Читать книгу E Non Vissero Felici E Contenti - Federica Cabras - Страница 11
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ОглавлениеEddie si alzò. Non si era spaventato dall’assenza di Sandi. Aveva trovato un biglietto sul banco della cucina, la notte prima.
“Edmund, io vado da Olivia. Non so quando rientrerò. Magari mi fermo stanotte. Ciao.”
Il suo sguardo si era posato su quel freddo “Edmund”. Nessuno lo chiamava Edmund. Allora, scosso da un fremito, si abbandonò ai ricordi.
«Che diavolo vuoi da me, Eddie?»
«Cosa stai dicendo, Sandi? Voglio solo parlarti! Sei mia moglie, diamine!»
Era stato poco dopo che lui aveva iniziato a provare pena per lei: le aveva reso la vita un inferno, con questa storia di non riuscire ad avere altri figli. Voleva farsi perdonare. Ma, come al solito, si era innervosito, e l’avevano terminata a litigare.
«Non voglio che tu mi tocchi, nemmeno con un dito! Non ti facevo schifo?»
«Non essere sciocca. Ero arrabbiato, e amareggiato. Ma lo sai, ti amo. Ti desidero. Sono folle per te!»
«Muori! Sai una cosa? Eddie per me non esiste più. Per me, d’ora in avanti, sarai solo Edmund. Solo tuo padre ti chiamava Edmund, giusto? Quel tuo padre che ti ha rinnegato come fossi figlio del Diavolo in persona!»
«Che intendi dire?» rispose lui, mentre il sangue gli si gelava nelle vene. Provò ad avvicinarsi per abbracciarla, ma lei si scostò. Allora, in presa a un raptus, la tenne forte e la baciò. Voleva stringerla, sbatterla nel divano e scoparsela. Era questo che meritava per avergli detto quelle orribili parole. Ma la lasciò andare, consapevole che quella situazione l’aveva favorita lui stesso.
Le si girò, lo guardò con astio e si sistemò la spallina che lui aveva fatto scendere. Poi gli sputò in pieno viso.
«Edmund, puoi anche crepare per quel che mi riguarda.»
«Non sarà questa la tua fortuna.» chiosò lui. «Bisogna che tu mi uccida, sporca stronzetta.»
«Oh, non mi tentare. Non mi tentare.»
Era quasi pronto. Indossò le scarpe, la cravatta e si mise a tracolla la borsa del PC e dei documenti.
Quando arrivò in ufficio avvampò al ricordo della sera precedente. Scosse la testa, come per voler allontanare da sé quella verità tanto scomoda quanto pericolosa. Non avrebbe più dato peso alle parole di Giorgia. Non avrebbe riso alle sue battute e non avrebbe vantato una sua qualunque illuminante asserzione. Non le si sarebbe seduto accanto, durante il pranzo. L’avrebbe evitata, insomma, come si fa con peste e malaria. Del resto non voleva alimentare in lei quella stessa illusione che si era creata da sola – l’illusione che lui avrebbe potuto essere salvato: nessuno ne sarebbe stato capace, tantomeno lei.
Ma quando arrivò nei pressi del suo ufficio la vide chinata sulla sua scrivania. Per terra una scatola di cartone aperta conteneva pochi averi e altri ne doveva ancora accogliere.
«Giorgia?»
Lei si voltò. Era bella quanto la sera precedente, o forse anche di più – il fatto che lui non potesse liberarsi dei fantasmi del passato per averla la rendeva, ai suoi occhi, ancor più appetibile. Lo sguardo triste da cane abbandonato e la postura non eretta e forte ma china, debole furono come una pugnalata nel cuore, per Eddie.
«Perché metti le tue cose in una scatola?»
«Me ne vado, Eddie. E no, non pensare di farmi cambiare idea. Una settimana fa ho avuto una proposta di impiego. Ho chiesto qualche giorno per pensarci. Per questo ieri notte ho provato ad andare al sodo. Volevo capire se tu fossi nella mia stessa lunghezza d’onda. Ovviamente sai come è andata.»
«E dove andrai? In cosa consiste questo impiego?»
Per quanto gli dispiacesse, una parte di lui era sollevata: forse alla fine avrebbe finito per cederle, per donarsi a lei. Non lo voleva. Lei era giovane, bella, intelligente; lui avrebbe ucciso tutte le sue belle qualità, relegandola a una vita basata sull’arte di accontentarsi. Accontentarsi di un uomo privo di cuore, non capace di amare.
«Alla Spoline&Co.»
«Wow! Congratulazioni, Giorgia! È un gran studio… un traguardo notevole!»
«Già. Ora vai, hai del lavoro da fare.» aggiunse lei, girando il volto.
Piangeva singhiozzando; solo non vedere la sua faccia avrebbe, piano piano, lenito quel suo senso di delusione.
Lui accolse quella sua richiesta implicita e si allontanò a gran passi. Poco dopo la vide abbracciare qualche collega e andar via. Non si avvicinò nemmeno; quella storia, troncata sul nascere, doveva smettere di esistere anche nei loro pensieri.
«Eddie! Giorgia va via! Non l’hai nemmeno salutata! Non hai sentito? Ha un impiego alla Spoline&co. Cazzo che culo, santo cielo. È una vita che voglio passare lì,» disse Sergio sedendosi accanto a lui e lanciando una pallina da tennis contro il muro ripetutamente «ma zero che mi considerano. Secondo me usano il mio curriculum, che diligentemente faccio avere loro almeno una volta l’anno, come carta igienica. Poi arriva Giorgia che, per carità, è sveglia e quello che vuoi, ma è giovane e viene presa. Per me è perché ha un bel culo.» constatò con una punta di sessismo non indifferente.
«Sergio, lei è brava, molto brava. Avranno visto il potenziale.»
«Sei dalla sua parte e non dalla mia?» chiese non senza indignazione.
«Non c’è da essere da una parte o da un’altra, cavolo. È solo questione di capire che il potenziale c’era.»
«Perché non scherzi? Non ti esponi?»
«Che intendi dire?» lo rintuzzò lui, scocciato.
«Quando è arrivata abbiamo passato ore – ma che dico, ore? Giorni! – a ridere del fatto che finalmente, dopo Bessy, avessimo trovato un bel culo da veder passeggiare qua e là in ufficio. Sembra così ma questo lavoro è noioso, ti stressa. Grazie a lei bastava un’occhiata e tornava tutto a posto!»
«E che vuoi che ti dica? Siamo adulti, Sergio.»
«Avete fatto sesso!» capì il ragazzo.
Ora si spiegava tutto; i progetti dopo il lavoro, i messaggi, gli sguardi. Non era amicizia.
«Sei fuori strada, Se’»
«E allora dimmi! Spiegati!»
Si mise in attesa, posando la pallina e i piedi nella scrivania.
«Ci ha provato. Spesso. Ieri sera il culmine. Era bellissima, sexy e tutto il resto. Ci siamo strappati quasi i vestiti di dosso, eravamo furie e poi…»
«Poi?» impaziente, l’amico, lo incitò a continuare.
«Niente. Sai come sono. Le ho detto che…»
«Fammi indovinare. Le hai detto che alla fine ami tua moglie – malgrado sia una brutta stronza senza cuore capace di tagliare la gola a chiunque – e forse hai raccontato anche di tua figlia. Hai messo su quello sguardo e l’occasione è sparita. Ma sì, sai quale sguardo. Quell’espressione che ti esce quando sai che potresti essere felice ma decidi di non farlo, perché la vita è stata ingiusta e tu devi pagare per qualcosa che non è avvenuto per colpa tua.»
«Stai minimizzando la situazione.»
«Stronzate!» irruppe Sergio. «Le occasioni per essere felice non ti sono certo mancare, ingrato che non sei altro. Perché devi pagare? Perché tua figlia è morta?»
«No! Devo pagare perché la cattiveria di Sandi l’ho voluta io!»
«Ma per favore! Quella donna era una vipera anche quando l’hai conosciuta. Era l’arpia più maligna e bella di tutto l’universo. Ma tu eri felice e lei sembrava giovare della tua vicinanza. Per questo non l’ho ammazzata con le mie stesse mani, malgrado avessi già capito che ti avrebbe portato alla rovina.»
«Sergio, non esagerare!»
«Non esagerare? Tu non hai mai saputo come è morta tua figlia. Lei era lì e tu no. La bambina stava benone e poi…»
«Smettila!» si tappò le orecchie l’uomo.
«Non sto dicendo che è stata lei, non fraintendermi. Non so cosa sia successo, e nemmeno tu… ma nella tua testa ha sempre albergato il dubbio. Ecco perché l’avresti perdonata solo se ti avesse reso nuovamente padre!»
«E ho sbagliato! Molto! Ne pagherò le conseguenze!»
«Sei uno stolto, se pensi che Sandra Alti un giorno ti riprenderà tra le sue braccia… e tra le sue gambe.»
«Sergio…»
«No, non voglio sentirti. Svegliati, porca puttana.»
«Mi dispiace così tanto. Sarò pronto, lo giuro. La dimenticherò. Ma non oggi e non con Giorgia.»
«Ok, va bene. Scusa. Scusa davvero, non sono fatti miei e…»
«No, hai torto. Sono anche fatti tuoi. D’altronde sei tu che mi hai sollevato quando volevo solo morire. Solo mi serve un po’ di tempo.»
«Prendi il tempo che vuoi, amico. Io sarò qui.»
Prese la sua pallina da tennis e si diresse verso la sua scrivania.
«Se’?»
«Dimmi.»
«Non è morta per colpa di Sandi. Non è stata negligenza. Lo so che sembra cattiva, ma amava Ginevra. La amava quanto la amavo io.»
«D’accordo, d’accordo.» disse, senza convinzione.
«A dopo.»
«Già.»