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CAPITOLO UNDICI

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12:10 ora della costa orientale

Joint Base Andrews

Contea di Prince George, Maryland

Il piccolo jet azzurro con il logo del Dipartimento di Stato statunitense sulla fiancata si spostò lentamente sulla pista di rullaggio e fece una brusca deviazione a destra. Già autorizzato al decollo, accelerò rapidamente lungo la pista, si staccò dal suolo e salì rapidamente fino a immergersi nelle nuvole. Nel giro di un altro istante, si piegò bruscamente ad angolo a sinistra in direzione dell’oceano Atlantico.

Dentro all’aereo, Luke e la sua squadra erano ricaduti tranquillamente nelle vecchie abitudini – usavano i quattro sedili passeggeri anteriori come area meeting. Avevano stivato i bagagli e l’attrezzatura sui sedili sul retro.

Stavano partendo più tardi del previsto. Il contrattempo era dovuto al fatto che Luke era andato a trovare Gunner a scuola. Aveva promesso al figlio che non sarebbe mai partito senza dirglielo in faccia, e di raccontargli quanto poteva sul luogo in cui si stava recando. Glielo aveva chiesto Gunner, e Luke aveva acconsentito.

Si erano visti in uno stanzino fornito loro dall’assistente del preside – era il luogo in cui tenevano strumenti musicali, per lo più vecchi fiati, molti che si stavano arrugginendo, a vederli.

Gunner l’aveva gestita piuttosto bene, tutto considerato.

“Dove vai?”

Luke aveva scosso la testa. “È secretato, mostriciattolo. Se te lo dico…”

“Poi io lo dico a qualcuno, e quella persona lo dice a qualcuno.”

“Credo che non lo diresti a nessuno. Ma solo saperlo ti metterebbe in pericolo.”

Aveva guardato il ragazzino, che era più che abbattuto.

“Sei preoccupato?” aveva detto Luke.

Gunner aveva scosso la testa. “No. Penso che probabilmente sai prenderti cura di te stesso.”

Adesso, sull’aereo, Luke sorrise tra sé. Buffo ragazzino. Ne aveva passate tante, e in qualche modo non aveva perso il senso dell’umorismo.

Luke guardò la sua squadra. Sul sedile accanto al suo c’era il grande Ed Newsam, con pantaloni cargo cachi e una maglietta a maniche lunghe. Occhi di ghiaccio, enorme, eterno come una montagna. Ed adesso era più vecchio, sicuro. Aveva delle rughe in volto, soprattutto attorno agli occhi, che prima non c’erano. E non aveva più i capelli nero corvino come un tempo – c’erano delle ciocche grigie e bianche in libertà, lì.

Ed aveva lasciato la squadra Recupero ostaggi dell’FBI per quel lavoretto. L’FBI lo stava facendo salire di livello – maggiore anzianità, maggiori responsabilità, maggiori sedute alla scrivania, e molto meno tempo sul campo. A sentir lui, stava cambiando perché voleva vedere ancora dell’azione. Ma la cosa non gli aveva impedito di aspettarsi più soldi. Non importava. Luke era pronto a far urlare di agonia il budget dell’SRT, se era quello che ci voleva per farlo risalire a bordo.

A sinistra e di fronte a Luke, c’era Mark Swann. Teneva le gambe allungate nella navata come sempre, un vecchio paio di jeans strappati e un paio di sneakers rosse Chuck Taylor lì in mezzo per far inciampare chiunque. Swann era cambiato, certo. Sopravvivere a stento alla prigionia dell’ISIS lo aveva reso più serio – non scherzava più sulla pericolosità delle missioni. Luke era contento che fosse tornato – c’era stato un periodo in cui sembrava che potesse diventare un recluso, e che non sarebbe riemerso più dal suo attico con vista sulla spiaggia.

Poi c’era Trudy Wellington. Sedeva giusto davanti a Luke. Aveva ancora i capelli ricci castani, e non era invecchiata per niente. Normale. Nonostante tutto quello che aveva visto e fatto – il periodo da analista nell’SRT originale, la relazione con Don Morris, l’evasione dal carcere e il periodo trascorso nascondendosi – aveva ancora solo trentadue anni. Era snella e attraente come non mai in maglione verde e blue jeans. A un certo punto, aveva eliminato i grandi e rotondi occhiali da gufo orlati di rosso dietro ai quali si nascondeva. Adesso aveva i begli occhi azzurri in primo piano.

Quegli occhi fissavano duramente Luke. Non sembravano amichevoli.

Che cosa sapeva della relazione che aveva con Susan? Era arrabbiata? E perché avrebbe dovuto?

“Lo sai cosa stai facendo, bello?” disse Ed Newsam. Lo disse con indole abbastanza buona, ma sotto c’era un altro sentore.

“Vuoi dire con la missione?”

Ed fece spallucce. “Certo. Cominciamo da lì.”

Luke guardò fuori dal finestrino parlando. Era una giornata luminosa, ma il sole stava già dietro di loro. Tra poco, mentre si spostavano ancora più a est, il cielo avrebbe cominciato a scurirsi. Gli diede la percezione degli eventi che si impennavano in avanti – una sensazione familiare, ma che comunque faceva parte degli aspetti che meno preferiva del lavoro. Era una corsa contro al tempo. Era sempre una corsa contro al tempo, e loro erano molto indietro. La guerra che stavano cercando di evitare era già cominciata.

“Immagino che sia quello che stiamo per scoprire. Trudy?”

Lei fece spallucce, apparentemente evasiva. Raccolse il tablet dal grembo. “Ok,” disse. “Presumo rabula rasa.”

“A me sta bene,” disse Luke. “Ragazzi?”

“Bene,” disse Swann.

“Sentiamo,” disse Ed. Si rimise comodo contro al sedile.

“Si parla di Israele e Iran,” disse Trudy. “Una storia non proprio brevissima.”

Luke scrollò le spalle. “È un volo lungo,” disse.

* * *

“Israele è un paese giovane, esistente solo dal 1948,” disse Trudy. “Ma l’idea della Terra di Israele, come luogo sacro al popolo ebraico fin dall’epoca biblica, probabilmente risale a duemila anni avanti Cristo. La prima fonte scritta su Israele come luogo compare intorno al 1200 a.C. La zona è stata invasa, conquistata e riconquistata in epoca antica dai babilonesi, dagli egizi e dai persiani, per nominarne alcuni. Per tutto il tempo, gli ebrei hanno perseverato.

“Nel 63 a.C., l’Impero romano ha conquistato la regione, trasformandola in una provincia romana. Per quasi duecento anni, è diventata il sito di una violenta lotta tra ebrei e romani, che è terminata in genocidi, purghe etniche e distruzioni estese. L’ultima rivolta ebraica contro i romani è fallita nel 132 d.C., e la maggior parte degli ebrei è stata uccisa o dispersa – molti sono andati a nord, nella Russia di oggi, a nordovest nell’Europa orientale e centrale, o direttamente a ovest verso il Marocco e la Spagna. Alcuni sono andati a est, in Siria, in Iraq e in Iran. Una manciata può essersi diretta a sud, in Africa. E alcuni sono rimasti in Israele.

“Nel corso del tempo, l’Impero romano è svanito e la regione nella metà del 600 è stata conquistata dagli arabi, che avevano recentemente adottato la nuova religione dell’Islam. Nonostante frequenti attacchi da parte dei crociati cristiani, la zona è rimasta più che altro sotto il controllo dei sultani musulmani per i novecento secoli seguenti. Nel 1516 è stata conquistata di nuovo, stavolta dall’Impero ottomano. Su mappe ottomane risalenti anche al 1600, la zona cui pensiamo come Israele veniva chiamata Palestina. Quando nella prima guerra mondiale l’Impero ottomano è stato distrutto, la Palestina è caduta sotto il controllo dei suoi successivi sovrani, i britannici.”

“Che fondarono i problemi moderni,” disse Ed.

Trudy annuì. “Naturalmente. Nel corso della storia, alcuni ebrei sono rimasti lì, e nel corso dei secoli ci sono stati numerosi tentativi idealistici di farci tornare gli ebrei dispersi in tutto il mondo. Ma all’inizio del Novecento, questi sforzi stavano decollando. L’ascesa dei nazisti portò a un numero ampliamente aumentato di ebrei che lasciavano l’Europa. Alla fine della seconda guerra mondiale, la popolazione della Palestina era ebrea per circa un terzo. Dopo la guerra, un massiccio influsso di ebrei, sopravvissuti all’Olocausto, lasciò le comunità distrutte di tutta Europa per recarsi in Palestina.

“Nel 1948 è stato fondato lo Stato di Israele. La cosa ha innescato una serie di contrasti violenti tra musulmani ed ebrei che continuano anche oggi. Nel combattimento inziale, l’Egitto, la Siria, la Giordania e l’Iraq li invasero, insieme a contingenti di irregolari provenienti da Yemen, Marocco, Arabia Saudita e Sudan. Gli israeliani li sconfissero. Almeno settecentomila arabi fuggirono o vennero espulsi dalle forze israeliane che avanzavano nelle aree ora note come territori palestinesi – la Cisgiordania e la striscia di Gaza.”

“Vedete, è questo che non capisco,” disse Ed Newsam. “Il 1948 è roba vecchia. Adesso ci sono tutti questi palestinesi incastrati a Gaza e nella Cisgiordania. Perché non liberarli e lasciare che diventino un paese loro? Se non ci si riesce, perché non dare a tutti la cittadinanza e incorporarli a Israele? Pare che ognuna delle due possa mettere un freno allo scontro.”

“È complicato,” disse Swann.

“Complicato è un eufemismo,” disse Trudy. “Impossibile è più vicino alla realtà. Per dirne una, Israele è stata fondata come stato ebraico – una patria per gli ebrei di tutto il mondo. Si tratta di un progetto di quasi duemila anni.

“Se Israele vuole rimanere uno stato ebraico, non può semplicemente incorporare i palestinesi nel paese come cittadini. Accenderebbe il timer su una bomba demografica a tempo, bomba che esploderebbe presto. Il paese ha il suffragio universale – ogni cittadino ha il diritto di voto. Ci sono approssimativamente sei milioni e mezzo di ebrei in Israele, e quasi due milioni di arabi israeliani, la gran maggioranza dei quali musulmani. Ci sono circa quattro milioni e mezzo di palestinesi a Gaza e nella Cisgiordania, in tutto.

“Se tutti i palestinesi diventassero cittadini, improvvisamente si avrebbe una società quasi spaccata a metà tra ebrei e musulmani, con una relativa manciata di cristiani e di altri nel mezzo. Gli ebrei smetterebbero subito di essere maggioranza. In più, arabi israeliani e palestinesi hanno tassi di natalità più alti di quelli degli ebrei israeliani, parlando in termini generali. Nel giro di un paio di decenni, i musulmani avrebbero una chiara e crescente maggioranza. Voterebbero per tenere Israele la patria degli ebrei?”

“Ne dubito,” disse Swann.

“Allora che si dia la libertà ai palestinesi,” disse Ed. “Che si garantisca loro lo status di nazione autonoma. Aprire le loro strade, lasciare che controllino il loro spazio aereo e le acque costiere, e che commercino con altri paesi.”

Trudy scosse la testa. “Anche questo impossibile. Raramente faccio dichiarazioni assolute su eventi futuri, ma ho esaminato questi scenari da ogni angolazione. A prescindere da quel che si dice durante le negoziazioni internazionali, a prescindere da quante volte l’assemblea generale delle Nazioni Unite ne voti la disapprovazione, fa’ caso allo status di nazione autonoma della Palestina. Non arriva mai vicino alla realizzazione. E questo perché Israele non lo permetterebbe mai volontariamente. L’idea stessa è assurda. È un suicidio.

“Senti, Israele esiste in uno stato di talvolta disperato conflitto con i paesi che la circondano. La sopravvivenza è sempre una questione aperta. La sicurezza è la cosa più importante nella società israeliana, e fornirla è il focus maggiore dello stato. Israele di per sé è un paese minuscolo. Se la Cisgiordania non fosse lì a fare da zona cuscinetto, e diventasse a tutti gli effetti un paese straniero, la situazione passerebbe istantaneamente da difficile a molto, molto pericolosa. Insostenibile. La piana costiera della zona centrale di Israele è uno stretto pezzetto di terra, dalla Cisgiordania al mare, che per la maggior parte della sua lunghezza va dalle nove alle undici miglia di ampiezza. Una persona media in bicicletta potrebbe percorrerne la distanza in un’ora.

“La maggior parte della popolazione civile, così come i settori industriali e tecnologici del paese si trovano lì. A peggiorare la faccenda, c’è che le terre della Cisgiordania sono colline che danno sulla pianura – ci sono luoghi della Cisgiordania da cui si vede tranquillamente il mar Mediterraneo. Quando gli estremisti dei paesi arabi parlano di portare gli israeliani nel mare, la cosa da ricordare è che si tratta di un viaggio brevissimo.

“I palestinesi sono alleati dell’Iran, e molti palestinesi sono ostili verso l’esistenza stessa di Israele. Se concedi ai palestinesi lo status di nazione autonoma, che cosa impedisce agli iraniani di ammassarti sul confine carri armati, aerei da combattimento, batterie di missili e truppe? Non solo sul confine tuo, ma sulle terre alte sopra di te? È uno scenario da incubo. Inoltre, gli altopiani della Cisgiordania sono fonte d’acqua per le falde acquifere di acqua dolce del litorale israeliano. Che cosa impedisce a una Palestina sovrana di tentare di bloccare i rifornimenti d’acqua?

“E poi, anche se Israele non ammette le proprie capacità nucleari, è ampliamente accettato che hanno in ogni dove tra le cinquanta e le ottanta armi nucleari. Per lo più si pensa che vengano conservate alla base missilistica di Zachariah a sudest di Tel Aviv, e che altre siano conservate nel deserto meridionale. Ma alcune – forse addirittura il venti o trenta per cento – sono schierate in silos missilistici sotterranei nella Cisgiordania a est di Gerusalemme. Sono armi dell’era della guerra fredda, degli anni Settanta e Ottanta, e probabilmente sono ancora operative.

“La spesa, la logistica del trasporto e la protesta pubblica renderebbero quasi impossibile riportare i silos in Israele, ed è impossibile che gli israeliani permettano ai palestinesi di amministrare quelle armi. Come ho detto prima, Israele non ne ammette neanche l’esistenza.”

“Quindi cosa stai dicendo?” disse Luke.

“Sto dicendo che Israele deve affrontare una crisi esistenziale ovunque si volti. Se concedono la cittadinanza ai palestinesi, il concetto stesso di Israele sparisce tramite voto. Se permettono che la Cisgiordania diventi Palestina sovrana, il paese di Israele sparisce tramite bombardamento. Quindi perseguono una terza strada, una strada carica di pericolo, ma che offre delle possibilità di successo. È la strada della tensione infinita e del conflitto infinito contro i palestinesi, Hezbollah, l’Iran e chiunque altro decida di partecipare. Può sembrare estremo, sbilanciato e altamente emotivo da fuori, ma in realtà si tratta di processi decisionali piuttosto semplici, freddi e razionali. Sviluppo e mantenimento di superiorità tecnologica a ogni costo, mobilitazione militare dell’intera popolazione, e mai abbassare la guardia, neanche per un secondo.”

“Ma funziona solo finché si ha superiorità tecnologica,” disse Swann. “Quando il nemico ti raggiunge…”

“Giusto,” disse Trudy. “Allora hai dei bei problemi. E pare che gli iraniani li abbiano raggiunti.”

“Li hanno raggiunti?” disse Luke. “Hanno armi nucleari?”

Trudy lo guardò. “Sì. Sono quasi sicura di sì.”

* * *

Luke abbassò la tendina del finestrino.

Aveva guardato la vasta oscurità fino a capire che non c’era nulla da vedere se non il suo volto, avvolto dall’ombra.

Il Learjet si dirigeva a est, e se avesse dovuto tirare a indovinare, Luke avrebbe detto che si trovavano sopra all’Atlantico settentrionale, quasi in Europa ormai – volavano da ore, e ne avevano altre ancora davanti. Era un viaggio lungo.

Guardò Trudy, che sedeva dall’altra parte del corridoio rispetto a lui. Era l’unica ancora sveglia oltre a Luke.

Dietro di lei, Swann era raggomitolato tra due sedili. Si era addormentato velocemente. Nella fila dietro a Swann, Ed Newsam faceva la stessa cosa. Ed era solido come una roccia, certo. Ma Luke aveva delle riserve su Swann. Non era colpa di Swann – era rimasto traumatizzato dal tempo trascorso in cattività dell’ISIS. Era cambiato. Non era lo stesso spiritoso idiota sarcastico di un tempo. Adesso era più riservato, più cauto. Parlava molto meno. In superficie poteva sembrare un bene – saggezza magari, o maturità. Ma Luke sospettava che potesse essere mancanza di fiducia in se stesso.

Swann era rimasto scosso nella sua essenza. Quando la temperatura si fosse alzata, quando il livello dello stress si fosse amplificato, rimaneva da vedere quanto bene avrebbe agito.

Luke guardò Trudy, dall’altra parte. Aveva dormito per un po’, raggomitolata. Adesso era di nuovo sveglia, a guardare fuori dal suo, di finestrino scuro. Da lì tutto ciò che Luke riusciva a vedere era una luce lampeggiante sull’ala.

“È buio là fuori,” disse Luke. “Un immenso tantissimo niente.”

“Sì.”

“Che cosa guardi?”

“Proprio quello. Niente.”

Luke fece una pausa. C’era dell’imbarazzo tra di loro. Immaginava che ci sarebbe stato sempre. Non voleva entrare nella questione adesso, dei momenti che avevano condiviso, perché c’erano Swann e Ed. Swann e Ed non c’entravano con la faccenda, e non voleva che ci si svegliassero nel mezzo.

“Ricordo l’ultima volta che abbiamo fatto un lungo volo insieme,” disse Luke.

Annuì. “Anch’io. Corea. Voi mi avevate appena fatta evadere di prigione. Che periodo folle. Pensavo che la mia vita fosse finita. Non avevo capito che stava appena cominciando.”

“Com’è stata la latitanza?”

Fece spallucce. Non sembrava bramosa di guardarlo. “Non sceglierei di rifarlo. Ma tutto sommato non è stato terribile. Ho imparato molto. Ho imparato a non attaccarmi a una specifica identità. Trudy Wellington, ma chi è? Una possibilità tra centinaia. Mi sono tinta i capelli di biondo, proprio come avevi suggerito tu. Me li sono anche tinti di nero. A un certo punto, mi sono persino rasata la testa.

“Lo sai che mi sono allineata con un mucchio di contestatori di sinistra in Spagna per un po’? Davvero. Ho imparato lo spagnolo alle superiori, e la Spagna è stato il mio posto sicuro in cui sparire. Nessuno aveva alcuna idea di chi fossi. Mi hanno mandata in addestramento tecnico di medicina d’urgenza, quindi sono potuta diventare medico di strada. La gente si ferisce molto in queste proteste – di solito cose minori, ma le ambulanze non riescono a raggiungerli. Lì ci sono i medici di strada, al centro dell’azione. Ho visto parecchi arti rotti e crani incrinati. Ho pensato a Ed per tutto il tempo, ho sempre avuto molto rispetto per le sue competenze mediche. Adesso ancor di più.”

Si voltò per guardare in faccia Luke. “Ho imparato molto su di me, cose che avevo bisogno di imparare.”

“Dinne una grossa,” disse Luke.

Sorrise. “Ho imparato che non devo più buttarmi via per uomini più vecchi. Che cosa cercavo, protezione? Approvazione? È una sciocca abitudine da ragazzina. Mi sono attenuta a uomini della mia età o più giovani negli ultimi due anni, e non è niente male. Ho deciso che preferisco uomini che non cercano di insegnarmi niente.”

Ahia. Adesso sorrise Luke. Le parole, comunque, parvero sfuggirgli.

“Ho imparato anche di essere una sopravvissuta.”

“Questa è una cosa grossa,” disse Luke.

“Già,” disse lei. “Ma non tanto grossa quanto quella degli uomini.”

Il Nostro Sacro Onore

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