Читать книгу E Non Vissero Felici E Contenti - Federica Cabras - Страница 9

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Eddie aveva pranzato da solo. Una scatoletta di tonno, una mozzarella e un paio di pomodori. Leggero e sano, non per scelta ma per incapacità dinanzi ai fornelli. Poi collassò qualche ora nel divano, accoccolato a Ted. Quel cane era tanto, troppo pigro. Ogni momento era buono per schiacciare un pisolino.

La sveglia del telefono, puntata per le 5 e trenta, suonò una canzone conosciuta. Lui aprì gli occhi, riposato. Poi si alzò e corse in doccia. Per le 7 meno un quarto doveva essere in ufficio, con la cena cinese ritirata già tra le mani. Si insaponò, velocemente, poi si risciacquò e uscì alla ricerca di un asciugamano. Si preparò come si trattasse di un’uscita, e poi si sentì in colpa per questo. Aveva messo un paio di pantaloni beige, una polo scura e una giacca sportiva marrone scuro. Si era fatto il gel, alzando i capelli chiari, e aveva messo il suo profumo migliore. In perfetto orario sedette nell’auto, diretto al take away cinese. Poi, procurato il cibo, si diresse all’ufficio. L’atrio era buio, probabilmente Giorgia non era ancora arrivata. Entrò con sicurezza in quei luoghi tanto conosciuti, poi avanzò verso la porta nella quale erano affissi tre nomi. Uno di questi era il suo. Si sbagliava. Giorgia era già lì: davanti a lei, mille pratiche e due bottiglie di birra.

«Ehi, scusa ti ho preceduto.» esordì, timidamente, lei.

«Oh, no. Ma figurati. Hai fatto bene.» rispose lui poco convinto. Quella storia che fossero entrambi lì, soli e ben vestiti gli sembrava sempre più sbagliata. La guardò. I capelli scuri e lunghi fino al limitare della schiena le davano una parvenza infantile, che veniva smorzata subito dalle linee sinuose del suo corpo. Notò, non con stupore, che anche lei si era acconciata in modo più preciso e sensuale del solito. Un vestito verde scuro con lo scollo pronunciato le fasciava il seno e le cingeva i fianchi; le scarpe scintillavano, e al collo portava un gioiello brillante capace di attirare l’attenzione. Quando i loro occhi si incontrarono – scuro e chiaro, uniti da un momento infinito, magico, inafferrabile – un brivido corse nella schiena di entrambi. Ma lui sapeva già che sarebbe successo, e si era preparato.

Si sedette dall’altra parte della scrivania e pose davanti a sé i fogli di cui disponeva, invitandola con un gesto della mano a fare lo stesso.

Lei, delusa e un po’ afflitta, obbedì a quel suo ordine.

«Allora, qual è il problema lo sappiamo. Dobbiamo solo stilare una lista di cose da sistemare. Grafici, statistiche. All’arrivo del cliente tutto dovrà essere in ordine.» esordì Eddie con voce ferma e pacata – dentro di sé il fuoco ardeva, ma riuscì a mantenersi composto.

«Io penso che dovremmo iniziare con questa scheda. La compiliamo?» lo interrogò, insicura, lei.

«Sì, facciamo questo.»

Lavorarono di gran lena per tre quarti d’ora. Poi un brontolio interruppe i loro conti minuziosi. Allora si sedettero a terra e aprirono le varie scatolette di carta contenenti cibo.

«Cosa sarà, questo?»

«Ah non chiedermelo! Mangia e basta. Se non sai non puoi preoccuparti.»

«Questa è la tua filosofia?» rise lei, divertita.

«Certo, lo è.» stette al gioco.

«Perché sei così triste, sempre?»

«Cosa intendi, Giorgia?»

Non credeva di essere sempre triste. Sì, talvolta era capace di perdersi nei suoi pensieri, soprattutto quando la sua mente decideva di vagare qua e là tra presente e passato. Dopo pochi minuti di vuoto, di nebbia, di ricordi, tuttavia, lui si riprendeva. Era simpatico, un burlone.

«Non fraintendermi. Tu giochi sempre, e con tutti. Sorridi sempre. Ma io lo vedo. Anche quando ridi di gusto il tuo sguardo è comunque cupo, come se ogni volta che fossi felice qualcosa ti ricordasse che non puoi esserlo, non a lungo almeno.»

Aveva ragione: nessuno se ne era mai accorto, ma le sue erano risate vuote, ingombre di macigni troppo pesanti da spostare. Il suo era solo divertimento apparente.

«Sì, hai visto giusto, Giorgia.»

Era inutile mentire, lei aveva guardato dentro i suoi occhi e aveva messo a nudo tutta la sofferenza.

«Se fossi mio non permetterei che tu soffra così tanto…» bisbigliò lei. Nel calmo ambiente vuoto le sue parole rimbombarono come fossero urlate.

«Ma non sono tuo.»

«E allora di chi sei? Di quella moglie che non ti ama e che non ami? Credi che non mi sia accorta che non porti la fede? Un giorno ti ho sentito parlare con Stefano. Eravate nell’ala relax, e io ero fuori. Sono stata ad ascoltare. Da quanto non ti tocca, Eddie? Da quanto non ti dice che ti ama, che vive di te, che sei l’unico uomo che amerà mai? Da quando non ti prepara il pranzo? Non ti ama. Tu sei perfetto e lei non capisce la fortuna che ha. Non capisce che sei un uomo d’oro. Quell’ingrata non sa che si perde. E io… io ti vorrei. Così tanto e in modo così totale. Tu non capisci! Sai cosa? Tu sei uno stronzo e lei è una stupida!» disse con rabbia.

Lui era livido di rabbia.

Le si avvicinò.

«Che cosa hai detto?» sussurrò, a mezzo centimetro dal suo viso.

«Tu sei uno stronzo e lei una stupida! Hai bisogno che ti vengano sturate le orecchie, o cosa?» lo sbeffeggiò lei.

Lui le tirò uno schiaffo. Sonoro e secco, sferzò l’aria come una frustata. Poi la guardò, pentito. Lei era offesa, umiliata. Era pronta ad andarsene. Fu allora che la baciò, con foga e rabbia. La baciò in modo rude. Non fu dolce, né mieloso. Fu un bacio aggressivo, che diede vita a una lotta silenziosa che li portò sul tappeto della stanza. Le mani di lui trafficarono nel vestito di lei fino a trovare il laccetto che lo teneva su. Lo sganciò. Lei gli sbottonò la camicia e gli baciò il petto. Mentre le mani si rincorrevano, si cercavano e si trovavano lui si bloccò, mentre il suo cuore si gelava.

Sandi urlava, disperata. Eddie non aveva nemmeno più lacrime da piangere. La piccola bara bianca era dinanzi a loro. Nella camera mortuaria dell’ospedale c’era assai freddo, ma nessuno tra loro cercò una giacca. La loro bambina – il loro piccolo angelo che ora diventava custode – non c’era più. Aveva solo sei mesi. L’avevano seppellita con un vestitino bianco con fiori ricamati. L’avevano coccolata e baciata, prima che il funzionario delle pompe funebri li avvisasse del triste momento: avrebbero dovuto chiudere il feretro entro cinque minuti. E ora erano lì; amici e parenti, con parole più o meno di conforto e tante frasi fatte, provavano a lenire quell’atroce sofferenza. Ma nulla avrebbe potuto liberarli da quel groppo nel cuore. Sandi, per la prima volta nella sua vita, era apparsa fragile, debole, pronta a rompersi. Per la prima volta nel suo viso non c’era ostentazione, né malizia, né sicurezza; c’era solo strazio. Lui le strinse la mano, ma lei non rispose alla stretta. Stava canticchiando la ninna nanna di Ginevra. Era un supplizio sentire quella cantilena. La strinse a sé mentre una consapevolezza faceva capolino nella sua testa: niente e nessuno avrebbe potuto riunirli, dopo quell’amara rottura.

«Io… Io… Io non posso farlo.» biascicò lui, rimettendosi in piedi. Il viso di lei era paonazzo, confuso. Si alzò, legò il vestito e si sistemò alla bell’e meglio. Poi lo guardò negli occhi e iniziò a piangere. L’espressione dissoluta di poco prima aveva ceduto il passo a un’angosciante senso di perdita.

«Perché piangi?»

«Piango perché sono io il problema. Sono sempre io.»

«In che senso?» la sollecitò lui, timoroso.

«Ogni volta che trovo un uomo, un uomo come te succede che io rovino sempre tutto! Che tu sia dannato, insieme a tutti gli altri miei demoni!» urlò con veemenza la giovane i cui occhi erano diventati due pozzi neri infernali.

«No, non hai capito affatto…» disse lui, con dolcezza, prendendo il suo volto tra le mani. «Io la amo, e questo mi basta. La amo follemente, senza razionalità né giudizio. La amo perché è la madre della mia bambina.»

«Hai una figlia?»

Era sconcertata, disorientata. Nessuno le aveva mai detto che lui aveva una figlia.

«La avevo.» mormorò con un filo di voce lui. «Ma è sepolta sotto un metro e mezzo di terra.» aggiunse, mentre nei suoi occhi si ravvisava un guizzo di pazzia.

«Mi dispiace.» bisbigliò lei, cauta. Ecco perché quell’aria perennemente angustiata.

«Me ne vado.»

«A domani.»

«A domani, sì.»

La lasciò lì, seduta in una scomoda poltrona, a pensare a quanto era stata stolta, ottusa. Si sentì sporca, immorale. Aveva sedotto per mesi un uomo che non voleva essere infastidito. E ora capiva perché. In quel momento le apparve chiaro come quella donna che lei guardava di nascosto andare a lavoro – quella stessa donna che non si curava del suo sguardo, altezzosa e presuntuosa – lo avesse in pugno. Per sempre.

E Non Vissero Felici E Contenti

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