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II.

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Alla luce del giorno, i guasti prodotti nella casa della principessa apparivano da ogni parte. Sui divani, sulle poltrone, il grasso delle capellature aveva messo delle macchie nerastre nel rosso cupo, nel giallo, nell'azzurro delle stoffe, i cui piccoli strappi andavano allargandosi, scoprendo qua e là la ruvida tela; i tappeti erano costellati di sputacchiature, cosparsi di mozziconi di sigari calpestati, di fiammiferi spenti, di ogni sorta di residui; le dorature delle porte si discrostavano; le tende cadevano a lembi; le seggiole zoppicavano; nell'anticamera i mattoni rotti, distaccati, risuonavano sotto i passi: una rovina lenta e continua.

— Un giorno o l'altro bisognerà rifare ogni cosa!

E chiusa nella sua camera, insieme coll'amministratore, una bella mattina la principessa si occupava finalmente dei suoi affari.

— Avete fatto i conti della Falconara?

— Principessa, non ho avuto tempo. Sa che il mio romanzo è cominciato a pubblicarsi nell'appendice dell'Imparziale?

— E le cambiali?

Ma don Peppino, col capo alla letteratura, non sapeva mai la situazione precisa della casa, e chiamava Agostino Giarrusso, il contabile, per esserne informato.

— Le cambiali di Strignoni scadono il mese venturo; quelle della Banca l'altro mese. Si farà un estratto dell'appendice: la principessa deve promettermi di leggerlo, assolutamente!

— Sentite, ho bisogno di denari.

Allora don Peppino lasciò da parte il romanzo.

— Denari? Dove vuole ch'io li prenda? La proprietà è tutta ipotecata, i creditori non si possono tenere a bada, le terre deperiscono per mancanza di migliorie...

— Ma l'anno scorso...

— L'anno scorso? Sa di quanto è cresciuto il passivo, in quest'anno? Di trenta mila lire...

Sotto l'impressione di quelle cifre, la principessa si disturbava, sinceramente contristata dello sperpero della sua fortuna.

— Come si fa, un rimedio...

A un tratto, risuonò il campanello.

— Padre don Agatino — annunziò la cameriera.

Allora la principessa non resse più.

— Fate, fate voi, don Peppino. Vi do carta bianca. Mi raccomando, trovatemi denaro. Scusate, mi aspettano...

— Vendiamo? — proponeva don Peppino trattenendola.

— Sì, sì; fate voi...

— E senta... verrà alla Filodrammatica? Ci sarà una cosuccia mia: La moglie del vedovo, una farsa brillantissima...

Padre Agatino, appena vide comparire la principessa, agitò in aria un fogliolino di carta giallastra.

— Questa volta non può fallire; tre numeri d'oro!

— Sentiamo, sentiamo — disse l'altra, cupidamente ansiosa.

— Otto, quarantadue e sessanta!

La principessa chiamò il duca di Santa Cita perchè andasse a giuocarle i numeri.

— Quant'è la posta?

— Mettici due onze. Si possono vincere trentamila lire?

— Non sapete fare il conto?

— Mi confondo... Trentamila lire, però, sarebbe una bella vincita!... Vinceremo, Ferdinando?...

Don Ferdinando andò a giuocare per conto suo quelle venticinque lire alla Birreria.

— La ricevuta? — chiese più tardi la principessa.

— L'ho messa da parte...

E come la speranza della vincita la riconfortava, ogni traccia di rimorso si dissipava dall'animo suo, e tornava alle carte con lena rinnovellata.

La sorte

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