Читать книгу I suicidi di Parigi - Ferdinando Petruccelli della Gattina - Страница 12
VII.
ОглавлениеSu per le nuvole.
Mentre cospiravasi a Parigi contro la felicità dei due fidanzati, essi correvano gaiamente la strada per l'Inghilterra.
Quando Lisa faceva le viste di dormire, ovvero cacciava il capo fuori degli sportelli della carrozza, le bocche dei due innamorati si rapprossimavano, si toccavano, si azzeccavano l'una all'altra, si assorbivano, e l'uno aspirava dall'altra un bacio lungo, melodioso, penetrante, luminoso come l'aurora che levasi, profumato di paradiso. Essi avevano tante cose a dirsi, che restavano in silenzio! Le cataratte della parola erano anguste: il troppo pieno traboccava dagli occhi in uno sguardo, dalla bocca in un bacio.
Essi divoravano la via, perchè la presenza di Lisa li incomodava, ma non potevano sbrigarsene con convenienza, prima che non si fossero sposati.
A Boulogne presero il paquebot. A Folkstone, la posta di nuovo… E non si fermarono più che alla frontiera della Scozia, a Gretna-Green, per celebrarvi il matrimonio provvisorio—cui dovevan poscia far sanzionare, alla privata, a Parigi, nella chiesa della Trinità.
Quegli sponsali scozzesi erano un pretesto per un lungo e delizioso vaneggiamento—cui addimandarono la luna di mele dell'amore.
L'albergatore della locanda di Gretna-Green li congiunse. Egli diede loro, alla benedizione, un estratto del registro ove egli iscrisse il compimento delle formalità delle nozze—estratto firmato da lui e da quattro testimoni, per eccesso di precauzione.
Quest'atto compiuto, rimandarono Lisa ad aspettarli a Parigi, e si misero in viaggio.
Ecco innanzi tutto il certificato: «Regno di Scozia. Contea di Dumfries, parrocchia di Gretna. Le presenti sono per certificare a tutti coloro che le vedranno, come mademoiselle Regina di Nubo, della parocchia di Nicastro nel regno di Napoli, e Mr. Sergio conte di Linsac, di Nantes, nel regno di Francia, essendo qui presenti ed avendo dichiarato che erano celibi, sono stati maritati oggi, secondo le leggi scozzesi, come l'attestano le nostre firme. Gretna-Green Hall, il 27 giugno…» Nomi dei testimoni.
Questo documento prezioso incassato, essi partirono per visitare le
Terre Alte—Highland—a piccole giornate.
Viaggiatori poco frettolosi, una fontana, un cespuglio, un poggio a scalare o un bel panorama ad ammirare e bozzare sull'album… tutto serviva loro di pretesto per fermarsi. Sedevano, allacciavano le mani, ovvero consertavano le braccia, si guardavano seriamente, scoppiavano in un folle scroscio di risa, o si baciavano. Tutto cominciava e finiva per codesto.
La natura sembrava non occuparsi che di queste due felici creature. Se il sole sorgeva splendido di dietro le isole Orknei; se le alte cime dei Gramplans, il Ben Mac Dhui, il Cairngorn, il Brocriach… scintillavano sotto il riverbero del sole che fondeva lentamente gli strati di ghiaccio; se gli uccelli gorgheggiavano dei loro piccoli affari di famiglia; se il fiore apriva il suo calice per aspirare la brezza e la luce; se gli alberi ondulavano soavemente sotto i fuochi del sole al tramonto; se i paesaggi del Ben Lewis, del Ben Lomond, del Ben Nevis, del Cruachan si sviluppavano rapidi, profondi, incantevoli, viventi, armoniosi di tinte e di forma… ratto, Sergio e Regina s'invitavano scambiavolmente a quelle feste della natura.
—Gli è per te—diceva Sergio—che quel sole s'imporpora di tanta orgia di luce; l'è te che quel piccolo fiore curioso vuole spiare al passaggio; gli è di te che quegli augelli ciarlieri chiacchierano per dirsi: Vedi mo! che begli occhi! Tu non n'ài di così splendidi, mia vezzosa cardellina! Che bei capelli neri! Nasconditi, su, mastro corvo! Che testa viva ed allerta! Tu sei ben contadina, al paragone, signorina rondinella.
E tutto celebrava così il zonzare dei due mortali che traversavano una contrada poco bazzicata dalla turba, onde trovarsi, soli, intieri in faccia a Dio ed alla natura, con tutta l'opulenza infinita del loro amore.
—In fede mia—diceva Sergio—se io potessi tirar dal mio cuore altra rima che: t'amo! scriverei dei versi.
—Tira pure, tira, e scrivine ancora su codesta rima—rispondeva
Regina.—Io ti darò la replica.
—Con la stessa parola?
—Imparate dunque, signor mio, che io rispetto la prosodia—rimbeccava
Regina, baciandolo.
Di montagna in montagna, di villaggio in villaggio, di clan in clan, essi consumarono così due mesi di voluttà. Le ore snocciolavano come perle d'ambra d'un monile nelle mani di una cortigiana greca.
Essi non sfioravano il mondo che delle punte delle ali.
La vita materiale, a dir vero, non era delle più confortevoli. In fra le montagne di Argyle, di Ross, d'Inverness, di Stillig—dove essi s'inerpicavano a piedi, le braccia allacciate, gli occhi negli occhi più sovente che nel cielo—il pranzo, a quell'epoca, lasciava molto a desiderare, ed il giaciglio ancora di più. Ma quando eglino non avevano che un cattivo oat-cake—focaccia d'avena—o un milk-porridge—zuppa di latte—Regina l'accostava alle sue labbra, poi lo porgeva a Sergio, e diceva:
—Gusta un po' di questo camangiare!
E quando la sera non trovavano talvolta, in luogo di letto, che una manata di varech o un lembo di vecchio plaid striato, Sergio tendeva il suo braccio e diceva a Regina:
—Poggia il tuo capo su questo origliere!
Quanto lontana era Parigi! Come la vita era di rose!
Se un bel garzoncello dagli occhi attoniti vedevali passare, Sergio gettava a Regina uno sguardo ardente, smagliato di un sorriso significativo. E Regina arrossiva. Se una povera vecchia, dai capelli rossi, ben segaligna, ben disseccata, fermavasi e tendeva loro la mano in silenzio, Regina tuffava la sua mano nelle tasche di Sergio e dava alla meschina una moneta di sei pence, dicendole:
—Dalla parte di questo signore, la mamma!
Le sere in cui esse non trovavano albergo, domandavano ospitalità in qualche cottage di montanaro o in qualche House di landlord, e riuniti intorno alla tavola a the di fronte ad una bella fiamma di sterpi resinosi, Regina provocava la conversazione sugli usi e costumi della contrada, dimandava storie ed aneddoti, per arricchire l'album e la galleria del suo romanziere.
Sovente e' scalavano i dirupi a picco sul mare—falaises—per ammaliarsi, per contemplare le onde fosforescenti dell'Oceano che attaccava la spiaggia ai loro piedi, ed il cielo profondo scintillante di stelle azzurrognole. E Sergio esclamava:
—Gli astri di lassù non valgono questi!
E baciava gli occhi di Regina.
Poi esaltato da quello spettacolo e' le raccontava ora le lotte della sua infanzia e le follie dell'adolescenza, ora le gioie della sua vita giovanile e virile contro l'odio, l'indifferenza, la gelosia, gli ostacoli che aveva avuto a sormontare per praticarsi una via, tra ciò che puossi addimandare le savane delle lettere, e le steppe della politica. Egli apriva tutto intero il suo cuore: rimuginavano fino i più segreti ripostigli; prodigava checchè si aveva di passione e di sensibilità. E' non celava nulla, non sparmiava nulla. Sciupava senza riserbo, nè misura, sopratutto senza il tedio del dimani—quel tedio pensieroso che è lo scoglio a cui frangesi l'amor ingenuo ed ardente, il quale dà tutto in una volta sola, schiaccia e soffoca l'oggetto preso nei suoi artigli divini.
Cosa strana! quell'uomo che sapeva con tant'arte e talento distribuire le scene di un dramma, e condurre gli effetti di un romanzo, preparando le passioni, versandole gocciola a gocciola, con progressione ed opportunità, quell'uomo lasciavasi andare, nella vita reale, con una imprevidenza da adolescente.
Regina, lei, ritenevasi meglio, e vi guardava più al sottile. Ella smaniava di voglia per raccontare le scene bizzarre di sua fanciullezza—la vita da zingari, di cui essi vivevano adesso, richiamandone il sovvenire. Ella avrebbe raccontato quelle scene con le delizie egoiste di colui che, dall'alto dei veroni del suo castello, mira i cavalloni dell'Oceano correr l'un sull'altro a mo' di montagna. Ma Regina si raffrenò. Ella non discorse che della sua pensione, e della sua vita vaneggiatrice di giovinetta. Ella prodigò meno ancora l'amor suo—il suo cuore essendo del resto rimasto straniero alla sua scappatuccia.
Ella erasi entusiasmata, inebbriata del poeta, e lo aveva amato del cervello, infra la lettura di due odi e due romanzi.
Regina non lesinò dunque un briciolo di questa specie d'amore prismatico—cui si potrebbe addimandar pure fantasia. Ma quanto a quello del suo cuore, la gl'impose silenzio.
—Vedremo poi—dicevasi ella.—Ogni cosa a tempo suo. Ciò che dò oggi basta pel momento.
La donna à sempre, in fondo, un pensiero d'avvenire. In ogni cosa, ella sfiora il presente e passa senza fermarvisi. Il presente è un gradino di quella scala di Giacobbe cui ella vede perennemente rizzarsi dinanzi ai suoi occhi, avendo a cima quell'angelo ideale verso il quale ella aspira sempre, e cui non stringe giammai. L'è l'essenza della sua natura di edera—natura incompleta che mai non si basta.
Questa epopea di amore durò due mesi. Ma alla perfine l'ora della realtà scoccò.
Sergio, vero galeotto del pensiero, aveva contratto impegni per procurarsi quattrini. Lo si chiamava a Parigi per tenerli.
E' doveva somministrare un romanzo, in sei volumi, ad un giornale—romanzo di cui non aveva dato che il titolo: I Sesti Piani di Parigi. Del resto, non aveva abbozzato nè manco un'idea. Partendo, erasi proposto di meditare il suo soggetto viaggiando. Ed infatti, aveva di tempo in tempo fantasticato un tantino sul tema. Ma, avendo cominciato dal rêver dei sesti piani, era poi poco a poco disceso al primo, dove erasi visto con Regina, in uno splendido appartamento, circondato di lusso, di fiori, di felicità.
Sergio parlò dunque di ritorno—tanto più che il clima di Scozia cominciava a divenir rigido pel loro vagabondare.
Partirono quindi in sulla fine di settembre.
Sergio di Linsac aveva pregato il suo amico Marco di Beauvois di trovargli un alloggio e di farlo mobigliare alla larga, riserbandosi di ornarlo affatto secondo il gusto di sua moglie, al loro ritorno. Egli aveva ceduto il suo appartamentino da scapolo a Marco. Questi gli aveva procacciato un piccolo chalet, tra due giardini, nella via di Boulogne—dimora appartata, tranquilla, civettuola.
Regina trovolla stupenda e l'addobbò a magìa.
Lisa li serviva.
Qualche giorno dopo il loro arrivo a Parigi, Regina scrisse al dottore di Nubo una lettera meno burliera della prima. Alla quale il dottore non rispose. Alla vigilia del giorno prefisso per legittimare il matrimonio secondo le leggi francesi, Regina si recò dal suo ex-zio e gli portò una lettera di suo marito. Il dottore ricevè la sua ex-nipote gelidamente, non le diresse un motto di rimprovero, non fece alcuna allusione al passato. Gettò l'epistola di Sergio sul tavolo senza aprirla, e non andò nè al municipio, nè alla chiesa.
Regina cominciava a sentire una specie di freddo al cuore. Ella principiava a trovarsi sola e si atterriva di quell'isolamento.
Imperciocchè, checchè se ne dica, il marito non è mica tutto per una donna!
Per trovarsi a completo, la donna à mestieri sentirsi dietro una famiglia del passato—i parenti—ed innanzi una famiglia dell'avvenire—i figliuoli. Codesti sono le sue guardie del corpo. Un marito, anche imbecille, è poi sempre, più o meno, un padrone.
A quella specie di solitudine, cui le creava l'assenza dei legami del sangue, arrogevasi la libertà intera ed illimitata cui Sergio le lasciava, e la vita che costui era forzato condurre per compiere i suoi lavori.
Un uomo di lettere—poche eccezioni salve—è il peggiore dei mariti, per una donna che aspettasi a trovare in lui il pontefice massimo della bellezza di lei ed il primo gentiluomo di sua camera—un essere previggente, in una parola, dalle piccole moine, espansivo, delicato, innamorato.
Un uomo di lettere serio, non si mischia troppo al mondo, che per eccezione. Di consueto, egli vive fuor del mondo, di una vita fittizia, in mezzo ad esseri ch'egli evoca dal suo cervello. I giorni dell'uomo del pensiero scorrono in mezzo al cozzo delle idee che s'incrociano nel suo spirito; assiepato di sistemi, di dottrine, di collezioni, di teorie, di libri; in presenza di allievi o di nemici, di credenti o di denigratori; assorto, distratto, sgarbato, stanco, strano, perduto fra gli uomini reali. Però, quando à la sorte di sapersi lasciar dietro, nel suo gabinetto, tutta questa plebe di larve, il letterato o lo scienziato, è un trionfo di grazia—Egli indora e rallegra la vita di coloro che lo attorniano e l'avvicinano.
Libero di queste preoccupazioni, quando trovasi in contatto con stranieri o nel mondo, l'uomo di lettere o di scienze, spoglia la persona sua vera e s'investe di una parte—cui egli rappresenta del resto con una abilità suprema. Ma, nel grembo della famiglia, in faccia della moglie—per la quale egli crea quella miriade di spettri, che debbe loro servire il pane quotidiano—ben pochi uomini di lettere o di scienze si smentiscono o si trasformano; ben pochi rinunciano al loro essere intimo e si addobbano di un carattere forzato, e fuori dell'elemento abituale in cui vivono; ben pochi insomma divengono commedianti al loro focolaio. L'uomo della sala da pranzo, l'uomo della camera da letto, resta spessissimo l'uomo del gabinetto dal lavoro. Ed e' racconta a sua moglie la vita del suo pensiero e le gesta dei suoi fantasmi.
Se questa moglie è una donna superiore, se ama suo marito, ella interessasi a questa creazione quotidiana; invita suo marito a presentargliela, l'incita a parlare—accelerando così la procreazione. Ella l'aiuta dei suoi consigli—spessissimo eccellenti—Gli comunica le sue impressioni e le sue idee, non raramente giuste.
Una donna leggiera, una donna egoista, che vive in sè e per altrui, annoiasi dei vaneggiamenti, dell'idealismo di suo marito—se tuttavolta non ne diviene gelosa e se n'offende. Ella trovasi negletta.—Ella vede delle rivali nelle visioni di lui.
L'uomo di lettere, inoltre, à spesso dei doveri sociali, cui non può fare partecipare a sua moglie. Egli bazzica talvolta una compagnia ove una madre di famiglia si troverebbe fuori posto.
Sergio, capitano nella stampa quotidiana, lasciava dunque Regina assai soventi soletta, per delle lunghe sere, dopo aver passato tutto un giorno nel suo studio.
Egli vedevala per un istante all'ora dell'asciolvere; poi rientrando, ad un'ora del mattino, e' sedeva alle sponde del letto di Regina e chiacchierava con lei fino alle tre.
Egli era obbligato a desinare in città parecchie volte nella settimana. Lo si sapeva uomo di spirito, ed i suoi protettori lo servivano come un hors d'oeuvre ai loro commensali.
Quando era ben stanco, addormentavasi a fianco di sua moglie. Ma alle 8 del mattino, il galeotto ripigliava la sua catena—e via!
Regina aveva conosciuto Sergio nei libri scritti da lui, e nel mondo. Ella aveva per conseguenza conosciuto la maschera—direi meglio l'attore—Ed erasi invaghita di lui come un'educanda—avvegnachè la fosse di già bene sveglia e bene allerta. Ella aveva rinvenuto il medesimo essere durante i due mesi di peregrinazione passati insieme. Imperciocchè lì, Sergio erasi completamente obliato, aveva messo la sordina all'ebbolizioni del suo cervello; aveva rilegato ben lontano l'esigenze di Parigi, ed aveva vissuto del cuore. Adesso, egli aveva ripreso il suo giogo… E Regina nol riconosceva più.
—Me l'ànno cangiato—ella dicevasi—o egli m'à stranamente mistificata.
Ella pertanto non querelavasi. Però, un lievito di amarezza cominciava a germogliare nella sua anima. Non rimpiangeva nulla ancora, ma rifletteva.
A che rifletteva dessa?
L'ora giunse.
Le feste cominciarono.
Durante il suo soggiorno col dottore, Regina aveva frequentato i balli dei ministri, degli ambasciatori, del Faubourg Saint-Germain.
Il medico è un elemento neutro nella società. Egli è al suo posto dovunque, nel soffitto come alla Corte; egli à il suo libero parlare, il suo libero procedere; egli è re—egli ordina; egli è padre—e' consiglia. Nipote del dottore di Nubo, Regina andava ove il dottore voleva condurla; nipote del conte di Nubo—uno dei nomi più aristocratici in Italia—ella era al suo posto dovunque.
Non era la medesima cosa per la signora Sergio di Linsac—quantunque contessa.
Regina trovavasi identificata alla condizione di suo marito. Il suo posto era disegnato conseguentemente in quel medio ove l'uomo di lettere può vivere—nella sua qualità di uomo; il suo posto era determinato dal partito politico cui egli apparteneva. Dappoichè—nella sua qualità di artista—sopra tutto quando il letterato è celibe, egli non trovasi intruso in alcun sito.
Regina, che piacevasi a disegnare, spendeva i suoi dì nel suo piccolo atelier, sovente in compagnia di amici di suo marito. Perocchè il marito di bella donna non manca mai di amici, più o meno intimi, teneri, divoti, pieni di attenzione—disinteressati sopra tutto! Questi amici accorciavano un poco le lunghe serate di Regina e le rallegravano. Ma ciò non bastava. Ciò non soffocava, principalmente, il rimpianto del paradiso da cui era esiliata adesso. Ella sospirava i balli diplomatici e ministeriali, ed in cima a tutto quelli del Faubourg.
Ella trovava milensamente ridicole le feste della Chaussée d'Antin, e quelle del mondo della finanza. Ella sbadigliava a morire allo spettacolo—ove Sergio la conduceva ogni qualvolta ella lo desiderava. Regina principiò a sentire una specie di nostalgia del mondo elegante ed aristocratico. Non pertanto, ella divertivasi moltissimo a quelle feste fantastiche che davano di tempo, in tempo gli artisti—ma desse erano rare, perchè troppo costose.
Regina non fiatò motto a Sergio della rivoluzione che si operava nel suo spirito. Nè Sergio la scoprì. Il dottore, lui, era perfettamente al corrente di ciò che avveniva della sua pupilla.—Perchè Lisa lo raccontava a Trust, e Trust lo ripeteva al padrone. Solamente egli diceva:
—Ah! signor Dio, monsieur, Lisa si annoia; Lisa vuole andare al ballo; Lisa è andata al teatro; Lisa à voglia di pizzi e di cachemire.
Egli confondeva le persone; identificava la soubrette con la padrona.
Un mattino—il mattino del capodanno—il dottore colazionava, quando sentì due piccole mani poggiare sulle sue spalle, ed udì una voce insinuante che gli mormorava all'orecchio: