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IX.

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Eva ritorna all'Eden.

—Vittoria su tutta la linea, mio caro!—gridò Regina, rientrando e saltando al collo di suo marito.

—Che dunque?—sclamò costui.

—Lo zio à piegato. L'ò portato via di assalto.

—Ed e' à lasciato fare?

—Non mica. À resistito, il vecchio ostinato, à risposto di becco ed unghia; ma infine…

—Egli à ceduto?

—Completamente. La pace è firmata. Egli è stato per fine gentile.

—Al postutto che cosa gli costa codesto.

—Codesto?… gli costerà almeno sei o otto mila franchi, per il momento.

—Vale a dire?

—Vale a dire, ch'egli mi à annunziato esservi per me da Delille una veste e dei pizzi. Ora, poichè vi sono, non vo' fare le cose a mezzo.

—Ed è lui che paga?

—Bene inteso.

—Senza condizioni?

—Una sola.

—Me lo immaginavo. Quale dunque?

—Che il 10 gennaio io vada a prenderlo in carrozza per condurlo al ballo dell'ambasciata d'Austria.

—Addobbata di quell'abito e di quei pizzi in discorso?

—Lo penso bene.

—Per farne mostra innanzi ad una turba di stranieri, e provar loro, che in fatto di gusto, la Parigina è la prima donna del mondo?

—Il dottore è naturalista: egli ama provare con i fatti.

—Ebbene, mia cara, ne sono incantato.

Regina lo abbracciò ancora una volta.

—Ma tu sarai meco—disse ella.

—Uhm! codesto è un altro paio di maniche—borbottò Sergio.—Io sono in delicatezze con l'Austria.

—Come ciò?

—L'Austria è una vecchia civetta che vuol darsi l'aria, i gusti, l'andazzo, le passioni di una giovinetta. Ora, nella mia qualità di giornalista dell'opposizione, mi occorse più di una fiata provarle, che i suoi denti erano falsi; i suoi colori, belletto; i suoi diamanti, strass; i suoi addobbi, un vecchio resto di rivendugliola di toilette; la sua fierezza, burbanza scenica; la sua forza, un po' d'isterismo; ed il suo codazzo, dei creditori, i quali un giorno o l'altro finiranno per perder pazienza, e non mica amanti. Tu comprendi! dopo codeste brutalità, una vecchia ragazza non perdona mai.

—Ma allora?

—Tu andrai al ballo con tuo zio. Ciò è ammesso e si vede ogni giorno. Egli, è più austriaco del principe di Metternich. Ed io ne sono rapito; perchè io capisco, piccina mia, che la vita in cui forzato sono d'imbragarti, è scura e monotona. Non appartenendomi io stesso, posso appartenerti ben poco. Ma io non sono egoista.

—Lo so.

—Divertiti dunque, poichè tuo zio vuol di nuovo servirti di introduttore. Solamente, ricordati amica mia, che tu porti un nome che obliga. Io tengo poco ad un titolo che vienmi di antenati che furono alle Crociate. Ma tengo moltissimo a quello che vienmi da Dio, il quale me ne fè dono sotto la forma di strofe scintillanti, di romanzi passionati, e di una polemica politica che à spezzato più d'un ministro.

—Il nome tuo è pure il mio—risposa Regina—e ne sono fiera quanto te.

L'indomani fu per Regina una giornata di lavoro. Ella corse i negozi, le sarte, le modiste, i mercanti di fiori, i gioiellieri. Ella apparecchiava le sue armi da battaglia.

Vi è una certa ansietà nella donna che va per la prima volta nel mondo, dopo le sue nozze. Ella va a pigliar posto. Ignora ancora se la graziosa o civettesca disinvoltura della giovane donna farà obliare facilmente l'aria impacciata, la modestia quasi sciocca cui affettò fanciulla. Non conosce ancora quella linea indefinibile, e pertanto capitale, ove la facilità, l'indipendenza, la grazia, la seduzione, l'originalità delle maniere finiscono, e dove la libertà comincia. Ella conosce un uomo, ma non ancora gli uomini. Non à sperimentato ancora l'effetto del cangiamento che si è operato nella persona sua—se desso à aggiunto o tolto qualche vezzo ai vezzi suoi. Ella non à provato ancora le novelle armi della toilette di una donna: lo scollacciato, i monili, lo sguardo intrepido, il sorriso franco ed aperto, il rimbecco subito senza arrossire, la provocazione. Ella fa la sua prima entrata sul teatro attivo della vita. Mentre la giovinetta aspettava, ella va adesso ad agire. Ella presentasi sotto un'altra maschera, sotto un altro nome, in un'altra parte: riescirà?

Ella va a piantar questo problema—ed il dubbio, l'ansietà, l'agitano.

Regina sentiva tutto codesto. Ella andava a dar battaglia.

Ad ogni azzardo, ella cominciò dall'armarsi a meraviglia.

Portava una veste di crespo cilestre con un grande volant di pizzo bianco, rilevato ai lati da quattro grappoli di brughiera rosa. Il suo seno nudo si apriva sopra un mazzetto di mughetti. Alcuni rami di brughiera bianca s'innestavano nelle dense trecce dei suoi serici e lunghi capelli. Due bottoni, di un sol diamante, pendevano dalle sue orecchie rosee e sottili. Le sue spalle nude rivaleggiavano col soffice bagliore delle file di perle che serpeggiavano intorno ad un collo maravigliosamente bello. E le sue braccia bianche e rotonde impedivano di rimarcare le due girate di grosse perle che le allacciavano i polsi.

Regina era alta, flessibile, svelta come una liana. La sua vita avrebbe destato invidia in una vespa. I suoi occhi, di un nero bleu, illuminavano la sua fisionomia del più puro tipo spagnuolo della scuola di Zurbaran. Aveva una pallidezza sana, fresca come una gionchiglia, appetita e mordente, che rivelava l'equilibrio della vita, animando in modo eguale una struttura di primo ordine. Sul suo sembiante volteggiava quella calma calda e stellata delle notti di està. Le sue labbra rosse, un tantin carnute, erano un focolaio di amore, una pila voltaica di voluttà. Il naso, insensibilmente curvo, le dava un'aria fiera e degna, che imponeva rispetto ed indicava ad un tempo che, se giammai una passione agitasse il suo cuore, quella passione potrebbe diventare un uragano. I suoi piedi piccini, inarcati, elastici davano i brividi.

Quando Regina entrò nel salone, tutti gli sguardi si volsero e fermarono su di lei. In mezzo ad una folla d'inglesi—pettinate con uccelli di paradiso, azzimate di rosso e schiacciate sotto una bardatura di diamanti; in mezzo a delle matrone germaniche—caricate d'abiti di velluto verde pomo; infra Americane adornate come tabernacoli di ogni sorta d'oreficeria; d'Italiane, balenanti come iride, e di Russe splendenti di gioielli… quella giovane sì bella, sì elegantemente semplice, messa con un gusto sì squisito, di un portamento sì sereno e sicuro di sè, doveva naturalmente far senso, per la stessa bizzarria del contrasto. Regina, del resto, era di quel piccolo numero di Parigine che—adorne con la medesima aristrocratica semplicità—formavano la via lattea del ballo dall'ambasciata.

Ella divenne quindi all'istante il centro della festa. Gli inviti alla danza s'incrociavano.

Alberto Dehal, che era pur quivi, non osò neppure salutarla. Restò a contemplarla in uno stato di stupefazione estatica.

Il dottore si tenne sotto l'arco di una porta e calcolava. Ma non passò guari, e vide entrare nel salone, in faccia a lui, un signore di alta statura, il petto screziato di decorazioni, vestito da generale, ed i suoi lineamenti, i suoi capelli biondo-rossi, il suo portamento, tradendo la sua origine settentrionale.

Il dottore traversò la sala dove trovavasi Regina, e cui lo straniero traversava anch'egli lentamente, salutando questi, dicendo un motto a quegli e sbirciando tutti e tutto.

Lo straniero vide venirgli incontro il dottore e fermossi.

—Dottore—disse egli, porgendogli la mano—sono fortunato potervi annunziare pel primo che la nostra Accademia delle Scienze si è largito l'onore di nominarvi suo membro straordinario.

—Mille grazie, principe—rispose il conte di Nubo salutando. Il vostro sovrano debbe essere ben fiero di aver all'estero un rappresentante, come l'Eccellenza vostra, che recluta anime… anche per l'accademie!

—A proposito, dottore, vorreste voi permettermi di presentarvi uno dei nostri scienziati, che m'è capitato con l'ultimo corriere, e di pregarvi di piloteggiarlo un po' pel mondo della scienza?

—Sarò felice di essere ai vostri ordini, principe.

Essi parlavano così, un po' a voce alta, perchè molta gente stava loro intorno. Ma, senza cessar di parlare, il dottore aveva rinculato passo a passo nel vano di un balcone.

Quando si videro soli:

—Ebbene?—domandò il principe.

—Ella è qui.

—Quale dunque?

—La più bella del ballo.

—Sarebbe dessa la giovane che porta delle brughiere bianche tra i suoi capelli neri?

—Per l'appunto.

—Un abito cilestre con pizzi bianchi ed un mazzolino di mughetti sul seno?

—Vostra Eccellenza la dipinge.

—Dal color pallido.

—Proprio così.

Il principe, senza soggiunger sillaba, volse le spalle al dottore di

Nubo e rientrò nel salone.

Regina era circondata da una palizzata di attachés d'ambasciate di tutte le nazioni.

La contradanza finiva allora. Ella favellava con ciascuno e con tutti nel tempo stesso, indirizzando la parola in inglese all'uno, rispondendo in russo all'altro, parlando in tedesco, per mettere sulla via un Prussiano che schermeggiava di un francese a mo' di singhiozzo. Il principe di Lavandall aleggiava intorno al circolo, e, pur chiacchierando con un maresciallo, non perdeva nè una sillaba, nè un movimento di Regina.

L'orchestra dette il segnale del walzer.

Il principe ed i passeggiatori sgombrarono il salone.

Il principe incontrò il dottore in un'altra camera dove giuocavasi al whist.

—Incantevole!—disse egli.

—Una moxa!—rispose il dottore, sorridendo. Dovunque la si vorrà applicare, porterà via un lembo.

—Bisogna che io le parli.

—L'è facile.

—Non qui però.

—Vi preparo allora un'incontro ad un ballo di madama Thibault. Là, voi sarete in casa vostra.

Il principe sorrise ed uscì, dicendogli:

—Il più presto possibile.

Alle due del mattino, il dottore rapiva sua nipote dalla festa. La quale dopo la partenza di lei, sembrò oscurarsi.

Regina era fulgurante di gioia e di bellezza. La vita del ballo aveva raddoppiato la sua vita.

Otto giorni dopo, il ballo da madama Thibault aveva luogo.

I suicidi di Parigi

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