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III.

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A carnevale, ogni anno, le frequentatrici del palazzo Roccasciano assediavano di preghiere la principessa, perchè aprisse le sue sale a qualche ballo.

— Via, si persuada una volta! — insisteva complimentosamente la signora Giacomina Giordano. — Nessuna casa è adatta più di questa; e poi, sotto la sua direzione, sarebbe assicurata la più splendida riuscita!

Donna Cecilia Morlieri, disgustata, metteva fuori tutto quello che aveva in corpo:

— Ora viene a farti la corte, dopo averti sparlato che peggio non si potrebbe! Scusa, cara Sabina, ma certa gente io non capisco come tu la riceva...

— Perchè?

— Ma perchè questa signora è l'amica di Motta... e tutta la famiglia ci vive su...

— Chiacchiere! — la principessa difendeva la Giordano — Non dare ascolto alle male lingue. D'altronde, se aspettano il ballo, vogliono aspettare un pezzo. Non ho denari, come debbo dirlo?...

— Non ha denari? — borbottava la signora Giacomina vicino alle Valdieri — Sfido io! dopo che sta giuocandosi perfino la camicia che indossa!

— Sicuro! E poi — rispondevano quelle — quando si è in una certa posizione, vi sono degli obblighi. Nostro cugino il conte ha dato una festa, a Trapani, che è stata una meraviglia.

— Volete dire che se dovesse stare a ricevere gl'invitati non potrebbe, Dio liberi! toccar le carte per una serata!

— È una vergogna!... Nostra zia la marchesa aveva un abito fatto venire appositamente da Parigi.

— L'ho sempre detto io, che questa non è casa!

Ma come la stagione s'avanzava, la principessa si vedeva, con un sospiro di sollievo, sempre meno gente attorno. Ora lei restava padrona di sè, sicura di non esser disturbata. E al rianimarsi del giuoco, tutti ricominciavano a lagnarsi di perdere, a prendersela con la sorte o ad accusarsi l'uno con l'altro.

Il marchese Sanfilippo l'aveva con padre Agatino, toccava tutti i momenti un corno di ferro che portava appeso alla catenella, contro il mal'occhio.

— Siete un iettatore! Non giuocherò più quando ci siete voi!

— Ma se la disdetta mi perseguita! Perdo da un mese!

Tanto era vero che non sapeva come fare a contentar la Rosalia, che voleva la carrozza il giovedì e la domenica, ora che la musica suonava di sera al giardino pubblico.

— Andate là, viziosaccio! — rispondeva il marchese, che aveva anche lui bisogno di denari per piantar le vigne ai Pojeri: non c'era altro prodotto che il vino! e la fabbrica d'agro cotto era lasciata a mezzo.

— Non ho mai un giorno di vena! — si lamentava la principessa con la Morlieri.

A sentire l'eterno ritornello, donna Cecilia parlava chiaro, com'era suo costume:

— Scusa, cara Sabina, ma io direi che sei tu che non potrai vincere mai!... Prima di tutto, non sai giuocare...

La principessa alzava le spalle, ridendo.

— Insegnami tu!

— Secondo, i tuoi compagni, quando possono, senza che tu te ne accorga, dànno una mano alla fortuna...

— Non è vero! È una calunnia.... Sai che diventi cattiva?

— Terzo, finalmente, come tutti i giuocatori, tu sprechi la vincita invece di metterla da parte.

— Non è vero niente; son'io che debbo dirlo! Del resto, non giuocherò più... andrò in campagna, la mia salute ne ha bisogno. Voglio ristabilirmi, voglio restare un paio di mesi senza toccare una carta, per vedere se la disdetta si stancherà. Tu verrai a trovarmi, qualche volta? Non lasciarmi sola...

La solitudine della principessa durava un giorno. Appena stabilita a Villa Oriente, arrivavano i notabili del paese: il sindaco don Delfo, il ricevitore, don Gerolamo il farmacista; subito dopo cominciava il va e vieni degli amici, dei conoscenti, degl'invitati, che si trascinavano dietro altre persone, sicuri di trovare la più larga ospitalità, un posto a tavola e un altro a tavolino. Padre Agatino arrivava il primo di tutti, con una valigia, un sacco da notte, la cappelliera e ogni sorta d'involti e d'involtini; affittava un villino per la Rosalia e prendeva per sè la più bella camera di Villa Oriente, dove andava e veniva a comodo suo. Degli altri, chi restava un giorno, chi una settimana e chi più, a proprio talento. I propositi della principessa svanivano come nebbia al sole; il movimento, la folla l'ubbriacavano, e ricominciava a giuocare, da principio un poco, tanto per far qualche cosa.

— Come si passa il tempo in campagna?

Però padre Agatino cominciava a mormorare:

— Che seccatura!... Se avessi saputo di annoiarmi tanto!...

E come il marchese e qualche altro erano dalla sua, e la principessa non domandava se non di farsi pregare, combinavano la partita, si chiudevano in uno stanzino, non si trovavano più.

— La principessa? Dov'è la principessa?

— A confessarsi con padre Agatino! — diceva ad alta voce la de Fiorio, ridendo sgangheratamente.

— Che sguaiata! Ci si vede ancora la tabaccaia! — osservava una delle Valdieri.

Ma il barone de Fiorio andava dietro alla moglie, come un cagnolino, e si guardava attorno, tutto stupito, quando la società rideva alle sconvenienze di lei.

Padre Agatino, il quale non si curava di tutta quella gente e pensava ad accaparrare compagni pel giuoco, andava a trovare il vicario, i canonici, tutti i preti del paese, e li invitava a Villa Oriente. La principessa li accoglieva graziosamente, offriva loro il cioccolatte, prometteva di ricamare una tovaglia per l'altare e di far fondere una campana per la chiesa di San Placido; poi si andava a sedere intorno al tavolo verde.

— Tutti i salmi finiscono in gloria! — diceva il barone D'Errando alla società raccolta nel salotto, intanto che la padrona di casa non si vedeva.

— Grazioso! Ben detto! — rispondeva la Giordano che gli aveva messo gli occhi addosso per Antonietta, e lo adulava, lo trovava spiritoso.

Riuniti in molti, parte ospiti della principessa, parte convenuti dalle vicine villeggiature, ai giovani veniva voglia di ballare, e intanto che una delle Valdieri tempestava sul pianoforte, la principessa continuava a giuocar grosso, chiusa nello stanzino con padre Agatino e i compagni.

— Balla con D'Errando! — ingiungeva in un orecchio alla figliuola la Giordano.

— Se non m'invita!

Ma la signora Giacomina se la prendeva col tenente Costanzo, non rispondeva ai suoi saluti, gli voltava le spalle, per fargli intendere che Antonietta non era pane pei suoi denti. Le sue figliuole dovevano maritarsi con dei titolati o dei nobili: per questo lei chiudeva un occhio se il marchesino Bellia scherzava con Angiolina, se il baronello Pace le parlava piano in un angolo, se ballava sempre con lei.

Dopo una di quelle serate, la principessa si levava tardi, con la testa addolorata, la lingua amara, una sfinitezza in tutta la persona. Un giorno, inaspettata, arrivò donna Cecilia Morlieri.

— Cecilia! Come sei buona d'esser venuta! — e la principessa fece uno sforzo per alzarsi dalla poltrona.

— Che cos'hai?... Ti senti male?

— Molto... la testa!...

— Ma come vuoi star bene, chiusa in questa scatola!

Donna Cecilia apriva le imposte, spalancava le persiane, faceva irrompere l'aria e la luce, trascinava l'amica in giardino. Esse percorrevano di su e di giù i viali, lentamente, parlando a voce bassa; la principessa si appoggiava al braccio della compagna; a un tratto si fermò, protestando:

— Ma che giuocare!... Così, un poco, per isvago!... Questo non si chiama giuocare!...

— Ed hai perduto?

— No, nulla.... — rispondeva arrossendo. — Una cosa da nulla...

E, appena rientrate, la principessa chiese:

— È venuto nessuno?

— Sono di là, con padre Agatino — rispose la cameriera.

— Se hai da fare, Sabina, senza cerimonie!...

— Figurati! Niente.

Però era distratta, non le dava ascolto, parlava a sproposito, si alzava, inquieta, andava da una stanza all'altra, finchè non suonava l'ora del pranzo. A tavola, avevano già preso posto padre Agatino, il canonico Giusti, il parroco.

— Siamo in sagrestia? — mormorò donna Cecilia, nel vedere tutte quelle tonache nere.

E scorgendo le faccie rosse di coloro, e gli sguardi e i segni scambiati con la principessa, un risolino le increspò le labbra sottili.

— Ho capito.

Il cugino don Ferdinando, in un angolo, mangiava a due palmenti, silenziosamente, con compunzione, impazientandosi soltanto se la Fanny tardava a recar le portate, intanto che la principessa assaggiava appena le vivande.

— L'aria di campagna non mi ha conferito! Non so più che cosa tentare.

A sera, come padre Agatino e i compagni erano spariti, lei non ebbe più la forza di resistere.

— Permetti, cara Cecilia: io mi ritiro. Ho un dolor di capo da non reggere. Buona notte.

Donna Cecilia scrollava le spalle vedendola allontanarsi.

— Il lupo perde il pelo e non il vizio!

La sorte

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