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IL SILBÓN

(Monologo di un cavaliere solitario venezuelano)

Suono acuto spinto dall’aria

invade il silenzio e squarcia le tenebre:

sorge lo spavento, i peli si rizzano.

La notte risplende di oscurità.

Fischio che rompe il solfeggio,

un errante si trascina in lontananza

tra la coperta di nebbia

proclama l’arrivo della morte.

Il suo fischio nasce come frutto di dolore,

grido di assassino, lamento di parricida.

Maledetto dai suoi antenati

si porta dietro lo scheletro del suo progenitore.

Vaga per le pianure in tempi di pioggia,

percorre Los Llanos in tempi di siccità;

mentre riposa un latrato lo spaventa:

il cane Tureco lo segue fino alla fine dei giorni.

Il fischio penetra nelle orecchie e infonde freddo,

perseguita le donne incinta e gli ubriachi.

È lungo e goffo come una falce.

Cammina con lo sguardo melanconico.

Usa un sombrero che nasconde la sua vergogna.

Usa una borsa che gli piega la schiena.

Usa una pena che lo consuma.

Usa un dolore che lo condanna.

Se il fischio si sente vicino,

non temere perché il Silbón è lontano.

Se il fischio si sente lontano,

il Silbón è su di te.

Perseguita noi ubriaconi e donnaioli.

A noi sbronzi risucchia l’ombelico

Bestiario Americano

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