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CAPITOLO TRE

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23:16 ora di Israele (16:16 ora della costa orientale)

Linea Blu, confine tra Israele e Libano

“Non obbedite ai mentitori, ai miscredenti,” sussurrava il diciassettenne.

Fece un respiro profondo.

“Lottate contro di essi vigorosamente. Combatteteli finché Allah li castighi per mano vostra, li copra di ignominia, vi dia la vittoria su di loro.”

Il ragazzo era decisamente agguerrito. A quindici anni aveva lasciato casa e famiglia per entrare nell’Esercito di Dio. Aveva attraversato il confine in Siria e aveva trascorso gli ultimi due anni a combattere strada per strada, faccia a faccia e a volte corpo a corpo gli apostati di Daesh, come avevano chiamato l’ISIS gli occidentali.

Daesh non aveva paura di morire – anzi, quelli la morte l’accoglievano con entusiasmo. Molti di loro erano vecchi ceceni e iracheni, difficilissimi da uccidere. Gli ultimi giorni passati a opporsi a loro erano stati un incubo, ma il ragazzo era sopravvissuto. In due anni aveva combattuto tante battaglie e ucciso tanti uomini. E aveva imparato molto sulla guerra.

Ora si trovava nell’oscurità della pendice di una collina del nord di Israele. Si sistemò un lanciarazzi anticarro sulla spalla destra. Ai primi tempi un razzo pesante come quello gli avrebbe bucato la spalla, e dopo un po’ le ossa avrebbero cominciato a dolere. Però adesso era più forte. Il peso non gli faceva più tanta impressione.

C’era una piccola schiera di alberi attorno a lui, e molto vicino, a terra, un gruppo di commando che osservavano la carreggiata sottostante.

“Combattano dunque sul sentiero di Allah, coloro che barattano la vita terrena con l’altra,” disse, molto piano, sottovoce. “A chi combatte per la causa di Allah, sia ucciso o vittorioso, daremo presto ricompensa immensa.”

“Abu!” sussurrò qualcuno ferocemente.

“Sì.” La voce sua, invece, era calma.

“Zitto!”

Abu fece un respiro profondo e l’esalazione uscì lentamente.

Era un esperto del razzo anticarro. Ne aveva sparati così tanti, ed era diventato così preciso, da essere adesso un uomo molto prezioso. Era una cosa che aveva imparato sulla guerra. Più a lungo si sopravviveva, più abilità si accumulavano, e migliore si diventava nel combattimento. Migliori si diventava, più preziosi si era, ed era ancor più probabile rimanere in vita. Ne aveva conosciuti molti che non era sopravvissuti a lungo in combattimento – una settimana, dieci giorni. Ne aveva incontrato uno che era morto il primo giorno. Se solo fossero riusciti a durare un mese, le cose avrebbero cominciato a farsi più chiare per…

“Abu!” sibilò la voce.

Annuì. “Sì.”

“Pronto? Arrivano.”

“Ok.”

Si mise al lavoro, rilassato, quasi come se si stesse solo allenando. Sollevò il lanciarazzi e ne aprì il fondo. Sistemò la mano sinistra lungo la canna, leggermente, leggermente, finché non comparve l’obiettivo. Niente presa troppo ferma troppo presto. L’indice della mano destra accarezzava il meccanismo del grilletto. Si mise il mirino vicino alla faccia, ma non all’occhio. Gli piaceva tenere gli occhi liberi fino all’ultimo momento, in modo da acquisire il quadro intero prima di concentrarsi sui dettagli. Curvò leggermente le ginocchia, la schiena arcuata di pochissimo.

Adesso vedeva venire dal convoglio della luce, dietro alla collina alla sua destra, in avvicinamento sulla strada. Le luci raggiunsero la sommità, gettando strane ombre. Qualche secondo dopo udì il rombo dei motori.

Fece un altro respiro profondo.

“Fermo…” disse una voce severa. “Fermo.”

“Signore Allah,” disse Abu, le parole che uscivano rapidamente ora, e più forti di prima. “Guida le mie mani e i miei occhi. Consentimi di portare morte ai tuoi nemici, nel tuo nome e nel nome del tuo adoratissimo profeta Maometto, e di tutti i grandi profeti di tutti i tempi.”

La prima jeep sbucò dalla curva. I tondi fanali adesso erano chiari, lì a tagliare la foschia notturna.

Abu il ragazzo si irrigidì istantaneamente sotto al peso della pesante arma. Mise l’occhio destro sul mirino. Apparvero i veicoli della fila, grossi, come se potesse allungare una mano e toccarli. Il dito gli si strinse sul grilletto. Il respiro gli rimase incastrato in gola. Non era più un ragazzo con un lanciarazzi – lui e l’arma si fusero insieme, diventando un’unica entità, una macchina assassina.

Tutt’intorno ai suoi piedi, degli uomini si muovevano come serpenti, strisciando verso la carreggiata.

“Fermo,” ripeté la voce. “La seconda macchina, capito?”

“Sì.”

Nel mirino, la seconda jeep era LÌ. Vedeva le ombre delle persone che c’erano dentro.

“È facile,” sussurrò. “Facilissimo… Fermo…”

Trascorsero due secondi, Abu lentamente fece passare il lanciarazzi da destra a sinistra, seguendo l’obiettivo, senza mai vacillare.

“FUOCO!”

* * *


Avraham Gold questa parte la odiava.

Odiare era la parola sbagliata. La temeva. In qualsiasi secondo, ormai, poteva arrivare.

Qui parlava sempre. Parlava troppo. Gli pareva di poter sputar fuori tutto, solo per superare quel posto. Diede un lungo tiro alla sigaretta – era contro alle regole fumare di pattuglia, ma era l’unica cosa che lo rilassava.

“Lasciare Israele?” disse. “Mai! Israele è casa mia, ora e per sempre. Farò dei viaggi all’esterno, certo, ma andarsene? Come potrei mai? Siamo stati chiamati da Dio a vivere qui. Questa è la Terra Santa. Questa è la terra promessa.”

Avraham aveva vent’anni, caporale delle forze di difesa israeliane. I suoi nonni erano tedeschi sopravvissuti all’Olocausto. Credeva a ogni parola che diceva. Ma gli suonavano comunque vuote alle orecchie, come un trito spot televisivo pro-coloni.

Era al volante della jeep, a guidare la terza e ultima auto della fila. Guardò la ragazza seduta accanto a lui. Daria. Dio, che bella!

Persino con i capelli quasi rasati, persino con il corpo coperto cerimoniosamente dall’uniforme. Era il sorriso. Poteva accendere il cielo. E quelle lunghe ciglia – da gatta.

Lei non aveva ragione di stare lì, in quella… terra di nessuno. Soprattutto con le sue vedute. Era una liberale. Non ci dovrebbero essere liberali nelle IDF, aveva deciso Avraham. Erano inutili. E Daria era peggio che liberale. Era…

“Io non credo nel tuo Dio,” disse semplicemente. “Lo sai.”

Adesso Avraham sorrise. “Lo so, e quando uscirai dall’esercito farai…”

Terminò lei il suo pensiero. “Un trasferimento a Brooklyn, esatto. Mio cugino ha una ditta di traslochi.”

Quasi rise, nonostante il nervosismo. “Sei una ragazzina un po’ scheletrica per trasportare divani e pianoforti su e giù per rampe di scale.”

“Sono più forte di quanto tu…”

Allora la radio strillò. “Pattuglia Abel. Rispondete, pattuglia Abel.”

Lui sollevò il ricevitore. “Abel.”

“Ubicazione?” giunse la voce metallica.

“Stiamo entrando proprio adesso nel settore nove.”

“Giusto in tempo. Ok. Occhi aperti.”

“Sì, signore,” disse Avraham. Risistemò il ricevitore e guardò Daria.

Lei scosse la testa. “Se è così preoccupante, perché non fanno qualcosa?”

Lui si strinse nelle spalle. “È l’esercito. Sistemeranno la cosa quando accadrà qualcosa di terribile.”

Il problema ce lo avevano proprio davanti. Il convoglio si spostava da est a ovest lungo la sottile striscia di carreggiata. Alla loro destra c’era una schiera di fitta e profonda foresta – cominciava a cinquanta metri dalla strada. Le IDF avevano ripulito il territorio fino al confine. Dove cominciavano gli alberi, c’era il Libano.

Alla loro sinistra c’erano tre verdi colline scoscese. Non proprio montagne, ma nemmeno appena in pendenza. Erano secche, e cadevano a strapiombo. La carreggiata si avvolgeva attorno e dietro di esse, e per un solo istante le comunicazioni radio erano inconsistenti, e i convogli vulnerabili.

Il comando delle IDF parlava di quelle colline da più di un anno. Dovevano essere le colline. Non potevano sgombrare la foresta perché era territorio libanese – avrebbe causato un incidente internazionale. Quindi per un po’ avrebbero fatto saltare per aria le colline. Poi avrebbero costruito una torre di guardia sulla cima di una di esse. Entrambi i piani erano stati giudicati inidonei. Far saltare le colline voleva dire che la strada avrebbe dovuto essere temporaneamente deviata lontano dal confine. E la torre di guardia sarebbe stata sotto costante minaccia di attacco.

No, la cosa migliore da fare era far passare delle pattuglie tra le colline e la foresta giorno e notte e sperare per il meglio.

“Guarda quei boschi,” disse Avraham. “Occhi aperti.”

Si accorse di aver appena ripetuto le esatte parole del comandante. Che scemo! Lanciò un’altra occhiata a Daria. Il suo pesante fucile giaceva lungo la sua sottile figura. Ridacchiava e scuoteva la testa, facendosi rossa in volto.

Nell’oscurità davanti, dalla loro sinistra eruttò un bagliore di luce.

Si schiantò contro alla jeep centrale, venti metri davanti a loro. L’auto esplose, girò alla sua sinistra e rotolò. L’auto bruciò, gli occupanti già inceneriti.

Avraham schiacciò i freni, ma troppo tardi. Sbandò nel veicolo in fiamme.

Accanto a lui, Daria urlò.

Avevano attaccato dal lato sbagliato – il lato della collina. Lì non c’era copertura. Erano dentro a Israele.

Non c’era tempo per parlare, non c’era tempo per dare un ordine a Daria.

I colpi d’arma da fuoco adesso arrivavano da entrambi i lati. I proiettili di una mitragliatrice gli crivellarono la portiera. DANK-DANK-DANK-DANK-DANK. Il finestrino gli andò in pezzi, gettandogli addosso vetro. Almeno uno dei colpi aveva penetrato il giubbotto. Era stato colpito. Si abbassò lo sguardo sul fianco – c’era un’oscurità crescente che si espandeva. Sanguinava. Lo sentiva a malapena – sembrava la puntura di un’ape.

Grugnì. Degli uomini correvano nell’oscurità.

Istantaneamente, prima di accorgersene, aveva la pistola in mano. La puntò fuori dal finestrino mancante.

BLAM!

Il rumore fu assordante per le sue orecchie.

Ne aveva preso uno. Ne aveva preso uno. Era andato giù.

Ne mirò un altro.

Fermo…

Accadde qualcosa. Tutto il suo corpo venne strattonato sul sedile. Aveva mollato la pistola. Un colpo, qualcosa di pesante, lo aveva attraversato. Era venuto da dietro e aveva forato il cruscotto. Uno sparo, o un piccolo razzo. Con cautela, intorpidito dal terrore, si portò una mano al petto e toccò la zona sotto alla gola.

Era… andata.

Aveva una grossa voragine sul petto. Come cavolo faceva a essere ancora vivo?

La risposta giunse istantaneamente: presto non lo sarebbe stato.

Non lo sentì neanche. Una sensazione di calore gli si diffuse per il corpo. Guardò di nuovo Daria. Che peccato. Voleva convincerla di… qualcosa. Adesso non sarebbe mai accaduto.

Lei lo fissava. Aveva gli occhi rotondi, come piattini da caffè. Aveva la bocca aperta in una gigantesca O di orrore. Sentiva il bisogno di consolarla, persino adesso.

“Va tutto bene,” voleva dirle. “Non fa male.”

Ma non riusciva a parlare.

Al finestrino dietro di lei apparvero degli uomini. Con i calci dei fucili, distrussero i resti del vetro. Entrarono delle mani, per cercare di tirarla fuori dal finestrino, ma lei lottò. Si lanciò su di loro a mani nude.

Si aprì la portiera. Ora erano in tre, a trascinarla, tirarla.

Poi era sparita, e lui era solo.

Avraham fissò il veicolo bruciare nell’oscurità davanti a lui. Gli venne in mente che non aveva idea di quel che era successo al veicolo di testa. Immaginava che adesso non avesse importanza.

Pensò brevemente ai suoi genitori e a sua sorella. Voleva bene a tutti loro, semplicemente e senza rimpianti.

Pensò ai nonni, forse pronti a riceverlo.

Non sarebbe più potuto uscire dal veicolo in fiamme. Erano solo rossi, gialli e aranci brillanti che sfarfallavano contro allo sfondo nero. Osservò i colori farsi sempre più piccoli e sempre più fiochi, l’oscurità che si diffondeva e che si faceva ancora più oscura. L’inferno dell’auto esplosa adesso sembrava il tremolio di una candela spenta.

Guardò finché non si spense l’ultimo colore.

Il Nostro Sacro Onore

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