Читать книгу Un’esca per Zero - Джек Марс - Страница 8
CAPITOLO TRE
ОглавлениеNon preoccuparti
Di una piccola cosa,
Perché ogni piccola cosa…
Perché ogni piccola cosa…
"Accidenti", mormorò Zero. "Non lo sapevi?" Fischiettava la melodia recitando il testo a mente, le ragazze gli avevano chiesto più volte di smettere di cantare, ma quei versi l'avevano incantato come mai era successo prima. “Che succede?”
"Stai parlando da solo?" Chiese Sara entrando nella piccola cucina del suo appartamento a Bethesda, nel Maryland. Indossava una maglietta, i capelli biondi in disordine e, a giudicare dalle occhiaie, aveva dimenticato (o trascurato) di lavarsi il mascara dal viso la sera prima.
“Certo!”. Zero le baciò la testa mentre apriva il frigorifero. "Buongiorno, tesoro".
"Mmm", rispose Sara prendendo la caraffa con il succo d'arancia. Era rimasta con Zero sin dal giorno del Ringraziamento, da quando era fuggita dall'istituto di riabilitazione in cui suo padre l'aveva mandata ed era scampata di poco ad un rapimento su una spiaggia. Aveva sedici anni, ormai quasi diciassette, Zero ricordò a se stesso, sebbene i suoi lineamenti fossero abbastanza maturi da farle dimostrare almeno un paio d'anni in più. Trovava piuttosto doloroso il fatto che le sue ragazze stessero crescendo, tanto più che il trauma che aveva vissuto l'aveva invecchiata prematuramente, ma soprattutto, giorno dopo giorno, assomigliava sempre di più alla madre defunta.
"E tu che stai facendo?" chiese, allungando il collo sopra la spalla del padre per sbirciare nella padella.
"Oh, questa? Questa, mia cara, è una frittata". Zero prese la padella, la scosse due volte e poi lanciò abilmente la frittata in aria.
Sara torse il naso. "Sembra un'omelette".
È simile ad un'omelette. Simil-omelette, potremmo dire. Come se fosse figlia di una omelette e di una pizza. Una frittata".
"Per favore, smetti di dire…"
"Frittata".
Sara alzò gli occhi al cielo bevendo un sorso di succo d'arancia. "Sei strano".
"Ehi, topolina" disse Maya entrando in cucina. "Dammene un po'". Indossava pantaloncini corti e una felpa con cappuccio, scarpe da ginnastica e una fascia sulla fronte. I suoi capelli scuri erano tagliati corti, quasi a caschetto, un "taglio da fatina", come lo chiamavano i bambini e se i lineamenti di sua sorella minore ricordavano la loro madre, il viso giovane di Maya era molto più somigliante a quello di Zero.
Anche Maya stava con lui, e ciò rendeva l'appartamento con due camere da letto accogliente ma allo stesso tempo un po' angusto. Le sue ragazze, di diciassette e diciannove anni, condividevano una stanza, ma non se ne lamentavano. Zero contava i giorni mentre Sara viveva in Florida e Maya era stata arruolata a West Point. Ma la primogenita aveva saltato il resto del semestre autunnale, e ora anche il semestre primaverile, e sebbene non avesse affrontato l'argomento, sperava che alla fine sarebbe tornata e avrebbe finito gli studi.
Sara passò il succo d'arancia a Maya, che ne bevve un bel sorso. "Maya, papà non è un po' strano ultimamente?"
“Intendi più strano del solito? Sì. Certamente".
"Prima di tutto", disse Zero, "prendete un bicchiere. Non ho cresciuto un paio di selvagge. In secondo luogo, in che senso vi sembro strano?"
"Canti molto ultimamente", disse Maya.
"Ho smesso di farlo quando me l'hai chiesto".
"Adesso fischi molto", gli disse Sara.
"Cosa c'è che non va se fischio?"
"Stai preparando una frittata?" Chiese Maya.
"Sta cucinando molto", disse Sara come se non fosse nemmeno nella stanza.
"Sì, è strano", concordò Maya. "È come se fosse… più felice".
"Perché vi sembra strano?" protestò Zero.
"In questa famiglia…" lo prese in giro Sara. "È strano".
"Oh!" Zero si portò una mano al cuore mimando un infarto. "Mi dispiace tanto per aver cercato di arricchire la vita delle persone che amo".
“Non mi fido di questa cosa”, disse Sara facendo una smorfia a sua sorella.
"Dov'eri la scorsa settimana?"
La domanda arrivò così all'improvviso che a Zero sembrò quasi un colpo di frusta. La sua primogenita lo fissò con un sopracciglio inarcato sulla fronte, in attesa.
"Te l'ho detto. Ero in California…"
"Giusto", disse Maya, "sei andato a consultare uno specialista per la tua mano".
"Esatto".
"Peccato che secondo il nostro assicuratore non hai presentato alcuna documentazione", disse Maya con nonchalance. "Non hai pagato alcun premio. Allora, dove sei stato la settimana scorsa?"
Stavo seguendo un ingegnere della CIA, incluso nella lista nera, per vedere se poteva dirmi perché il mio cervello mi sta portando alla morte. Era la verità, ma non aveva alcuna intenzione di raccontarla a loro, le sue figlie non sapevano nulla dei suoi ricordi perduti, dei suoi problemi recenti e neppure dell'avvertimento di Guyer.
Allora, sorridendo timidamente, disse: "Forse non sono affari vostri".
Maya sapeva imitare perfettamente quel sorrisetto falso. "Forse non dovresti mentire alle tue figlie".
"Forse sto cercando di tenerle al sicuro".
"Forse non ne hanno bisogno".
"Forse…
Dei colpi alla porta lo interruppero. Il suo primo istinto fu ancora quello di cercare la Glock che aveva nascosto nel cassetto delle posate, e Zero lo notò con dispiacere. Nonostante il numero di volte in cui la sua casa era stata saccheggiata, dovette ricordare a se stesso che i terroristi non bussano mai. Fece sforzo sui propri muscoli e cercò di scrollarsi di dosso il pensiero, mentre Maya gridava: "È aperto!"
La porta dell'appartamento si aprì ed entrò una donna. Aveva circa due anni meno di Zero, non ancora quaranta, anche se in effetti ne dimostrava almeno una decina di meno. Fuori servizio portava i suoi folti capelli biondi sciolti sulle spalle, ad incorniciarle perfettamente il viso e i suoi occhi color ardesia. Indossava jeans attillati, stivali neri e un cappotto nero lanuginoso. Zero l'aveva vista al meglio, in eleganti abiti da sera, e anche nelle situazioni peggiori, con del sangue sul viso e una pistola in mano, eppure vederla gli faceva ancora battere il cuore.
Maria entrò in cucina, diede a Zero un bacio sulla guancia e lasciò cadere una scatola bianca sul bancone. "Buongiorno a tutti! Ho portato i croissant".
"Perfetto". Maya ne prese uno e lo addentò. "Posso assumere carboidrati prima di correre".
"Ma la frittata…" mormorò Zero.
"Maria, secondo te", le domandò Sara. "Papà non è strano ultimamente?"
Maria si accigliò. "Strano? Non saprei. Sicuramente diverso. Forse più felice?"
"Te l'ho detto". Sara prese un croissant.
"Rimani in zona?" Le chiese Zero mentre disponeva la sua frittata poco apprezzata in un piatto.
"Passavo di qui, e sono venuta", gli disse Maria. "Devo andare a Langley".
"Di sabato?" chiese Zero stupito.
Lei alzò le spalle, e aggiunse "burocrazia".
"Scartoffie", aggiunse. Zero sapeva perfettamente che non c'era nessuna scartoffia. La "burocrazia" era la scusa che si davano l'un l'altra quando non potevano dire la verità ma non volevano mentire apertamente. Un'ironia naturalmente, dato che la "burocrazia" era in realtà una vera e propria balla.
"Dove sei stato la scorsa settimana?" Chiese Maria con finta innocenza.
Zero sorrise. "Burocrazia".
“Touché”.
Maria non sapeva di Bixby e Zero voleva che continuasse a non sapere nulla. Così cambiò rapidamente argomento. "Ci vediamo stasera?"
"Assolutamente sì". Lei sorrise e prese un croissant dalla scatola. "Ma ora devo scappare. Ne prendo uno da mangiare per strada. Ti chiamo più tardi".
"Devo scappare anch'io", aggiunse Maya. “Letteralmente”.
"Vado a farmi una doccia", annunciò Sara.
"Ehi, aspettate". Gridò Zero mentre cercavano di abbandonare contemporaneamente la cucina. "Aspettate un attimo". Tre volti in attesa si voltarono verso di lui. “Ehm, stavo pensando… Tra poco è San Valentino. Perciò magari, non prendetevi impegni".
Si guardarono a vicenda. "Dici a noi?" Chiese Maya.
"Voi tre. Ciascuna di voi. Voglio trascorrerlo con le tre donne della mia vita".
"Uhm… certo. Okay". Maya annuì.
“È fantastico", disse Maria.
"Come ho detto," mormorò Sara. “Strano.”
E poi se ne andarono, la porta principale e quella del bagno si chiusero alle loro spalle quasi nello stesso momento.
Zero sospirò sulla sua frittata. "Ora a noi due, amica mia". Afferrò il piatto e si sedette al piccolo bancone.
A vederlo da fuori tutto sembrava fantastico nella sua vita. Lui e Maria si frequentavano di nuovo ufficialmente e da un paio di mesi avevano ripreso la loro relazione. Lui aveva tenuto l'appartamento a Bethesda e lei il piccolo bungalow che un tempo condividevano. Forse presto sarebbero tornati a vivere insieme. Lui aveva con sé le due ragazze, ed era molto bello. Cercava davvero di lasciare loro dello spazio affinché prendessero le loro decisioni da sole, una era ormai un'adulta e l'altra aveva già fatto l'esperienza di vivere da sola. E anche se lo consideravano strano, certamente avevano notato un positivo cambiamento nel suo atteggiamento.
Ed effettivamente era cambiato. Zero si era sforzato seriamente di migliorare, perfezionando le sue abilità culinarie, trascorrendo più tempo con le ragazze, proponendo cose divertenti da fare come famiglia coinvolgendo il più possibile anche Maria. Voleva vivere la vita al massimo… perché non aveva idea di quanto tempo gli restasse ancora da vivere.
Guyer non ne aveva idea. Nemmeno Bixby. E se le due menti più brillanti che avesse mai incontrato non sapevano dargli risposte, dubitava che chiunque altro al mondo potesse farlo. Avrebbe continuato a perdere la memoria. Di tanto in tanto dei ricordi sarebbero affiorati, come i ricordi degli omicidi compiuti in gioventù come agente oscuro della CIA. Ma aveva deciso che doveva guardare avanti, non indietro. Il passato era il passato, quello che contava ora era il futuro.
Sapeva cosa doveva fare: doveva trovare l'agente di cui Bixby gli aveva parlato, quell'uomo di nome Connor, quello a cui era stato impiantato il soppressore della memoria. Le possibilità che quel ragazzo fosse ancora vivo erano scarse e, nel caso, le possibilità che Zero lo trovasse lo erano ancora di più.
Tuttavia, doveva provarci. Allo stesso tempo doveva continuare a cercare di sfruttare al massimo il tempo che gli era rimasto per influenzare positivamente la vita delle persone che amava. Voleva essere sicuro che, una volta che se ne fosse andata, loro si sarebbero ricordate di lui e di questi momenti. Era questo il lato di lui che voleva ricordassero.
Perché alla fine il suo cervello lo avrebbe ucciso, a meno che non venisse ucciso prima dal dolore per il fatto di dover conservare questi segreti quando aveva promesso a tutti di essere onesto.