpo non potrebbe i disagj della guerra lungamente sopportare, verrebbe, la loro bellezza dalle intemperie della stagione danneggiata, e del pari la loro eleganza e morbidezza; sarebbe per la recovidità, semplicità, ed energia del guerriero da lunga pezza assueffatto ai campi, ad un continuo smacco soggetta; laonde sono gli abitanti delle capitali, e sempre i più disposti saranno, a negoziare col nemico, ed a cedergli la città; eppure secondo il modo di far guerra oggidì, dalla resistenza o caduta della capitale, dipende la salute dello stato! la presa di Vienna, e di Berlino diede varie volte il possesso della Prussia, e dell'Austria a Napoleone; la presa di Parigi nel 1814 diede la Francia, popolata da più di trenta milioni d'abitanti con molte fortezze ben guarnite, e capaci di lunga resistenza, con l'esercito della Loira, con altre molte legioni sparse in varie parti dello stato, che tra tutte potevano a più di duecento mila uomini di truppa sommare, con cinquanta mila guardie nazionali di Parigi, ed il decuplo se tutte quelle delle varie città del paese si contassero, la diede in mano di seicento mila stranieri settentrionali, che i maggiori possibili danni gli cagionarono, ed il maggior insulto fecergli che mai si potesse aspettare, cioè quello di costringerla a tenere sul trono come padrone, uno di quei Borboni, ch'essa, o per isbaglio o per inopportuna moderazione, aveva nel tempo de' suoi rivolgimenti politici alla scure vendicatrice della patria, risparmiati; e migliaja d'altri esempi di tal fatta vengono in appoggio di quanto abbiam detto; ma s'egli è vero che nella guerra regolare in questi tempi, la presa della capitale all'aggressore dia la vittoria, ciò però in una guerra nazionale d'insurrezione non accade, quando il popolo è ben deciso di respingere una invasione straniera, quando vuole disfarsi dei nemici interni, perchè allora insorge, e non ha bisogno di avere tutti quei mezzi nella capitale, concentrati, ogni villaggio, ogni città, per quel modo di combattere, gli è capitale. La banda che nel circondario di un villaggio, di una parrocchia prende il campo, in che un numero uguale, o di poco maggiore al suo d'abitanti vi esiste, i quali mangiano, dormono, in somma vivono, e che possono d'alcune armi provvederla, non ha più d'uopo d'altro: non cura la capitale; nè se si sostenga, o sia perduta un micolino gli monta; non pretende da lei nessun soccorso! non essendo la sua esistenza in nulla da quella dipendente; non vede nessun grave detrimento al paese, e di quegl'abitanti si ride che non ebbero nè la forza, nè l'ingegno di respingere i barbari, e colle pive in sacco le spanpanate e millanterie, in tanta viltà, ed umiliazione cambiarono! ed in vece di perdersi di coraggio per ciò, la sua energia del doppio aumenta; così deve succedere quando la guerra è nazionale, e così sempre in quel caso succede; cadde Vienna, Berlino, Parigi, e caddero i loro stati, perchè la guerra in quel tempo non era nazionale; ma ridotta in cenere Moscow, non andò in precipizio la Russia, che anzi la guerra prese un carattere più accanito, il popolo non abbandonò le armi, finattantochè non fù l'invasore compiutamente distrutto, od espulso. Cadde Madrid e precisamente dopo la sua caduta, quella guerra per bande cominciò che varj eserciti francesi distrusse e finì dopo sette anni di sudori e rischi, per averne la meglio i nazionali. Perchè mai dunque tanta differenza da quelle altre, nel resultamento? Perchè queste erano guerre nazionali e quelle no; in queste la capitale era di nessuna importanza pel popolo, che per se stesso combatteva; in quelle ai militari moltissimo rilevava, i quali vedevano nella perdita della capitale la fonte degli ordini, degl'impieghi, dei gradi, delle ricchezze, e dei ciondoli, per loro disseccarsi; epperciò un assai maggior comodo ed individuale vantaggio, nel trattare col nemico, e renderla a patti, trovano, sebbene con la crudele certezza della rovina del loro padrone anzicchè fino alla morte, od alla compiuta distruzione dell'avversario, difenderla. Di nessuna importanza per la guerra nazionale d'insurrezione si è certamente l'esistenza di una capitale, può quella far del bene se sussiste, ma non produce se manca alcun male; di niun danno dunque dovrà essere all'Italia la mancanza, per adesso, di una capitale centrale; potrà dalle tante che possede, se le sono favorevoli qualche vantaggio ricavarne, se poi le saranno avverse, ciò che non è da supporsi, non avrà il condottiero, per la loro caduta nelle mani del nemico, affatto da temere, perchè alla distanza di poche miglia da quella che soggiacque, ne può un'altra che lo ajuti e sostenga, opportunamente ritrovare, con la probabilità che i popoli del circondario di un altro, punto non s'intimidiscano per la disgrazia da quella sofferta. Tale pur era l'andamento della Spagna, nella guerra dell'independenza, giacchè, come ognun sa, è quella penisola un aggregato di tanti piccoli stati, i quali erano anticamente separati ed independenti come gli stati italiani d'oggidì, quasi sempre fra di loro in aperta guerra; e che le loro leggi costumanze, costumi, rimembranze istoriche, odii provinciali, ed il loro spirito d'isolamento, pervicacemente conservarono. Trovavasi Madrid in mezzo alla Spagna, senza quasi nessuna relazione con le altre città, e la sua influenza non estendevasi al di là dei limiti della provincia di Castiglia; credevasi Napoleone di possedere una gran cosa, di tenere tutta la Spagna nelle mani avendo Madrid; ma grande tempo non tardò ad accorgersi del suo falso calcolo, e persuadersi che in nulla il possesso di quella capitale, lo favoriva, perchè sebbene la Navarra, la Biscaglia, le Castiglie, la Gallizia, l'Arragonese, e la Catalogna con molte truppe occupasse; a suo malgrado sù gli occhi stessi di tutti questi eserciti, che avevano il loro gran centro in Madrid, migliaia di bande si misero in campo, e tanto gli molestarono, che disperando Napoleone di poter in sì fatto certame, a che avvezzato per anco non era, luminosi ed immediati risultamenti ottenere, disgustato, lasciò la penisola, dubitoso di perdere, o menomare in quel nuovo modo di combattere, quella gloria ch'erasi fin allora in tante battaglie campali giustamente acquistata, e seguito da poche truppe andossene in Francia. Abbiamo come possa l'Italia, la guerra d'insurrezione per bande sostenere senza una capitale centrale, bastevolmente dimostrato, ma non dimeno se non è questa nel principio della contesa, necessaria, o se anche non è in tutto il corso della guerra per esterminare i nemici, affatto indispensabile, non si può però negare, che sia quella, di una vitale importanza, onde le operazioni generali concentrare non meno, che consolidare ed istabilire l'unione delle varie separate provincie in uno stato solo. Percorrendo le relazioni della guerra dell'independenza, così vedesi, essere in Ispagna successo allo stabilimento della giunta centrale, la quale tanto quella guerra promosse, e rese utile, che per la troppa sua dilatazione, e mancanza di centro, già cominciava a decadere. Maggiore n'è l'importanza, pella Italia, dovendo le varie parti in un corpo solo dopo tanti secoli di separazione unire, per la qual cosa fassi una capitale centrale, vieppiù necessaria, per quello stato formare non men, che dirigere. Già pare di vedere tutti gli abitanti delle attuali numerose nostre capitaluccie italiane, inarcar le ciglia, e gli occhi, e le orecchie attentissimamente aprire, ciascuno sperando e pretendendo che quella dov'egli è nato, per essere capitale della nuova Italia, si proponga; sette ed anche più città della penisola concorrerebbero nella pretensione di essere la capitale, ma siccome una sola è necessaria, sei o più dovranno ad essere secondarie inevitabilmente rassegnarsi; massime poi che queste presuntuose, sono fra tutte le città, quelle che nella massa generale degli elementi di regenerazione italiana, solo pochissimi, deboli, e di tenue vantaggio ne presentano; uno stolto generale goto, altrettanto sozzo, quanto bugiardo, ed alcuni scrittori, mossi o da malvagità o da sciocchezza, osarono sfacciatamente dichiarare non essere cosa possibile, in un solo stato l'Italia riunire, perchè male se ne potrebbe fissare la capitale! Oh svergognati mentitori! oh scipitissimi pecoroni! tacete, anzicchè simili falsità, simili sciocchezze con la vostra solita impudenza palesare! O voi balordi, che in quel modo bestemmiate, perchè non aprite la storia dei vostri antichi padroni? E se l'avete letta, non dovreste in quell'errore inciampare, perchè ben chiaro si vede che l'Italia è stata la padrona del mondo? E che questa aveva una bellissima, gloriosa, venerabile capitale, che tuttavia esiste, e viene giustamente la città eterna nominata? Che l'Italia non abbia capitale, potrete voi ancora di buona fede asserire, quando quella possede, che fù il centro del mondo, delle virtù, del valore, e della gloria? Tutte le stolte pretensioni delle altre capitali, debbono all'aspetto di Roma sparire, dileguarsi! Dove trovasi nel mondo intero, una città che tante eroiche ricordanze presenti, così necessarie ad esser alla memoria della generazione attuale richiamate? Tanti monumenti dell'antica gloria italiana? Tante preziose reliquie di quei sommi che dobbiamo venerare, e porre ogni pensiero, ogni sollecitudine e per degnamente imitare? Qual è quella capitale, che abbia tanto mal fondato, ed impudente orgoglio, per volersi a Roma in un minimo pareggiare? La culla di Bruto, di Cassio, di Catone, di Virgilio, etc., non ha pari, non che in Italia, nel mondo!

Quella fù, e sarà sempre la capitale d'Italia, quando gl'Italiani avranno più in pregio la gloria, che la viltà. Alcuni giustamente ci opporranno, che se quella città merita ad ogni titolo pe' suoi antecedenti, di essere indisputabilmente la capitale, non n'è però degna oggidì, perchè si trova la cloaca massima rigurgitante lordume d'ogni vizio, d'ogni disonestà! e che male per futura capitale dell'Italia unita, independente, e libera, quella si converrebbe, che in realtà, è in oggi la capitale dell'impostura, del raggiro, dell'inganno, fucina delle arti le più prave, e più sottili, per tenere i popoli dalla fisica, morale schiavitù aggiogati, gli abitanti della quale, figli per lo più della depravazione di costumi, cresciuti, e di continuo, alla scuola della viltà, e della servitù educati, non sono, che pei sozzi ed effeminati servigi capaci, e non posseggono le qualità necessarie per essere abitatori della capitale di una guerriera, virtuosa, e forte nazione, perlocchè la sola costanza, perseveranza, e valore, in molte e ripetute disgrazie ch'essi non possono avere, non sono ancora nemmeno bastevoli, ma d'uopo evvi pure di un deciso e grande carattere nazionale, di un giusto orgoglio, e di un odio contro la tirannia interna, dallo straniero armato, con profonda radice bene abbarbicata, le quali virtù non sono, proprie dei papalini abitanti di Roma, che neppur per gabbo vogliamo coll'eroico nome di Romani appellare, noi non potremmo senza mancare alla verità, alle surriferite considerazioni valevolmente opporci, e nessuno potrà negare che la maggior parte della popolazione di Roma sia di calcare quella terra, che senza dubbio è polvere d'eroi, affatto indegna, poichè in mezzo alle mura di quell'antica republica, che non contempla con ammirazione, rimansene schiava ed abbietta. E che per la sua viltà sotto la sferza dei preti, non è più capace di sentire gli stimoli della passata gloria, nè di mirar con orrore la presente vergogna, suscettibile; noi conveniamo. La popolazione è inetta, anzi, al nuovo stabilimento, sarebbe nocevole; ma dovremo noi perciò il vantaggio di avere una capitale che ha un tanto forte, e tanto possente prestigio morale sugli animi agl'incitamenti di vera gloria sensibili, trasandare? Dovremo noi, perchè quattro sciagurati abitano fra quelle venerabili classiche mura, ad una capitale rinunciare, che tutte le qualità possede per essere florida, e conveniente ad uno stato ben regolato dal filosofo stagirita prescritte? Che non è nè troppo lontana, nè troppo vicina al mare; acciocchè, come dice il succitato Aristotile, per la troppa lontananza non resti priva dei molti commodi che quello suole apportare, e non sia con la troppa vicinanza, ai pericoli d'assalti improvvisi, ed alla corruzione ordinaria delle città, che sono porti di mare, sottoposta; sarebbe il sito sanissimo, e buonissima aria spirerebbesi, quando fosse ben ripopolato, e che fossero gli abitanti attivi ed industriosi; perchè ben si sa che già lo era negli antichi tempi, e si legge in Tito Livio, saluberrimos colles; sito che per mezzo del fiume e delle strade può avere da ogni parte della penisola e dal Mediterraneo abbondanza continua di vettovaglie; difficile ad essere da popoli lontani all'improvviso assalito; e per la sua centrale positura; quasi ad eguale distanza d'ogni provincia, nel caso di facilmente con tutte le più lontane parti della penisola, ad un tempo communicare e per tal modo con energia, e prontezza a tutte egualmente sopravegghiare, dirigere e contenere! dove trovasi un'altra simile città in Italia? Il solo intoppo negl'abitanti consiste! Si purghi dunque il Panteon dell'antica gloria italiana dalle sozzure, che lo infettano; si mandino in quella città, robusti, e decisi Romagnuoli nei quali ancora una tinta si scorge dell'eroico carattere romano, si uniscano loro dei Liguri, Piemontesi, abitanti degli Appennini, Bresciani, Abbruzzesi, e Calabresi, Siciliani, Elbani e Sardi, tutti fra gli abitatori dei monti, trascelti; e non crediamo di cadere in isbaglio nel predire, che pel buon regime di governo italiano ben ordinato, e con quella capitale, saranno le maravigliose gesta degli avi nostri, per rinnovellarsi, e come fenice dal suo rogo, la sfolgoreggiante gloria dell'antica Roma eccelsamente risorgere, mentre gli eletti rappresentanti del popolo italiano, per prudenza, energia, saviezza, e dottrina, superiori a chiunque, nell'unico, mirabile, stupendo tempio del Vaticano congregati, faranno restar di maraviglia sospeso il mondo, e sarà per tal modo il più magnifico edifizio in oggi esistente, in ampia, e venerabil Aula del più luminoso parlamento del mondo, gloriosamente trasmutato.

Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia

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