Читать книгу Come Una Preghiera - Diego Maenza, Diego Maenza - Страница 9
ОглавлениеIl petto sussulta e un terremoto in miniatura scaturito dai bronchi si allarga alla cavità toracica, germina negli anelli della trachea e lì provoca una risposta inconscia e automatica scatenata da milioni di bacilli avidi di sostanze, che si riversano, convulsivamente, su faringe e laringe. La microscopica valanga rovina giù e si espande con il suo sisma fino all’epiglottide, facendola vibrare. Il piccolo ciclone riverbera nella membrana ipofisaria e distribuisce l'infiammazione tra naso e palato, causando congestione nell’atto inconscio del russare.
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Ho trascorso l'intera mattinata nella veglia, implorando la misericordia del Signore, ascoltando il sussurro delle mie giaculatorie mischiate al respiro secco del ragazzo. Il suono spettrale dei suoi polmoni, infiammati e pieni di muco, è stato ulteriore stimolo alla mia veglia.
Per prima cosa, chiamerò il dottore. Ogni volta in cui ero tentato di spogliarlo mentre era ancora incosciente e contemplare la sua meravigliosa nudità, la preghiera mi ha aiutato a reprimere i miei istinti e a comportarmi come un figlio di Dio. Segui le orme del Cristo, e non cedere alle lusinghe del male!
Voglio servirti Signore e sconfiggere la tentazione del diavolo e urlargli che l'uomo non vive di sola carne. Lui cerca di tentarmi, di allontanarmi da te, o diletto Padre, ma io obbedirò per sempre solo ai tuoi insegnamenti.
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Tomas vede le ombre dove non ci sono. Le inventa. A volte, durante le assolate mattine estive, insegue lucertole, animali che scivolano tra i muri di pietra del giardino, tra le fessure delle pietre del cortile, tra i buchi sotto le finestre, da dove escono per prendere il sole. Tomas li rimprovera con il suo abbaio da vecchio, con grossi e lenti grugniti e qualche sprazzo di energia. Qualche rara volta, però, l’ho visto fare piazza pulita di questi piccoli nemici con insolita energia, come se il suo istinto di cacciatore fosse ancora vivo e il suo sentimento di Cerbero part —time brillasse in lui, alla difesa del suo territorio. In quei rari momenti piomba con improvviso coraggio, tirato fuori da chissà quale zona nascosta della sua anima incartapecorita, sull'insetto strappato dalla sua tana sotto il vecchio mandorlo, e lì lo finisce, tra abbai furiosi e salti da grillo.
Ma di solito è la sua stanca immaginazione che, nel crepuscolo di una imminente cecità esacerbata da una logora acutezza olfattiva, dà vita ai demoni che lo tormentano da sempre. Mi dico, dopo averlo osservato, che dopo tutto non siamo così diversi. Semplici animali istintivi che soccombono ai capricci della propria natura. Saremmo uguali, se non fosse per la nostra anima umana. Grazie, amato Dio, per aver infuso lo Spirito in noi!
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Ho celebrato l'Eucaristia senza la presenza del ragazzo e, sebbene una mano caritatevole mi abbia aiutato a spargere l'incenso, non era come averlo qui con me. Non vederlo per un paio d'ore è stato un tormento maggiore di averlo disteso a pochi centimetri dal mio corpo, e sul mio letto.
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Il medico ha fatto la diagnosi.
“Si tratta di una brutta influenza che gli sta consumando le difese —mi dice con voce seria e il sorriso di prassi— ma con un paio di giorni di riposo e una buona dose di farmaci si riprenderà completamente”.
Entrando in stanza, i cardini arrugginiti dal tempo della mia porta cigolano così fortemente che restiamo entrambi scossi da quel violento rumore. Dopo di ciò, il dottore si gira solennemente verso di me con gli occhi bassi, in attesa della benedizione. Traccio una croce in aria proprio a livello della sua faccia, quindi lo saluto con una preghiera. Il ragazzo si riaddormenta, continuando a respirare con difficoltà. Gli metto la mano sulla fronte, per vedere se ha la febbre, ma l'unica cosa che ottengo è il mio corpo che inizia a tremare e il rivolo di sudore nervoso che mi riempie il palmo delle mani.
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Ho provato a concentrarmi sul mio lavoro d'ufficio e scambiato qualche breve, stupida chiacchiera con i miei parrocchiani. Finalmente libero, cammino lungo il selciato della diga, proprio sulla riva del fiume che collega questa piccola città alla città vicina, e vengo assalito da una leggera brezza che, fischiando, mi scompiglia come sempre i capelli. La fine dell'estate è piena di rumori sommessi. Le rondini riempiono il cielo dei loro archi mentre si organizzano per la migrazione annuale verso ovest, e fanno grandi schiamazzi, poiché tra questi uccelli, che festeggiano la vigilia del loro viaggio decorando allegramente le panchine del parco, le auto, i marciapiedi, le piazze e i passanti, regna l’anarchia totale.
E’ mentre cammino in prossimità del parco che il trillo argentino di questi minuscoli uccelli, raggruppati sui fili elettrici o che turbinano impazziti tra il frastuono del traffico, si fa più vivo e presente. Continuo la mia marcia attraverso il vicolo più nascosto di questa piccola città, una stretta strada pedonale che è diventata la mia zona preferita, ogni volta che sono costretto a passare di qui per fare la spesa. Qui tutto è serenità, senza motori rumorosi e clacson fastidiosi.
Ma di colpo vengo aggredito dalle parole oscene che provengono dalla sala del biliardo, inaugurata proprio pochi giorni fa. Gli insulti, sempre più violenti, salgono via via di tono e hanno la voce di un ragazzo giovane, evidentemente non intimidito dalla mole del suo nemico il quale, a giudicare dal numero di tatuaggi tribali che mostra orgoglioso sul proprio corpo, sembra un detenuto appena uscito di prigione.
Decido di allontanarsi alla svelta ma, proprio mentre credo di essere in salvo, mi accorgo che i due hanno cominciato a prendersi a pugni. Corro verso il corso principale. Cammino veloce, cercando di dimenticare il ragazzo. Ma né il trambusto delle macchine, né gli ululati di guidatori furiosi con il piede pronto sul pedale dell’acceleratore, né la pioggia di clacson che mi piomba addosso come una valanga, e nemmeno la recente paura dei pugni mi fanno smettere di pensarci e non alleviano di un briciolo la mia tortura.
Cerco di distrarmi pregando perché la rissa nel vicolo si risolva senza troppi danni. Finalmente, giungo a destinazione, ma senza essermi scrollato di dosso l'enorme masso che grava sulle mie spalle.
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Il mercato è una fucina di suoni. L’ambiente è pieno di urla dei commercianti desiderosi di vendere frutta, legumi, cereali, cibo di ogni sorta, e danno un tocco di euforia tipica dei luoghi affollati. Come sempre, mi avvicino alla zona del pesce e chiedo la mia solita spesa del lunedì.
“Eccolo, padre!” mi dice Leandro, il pescivendolo che mi conosce da anni, mentre avvolge con ruvidezza il pesce freschissimo in vecchi fogli di giornale. Quando esco dal mercato, sento le sirene della polizia squarciare l’aria con il loro grido, il che richiama un capannello di gente, avida di vedere coi propri occhi quello che è successo. Mentre passo vicino al vicolo della rissa, noto che l’uomo grosso e prepotente è stato ammanettato e viene fatto entrare a forza nella macchina di pattuglia. Dal giovane coraggioso non c’è traccia. Me ne vado, immaginando che ancora una volta la rissa da bar è finita in tragedia.
L'immagine del ragazzo è ancora dentro di me, il ricordo della sua voce mi pulsa nei timpani come coniata da un angelo. Capisco che la mia è una blasfemia più grande delle imprecazioni dell’ uomo coi tatuaggi. Prego con ardore, mentre torno a casa.
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La signora Salomè continua a spazzare il pavimento senza curarsi di me, e sotto lo sguardo vigile di Tomas. Si è abituata ormai alla mia presenza sul divano, alla mia consueta prostrazione che mi spinge a strane smorfie, che lei non aveva mai visto prima. A volte mi rendo conto che forse sono io ormai assuefatto alla sua ombra che si muove per la casa. Mi annoio e vado in camera mia.
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La musica mi scivola nel profondo dell’anima e vi si rifugia dentro, con la sua alchimia melodica. Chiudo gli occhi ed entro in un altro mondo più piacevole, in un luogo costellato di gioie infinite, in un paradiso fatto di fiori, tulipani, dalie, agerati, crisantemi, orchidee, gigli, dove perdersi è una benedizione. È l'unico modo per sfuggire al pensiero fragile e incessante che mi tormenta...
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Un accesso di tosse scuote il corpo del giovane. La forza, che comprime e rilascia violentemente il diaframma, emana dai polmoni e irrompe con asprezza scivolando grossolanamente attraverso la sua lingua, e poi alle corde vocali, che trasformano l'impulso in un suono rauco e oscuro. La tosse si materializza nel muco schiumoso che gli attraversa la gola e che egli sputa con violenza fino alla finestra, e da lì nel giardino. Il ragazzo tossisce a lungo, con brevi pause che gli permettono a malapena di respirare e di attenuare il forte dolore alla gola. Nel contempo, l'abbaiare impetuoso di Tomas risuona per l'intera casa, malgrado egli si trovi nel cortile, e mi dico che forse ha trovato davvero qualche insetto strisciante o qualche animaletto nascosto. O forse è l’ennesima fantasia dei suoi vecchi sensi.
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Lo squillo imperioso del telefono rompe il silenzio, e poi odo i passi frettolosi della signora Salomè che si precipitano giù per le scale, scivolano di corsa sulle piastrelle del pavimento e finalmente giungono a destinazione, come arguisco dal rumore del ricevitore che viene sollevato. In seguito, il tintinnio delle posate sulla tavola apparecchiata raggiunge le orecchie di Tomas, organi stanchi ma sicuramente più svegli del suo olfatto quasi perduto. Ma forse lui è venuto in cucina perché ha sentito l’odore del pesce.
Il ragazzo riposa. Mastico con cura il mio cibo. Quel gusto fresco di mare mi delizia il palato, ma poi mi sento una spina tra i denti e l’incanto svanisce… La signora Salomè sparecchia la tavola. Mi avverte, in modo molto formale, che oggi deve andare a casa prima a causa di un problema domestico, e che non verrà per un paio di giorni. Annuisco col capo, senza parlare.
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Apro il trittico, dopo aver analizzato con minuzia l’immagine della Fine del Mondo. Lo sguardo mi cade sul lato destro, pieno di illustrazioni complesse. L'inferno è davvero un posto così pieno di grida? mi chiedo. È forse un urlo infinito che esplode nel cervello e nelle viscere e ci spinge a fare i conti con i nostri peccati? Oppure questi strumenti musicali raffigurati nel dipinto sono muti, e il silenzio infernale è la vera punizione degli eretici? L'inferno non è il dolce ululato del silenzio, questo è certo, ma un torrente di grida disperate che si levano per piegare l'anima. Ecco perché quest’anima perduta è incastrata nelle corde dell'arpa, ed ecco il motivo per cui quest’altra viene inglobata nel liuto gigante.
Allora, mi soffermo sui miei peccati. Scruto questo triste sodomita impalato da un flauto come emblema di una lunga stirpe di peccatori, ed è come se avessi sentito in me il loro tormento, come se in qualche maniera oscura il dolore immaginario di queste anime in pena si fosse incarnato nel mio intestino perverso e mi ricordasse l'orrore del mio peccato. Contemplo l'uomo che si abbraccia a un maiale con in testa un velo di monaca, ed è come se l’artista avesse ritratto me, poiché sento il feticcio degli osceni sussurri ruminarmi accanto e riversarsi dentro la mia carne. Chiudo con orrore le porte di questo terribile mondo spirituale e subito ritorno nel mondo reale, che mi rimanda l’immagine di un universo terreno ancora più mostruoso. Sei pieno di peccato, mondo. Proteggici, Dio. Salvami, Dio. E poi mi preparo per la messa.
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Ave, Maria piena di Grazia.
“Ho peccato, padre”.
“ Dimmi i tuoi peccati, figlia”.
“Ho avuto pensieri di lussuria. Ieri sera l'ho visto mezzo nudo e ho desiderato il suo corpo, lo bramavo con una voglia matta. È un peccato molto grave, padre?”
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Il prete ascolta e reprime un sospiro di complicità. È la solita storia di ogni peccatore, cambia solo per qualche leggera sfumatura. Si chiama Desiderio. Il desiderio peccaminoso e ripugnante.
Padre Misael, alla fine di ogni confessione, che lui giudica con rigore e clemenza, e dopo aver confortato la pecorella con dolcezza, come sta facendo in questo momento, e dopo avere scavato a fondo nella pochezza dell’anima che si concede a Dio, e dopo averla ricongiunta al Signore, recita le preghiere canoniche a Dio Padre misericordioso, che ha riaperto le porte del Paradiso al mondo mediante la morte e risurrezione di suo Figlio e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati.
“Oh Signore, per merito della sua parola, e per il mistero della Nostra madre Chiesa, concedici perdono e pace. Io ti assolvo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
E nel confessionale si alza un Amen denso di sollievo.
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Mi metto seduto dietro la testata del letto e stringo la bottiglia di acqua di colonia con cui mi disinfetto le mani. Ne ho spruzzato un po’ sul viso del ragazzo e mi sembra di percepire un battito di ciglia, subito soffocato dalla febbre alta. Il ragazzo scotta. Certo, ma sono convinto che bruci per altri motivi. Dormi figlio, mi prenderò io cura di te.
La mattina dopo mi alzo, e noto che le medicine hanno fatto il loro lavoro. Mi strofino ancora una volta le mani col disinfettante e mi lavo i piedi con del bagnoschiuma.. Mi sento più ottimista del giorno prima.
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Loda l'acqua santa della tuberosa che si è diffusa sul tuo corpo. Riposa, che domani ti alzi e cammini.
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Deliro, da quando ho osservato da vicino il volto della bestia, e questo può succedere solo nei sogni. Dev’essere la febbre. La sua melma inonda il mio corpo. Sento il fetore del suo alito e non ho la forza di urlare, solo il coraggio di sputare sul suo viso, e non con la saliva, ma con uno sguardo di disgusto e orrore. Piango, come è normale nei momenti di orrore, e imploro il Cielo, come fa un normale credente. Ricaccia la bestia nell'inferno, Signore! Proteggimi. Abbi cura di me, Signore. Sii il mio rifugio. Tu, Signore, sei il mio pastore. Con te non mi mancherà nulla. Niente e nessuno potrà farmi del male.
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Il giovane finalmente dorme, questa volta senza incubi, per la prima volta dopo lo scoppio della febbre. Il sacerdote, nella sua stanza, sta per cambiare l’abito talare con un abito da casa. Si spoglia e contempla il suo corpo davanti allo specchio. I peli convergono nel pube come un mulinello proveniente dalle cosce e dall'ombelico, e circondano il bacino raggiungendo la base del pene, che gradualmente, si alza in una potente erezione. “Liberami dal peccato, Signore! —implora lui, senza successo—. Il desiderio della carne è più grande della mia capacità di astinenza!” Ma, improvvisamente, si sente invaso da un impulso, da una tempesta innaturale che allarga il suo petto in segno di soddisfazione e deprime il flusso di sangue che la natura ha spinto verso il suo pene. Grazie a Dio! Indossa il pigiama e s’inginocchia ai piedi del letto.
“Grazie, Dio! —mormora dentro di sé, con le lacrime agli occhi—. Oggi i miei occhi riposeranno sereni”.
Le sue orecchie sono tese nel profondo silenzio della notte tranquilla. Dio sembra averlo ascoltato. Almeno questo è ciò a cui padre Misael si ostina a credere.