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CAPITOLO CINQUE

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16 agosto

7:15

Diga di Black Rock, Great Smoky Mountains, Carolina del Nord

Dal finestrino di Luke nulla sembrava fuori dall’ordinario mentre l’elicottero nero lucido volava basso sulla diga. Avevano superato il lago Black Rock, che era lungo, ondulato e pittoresco, confinante su tutti i lati con i versanti verde intenso, selvaggi e scoscesi delle colline. Una stretta carreggiata attraversava la cima della diga. La superarono, e la diga stessa si perse cinquanta piani più giù verso la centrale elettrica e le saracinesche. Queste sembravano operare normalmente, ne usciva da sotto un piccolo gocciolio di acqua. Circa un quarto di miglio di trasformatori di elettricità, una ragnatela di torri di acciaio e cavi dell’alta tensione, si diramava dalla diga. Sembravano intatti.

“Non c’è granché da vedere,” disse nelle cuffie.

Alla sua sinistra c’era il grosso Ed Newsam, che fissava fuori dal finestrino sul lato opposto. L’anca rotta di Ed era stata aggiustata, e sembrava che si fosse dato da fare in sala pesi. Le sue braccia da pitone erano più gonfie di quanto ricordasse Luke, il petto e le spalle erano ancora più larghi, le gambe ancor più simili a querce. Indossava i jeans, stivali da lavoro e una semplice t-shirt azzurra.

Nella fila dietro di loro c’era Mark Swann. Era lungo e snello, le gambe fasciate dai blue jeans sporgevano nella corsia, le sneakers Chuck Taylor a motivo a scacchi si incrociavano all’altezza delle caviglie di fronte a Luke. I capelli biondo rossiccio erano più lunghi di prima, ora legati in una coda di cavallo, e aveva sostituito gli occhiali da aviatore con quelli rotondi alla John Lennon nel corso degli ultimi due mesi. Indossava una t-shirt nera con il logo del gruppo punk rock dei Ramones. Gli uffici dell’NSA dovevano dare un bello spettacolino di moda.

“Le acque escono dalle saracinesche proprio come dovrebbero fare,” disse il pilota dell’elicottero. Era un uomo di mezz’età che indossava una giacca nera di nylon con le lettere maiuscole FEMA scritte in bianco sulla schiena. “Non ci sono stati danni né alla diga né alle strutture della diga, e non ci sono state vittime tra il personale. L’unica cosa che è successa qui è che la strada di accesso è stata spazzata via. L’azione vera comincia circa tre miglia a sud.”

Avevano volato su un jet dei servizi segreti da Washington DC fino a un piccolo aeroporto municipale sull’orlo del parco nazionale. Erano arrivati appena prima dell’alba, e questo elicottero li stava aspettando. Non avevano parlato molto durante il viaggio. L’umore era tetro, date le circostanze, e normalmente avrebbe parlato più che altro Trudy Wellington, in quanto agente addetta alle informazioni. Susan aveva offerto a Luke un altro agente, ma Luke aveva rifiutato. Stavano andando lì per lavorarsi un prigioniero, comunque. Poteva darle lui, tutte le informazioni di cui avevano bisogno.

Luke percepì che sentivano tutti la mancanza di Trudy e una certa dose di shock per la sua situazione. Percepì anche, o così pensò, che entrambi i ragazzi fossero andati avanti con le loro vite. Nuovi compiti, nuovo addestramento, nuovi compagni di squadra e nuovi colleghi, nuove sfide a cui guardare. Molto poteva cambiare in due mesi.

Lo Special Response Team non c’era più. Luke avrebbe potuto scegliere di salvarlo in una forma o in un’altra – dopo il tentato colpo di stato e l’attentato col virus Ebola poteva dettare lui le regole e riprenderseli tutti con sé – ma invece aveva scelto di non farlo. Adesso l’SRT era roba vecchia, e così era Luke. Era andato in pensione, e quella era una cosa. Ma era anche scomparso, e non aveva fatto molti sforzi per mantenere i contatti. La coesione di squadra era una grossa parte del lavoro dell’intelligence e delle operazioni speciali. Senza contatto non c’era coesione.

Il che significava che, in quel momento, non c’era squadra.

L’elicottero si inclinò e puntò a sud. Quasi immediatamente la devastazione fu chiara. L’intera area sotto la diga era inondata. Grossi alberi erano stati sradicati dappertutto ed erano stati sbattuti qua e là come stecchi di fiammiferi. In pochi minuti raggiunsero il sito dell’ex resort Black Rock. Parti del piano superiore dell’edificio principale erano ancora intatte, a ergersi sopra le acque. Delle automobili erano accatastate contro l’hotel distrutto, insieme ad altri alberi, alcuni dei quali si allungavano al di sopra dell’acqua in braccia puntate al cielo, come religiosi convertiti che implorano Dio di un miracolo.

L’effetto delle auto e degli alberi e delle varie pile di detriti galleggianti era la costruzione di una mini diga, dietro la quale si era formato un ampio lago. C’erano circa una dozzina di Zodiac parcheggiate sul lago, con squadre di sommozzatori in piena mise da immersione che si preparavano a tuffarsi o a scavalcare, a seconda della barca.

“Hanno trovato sopravvissuti qui?” disse Luke.

Il pilota scosse la testa. “Neanche uno. Almeno così hanno detto stamattina. Hanno trovato un centinaio di corpi nella caffetteria del resort, però. Li stanno portando su uno a uno. Penso che non abbiano ancora cominciato l’ispezione stanza per stanza. Potrebbero addirittura aspettare che l’acqua si ritiri prima di farlo. Spostarsi tra i corridoi sott’acqua è un lavoro pericoloso, e probabilmente inutile. Non c’è nessuno di vivo là sotto.”

Ed Newsam, che se n’era rimasto spaparanzato col suo solito modo spensierato, si mosse sul sedile e si mise appena un po’ più dritto. “Come lo sai, bello? Potrebbero esserci delle sacche d’aria sotto quell’acqua. Laggiù potrebbe esserci della gente che tiene duro per i soccorsi.”

“Hanno un equipaggiamento per l’ascolto subacqueo su quelle barche,” disse il pilota. “Se c’è qualcuno di vivo sotto a quell’acqua, non ha fiatato per tutto ieri e per tutta stanotte.”

“Anche così, se a capo ci sono io faccio passare ai miei migliori sommozzatori stanza per stanza subito. Sappiamo già che la gente della caffetteria è morta. E i sommozzatori ci hanno messo una firma, sul pericolo. I civili no.”

Il pilota fece spallucce. “Be’, figliolo, lavorano più veloce che possono.”

L’elicottero andò ancora più a sud. L’inondazione si era ritagliata un passaggio attraverso la valle, scavando un sentiero attraverso il bosco. Sembrava che un gigante si fosse aperto a forza una via. C’era acqua ovunque. Ovunque fosse il letto originale del fiume, era perso sotto tutta quell’acqua.

Superarono la città di Sargent, ancora più di un metro sotto l’acqua. La devastazione lì non era totale come prima. C’erano un sacco di punti vuoti dove Luke presunse dovessero esserci state delle case, ma altre case, edifici e insegne di fast food spuntavano dall’acqua come dita. L’elicottero sorvolò un edificio in calcestruzzo con una catasta di macchine e SUV impilata contro di esso. AUTO DI SECONDA MANO DI ABE L’ONESTO, diceva un’insegna ficcata per metà nell’acqua. Una delle travi di supporto era collassata.

“Quanti morti qui?” disse Luke.

“Cinquecento,” disse il pilota. “Più gli spiccioli. Altri cento o più i dispersi. Era mattina presto, e non c’è stato un gran preavviso. Molta gente è stata spazzata via in casa. Dormi nel tuo letto e l’allarme antiaereo della guerra fredda parte e tu che fai? Alcuni pare che siano andati di sotto nei seminterrati. Non c’è nessun posto dove andare quando arriva un’inondazione.”

“Nessuno si aspettava che la diga si rompesse?” disse Swann. Era la prima cosa che diceva da quando erano saliti in elicottero.

Il pilota era impegnato con i controlli. “Perché avrebbero dovuto? La diga non si è rotta. Quella diga è stata costruita per durare mille anni.”

“Okay,” disse Luke. “Ho visto abbastanza. Andiamo a parlare col prigioniero.”


*


8:30

Foresta nazionale di Chattahoochee, Georgia


Il campo apparve fuori dalla profonda foresta come una specie di strano miraggio.

“Carino, eh,” disse Ed Newsam.

Si trovava su una perfetta piazzola, un miglio per un miglio, un quadrato marrone e grigio tra tutto il verde scuro. Mentre l’elicottero si avvicinava Luke riuscì a scorgere decine di baracche, file e file di esse, e un’ampia cisterna quadrata di acqua al centro del campo. Dei fabbricati annessi circondavano la cisterna, e una passerella d’acciaio la attraversava.

L’elicottero cominciò la discesa, e Luke vide l’eliporto avvicinarsi. Si trovava in una zona nell’angolo occidentale del campo, con alcuni grossi edifici dell’amministrazione, una piscina e un paio di parcheggi. Adesso riuscì a vedere chiaramente i cortili di cemento, una strada d’accesso, delle vie all’interno dell’accampamento, e un muro sovrastato da filo spinato e torrette di guardia attorno al perimetro. Quel luogo era una ferita aperta nel mezzo della foresta circostante.

“Cos’è questo posto?” disse Luke nelle cuffie.

Il pilota dell’elicottero era impegnato ai comandi, ma non tanto da non parlare. “Ho sentito dire che lo chiamano Campo Enduring Freedom,” disse. “La gente di qui tende a chiamarlo Campo Nulla. È uno dei nostri. Ente federale per la gestione delle emergenze. Non si trova su nessuna mappa. Immagino che non abbia un nome ufficiale.”

“Esiste?” disse Luke.

L’elicottero adesso volava basso, i foschi edifici grigi del campo si innalzavano attorno a loro. Luke notò del vetro rinforzato da cavi d’acciaio sugli edifici più vicini.

Il pilota scosse la testa. “Che cosa esiste? Questa è una landa selvaggia e disabitata. Non c’è niente qua fuori per quanto ne so.”

Un segnalatore con una canotta gialla addosso e una bacchetta arancione brillante in mano era a lato dell’eliporto e guidava il pilota nell’atterraggio. Il pilota posò quell’uccellaccio perfettamente nel mezzo dell’eliporto. Spense il motore e le pale cominciarono subito a rallentare. Ci fu un gemito quando si spensero.

“Quando vedete quel cinese,” disse il pilota, “dategli un paio di colpi da parte mia.”

“Non facciamo queste cose,” disse Luke.

Il pilota si voltò e sorrise. “Certo che no. Figliolo, trasporto gente dentro e fuori da posti così continuamente. Capisco chi fa cosa solo con un’occhiata, credimi. Un’occhiatina a voialtri e so che hanno deciso di alzare il riscaldamento di un paio di tacche.”

Lui, Swann e Ed uscirono dall’elicottero a teste chine. Un uomo li stava già aspettando sulla pista per accoglierli. Indossava un completo grigio e una cravatta azzurra. Aveva i capelli scompigliati dalle lente pale dell’elicottero. Il tessuto del vestito increspato. Le scarpe nere erano lucidate fino a scintillare. Sembrava che fosse appena sceso da un treno per pendolari di Manhattan. Era più fuori posto lì di quanto un uomo avrebbe mai potuto essere.

A mano a mano che Luke si avvicinava, il viso dell’uomo prese forma. Sembrava senza età – non vecchio, non giovane, nel mezzo da qualche parte. Allungò una mano. Luke gliela strinse.

“Agente Stone? Io sono Pete Winn. Mi hanno detto che l’ha mandata la presidente. Grazie di essere venuto a trovarci.”

“Grazie, Pete. Chiamami Luke, per favore.”

Luke, Ed e Swann seguirono Pete Winn lontano dall’elicottero verso un riparo di lamiera ondulata di alluminio sul margine dell’eliporto. Persino l’eliporto era circondato da una recinzione spinata. L’unico modo per entrarne o uscirne era passare attraverso quell’edificio. Le porte erano azionate da fotocellule. Si aprirono automaticamente quando gli uomini vi si avvicinarono.

“Che cos’è questo posto?” disse Luke.

“Questo?” disse Winn. “Vuoi dire il campo?”

“Sì.”

“Ah, be’, ti dirò la versione veloce. Fondamentalmente è un campo di detenzione. Abbiamo appena superato i duecentocinquanta detenuti al momento, inclusi più di settanta bambini. Per la maggior parte si tratta di stranieri illegali arrivati dal Messico e dall’America centrale le cui vite sarebbero a rischio per via dei cartelli della droga o delle gang se venissero rimandati a casa. Non è stato concesso loro l’asilo, perciò se ne restano qui con le loro famiglie fino a che l’Immigration and Naturalization Service non riesce a decidere che cosa farne. Il loro status è ufficialmente indeterminato. Nel frattempo, dato che questo posto è invisibile, le gang non hanno idea di dove siano.”

Attraversarono l’edificio rapidamente. Fondamentalmente era un ritrovo di controllori di volo, segnalatori per elicotteri e piloti. C’era qualche scrivania con sedie, un po’ di attrezzatura di monitoraggio radio e video, uno schermo radar, una macchinetta del caffè e una vecchia scatola di ciambelle stantie su una tavola.

“Quindi se ne stanno qui illimitatamente?” disse Swann.

“Be’, illimitatamente è molto tempo,” disse Winn. “La famiglia che ha trascorso più tempo con noi è qui da sette anni.”

Winn doveva aver visto gli sguardi sui loro visi.

“Non è male come sembra. Davvero. Tutti i bambini vanno a scuola cinque giorni la settimana. La scuola è proprio lì, sulla proprietà. Ci sono attività di arricchimento, inclusi due film in prima visione ogni weekend, trasmessi sia in inglese che in spagnolo. Ci sono il calcio e il basket, e gli adulti possono seguire corsi di lingua e formazione al lavoro, inclusa una formazione con carpentieri specialisti che portiamo qui.”

“Sembra fantastico,” disse Swann. “A voi dispiace se vengo a fare le vacanze qui?”

“Potresti rimanere sorpreso,” disse Winn. “Alla gente piace stare qui. È molto meglio che andare a casa a farsi uccidere.”

Un SUV nero li aspettava fuori dal rifugio. Mentre l’auto attraversava il campo, superarono un’altra recinzione sormontata da filo spinato. Una manciata di uomini sedeva su panchine dall’altra parte della recinzione. Quattro o cinque di loro erano bianchi. Un paio neri. Indossavano tutti tute giallo brillante. Fissarono attraverso la recinzione la macchina passare.

“Quelli lì non sembrano messicani,” disse Ed Newsam.

Il viso di Pete Winn cambiò. Prima era stato amichevole, magari persino un pochino nervoso di incontrare Luke e la sua squadra. Adesso sembrava più che altro sprezzante.

“No, non sono messicani,” disse. “Abbiamo anche dei nativi qui.”

“Si nascondono dai cartelli della droga?” disse Swann.

Winn fissava dritto avanti a sé. “Signori, sono sicuro che ci sono aspetti del vostro lavoro che non siete liberi di discutere. Lo stesso vale per me.”

Dopo qualche minuto avevano raggiunto il lato più lontano del campo rispetto all’eliporto e agli edifici amministrativi. La macchina si fermò. Non c’era nessuno in giro – nessun prigioniero, nessun operaio, proprio nessuno. Su uno sporadico spiazzo di terra se ne stava una piccola cabina.

Gli uomini uscirono. Lo spiazzo era un pezzo brullo di terra compatta. Qualsiasi senso dell’attività del campo, e della vita stessa, era lontanissimo da qui.

Pete Winn porse a Luke un mazzo di chiavi. C’era su solo una chiave. Winn adesso aveva un viso serio. Aveva gli occhi duri e freddi. I suoi modi avevano portato a termine il cambiamento drastico da quelli dell’incerto funzionario che li aveva accolti all’eliporto a qualsiasi cosa fosse adesso.

“L’esistenza di questa cabina è secretata. Ufficialmente non esiste, né esiste il prigioniero. La vostra visita qui non esiste. Il governo cinese non ha fatto indagini, ufficiali o clandestine, su dove si trovi l’uomo chiamato Li Quiangguo. Io ritengo che i cinesi abbiano agito come se non avessero nulla da nascondere né di cui preoccuparsi, e che abbiano anche offerto assistenza per trovare la fonte della violazione del sistema operativo della diga.”

Fece un cenno con la testa in direzione della cabina.

“Le pareti della cabina sono insonorizzate. La chiave apre un armadio con l’attrezzatura nella stanza sul retro. Se sentite di aver bisogno di un po’ di attrezzatura per facilitare l’interrogatorio, potete trovare ciò che vi serve là dentro.”

Luke annuì, ma non disse niente. Non gli piaceva l’insinuazione che tutte quelle persone parevano fare che fosse stato chiamato lì per torturare il prigioniero.

Aveva torturato della gente in passato? Immaginava di sì, a seconda della definizione della parola. Ma nessuno lo aveva mai chiamato in una situazione con l’idea che torturasse un sospetto. Se l’avessero fatto sarebbero stati piuttosto cretini – c’erano persone molto più esperte nella cosa di Luke. Quando l’aveva fatto in passato, era stato al volo e aveva improvvisato, quasi sempre perché il soggetto possedeva delle informazioni critiche che Luke doveva ottenere subito.

Pete Winn proseguì, ma adesso i suoi modi erano più rilassati, e le sue parole banali.

“Se vi serve qualcosa, pranzo, birra, cena, o se volete che la macchina vi riporti all’eliporto, prendete il telefono della cabina e premete zero. Vi manderemo quello che vi serve. Possiamo sistemarvi sulla base per la notte se volete, e fornirvi ogni genere di articoli per l’igiene personale o altro. Sapone, shampoo, rasoi elettrici – abbiamo tutto quanto. Possiamo anche fornirvi un cambio di vestiti, nei limiti del ragionevole.”

“Grazie,” disse Luke.

“Adesso vi lascio fare,” disse Winn. “Buona fortuna.”

Quando se ne fu andato, Luke si fermò fuori dalla cabina a parlare coi suoi. Montagne verdi torreggiavano attorno a loro oltre la recinzione del campo. Il campo sembrava costruito dentro a un bacino.

“Swann, quanti anni sei stato in Cina?”

“Sei.”

“In quale zona?”

“Dappertutto. Ho vissuto a Pechino più che altro, ma ho trascorso molto tempo a Shanghai e Chongqing, anche un pochino al sud, a Canton e Hong Kong.”

“Okay, voglio che guardi questo tipo con attenzione, che scorgi qualsiasi indicazione che puoi da lui. Tutto quanto. Di dove pensi che sia. Quanti anni ha. Il suo livello di istruzione. Il suo livello di conoscenza dei computer. È poi davvero cinese? La gente di Susan Hopkins mi ha detto che il tipo parla perfettamente inglese. Quante probabilità ci sono che sia nato qui negli Stati Uniti, o in Canada, o a Hong Kong? O da qualsiasi altra parte, in realtà. Ci sono cinesi dappertutto.”

Swann scosse la testa. “Se è un agente operativo, questa roba non la capirò. Sarà troppo bravo a nascondere le proprie origini.”

“Tira a indovinare,” disse Luke. “Non è un problema di matematica. Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Voglio solo sapere la tua impressione.”

Swann annuì. “Ricevuto.”

Adesso Luke lo guardò fisso. “Quanto sei schizzinoso?”

Non si era mai preoccupato prima della personalità di Swann, ma adesso gli era venuto in mente che Swann potesse essere un po’ l’anello debole, in materia.

“Schizzinoso? In che senso?”

“Io e Ed potremmo dover lavorare seriamente lì dentro.”

“Be’, datemi un segnale e andrò a farmi una passeggiata per questi bellissimi territori.”

“In questo caso, assicurati di fare ciao ai cecchini,” disse Ed Newsam.

A un centinaio di metri di distanza c’era una torre di guardia alta tre piani. Luke e Swann la guardarono. Nella torre c’era un uomo con un fucile che apparentemente li teneva sotto tiro. Da quella distanza sembrava che avesse il fucile puntato proprio su di loro, e che stesse guardando nel mirino.

“Può prenderci da lì?” disse Swann.

“Con gli occhi chiusi,” disse Luke.

“Si sta solo allenando, però,” disse Ed. “Allevia un po’ la noia.”

Entrarono.

*

L’uomo indossava una tuta giallo brillante. Sedeva su una sedia pieghevole di metallo nel mezzo di una stanza vuota. Era grande, con spalle ampie, braccia e gambe grosse e uno stomaco prominente.

Aveva un cappuccio nero sulla testa. Aveva i polsi ammanettati dietro la schiena. Le gambe ammanettate insieme all’altezza delle caviglie. Era chino in avanti, come se dormisse. Con il cappuccio sulla testa, era impossibile a dirsi.

Luke gli levò il cappuccio dalla testa. L’uomo si riscosse in apparente sorpresa, e si mise seduto dritto. Aveva i capelli nero lucido scompigliati – in alcuni punti se ne stavano alti a ciuffi, in altri appiattiti. Persino senza il cappuccio indossava ancora una mascherina – una di quelle che la gente si mette sul viso per dormire durante i lunghi viaggi aerei.

Sbadigliò, come risvegliandosi da un sonnellino pomeridiano.

“Li Quiangguo,” disse Luke. “Ni hui shuo yingyu ma?”

In cinese mandarino, le suo parole tradotte erano Parli inglese?

L’uomo fece un gran sorriso. “Chiamami Johnny,” disse. “Per favore. È il nome che uso qui in Occidente. E parliamo inglese. Rende le cose più facili per tutti, soprattutto per me.”

L’inglese dell’uomo era la versione americana, sicuramente, ma senza accento né intonazione regionale di qualsiasi tipo. Luke avrebbe potuto dire che sembrava che venisse dal Midwest. Ma in realtà sembrava che non venisse da nessuna parte. Poteva anche essere stato sparato giù da un’astronave con un raggio laser.

“Perché ti è più facile?” disse Luke.

“Mi è più facile nelle orecchie. Vuol dire che così non sono costretto a sentire persone come te massacrare la bellissima lingua cinese.”

Adesso sorrise Luke. “Dimmi, Li. Perché non ti sei ucciso quando ne hai avuto l’opportunità?”

Li fece una faccia di sorpresa esagerata, persino di disgusto. “Perché avrei dovuto? L’America mi piace. E finora sono stato trattato piuttosto bene.”

Era una cosa interessante da dire, considerando che veniva da un uomo che era rimasto ammanettato a una sedia di metallo tutta la notte, con un cappuccio nero e una benda sugli occhi, in un centro di detenzione che non esisteva, e con nessun modo di contattare il mondo esterno. Tecnicamente non era in arresto, e non aveva visto un avvocato. Molte persone avrebbero potuto non essere d’accordo sul fatto che la sua disposizione costituisse un buon trattamento. Alcune avrebbero potuto dire che era scomparso. Sì, non era stato torturato, ma per la maggior parte delle persone la mancanza di tortura era un limite bassino.

Li sembrò quasi leggere nella mente di Luke. “Stamattina ho sentito gli uccellini cinguettare, fuori. È stato così che ho capito che era un nuovo giorno.”

Luke allungò una mano e gli levò la mascherina per gli occhi. “Uccellini all’alba. Molto carino. Sono contento di sentire che finora ti sei divertito. Purtroppo le cose stanno per cambiare.”

“Ah.” Gli occhi dell’uomo si strizzarono all’improvvisa luce. Scrutò la stanza, esaminò Swann e Ed Newsam. Gli occhi gli si fermarono su Ed.

Ed era appoggiato a una parete. Sembrava molto rilassato, e allo stesso tempo minaccioso. Il suo corpo si muoveva appena. C’era così tanta energia potenziale immagazzinata dentro di esso che Ed era come una tempesta sul punto di abbattersi. I suoi occhi non lasciarono mai gli occhi del cinese.

“Vedo,” disse Li.

Luke annuì. “Sì. Vedi.”

Li indurì il volto. “Sono un turista. È tutta una questione di scambio di identità.”

“Se sei un turista,” disse Ed, “magari ti andrebbe di darci i nomi e le informazioni di contatto della tua famiglia, in modo che possiamo farle sapere dove sei. Sai, per dirle che stai bene.”

Li scosse la testa. “Vorrei contattare l’ambasciata cinese.”

“I nostri superiori l’hanno già fatto per te,” disse Luke. Non era vero, per quanto ne sapesse. Aveva cominciato a sbilanciarsi di un centimetro, ma di un centimetro che sapeva avrebbe retto il suo peso.

“È stata una conversazione non ufficiale, come puoi immaginare, data la sensibilità della situazione,” disse. “Potrebbe turbarti sapere che il governo cinese dice che tu non sei reale. Non ci sono registri scolastici, lavorativi, nessuna città natale né storia familiare. Hanno visto una scansione del tuo passaporto, e hanno determinato che si tratta di una furba contraffazione.”

Li fissava dritto avanti a sé. Non rispose.

Luke estese il momento. Non c’era ragione di riempirlo con altre chiacchiere. Aveva visto soggetti spezzarsi non appena compreso che i loro responsabili li avevano disconosciuti. Spezzarsi non era neanche la parola giusta. A volte, quando si scoprivano improvvisamente privi di Paese, cambiavano semplicemente bandiera.

“Li, mi hai sentito? Non ti proteggeranno. Non te la caverai. Non hai preso la tua pillola quando avresti potuto farlo, e adesso sei qui. Non c’è via d’uscita. Per quanto riguarda i tuoi, tu non esisti, e non sei mai esistito. L’edificio in cui ti trovi adesso non esiste. Potresti finire ammucchiato in un cilindro da duecento litri nel fondo dell’oceano, o in un fosso poco profondo nella landa desolata, con i corvi a mangiarti gli occhi… Non importerà a nessuno. Non lo saprà nemmeno nessuno.”

L’uomo ancora non diceva una parola. Continuava solo a fissare davanti a sé.

“Li, che cosa sai della diga di Black Rock, e come si sono aperte le saracinesche?”

“Non ne so niente.”

Luke aspettò pochi istanti, poi proseguì. “Okay, lascia che ti dica cosa so io. Secondo le ultime cifre, sono morte più di mille persone. Hai idea di quanto la cosa mi faccia arrabbiare? Mi fa venir voglia di vendicare le loro morti. Mi fa venir voglia di trovare un capro espiatorio, e di fargliela pagare personalmente. Tu sei un capro espiatorio efficace, non è vero, Li? Un uomo di cui a nessuno importa, che nessuno ricorda, e di cui nessuno sentirà la mancanza. Ti dirò un’altra cosa. Lo so che sei stato addestrato a resistere agli interrogatori. Questo mi rende solo più felice. Vuol dire che posso prendermi tutto il tempo che voglio. Possiamo stare qui giorni, o addirittura settimane. Abbiamo della gente che sta lavorando al problema della diga. Capiranno loro cos’è successo. Non ci serve qualsiasi patetica informazione che potresti avere tu. Io non la voglio neanche, a essere sincero. Voglio solo farti del male. Più te ne stai seduto lì, più ne ho voglia.”

Adesso Luke si piegò sulle cosce vicino al viso di Li. Stava a pochi centimetri di distanza, così vicino da esalargli il fiato sulle guance. “Ci conosceremo piuttosto bene qui dentro, okay, Li? Alla fine saprò tutto di te.”

Luke guardò Swann. Swann era in un angolo vicino alla finestra con le sbarre di acciaio. Non aveva detto una parola da quando erano entrati. Guardava fuori l’agglomerato di cemento e le verdi colline lussureggianti che lo circondavano. Swann era un analista, un tipo da dati. Luke immaginava che potesse anche non aver mai pensato a come quei dati a volte venivano estratti. Le minacce di morte erano solo l’inizio.

“Li, ti sta parlando,” disse Ed.

Li allora riuscì a sorridere. Era un sorriso malaticcio, e non aveva traccia di humor. “Per favore,” disse. “Chiamami Johnny.”

* * *

Passò un’ora. Luke e Ed avevano fatto i turni per parlare con Li, ma senza risultato effettivo. Anzi, Li si stava facendo più sicuro. Evidentemente aveva deciso che più di qualche duro ceffone di Ed non avrebbe avuto.

Adesso Luke guardava di nuovo Swann.

“Okay, Swann,” disse. “Questo è un buon momento per fare quella passeggiata per il campo.”

Qualche minuto prima, Luke aveva aperto l’armadietto con la chiave che gli aveva dato Pete Winn. L’armadietto era più un ripostiglio che un vero e proprio armadietto. Dentro c’era un tavolo pieghevole, una specie di asse da stiro ma più larga e più bassa e molto più robusta. Era lunga circa due metri e larga uno e venti.

Quando Luke e Ed la aprirono, la tavola aveva un’inclinazione evidente. Sul lato più alto c’erano delle manette per le caviglie del soggetto. Nel mezzo c’erano cinghie in pelle per legare i polsi del soggetto, e una cinghia grande nel centro per la vita. Sul lato più basso c’era un anello di metallo per assicurare la testa del soggetto al tavolo.

Era una piattaforma per la tortura della goccia.

Quando estrassero la tavola, Li si agitò visibilmente. Capì subito di che cosa si trattasse. Ovvio che lo capì subito. Era un agente dell’intelligence, operativo sul campo, e tutti loro l’avevano vista durante l’addestramento. Americani, cinesi, chiunque. Luke aveva guardato una dimostrazione live della tecnica, una volta. Un incallito agente della CIA, un uomo che era arrivato all’agenzia dai Navy SEAL, che era stato presente in numerosi hotspot del Paese, era il soggetto del test.

Come avevano fatto a convincere quell’uomo a proporsi come volontario era una cosa che Luke non aveva mai scoperto. Magari aveva avuto un bonus. Doveva essere un bonus bello grosso. L’agente sembrava rilassato prima della dimostrazione. Rideva e scherzava con i suoi futuri torturatori. Una volta cominciata la procedura, si era trasformato istantaneamente. Era durato ventiquattro secondi prima di usare la parola di sicurezza per farla finire. L’avevano cronometrato.

“Dovete sapere che va contro le convenzioni di Ginevra,” disse Li, la voce che gli tremava un pochino. “Va contro…”

“L’ultima volta che ho controllato, non eravamo a Ginevra,” disse Luke. “Anzi, non siamo da nessuna parte. Come ho detto prima, questo edificio non esiste, così come non esiste nessuno di nome Li Quiangguo.”

Luke si impegnò con gli altri attrezzi che aveva preso dall’armadietto. Includevano due grandi annaffiatoi, come quelli che una cara vecchietta userebbe per dar l’acqua al giardino. C’erano anche delle sicure per le manette e le cinghie di pelle della tavola. E infine c’era un numero di pesanti teli di media grandezza e un rotolo di cellophane. Se i teli non avessero funzionato, sarebbero sempre potuti passare al cellophane. Luke sapeva che la CIA non perdeva tempo con i teli.

“Bello,” disse Ed. “Non faccio cose del genere dall’Afghanistan. Sono passati almeno cinque anni.”

“Allora la tua esperienza è più recente della mia,” disse Luke. “Perciò lasceremo a te l’onore. Com’è stato quando l’hai fatto?”

Ed fece spallucce. “Spaventoso. Ce ne sono morti un paio. Non è come gli altri metodi che ho visto. Puoi folgorare persone tutto il giorno, finché la corrente è giusta. Fa male, ma non li uccide. Con questo la gente muore davvero. Affogano. Hanno dei danni cerebrali. Hanno arresti cardiaci. Questo è reale.”

“Sentite,” disse Li. Adesso gli tremava tutto il corpo. “Il waterboarding va contro qualsiasi diritto bellico. È riconosciuto come tortura da ogni corpo internazionale. Violerete i diritti umani.”

“Bello, all’improvviso sei tutto regole e norme,” disse Ed. “Per come la vedo io, uno che annega deliberatamente migliaia di persone non è umano. Direi che hai rinunciato ai tuoi diritti umani.”

“Ragazzi,” disse Swann. “Questa cosa non mi piace.”

Luke lo guardò. “Swann, ti avevo detto che era un buon momento per andartene. Prenditi una ventina di minuti. Dovrebbero bastare.”

Swann si fece rosso in viso. “Luke, tutto ciò che ho letto dice che questa cosa non ti darà neanche delle informazioni decenti. Mentirà per farti smettere.”

Luke non ricordava una singola volta in cui Swann avesse messo in discussione le sue azioni, prima. Sarebbe stato curioso di sapere se Swann stesse mettendo in discussione le sue azioni adesso. Comunque, scosse la testa.

“Swann, non puoi credere a tutto ciò che leggi. Ho visto questa cosa far ottenere fattibili e accurate informazioni nel giro di minuti. E dato che il signor Li è nostro ospite qui, saremo in grado di verificare rapidamente ogni affermazione che farà. Possiamo anche rivedere quelle affermazioni con lui se si scopre che sono errate. La verità è che non vogliono che si faccia questa cosa perché, come Li ha accuratamente indicato, è qualificata come tortura. Però funziona, e nelle circostanze giuste funziona molto, molto bene.”

Luke fece un cenno alla stanza vuota. “E queste sono le circostanze giuste.”

Swann adesso lo fissava. “Luke…”

Luke sollevò una mano. “Swann. Fuori. Per piacere.” Indicò la porta.

Swann scosse la testa. Aveva il viso molto rosso adesso. Sembrava sul punto di tremare lui stesso. “Perché mi hai chiamato per questa roba?” disse. “Non lavoro più per l’FBI, e neanche tu.”

Luke quasi sorrise. Non sapeva come si sentisse davvero Swann, ma non avrebbe potuto reagire meglio neanche avesse avuto un copione sotto al naso. Il poliziotto buono, e il poliziotto cattivo sotto steroidi.

“Entro la fine della giornata avrò bisogno delle tue competenze,” disse Luke. “Ma non per questo. Adesso fatti un giro. Per piacere. E nota quanto sono stato educato finora. Entro un minuto perderò la calma.”

“Presenterò reclamo formale,” disse Swann.

“Fallo, dai. Lo sai per chi lavoro. Il tuo reclamo se ne andrò dritto al trita documenti. Cadrà dritto nel buco della memoria. Ma fallo lo stesso, come esercizio intellettuale.”

“Ho in programma di farlo,” disse Swann. Con quello, uscì dalla porta. La tirò alle sue spalle, ma senza sbatterla.

Luke sospirò. Guardò Ed. “Ed, puoi per favore riempire quegli annaffiatoi al lavandino della cucina? Ci serviranno tra un attimo.”

Ed fece un sorriso diabolico. “Con piacere.”

Sollevò gli annaffiatoi guardando Li. Mostrò a Li la folle occhiataccia da gigante che a volte usava con le persone. Era uno sguardo che dava i brividi anche a Luke. Faceva sembrare Ed psicotico. Lo faceva sembrare come un uomo che trovava piacevole il sadismo. Luke non era sicuro dell’origine di quello sguardo, né di cosa significasse. Non lo voleva proprio sapere.

“Fratello,” disse Ed a Li. “La tua giornata sta per diventare molto più lunga.”

Mentre Ed trafficava nella minuscola cucina della cabina, Luke osservò bene Li. L’uomo adesso tremava di brutto. Tutto il corpo vibrava come se gli passasse attraverso della corrente elettrica a basso voltaggio. Gli occhi gli si erano fatti grandi e spaventati.

“L’hai già visto fare, vero?” disse Luke.

Li annuì. “Sì.”

“Su prigionieri?”

“Sì.”

“È brutto,” disse Luke. “Molto brutto. Nessuno resiste.”

“Lo so,” disse Li.

Luke guardò la cucina. Ed stava prendendo tempo di là. “E Ed… devi sapere com’è. Queste cose gli piacciono.”

Li non disse nulla in proposito. Il viso gli si fece rosso acceso, e poi gradualmente passò al rosso scuro. Sembrava che dentro di lui fosse in corso un’esplosione, e che stesse cercando di contenerla. Strinse forte gli occhi. Digrignò i denti, che poi cominciarono a battere. Tutto il corpo cominciò a sussultare.

“Ho freddo,” disse. “Non posso farlo.”

Proprio allora a Luke venne in mente una cosa.

“Te l’hanno fatto,” disse. “I tuoi.” Non era una domanda. Lo sapeva come sapeva il proprio nome. Li aveva subito il waterboarding prima di ora, e con tutta probabilità era stato il governo cinese a farglielo.

Improvvisamente la bocca di Li si aprì in un urlo. Era un urlo silenzioso, la mascella si aprì al massimo. In qualche modo ricordò a Luke un lupo mannaro che ulula di agonia durante la transizione spaccaossa dalla forma umana a quella canina. Solo che non c’era suono. Da Li non uscì quasi nulla, solo una specie di basso rumore strozzato dal profondo della gola.

Adesso aveva tutto il corpo rigido, ogni muscolo teso come se la corrente elettrica fosse appena salita di dieci tacche.

“Tu eri un traditore,” disse Luke. “Un nemico dello stato. Però in prigione sei stato riabilitato. La tortura era parte del processo. Ti hanno fatto agente, ma non di valore. Sei uno dei sacrificabili. È per questo che eri qui sul campo, ed è per questo che avevi le pillole di cianuro. Se fossi stato preso, avresti dovuto ucciderti. Non c’era praticamente modo in cui non potessi essere preso, giusto? Ma tu non l’hai fatto, Li. Non ti sei ucciso, e adesso noi siamo la sola speranza che hai.”

“Ti prego!” urlò Li. “Ti prego, non farlo!”

Il corpo dell’uomo si scuoteva in maniera incontrollabile. Anzi, di più. Cominciò a emanare un odore, il fitto odore umido delle feci.

“Oh, mio Dio,” disse. “Oh, mio Dio. Aiutami. Aiutami.”

“Che succede qui?” disse Ed tornando con gli annaffiatoi. Fece una smorfia quando l’odore gli arrivò al naso. “Oh, Cristo.”

Luke sollevò le sopracciglia. Provava quasi compassione per quell’uomo. Poi pensò ai più di mille morti, e alle molte migliaia che avevano perso le loro case. Niente, nessuna esperienza di vita negativa poteva giustificare un’azione del genere.

“Già, Li è un casino,” disse. “È traumatizzato. Pare che non sia il primo waterboarding per lui.”

Ed annuì. “Bene. Allora si è già esercitato.” Abbassò lo sguardo su Li. “Lo faremo comunque, mi senti, femminuccia? Non ci interessa la puzza, perciò se è questo il giochino che stai facendo, non ha funzionato.” Ed guardò Luke. “L’ho già visto fare. La gente ci prova perché pensa che la puzza sia così fetida che non vorremo andare avanti. O magari che avremo pietà di loro. O qualsiasi altra cosa.” Scosse la testa. “La puzza è cattiva, ma non l’ho mai vista funzionare. Non saremmo qui se fossimo tipi sensibili, Li. Ho sentito il puzzo di uomini dopo che sono stati eviscerati. Credimi, è peggio di qualsiasi cosa tu possa spingere fuori dalla strada normale.”

“Vi prego,” disse ancora Li. Lo disse piano adesso, quasi in un sussurro. Il corpo gli tremava senza controllo. Lasciò cadere la testa e fissò il pavimento. “Vi prego, non fatelo. Non riesco a sopportarlo.”

“Dammi qualcosa,” disse Luke. “Dammi qualcosa di buono, e poi vedremo. Guardami, Li.”

La testa di Li crollò ancor più giù. La scosse. “Non posso guardarti adesso.” Il suo viso fece una smorfia, una maschera di umiliazione. Poi si mise a piangere.

“Aiutami. Ti prego, aiutami.”

“Farai meglio a darmi qualcosa,” disse Luke. “O dovremo cominciare.”

Luke se ne stava a tre metri di distanza a guardarlo. Li era afflosciato sulla sedia, la testa bassa, le braccia strette dietro l’ampia schiena, il suo intero corpo a tremare. Non c’era organizzazione nella cosa – ogni parte sembrava fare qualcosa di diverso e di slegato da ogni altra parte. Luke notò in quel momento che Li aveva la tuta bagnata all’altezza del cavallo. Si era anche pisciato addosso.

Luke fece un respiro profondo. Dovevano far venire qualcuno per pulirlo.

“Li?” disse.

Li guardava ancora a terra. La sua voce pareva venire dal fondo di un pozzo. “C’è un deposito. È un deposito piccolo, con un ufficio. Un importatore di prodotti cinesi. Nell’ufficio è tutto spiegato.”

“Di chi è l’ufficio?” disse Luke.

“Mio.”

“È di facciata?” disse Ed.

Li cercò di stringersi nelle spalle. Il corpo gli tremolò e fece una piccola danza. I denti gli battevano mentre parlava. “Più che altro. Doveva essere un po’ funzionale, altrimenti niente copertura.”

“Dov’è?”

Li mormorò qualcosa.

“Cosa?” disse Luke. “Non ti sento. Se fai giochini con me, affronteremo la cosa alla maniera dura. Pensi che Ed abbia voglia di lasciarti in pace? Hai pensato male.”

“È ad Atlanta,” disse Li, chiaro e deciso adesso, come se dirlo fosse un sollievo. “Il deposito si trova ad Atlanta. È lì che avevo base io.”

Luke sorrise.

“Be’, puoi darci l’indirizzo, e possiamo prendere un aereo per Atlanta. Torneremo tra qualche ora.” Mise una mano sulla spalla di Li. “Dio ti aiuti se scopriamo che stai mentendo.”

*

“Bel lavoro, Swann,” disse Luke. “Non avrei potuto chiedere di meglio neanche se avessi scritto le battute io.”

“Ho mai detto che al liceo ero nel gruppo di teatro? Un anno ho avuto un ruolo nell’Opera da tre soldi.”

“Ti sei perso la tua vocazione,” disse Luke. “Saresti potuto andare a vivere a Hollywood a quel che ho visto lì dentro.”

Percorsero la passerella di cemento verso il SUV nero che li aspettava. Due uomini con tute dell’ente federale per la gestione delle emergenze erano appena smontati dall’auto ed erano entrati nella cabina. Luke si guardò in giro. Tutto intorno a loro c’erano recinzioni e fili spinati. Dietro alla torre di guardia più vicina una ripida collina verde si stagliava verso le montagne settentrionali della Georgia.

Swann sorrise. “Ho cercato di metterci la giusta nota di indignazione morale.”

“Mi avevi fregato,” disse Ed.

“Be’, era vero. Non dovevo recitare. Sono davvero contro la tortura delle persone.”

“Nemmeno noi siamo a favore,” disse Ed. “O almeno, non sempre.”

“L’avete fatto?” disse Swann.

Luke sorrise. “Tu che ne dici?”

Swann scosse la testa. “Ero fuori da appena dieci minuti quando siete usciti, perciò immagino di no.”

Ed gli diede una pacca sulla schiena. “Continua a immaginare, analista.”

“Be’, ma l’avete fatto o no?” disse Swann. “Ragazzi?”

Nel giro di qualche minuto, i tre erano di nuovo sull’elicottero, in volo sempre più su sopra la fitta foresta in direzione sud, verso Atlanta.

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