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IV – ATTRAVERSO LA PRATERIA

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Quando Bennie ebbe raggiunti i cavalli, trovò Coda Screziata seduto a terra, con le gambe ripiegate in modo da far gravare tutto il peso del corpo sui talloni, mentre Back stava accendendo il fuoco dentro una piccola buca scavata in un pezzo di terreno già accuratamente privato delle erbe, per evitare uno di quegli spaventosi incendi, così frequenti in quelle immense praterie, che sono causa di veri disastri, distruggendo non solo enormi quantità di selvaggina, ma anche buoi e cavalli, e talvolta intere tribù di indiani, o convogli di emigranti. Bennie, visto che l’indiano era tranquillo, come se si fosse rassegnato alla sua sorte, s’affrettò ad aiutare il compagno a preparare la colazione, tanto più che l’aria mattutina gli aveva stuzzicato l’appetito. Allestì rapidamente le così dette flat-jacks, specie di focacce che s’impastano al momento e si cucinano dentro una buca scavata nel suolo, fece friggere alcuni pezzi di prosciutto salato e pose sui carboni alcuni sanguinacci di prateria, specie di salami formati con intestini grassi di bue, o di bisonte e riempiti di carne tritata e di sangue.

Quando tutto fu pronto, i due cow-boys si sedettero di fronte all’indiano, invitandolo a mangiare le tiepide focacce esalanti quel profumo delizioso particolare del pane caldo, il prosciutto e gli appetitosi sanguinacci accuratamente rosolati. Coda Screziata non si fece pregare. Mai forse in vita sua aveva nuotato in tanta abbondanza, essendo oggi, i poveri guerrieri della prateria, quasi sempre in lotta con la fame, a causa della scarsità di selvaggina, e soprattutto a causa della quasi totale sparizione delle immense mandrie di bisonti. Quantunque si crucciasse di trovarsi prigioniero, fece molto onore al pasto e baciò più volte, con molta espansione, una bottiglia di whisky che Bennie aveva preso nel carro. Il vecchio scorridore, che era diventato di una amabilità straordinaria, si era guardato bene dal moderare l’entusiasmo dell’indiano per quella bottiglia, anzi avendone portate con sè un paio di dozzine, per distrarsi durante le noiose guardie notturne, era andato a prenderne una seconda. Non contento, aveva avuto perfino la cortesia di offrire al guerriero rosso una pipa e del tabacco, non perché sperasse con ciò di ubriacarlo, essendo gli indiani abituati a fumare un tabacco fortissimo che usano spruzzare con acquavite, ma per eccitarlo a bere di più. Coda Screziata ne approfittò. Fumava come un turco e beveva come un vero selvaggio, ingoiando delle sorsate da far stupire un lupo di mare. La prima bottiglia era già stata vuotata e stava per scolare animosamente la seconda. Quel whisky, davvero eccellente, aveva sciolto la sua lingua, e da taciturno era diventato di una loquacità prodigiosa, narrando le sue gesta, i combattimenti ai quali aveva assistito, le tremende lotte impegnate coi Piedi Neri, i nemici secolari dei Corvi e delle Tribù delle Teste Piatte, e le torture atroci fatte subire ai prigionieri di guerra. Udendolo parlare dell›attacco notturno contro il drappello degli emigranti, Bennie lo aveva bruscamente interrotto, chiedendogli a bruciapelo:

– Sono stati uccisi tutti quei poveri diavoli?…

– Tutti meno uno, – aveva risposto l’indiano.

– E perché ne avete risparmiato uno?…

– Perché era un ragazzo incapace di difendersi.

– Lo avete forse serbato per il palo del supplizio?…

– No, era troppo giovane per sopportare dignitosamente le torture del palo.

– Allora ne avrete fatto uno schiavo.

– Sì, lo schiavo della Nube Rossa. Se sarà un valoroso, un giorno potrà venire promosso guerriero. Dei volti pallidi, rapiti giovani e cresciuti fra gli indiani, sono diventati dei capi valorosi.

– Lo so, – disse Bennie. – Ne ho conosciuto qualcuno nel Canada. Dunque tu credi che sia ancora vivo? ,

– Lo era stamane.

– Ha avuto delle ferite?…

– Nessuna.

– Nube Rossa terrà molto al suo nuovo schiavo?

– È probabile.

– E tu credi che non lo scambierebbe contro uno dei suoi guerrieri?…

– Non lo so.

– È lontano il campo di Nube Rossa?

– Si trova ora sulle rive occidentali del lago.

– Ha molti guerrieri con sè?…

– Cento e più. Aspettano in quel luogo l’arrivo dei bisonti che devono scendere dal nord.

– Ah!… Sono a caccia!

– Sì.

– E che cosa faceva Coda Screziata nel bosco, così lontano dalla sua tribù.

– Ero stato incaricato di sorvegliare…

– Continua, – disse Bennie, vedendo l’indiano esitare.

– Non ricordo più nulla – rispose il guerriero rosso, con aria imbarazzata.

– Allora mio fratello beva un altro sorso d’acqua di fuoco, – disse il cow-boy. – Si rischiarirà la mente.

Il pellirossa afferrò avidamente la bottiglia e bevette a lungo.

L’aveva appena staccata dalle labbra, che cadde bruscamente all’indietro per rimanere lungo disteso e perfettamente immobile, come se fosse stato colto da una sincope.

– Altro che rischiarare la memoria!… – esclamò Back. – Gliel’hai annebbiata del tutto.

– È quello che volevo, – rispose Bennie, ridendo. – Ora possiamo agire liberamente, senza temere che questo ubriacone ci dia noie o che, durante la nostra assenza, accoppi il ferito. Amico Back, ne so abbastanza ormai e ti dico che qui non spira aria buona nemmeno per noi. Coda Screziata sorvegliava noi per sorprenderci, te lo dice il vecchio scorridore della prateria.

– Ah!… Nube Rossa spera di farci la pelle!… Bah… È dura la nostra e, in caso disperato, si prenderà quella del nostro bestiame, ma non di certo le nostre capigliature.

– Prendi il lazo. Back e lega per bene questo ubriaco.

– Sarebbe inutile, Bennie. Non aprirà gli occhi prima di ventiquattro ore.

– È vero, tuttavia è meglio non fidarsi di questi diavoli d’uomini. Lega, e a doppi nodi, gambe e braccia, mentre io vado ad avvertire lo scotennato di ciò che stiamo per fare.

Il ferito, udendo Bennie risalire sul carro, nonostante gli acuti dolori che doveva ancora provare, si era nuovamente sollevato. Forse il suo istinto gli aveva fatto capire che l’uomo veniva a salutarlo per poi recarsi a salvare il giovane prigioniero.

– Voi state per lasciarmi è vero?… – disse, scorgendo il cow-boy.

– Sì, avete indovinato. Io vado da Nube Rossa.

Un lampo di gioia brillò negli occhi dello scotennato.

– Voi siete troppo buono, – mormorò. – Come potrò sdebitarmi di tanta amicizia?

– Eh!… Signore, nella prateria c’è l’abitudine di soccorrersi l’un l’altro. Tutti i visi pallidi diventano fratelli.

Il ferito lo guardò per alcuni istanti in silenzio, poi disse lentamente, come parlando fra sè:

– Sì, c’è il paese dell’oro.

– Che cosa dite, signore? – chiese il cow-boy, che era stato colpito da quelle parole, che risvegliavano in lui l’antica passione del minatore. – Voi parlate d’oro?…

– Sì, – rispose il ferito.

– Corna di bisonte!… Ecco una parola che mi solletica gli orecchi. Conoscete per caso qualche paese dove abbonda il prezioso minerale?…

– Silenzio, ora, – mormorò lo scotennato. – Ne parleremo più tardi. Forse vi preme di partire.

– È vero, perché il campo di Nube Rossa non è vicino.

– Quando tornerete?

– Questa sera, poiché non mi fido dell’ospitalità dei pellirosse.

– Mi lasciate solo?…

– Ne avevo intenzione, ma ora ho cambiato idea. Se qualche indiano si accorgesse che io e Back ci siamo allontanati, potrebbe approfittare della nostra assenza per uccidervi, e per liberare Coda Screziata, e, perduto l’ostaggio, sarebbe perduta anche la speranza di salvare il giovane. Addio, vi lascio il mio compagno. Siate tranquillo e sperate nel buon esito del mio tentativo.

– Grazie, – rispose lo scotennato.

Quando Bennie ridiscese, il messicano aveva già sellato i cavalli, appendendo agli arcioni alcuni sacchetti contenenti un po’ di provviste. Il cow-boy con un gesto trattenne il compagno, mentre questi stava per salire in sella.

– No, Back, – gli disse. – Noi stavamo per commettere una grossa bestialità partendo tutti e due.

– E perché?… – chiese il messicano.

– Corna di bisonte!… Credi tu che Coda Screziata fosse solo?… Io temo invece che si trovasse in compagnia di altri, i quali, più fortunati, avranno potuto prendere il largo senza farsi scorgere da noi.

– È vero, Bennie.

– Se i compagni di Coda Screziata ci spiassero?…

– Vedendoci partire, correrebbero qui a liberare l’indiano.

– Vedi bene che è necessario che tu resti. Hai paura di rimanere solo?…

– Non rimarrò precisamente solo, perché c’è anche il ferito e mi pare un tipo d’uomo capace di aiutarmi nel caso di un assalto.

– È vero.

– Sei tu invece che hai molto da temere.

– Back!… Non mi lascerò prendere, te lo assicuro. Il mio mustano fila come una locomotiva, e non si lascerà raggiungere dai mustani indiani. Io vado. Se scorgi qualcosa di sospetto barricati nel carro, e non risparmiare le munizioni; d’altronde, fra dodici o quindici ore spero di essere di ritorno.

– Addio, Bennie, e sii prudente. Il cow-boy, da uomo che sa quanto può costare un accidente, anche il più insignificante, esaminò accuratamente le cinghie della sella e le briglie, poi la carabina, le munizioni, quindi balzò agilmente in sella, facendo a Back un gesto d’addio. Il mustano, appena sentì allentare le briglia, partì al galoppo, lanciandosi sulla verde pianura che si stendeva, a perdita di vista, verso ovest, con delle leggere ondulazioni e pochi gruppi di piante.

Bennie, dopo aver messo il fucile davanti alla sella, si cacciò in bocca un grosso pezzo di tabacco, guardò se in una delle fondine ci fosse la rivoltella, arma preziosa in un combattimento corpo a corpo, poi osservò attentamente la prateria, scrutando specialmente le alte erbe, sotto le quali poteva nascondersi qualche nemico.

– Tutto va bene finora – mormorò, soddisfatto da quell’esame. – Se il diavolo non ci mette la coda, fra quattro o cinque ore fumerò il calumet nel wigwam di Nube Rossa.

Si piegò sulla sella e guardò indietro. In mezzo al verde smeraldo della pianura, spiccava nettamente il carro gigantesco con la sua bianca tela, che il sole illuminava in pieno. Attorno, dispersi a gruppi, pascolavano i buoi e i cavalli, e nel mezzo, ritto sulle staffe del suo mustano morello, si distingueva Back, il quale pareva seguisse attentamente con lo sguardo l’amico che s’allontanava.

– Alla grazia di Dio, – mormorò Bennie. – Se lascerò la capigliatura nelle mani dei Grandi Ventri, vorrà dire che sarà giunta l’ora di andarmene.

Il cavallo galoppava sempre. Quel focoso destriere, dai garretti d’acciaio, dallo slancio impetuoso, balzava agilmente sopra le grasse e alte erbe, con la criniera e la lunga coda al vento, come se fosse ritornato libero. A tratti volgeva il capo verso il cavaliere, come per vedere se era soddisfatto di quel rapido galoppo, o per reclamare qualche carezza che non si faceva attendere, poi riprendeva nuovo slancio, facendo udire un breve nitrito. La prateria non accennava a cambiare. Il terreno saliva e scendeva, sempre dolcemente, a larghe ondulazioni, coperto da erba alta e copiosa. Bennie guardava ogni cosa attentamente, pur continuando a masticare beatamente il suo tabacco. Da esperto cavaliere non abbandonava un solo istante le briglie, temendo sempre qualche sorpresa e di tratto in tratto si rizzava sulle staffe per abbracciare un maggiore orizzonte. La prateria pareva tranquilla, ma il cow-boy non si fidava di quella calma. Conosceva troppo bene l’astuzia degli indiani per abbandonarsi a una completa sicurezza. Galoppava da un’ora, mantenendo una linea rigorosamente diritta verso il nord-ovest, quando scorse, agli estremi limiti della prateria, una linea grigio-verdastra che pareva tagliasse buona parte dell’orizzonte.

– Benissimo – mormorò. – Fra venti minuti toccherò le sponde occidentali del lago.

Guardò il sole per orizzontarsi, senza essere costretto a levare la bussola che teneva in un taschino della sua camicia di flanella, poi lanciò il mustano verso quella linea oscura che doveva essere formata da qualche bosco, dicendo:

– Su, Caribou, allunga il trotto. La via è ancora lunga.

Il mustano, ripreso un istante di respirò, partì di nuovo, filando sulla prateria come un lampo. Pareva fosse veramente instancabile poiché non accennava a rallentare, quantunque avesse già percorso d’un solo tratto più di quindici chilometri. Venti minuti dopo, come il cow-boy aveva previsto, il bosco era raggiunto. Si componeva di macchie di cedri, di pinocchi, che producono pigne grossissime, lunghe un buon piede, a forma di cono e che contengono gran numero di mandorle eccellenti; di gruppi di alberi del romice, carichi di fiori bianchi, colmi di una piccola provvista d’acqua, e di salici. Bennie arrestò il cavallo, tese gli orecchi ascoltando per parecchi minuti, poi rassicurato dal silenzio che regnava in quel luogo, si inoltrò nel bosco, attraversandolo di galoppo. Giunto al margine opposto si trovò di fronte a una vasta distesa d’acqua, che si allargava verso nord, scintillando sotto i raggi del sole. Quell’ampio bacino era il Piccolo lago degli Schiavi, da non confondersi col Grande lago omonimo che si trova molto più a settentrione, al di là del 160° di latitudine, nel territorio degli Indiani Denè. Quantunque sia uno dei meno vasti, è sempre considerevole, misurando oltre cento chilometri di lunghezza su venticinque o trenta di larghezza. Formato da scoli naturali, si scarica nel fiume Athabasca, a cui è unito da una specie di canale navigabile per i canotti indiani. Bennie, dopo aver guardato attentamente le rive, balzò a terra per accordare al cavallo un po’ di riposo e, per occupare il tempo, si mise a frugare le macchie facendo raccolta di lamponi e di mortelle. Non ritenendo di fare cattivi incontri, non aveva avuto la precauzione di staccare il fucile dall’arcione, contando d’altronde di non allontanarsi che di pochi passi. Si era cacciato in mezzo a un fitto gruppo di cespugli dove aveva scorto numerosi lamponi, quando tutto a un tratto udì dinanzi a sè un sordo grugnito, e vide apparire fra i rami una grossa testa nera con un muso lungo, aguzzo, armato di denti candidi e così robusti, da spaventare qualsiasi scorridore di prateria.

– Corna di bisonte! – mormorò Bennie, che era diventato pallido.

– Un baribal?…

La grossa testa nera, coperta da un pelame corto, ispido e lucentissimo, non si era mossa. Soltanto i suoi occhi, neri e mobilissimi, guardavano sospettosamente il cow-boy, ma più con inquietudine che minacciosamente. Quell’improvviso incontro aveva così sorpreso lo scorridore, da non fargli pensare a una pronta ritirata.

Uomo e animale si guardarono così per alcuni istanti, senza osare muoversi, poi il primo fece sollecitamente un passo indietro, senza però staccare gli occhi dal suo avversario. Con la destra aveva cercato il bowie-knife, quel solido coltello adoperato dagli americani, e che in certe occasioni è preferibile a una rivoltella, e, assicuratosi che l’aveva alla cintola, aveva continuato a retrocedere, sforzandosi, con la sinistra, di allontanare i rami che gli impedivano di lasciare la macchia. Appena si sentì libero, fece un rapido voltafaccia e in due salti raggiunse il mustano, afferrando rapidamente il fucile.

– Auff!… – esclamò, respirando liberamente. – Credo di averla scampata per miracolo. Mio caro orso, se vuoi provare i tuoi artigli sulle mie carni, ti prometto di farti passare un pessimo quarto d’ora.

Anche il mustano si era accorto della vicinanza della fiera. Aveva rialzato il capo, interrompendo bruscamente il pascolo, e aveva mandato un nitrito d’inquietudine.

– Non temere, Caribou, – disse Bennie, accarezzandolo con una mano. – Ci sono io a difenderti. Ah!… Eccolo!… Fortunatamente non mi sembra di cattivo umore!

I minatori dell' Alaska

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