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VI.

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Il dì seguente, nelle prime ore del pomeriggio, fra i tanti fiacres che percorrevano le vie di Genova diretti alla stazione, ce n'era uno aggravato dal peso formidabile del capitano Rodomiti, e da quello assai più tenue del dottore Romualdo e della piccola Gilda. Il capitano dondolava la bimba sulle sue ginocchia cingendole con un braccio la personcina elegante, mentre con la mano che gli restava libera sosteneva la sua pipa di maiolica, da cui si alzava una colonna di fumo ancora più densa dell'ordinario. Quanto al professore, si sarebbe detto ch'egli studiava un problema di matematica. E invero, ciò ch'egli studiava in quel momento era per lui ben più difficile d'un problema di matematica. Si trattava di apprendere l'arte di addomesticare la Gilda Natali come il capitano era riuscito ad addomesticarla, e l'occhio del Grolli passava dal Rodomiti alla fanciulla e dalla fanciulla al Rodomiti, tentando di coglier la formula d'una situazione così delicata. Ahimè, nè la geometria superiore, nè l'algebra offrivano la soluzione dell'arduo quesito; e il libro dei logaritmi saputo a memoria giovava assai meno allo scopo di quello che non gioverebbe il libretto dell'Attila a far comprendere la questione d'Oriente. Onde il professore sudava freddo pensando che, una volta salito in ferrovia, egli si sarebbe trovato alle prese con difficoltà assai maggiori di quelle incontrate fino allora nella sua vita tutta studio e raccoglimento. Dal canto suo il capitano pareva molto più occupato della bambina che di colui il quale doveva succedergli nell'averne cura. Egli ravvolgeva le dita nei folti e ricciuti capelli di lei, le sfiorava carezzevolmente col dorso della mano la guancia, e la guardava con occhi inteneriti attraverso le nuvole di fumo svolgentisi intorno alla sua pipa. Dinnanzi a un confettiere, egli fece fermar la carrozza. Scese con la Gilda, entrò nel negozio e comprò alcuni frutti canditi, ne diede uno alla bimba e affidò gli altri al professore perchè li portasse seco in vagone e li distribuisse con parsimonia alla sua compagna nei momenti scabrosi. Alla stazione il capitano s'incaricò egli stesso di consegnare il bagaglio della fanciulla; poi scelse pei due viaggiatori una buona carrozza di seconda classe ancora vuota, ve li fece salire e, ritto dinnanzi allo sportello con un piede sul montatoio, formò un argine insuperabile a tutti quelli che avrebbero voluto entrare nel compartimento. Quando lo sportello fu chiuso dal conduttore, il Rodomiti mise sul montatoio anche l'altro piede e introducendo la testa nel vano del finestrino continuò a mantenersi in comunicazione col professore e con la Gilda, sulla cui fronte principiavano ad addensarsi certe grosse nubi foriere della tempesta. Infine, allorchè la parola pronti fu ripetuta da un capo all'altro del convoglio e la macchina mise il suo fischio, egli baciò di nuovo la bambina, strinse vigorosamente la mano del Grolli, e calatosi a terra, se ne stette immobile a veder sfilarsi davanti i vagoni. Quando avrebbe riabbracciato la sua figlioccia? S'era avvezzo ormai alla compagnia della gentile creatura, per quasi tre mesi l'aveva avuta ai fianchi a tutte le ore, l'aveva tenuta a dormire nella sua cabina, l'aveva addomesticata allo spettacolo del mare in tempesta, del cielo scuro e iracondo, s'era avvezzato a vestirla, a spogliarla, a metterla a letto, e adesso gli toccava lasciarla forse per sempre. — A rivederci tra qualche anno — egli aveva detto nell'accommiatarsi dal professore; ma chi sa che cosa sarebbe accaduto fra qualche anno? Intanto fra pochi giorni egli salpava per le Indie, e la Gilda avrebbe un bel chiamare lo zio Tonino!

Con questi pensieri lo zio Tonino si allontanava dalla stazione, e fosse il fumo della pipa o altro che gli dèsse molestia, fatto si è ch'egli dovette passarsi più volte la manica del vestito sugli occhi.

Mentre il capitano Rodomiti si affannava nelle angustie dell'avvenire, il professore Romualdo era in mezzo alle tribolazioni del presente. Fino all'ultimo momento la Gilda era fissa nell'idea che lo zio Tonino sarebbe partito con lei, e aveva creduto ch'egli scherzasse dicendole il contrario. Ma quando il convoglio si mise in moto, ed ella vide che il capitano restava davvero alla stazione, non ebbe ritegno alcuno nell'urlare e nel piangere. Il meschino professore non sapeva più a che santi votarsi, e girava intorno certi occhi smarriti come se dovesse capitargli un aiuto di sotto i sedili. Invano ricorreva alle preghiere, alle minacce, alle frutta candite lasciategli dal capitano; preghiere e minacce non valevano a nulla, e le frutta candite venivano dalla terribile Gilda tramutate in proiettili ch'ella slanciava a tutti gli angoli della carrozza. Ah se il nostro Romualdo avesse potuto dire al macchinista come si dice a un cocchiere — Torniamo indietro! — Se avesse potuto almeno riconsigliarsi col capitano Rodomiti, prender da lui una nuova lezione sul modus tenendi con questa indomabile nipote! Doveva proprio capitare a lui! A lui che non dimandava se non che di vivere tranquillo in mezzo alle equazioni di terzo grado e alle storte del suo laboratorio! Così si giunse alla prima stazione, ed il professore stava raccogliendo da terra gli avanzi della battaglia, quando lo sportello si spalancò e il conduttore introdusse nella carrozza una famiglia di sei persone, che vennero ad occupare tutti i posti disponibili. Il professore, colto di sorpresa, ebbe appena tempo di mettersi ritto e di tirar da una parte la recalcitrante fanciulla, ma non potè impedire ad una grossa e rispettabile matrona di sedersi sopra un mandarino, il quale scoppiò come una granata e abbellì di non previsti ornamenti il vestito della signora. Onde i richiami e le lagnanze dei compagni di viaggio vennero ad aggiungersi alle altre allegrezze dell'infelicissimo Grolli. In quanto alla Gilda, seppure di tratto in tratto ella si distraeva guardando fuori della finestra gli alberi e le case, questi lucidi intervalli duravano poco, e ogni pretesto bastava a rimetterla sul piede di guerra. Allora le si manifestavano tutti i bisogni fisici e morali del mondo. Pareva aver più sete dei Crociati sotto Gerusalemme, più fame dei figli del conte Ugolino, più necessità di locomozione di un condannato da dieci anni al carcere cellulare. Quando poi, nelle brevi fermate, il povero Romualdo chiamava il caffettiere della stazione per offrire alla bisbetica sua pupilla una limonata o una cialda, o quando egli le proponeva di condurla a far quattro passi sotto la tettoia, ella rispondeva con uno sdegnoso rifiuto, salvo a ridomandare, appena il convoglio era in movimento, ciò che ormai non poteva più ottenere. Intanto alle varie stazioni qualche viaggiatore scendeva, qualche altro saliva, e la compagnia andava mutandosi continuamente. Ma per quante mutazioni accadessero, il professore non vedeva intorno a sè che volti ostili, non sentiva che un mormorio poco lusinghiero per lui. La bimba destava affetti diversi a seconda dell'indole più o meno tollerante, più o meno amorevole dei passeggeri, ma l'esotico personaggio che la accompagnava non riusciva simpatico a nessuno. Chi lo trovava troppo severo e chi troppo indulgente; ma tutti convenivano nell'attribuire a lui solo l'inquietudine della piccina. E se il professore tentava di conciliarsi il gruppo delle anime pietose con qualche carezza alla Gilda, egli vedeva oscurarsi maggiormente i volti delle persone rigide e gravi, e, se in omaggio a queste accennava, a voler inaugurare un regime di repressione, i viaggiatori di pasta molle sembravano voler mangiarlo cogli occhi.

Persino un uomo serio, calvo, impettito, che per lungo tempo aveva conservato la più stretta neutralità, ad un certo punto, ritirando un lembo del suo soprabito su cui la fanciulla aveva creduto opportuno di mettere i piedi, sentenziò gravemente: — Quando non si sa tenere i bimbi, si lasciano a casa.

Già! Come se il professore si trovasse a sì mal partito per sua propria elezione.

Sull'imbrunire, la Gilda prese sonno, e vi fu un po' di tregua. Il riposo del corpo ridonò la serenità anche all'espressione del viso della fanciulla. Il demonio era cambiato in cherubino.

— Ma se è un angiolo... Basta guardarla — disse con voce commossa una signora sentimentale, rivolgendosi al marito.

— A rivederci quando si sveglia.

— Che?... Coi bimbi è questione di tatto... Me ne intendo, io...

— Quel signore deve intendersene pochino...

— Quello non è un uomo, è un orso... È bella davvero la bimba, sai... Che capelli! Con quei ricciolini intorno alla fronte.... E quella manina che le penzola da un lato... Cara... Se ci fosse uno scultore... Oh! Ma tira del vento... Signore, dico... signore!

Il Grolli stentò molto ad accorgersi che questo appello era indirizzato a lui.

Quando ne fu sicuro, volse gli occhi da quella parte, ripose in tasca frettolosamente un fazzoletto turchino col quale si era asciugato la fronte, e stette immobile ad attendere i responsi della nuova interlocutrice.

— Scusi, sa, non potrebbe chiuder la finestra? La bimba è tutta sudata... Si fa così presto a buscarsi un malanno!

E il professore, arrossendo di non averci pensato lui, si affrettò a seguire il consiglio della persona prudente.

Certo, se il professore fosse stato espansivo, se avesse spiegato la vera condizione delle cose, e come si trovasse lì in quel momento con quella bambina al fianco, egli avrebbe disarmato in parte i giudizi sfavorevoli sul conto suo. Ma il Grolli non era uomo da perdersi in chiacchiere, e aveva già fatto uno sforzo superiore ai suoi mezzi rispondendo con monosillabi alle domande che gli erano rivolte. Estenuato dalla fatica, egli non si curava punto di modificare l'opinione pubblica a suo riguardo; pensassero ciò che loro piaceva, in quanto a lui desiderava una cosa sola: che la sua tumultuosa nipote dormisse almeno ventiquattr'ore, tanto da permettergli di riprender fiato. In verità, pel momento, egli non sapeva se augurarsi o temere la fine del viaggio. Egli avrebbe ben volentieri portata di peso la Gilda sulle sue braccia dal vagone fino ad un fiacre, pur ch'ella non si fosse destata, ma era sperabile ch'ella avesse un sonno così profondo? E chi sa che strepito allo svegliarsi!... All'idea di attraversare la stazione in compagnia di una bimba strillante, gli venivano i brividi della febbre.

Prima che finisse il viaggio, la Gilda si risentì più volte mostrando chiaramente che il riposo poteva ristorare le sue membra, ma non acquetava punto i suoi umori ribelli. Al momento di scendere, per buona ventura ella dormiva. Il professore, con un impeto disperato, la prese in collo, saltò già dalla carrozza, e tenendo i biglietti della ferrovia fra i denti, l'ombrello nella posizione d'un fucila a spall'arm, e la sacchetta infilata all'ombrello in modo che venisse a battergli sulla schiena, si avviò di corsa verso l'uscita della stazione.

Pure il suo eroismo poco gli valse; chè la piccina aperse gli occhi mentre ch'egli era ancora sotto la tettoia, e si mise a strillare e ad agitare braccia e gambe come un'ossessa. E quasi lo facesse apposta, strillò e si dimenò più che mai davanti a due studenti dell'Università, i quali erano venuti lì ad aspettare qualcheduno, e senza questo strepito non si sarebbero forse nemmeno accorti del passaggio del dottor Romualdo.

— Guarda — gridarono i giovinetti ad una voce. — Il professor Grolli!

— Santo cielo! — soggiunse l'uno dei due. — Pare abbia rubato una bimba... Come corre!

— E l'altra, come strilla!

— Buona sera, signor professore — gridò il primo, ch'era anche il più birichino.

Il signor professore si lasciò scappare un grugnito e tirò innanzi nella sua via. Appena fuori della stazione, entrò in una carrozza ch'era già occupata e dovette scenderne; poi salì in un'altra, ne chiuse lo sportello, ne abbassò le cortine, e ordinò al cocchiere di condurlo quanto più presto potesse alla sua abitazione.

Il cocchiere frustò il cavallo; le grida della fanciulla si dileguarono in lontananza.

Gli studenti si guardarono in faccia e proruppero in un riso sgangherato.

— Il ratto di Proserpina — osservò uno d'essi. E declamò il famoso sonetto:

Diè un alto strido, gittò i fiori, e volta, ecc., ecc., ecc.

Il Professore Romualdo

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