Читать книгу Dal primo piano alla soffitta - Enrico Castelnuovo - Страница 5

I.

Оглавление

Indice

Qualunque spettacolo ci fosse sul Canal Grande, s’era sicuri di veder folla in palazzo Bollati. Figuriamoci poi quanta gente s’aspettasse quella domenica 7 ottobre 1838 in cui ci doveva essere la regata in onore di S. M. Ferdinando I, venuto insieme con l’augusta consorte a beatificare di sua presenza la fedele città di Venezia.

Già fin dalla mattina si vedeva una gran confusione, una grand’affaccendarsi dei servi a lavare i pavimenti, a spolverare i mobili, a fregar le maniglie degli usci, a mettere i damaschi fuori delle finestre. Il contino Leonardo, ragazzo di circa quindici anni, era giù alla riva in mezzo ai tappezzieri che stavano compiendo l’addobbo della bissona l’Uscocca, allestita per cura e a spese della famiglia Bollati, e nella quale egli stesso, il contino, sarebbe entrato più tardi. E alla riva c’era anche Tita, uno dei barcaiuoli di casa, col suo gondolino, che doveva prender parte alla gara e che portava il numero 6. Naturalmente, Tita aveva la testa piena del grande avvenimento e discuteva col padroncino circa al merito dei varii competitori ch’erano su per giù quelli dell’ultima regata. C’era però questa volta un giovine muranese, un tal Nane Sandretti detto Bisatto, di cui nessuno aveva sentito parlare fino a poche settimane addietro e del quale si pronosticavano miracoli. Sarà benissimo.... Forza ne aveva sicuramente, ma la forza non basta. Tita voleva mostrarsi imparziale; nondimeno egli doveva dire la sua opinione, ed era questa: che i Muranesi avessero a stare a Murano e a farsi le loro regate per sè. In quanto a lui, il Bisatto non gli faceva paura e con l’aiuto della Madonna sperava di guadagnarsi anche quest’anno la sua brava bandiera rossa. Non si lagnava del compagno che gli avevano dato, uno fra i pochi Castelani che sapessero tenere il remo[1]. Tita aggiungeva poi alcune savie considerazioni sul tempo che non era perfettamente sereno, ma che, secondo lui, si sarebbe mantenuto abbastanza buono fino a notte, sul riflusso che sarebbe cominciato fra le cinque e le cinque e mezzo, e su altri argomenti di non minore importanza. Anche il conte Zaccaria, padre di Leonardo, s’era alzato di buon mattino e girava su e giù per le stanze in compagnia dell’agente generale, sior Bortolo, descrivendogli l’accoglienze ricevute il dì prima da Sua Maestà, la quale s’era mostrata informatissima della grandezza dei Bollati e gli aveva detto subito!—Ah, Bollati.... nome storico.... conosco.—E il conte Zaccaria osservava che, quando si ha un nome storico, si ha l’obbligo di curarne lo splendore senza badar troppo al dispendio, e che già ci son certe spese le quali possono considerarsi più ch’altro una buona investita di capitali, e ch’egli non era pentito sicuramente d’aver fatto ristaurare il palazzo e addobbare l’Uscocca, perch’eran tutte cose le quali tornavano a lustro della famiglia. Parole d’oro a cui sior Bortolo, uomo furbo e discreto, si guardava bene dal contraddire.

Se il conte Zaccaria era disposto quella mattina a veder tutto color rosa, la nobildonna Chiaretta, sua illustre consorte, pessimista per indole, s’era svegliata d’umor più nero del consueto. Essa diceva chiaro alla cameriera che non vedeva l’ora che questa baldoria finisse, e ch’era una vita da cani, e che, se durava ancora un mese così, ci avrebbe rimesso la pelle. Meno male se l’amor proprio fosse stato soddisfatto. Ma ci voleva quel grullo di suo marito per contentarsene. Ormai tutti potevano avvicinare i Sovrani, tutti potevano andare a Corte, ed ella aveva avuto l’umiliazione di trovarvi certe donnette che non avrebbe ricevuto in casa sua, certe contesse di princisbecco che non si sapeva di dove venissero. Al gran ballo poi sarebbe stato uno scandalo addirittura. Eran stati messi in giro duemila inviti e s’era dovuto discendere fino ai nobili dell’Ordine dei segretarii, fino ai cavalieri della Corona di ferro di terza classe, fino ai mercanti arricchiti e alle loro femmine. Che più? Si diceva, ma questo la contessa Chiaretta non voleva crederlo, che ci sarebbe stata anche la moglie d’un banchiere ebreo. In verità, eran cose che a pensarci facevano salire i rossori al viso, e quando Sua Eccellenza Chiaretta ci pensava, le veniva quasi quasi la voglia di affigliarsi alla setta della Giovine Italia. Intanto oggi c’era la seccatura di vedersi il palazzo pieno di gente, forestieri in gran parte, per merito soprattutto del suo signor genero e della sua signora figliuola, che quand’erano a Venezia le intedescavano la casa.

La contessina Maddalena Bollati, figlia primogenita delle loro Eccellenze Zaccaria e Chiaretta, s’era sposata due anni addietro, uscita appena dalle Salesiane, col signor marchese Ernesto Geisenburg-Rudingen von Rudingen ufficiale degli ussari, possessore di molte terre e castella in Moravia. Matrimonio levato a cielo dagli uni, aspramente censurato dagli altri, tanta è la varietà degli umani giudizii. Per noi due cose sole son certe: primo, che il nome del marchese Ernesto Geisenburg-Rudingen von Rudingen figurava nell’almanacco di Gotha, e, via, ci pare che bisogni discorrer con qualche riguardo d’una persona ch’è registrata nell’almanacco di Gotha; secondo, che il detto signor marchese possedeva quella prosopopea che si conviene ai grandi personaggi. La boria dei Bollati non era nemmeno paragonabile a quella del loro signor genero. L’aristocrazia veneziana si sa, visse sempre in dimestichezza col popolo e il suo orgoglio di casta prese tutt’al più la forma d’una famigliarità impertinente. Ma l’aristocrazia tedesca non ammette scherzi e vuol far capire ai semplici mortali ch’è già una sua gran degnazione s’ella permette agli altri di tirare il fiato alla sua presenza. Siccome poi il marchese Ernesto aveva appiccicato le sue belle qualità alla consorte, così la vicinanza della nobilissima coppia faceva l’effetto d’una pietra da mulino sullo stomaco.

I coniugi Geisenburg-Rudingen von Rudingen, venuti a Venezia apposta per ossequiare le LL. MM, erano ospiti in casa Bollati da due settimane, e proprio nel momento in cui la contessa Chiaretta si sfogava in querimonie con la cameriera, la marchesa Maddalena strapazzava in tedesco la sua Zimmermädchen, e il marchese Ernesto con l’aiuto d’un servo si metteva il busto e si stringeva la vita. Bisogna notare che il marchese, afflitto da obesità prematura, doveva far sforzi erculei per dissimulare la sua imperfezione e per esser contenuto nella sua succinta divisa di capitano di cavalleria. E quando tra lui e il servo avevano sudato due buone ore, il signor marchese acquistava l’apparenza di un 8 pietrificato. Si capisce come queste condizioni fisiche non gli permettessero di restar nell’esercito, ed egli infatti aveva chiesto e ottenuto la sua licenza, conservando però il diritto di vestir l’uniforme.

Non sarà inopportuno per ultimo di dare una capatina in una stanza del secondo piano dove si trova inchiodato da due anni per una paralisi alle gambe il padrone vecchio, l’ottuagenario conte Leonardo, comandante di galera ai tempi della Serenissima. Lungo, stecchito, grinzoso, il conte Leonardo era sdraiato sur una poltrona presso una finestra che guarda il Canalazzo, mentre dietro di lui un barbiere antidiluviano gli pettinava il parrucchino e gli ravviava i quattro peli tinti delle basette. Il conte Leonardo, che aveva ancora sciolta la lingua e pronta la memoria, stava passando in rassegna le innumerevoli regate a cui aveva assistito nella sua vita. Gl’importava molto di veder quella d’oggi, egli che aveva visto quelle per l’Imperatore Giuseppe II, per i duchi del Nord, per il conte di Haga, per Napoleone e pel principe Eugenio!

E il barbiere, rincarando la dose, soggiungeva:—Chi ha visto ciò che si faceva sotto San Marco non ha più nulla da vedere. Eh, lustrissimo, a pensare che se invece di quel minchione del Condulmer ci fosse stato lei a capo della flotta, avremmo ancora la nostra Repubblica!...

—Via, via—rispondeva modestamente Sua Eccellenza—la cosa non era tanto facile.... Quei maledetti Francesi erano un osso duro da rodere.

Ma il barbiere non si dava per vinto.

—Ci son mancati gli uomini, ecco il male. Il cavalier Emo era morto, e il solo che potesse supplirlo era tenuto in un posto subalterno. Così ci son capitate addosso tutte le disgrazie. Prima quei matti del Governo democratico, poi i patatuchi, poi i Francesi, poi i patatuchi da capo, che il diavolo se li porti....

Il conte Leonardo gli diede sulla voce:

—Non vi fate sentire dal marito di mia nipote.

L’altro si strinse nelle spalle.—Io non sono che un miserabile insetto, ma Vostra Eccellenza sa che quel matrimonio....

—Non l’avete mai potuto digerire.

—A me non toccherebbe parlare, ma santo Iddio, c’era proprio bisogno che una damigella Bollati andasse a cercarsi lo sposo laggiù?

—Cosa volete? Si sono innamorati del nome.

—Un nome che riempie la bocca.... Bel gusto.

—Un gusto come un altro... Per me tanto li ho lasciati fare, che non ho mai voluto perdere il mio tempo a raddrizzar le gambe ai cani.... E.... che novità ci sono in paese?

—Ma! Tutte queste feste....

—Ne ho intronata la testa da mio figlio e da mia nuora.... Novità d’altro genere?...

—Non saprei.... Pare che il Patriarca si sia intromesso perchè il nobil’uomo Zulian riprenda in casa la moglie.

—La riprenderà, la riprenderà.... Anche suo padre ha fatto lo stesso.

Gli occhi del vecchio luccicarono.

—Vostra Eccellenza ne sa qualche cosa—soggiunse maliziosamente il barbiere.

In temporibus illis.... E poi?

—Dicono che la signora Giuliana Polo non voglia più fra i piedi Sua Eccellenza Barbarigo...

—Scene di gelosia a settant’anni?

—Pare che la signora Giuliana abbia colto l’amico in flagranti.

—Eh?—esclamò il conte Leonardo sbarrando gli occhi.—In flagranti? Con chi?

—Non saranno state che carezze innocenti..... con la cameriera.

—Briccone d’un Barbarigo!... Avanti.

—Hanno messo il sequestro sui beni dei Napodano.

—Era da aspettarselo.... È finito?

—È morto il ragazzo Partecipazio.

Il nobil’uomo Leonardo tentennò il capo.—Ecco un’altra grande famiglia che s’estingue. Povero Libro d’oro!

—Speriamo che i Bollati durino ancora per secoli—disse il barbiere.—In sæcula sæculorum.

—Uhm!—borbottò tristamente il vecchio patrizio. E troncò il colloquio.

Dal primo piano alla soffitta

Подняться наверх