Читать книгу E Non Vissero Felici E Contenti - Federica Cabras - Страница 10
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ОглавлениеOlivia mise a letto i bambini molto tardi, quella sera. Avevano passato l’intera serata a giocare con i giochi portati dalla zia Sandi. Olivia aveva sempre insistito che la chiamassero zia, anche se non ne capivano a fondo il motivo.
Sandi non era certo il tipo di persona che i bambini amano – di quelle che «Dai, facciamo un trenino!» o «Aiutatemi a fare le collane con le perline che indosseremo tutti stasera!». Era disinteressata a ogni aspetto dell’universo che non la riguardasse personalmente; era fredda, impersonale. Dava loro pacche nella schiena con il calore di un serpente della giungla. Ma la loro mamma la amava, quella donna stramba, o almeno la amava a suo modo – di quegli amori un po’ sofferti, ancor più preziosi perché strani, esclusivi.
Una volta mamma Olivia aveva detto ai bambini che lei li aiutava tanto e in vari modi. Poi aveva aperto il portafogli e loro avevano intravisto – non senza l’acquolina in bocca: avere soldi voleva dire leccornie, giochi – delle banconote da cento. La mamma guadagnava poco – «Il necessario!» soleva ripetere il suo spilorcio datore di lavoro – e tirare avanti non era semplice. Quel giorno era nata in loro una nuova stima per quella zia che non si interessava di chiedere loro come andassero le cose a scuola o come volessero il latte alle cinque del pomeriggio. Se ne infischiavano, semplicemente, di quelle strane regole. Tutta la loro vita era governata da leggi che di ortodosso avevano ben poco. Quel giorno, soprattutto, erano stati felici di vederla. Il papà era andato via – «Per sempre, mi auguro.» aveva affermato la mamma – e loro non erano né tristi né felici – l’amarezza per averlo visto andare via sbattendo la porta cozzava con la paura provata alla sola vista di quegli occhi assetati di sangue. Tuttavia una ulteriore compagnia non dava loro noia, anzi provocava sollievo.
Nella sala da pranzo Sandi e Olivia, all’una di notte, chiacchieravano ancora animatamente.
«Ti ricordi quando ti sei sposata?» chiese Olivia.
«Oh, sì. La sbornia presa il giorno dopo non la scorderò mai.»
Era il giorno che aveva scoperto che peggio dei liquori mischiati c’è solo la morte.
«E io lì, che ti mantenevo la testa. Eddie disperato, mentre tu gli spiegavi, pazientemente come solo una persona ubriaca sa fare, che non era lui il problema, ma tu. E in quel frangente ti accorgesti di avere le scarpe sporche di vomito e tutta quella tua sicurezza iniziale svanì.»
«Non mi ci fare pensare.»
Aveva già bevuto qualche bicchiere di troppo, e la testa iniziava a girarle vorticosamente.
I colori della casa variopinta di Olivia giravano, e giravano. E lei guardava il soffitto, stupita come un bambino davanti a un marchingegno mai visto. Olivia rise, di cuore e in modo fragoroso. Come Dio avesse fatto diventare amiche due persone così agli antipodi non si sarebbe scoperto mai. Una fredda, l’altra solare. Una seria, l’altra spiritosa. Una infelice – sempre e comunque, perché il mondo non girava intorno a sé –, l’altra perennemente grata a tutto. Olivia sapeva ringraziare Dio – o il destino, l’universo, la natura… insomma, qualunque cosa decida per noi – anche per il sole la mattina, o per i cornetti alla crema accompagnati dal cappuccino. Fermamente convinta che la filosofia esatta fosse quella del bicchiere mezzo pieno, fedelissima seguace dei saldi e innamorata dei dolciumi, Olivia era capace di amare incondizionatamente, senza se e senza ma. Sandi era tutt’altro. Non capiva le persone come Olivia – quelle che ridono senza un motivo, o che si danno agli altri in modo assoluto. Lei dava di sé piccoli pezzi, si concedeva a porzioni ridotte – quasi come se davvero il suo animo venisse dilaniato dall’eccessivo contatto con gli altri. Olivia era una delle poche persone che avrebbero potuto godere della sua vera essenza, delle sue preziose risa.
«Senti, Sandi… ma Eddie?»
«Non so dove sia.»
«E lo dici così? Senza interesse? È pur sempre tuo marito…»
«È mio marito, sì. Ma solo sulle carte.»
«Come siete finiti a questo? A farvi del male in questo modo, intendo. Abitate nella stessa casa, dormite nello stesso letto e vi guardate ogni santo giorno da quindici anni. Ma non vedete nulla; siete due spettri.»
«Olivia, le vicissitudini della vita spesso ti portano ad allontanarti e nulla – nulla! – si può fare per rendere le cose indolori o…»
«Piantala di fare discorsone con me, Sandi. Il tuo carisma ti aiuta ovunque ma non qui, in questa casa. Non con me. Ti conosco, sai?»
«E allora che diavolo vuoi sapere?»
Sandi si alzò, e camminava nervosamente per la stanza. Era quasi ubriaca.
«Si è rotto, tra di noi, Olivia! Si è rotto quando Ginevra si è alzata in volo, tra le nuvole. Si è rotto perché sono rimasta incinta una sola volta, e dopo sono stata più sterile di una sala operatoria. Non sono stata capace di dargli un altro figlio! Come pensi che mi senta? A cosa serve una donna il cui ventre si è esaurito? Lui voleva un altro figlio, un’altra ragione per vivere, per tirare avanti…»
«Oh, tesoro. Io pensavo non ci aveste nemmeno provato, dopo la morte di Ginny.»
«Oh, sì! Per mesi! Anche se non ci guardavamo nemmeno più. Lo facevamo lo stesso, e puntualmente ogni mese le nostre speranze venivano smentite. E lui ha voluto smettere di provarci. “Mi fai schifo!” mi disse, un giorno. “Smettiamola di farci del male, basta.” aggiunse. E io rimasi così. Ero così dannatamente triste, afflitta. Non capivo quale fosse il problema. Poi mi sono arresa. E lui è cambiato; era dispiaciuto, dolce. Mi chiedeva, amabilmente, ogni mattina che colazione volessi o se avessi bisogno di qualcosa. Il suo sguardo tradiva compassione, pietà. Come se qualcuno potesse, sul serio, avere compassione per me! Porco!»
«Lo respingesti?»
«Ovvio, lo feci.» affermò con gli occhi stretti in due fessure e un’espressione soddisfatta sul viso. «Lo feci iniziando a odiarlo. Provai io compassione per lui. Perché la sua vista non mi provocava niente: né amore né dolore; né tristezza né gioia. Era un fantasma, per me.»
«Mi dispiace. Non sapevo.»
«No, lo so.»
Si sedette nuovamente. Lo scatto d’ira era passato. Ora rimaneva solo il vuoto di un’esplosiva esacerbazione fine a se stessa.
«Porca vacca, mi sento così male…» mormorò, più a sé che agli altri.
«Lo so, cavolo se lo so.»
«Ora dormirò.»
«Va bene, perfetto. Io starò nella stanza accanto. Proverò a riposare. Domattina ti sveglio alle 5 e trenta, così potrai correre a casa tua, cambiarti ed essere a lavoro alle 9.»
«Ok.» biascicò, poco convinta, l’amica.
*
Nella sua stanza poco distante dal salotto Olivia pensò a tutta quella faccenda. Forse Sandi era nata buona – del resto si intravedeva nei suoi occhi, di tanto in tanto e soprattutto nei giorni di profonda stanchezza, un lampo di gentilezza, una parvenza di empatia – per diventare poi quella donna senza cuore nel tempo, a causa delle delusioni e di complicate e caotiche odissee. Si girò nel letto, senza riuscire a prendere sonno. Pensò alla vita che aveva in grembo, a quel bambino che cresceva dentro di sé. Pensò al miracolo di avere dei bambini – con i loro giochi, i loro gridolini, la loro voglia di fare e i loro visini buffi sporchi di gelato. Poi pensò all’amarezza di Sandi – quella stessa amarezza che le aveva letto nel volto quando, pazza dalla furia, raccontava il calvario che l’aveva portata ad odiare il marito.
«Sì, nemmeno io l’avrei perdonato. D’altro canto l’ha ferita in un modo profondo e irrimediabile.»
Si ricordò la Sandi che conobbe tanti anni prima. Aveva 22 anni ed era fresca di studi. Era arguta, intelligente. Una laurea in Storia Antica e tanta voglia di sfondare. Aveva motivazione da vendere. Era una prima donna, Sandi; l’aveva persino invidiata e odiata per i suoi successi, per un lasso di tempo abbastanza lungo da garantirle l’inferno. Bella da morire e sagace all’inverosimile, riusciva, con le sue chiacchiere dense di sottili allusioni, ad ammaliare tutti. Poi era arrivato Edmund. L’aveva catturata con l’ironia e il brio. Lei, con lui, era riuscita a raggiungere un po’ di leggerezza e aveva perso, solo parzialmente, quell’espressione di superbia che le si dipingeva sovente in volto; lui aveva capito che nella vita si deve essere svegli e svelti. Era stato uno scambio equo, insomma. Avevano imparato l’uno dall’altra. Il mondo era ai loro piedi; poi era arrivata la bambina, e la sua prematura dipartita li aveva divisi e buttati nel baratro di una vita scarsamente appassionata e scandita solo dal rancore che, di tanto in tanto, tornava a farsi vivo. Lei allora si era fatta assumere in una grossa azienda, e fine dei giochi. Che sapesse, non aveva nemmeno più provato a scrivere – ma su questo non avrebbe di certo messo la mano nel fuoco.
«Certo,» mormorò malignamente nel buio «che se avesse saputo che lavoro avrebbe fatto da grande non avrebbe certo avuto quel nasino insù per tutto quel tempo!»
Poi, accortasi di quella sua infelice uscita, disse un’Ave Maria.
«Perdonami, oh Signore. Perché non solo ho peccato, ma peccherò ancora, lo so!»
Fu in quel momento che, presa dalla stanchezza, chiuse gli occhi e cadde in un sonno ristoratore privo di sogni.