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ACQUA

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VORREI? FORSE MI FAREI UN BAGNO DENTRO DI TE. Scorrerei al ritmo delle tue onde, mi lascerei trascinare dalle tue correnti, naufragherei negli idrati del tuo ventre, ancorerei sulle rive delle tue isole, sorseggerei i tuoi liquidi e berrei dagli affluenti delle tue labbra del sud. Ma lo farei davvero? Dalle nuvole cadrebbero, in una pioggerella prodigiosa, alghe e ninfee, gigli e loto, e la carne impregnata del nostro verde acquatico si ritroverebbe. Ma non sarebbe così, perché sarei sopraffatto dalla forza della tua timidezza. Il tuo silenzio sarebbe un canto di sirena invocato dalla sorgente. Perché la tua arte sarebbe liquida, sarebbe innaffiata dal ruscello e mostrerebbe il tuo intimo silenzioso, il mistero di quella prudenza così tua che mi inciterebbe alla disperazione e all'agonia consumata. Saresti la naiade furtiva, la piccola onda riservata che veglierebbe sulla mia saliva come l'estuario che custodisce la tranquillità dell'alosa.

Tu saresti… tu saresti… tu saresti… il condizionale tradisce la mia incapacità di salire a bordo. Il mio esplicito rifiuto di trasferire la freddezza del tuo sguardo in un conflitto reale. Perché a pensarci bene, tutta questa storia sarebbe la conferma di un acquazzone che si trasformerebbe pazientemente in neve: con la grandine che sarebbero le tue braccia impaurite, con la brina che sarebbero le tue gambe timorose, con il gelo che sarebbero i tuoi capelli sottili. E come sempre, inizieresti a rendere omaggio a Borea o al tuo sesso pallido e silenzioso, che sarebbe lo stesso. Calmeresti la tempesta, placheresti il diluvio del desiderio con i pensieri provenienti da quell'interiorità che ti reclamerebbe; domeresti la tempesta che si sforzerebbe di rovesciare i tuoi scrupoli, il diluvio malsano di estasi interiore che alimenterebbe l'inondazione dei tuoi abissi. Domare le tempeste. Con la tua rilassatezza calmeresti i ruscelli dei miei occhi che, terrorizzati, non potrebbero nemmeno guardarti, perché non saremmo più due cuori deboli in attesa che i nostri messaggi si frantumino in un'umida esitazione, e tracimeremmo nel torrente delle nostre cascate addomesticate. La leggerezza dei tuoi acquazzoni avrebbe la virtù di scoprire vecchie lacune che cospargerebbero di frugalità gli istinti più deboli.

In quel momento sarei consapevole che lo farei. Ti farebbe crescere i vuoti nei tuoi involucri. Finirei per cadere nel paradosso dei vostri tsunami: perché se lo dicessi, sarebbe la verità e poi (oh, crudele dio delle parole e dei mari!) questo non accadrebbe mai.

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