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IL PARRICIDIO.

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……..tutta la Caina

Potrai cercare, e non troverai ombra

Degna più di esser messa in gelatina.

DANTE.

Marzio invitò il gentiluomo dal volto chiazzato di sangue a passare nello studio del Conte. Questi attendevalo in piedi; e tostochè lo vide, con bella leggiadria di maniere lo salutò dicendo:

—Benvenuto, Principe; in che cosa noi possiamo avvantaggiare le comodità vostre?

—Conte, ho da parlarvi; ma qui dentro vi è uno di troppo.

—Marzio ritirati.

Marzio, inclinata la persona, usciva. Il Principe, andatogli dietro, si assicura se avesse chiusa diligentemente la porta; tira la tenda, e poi si accosta al Conte, che, maravigliando non poco di coteste cautele, lo invita a sedere, e senza far motto attende ad ascoltarlo.

—Conte! sarà Catilina adesso, che incomincerà la sua orazione ex abrupto. Però io vi dico ad un tratto, che estimando meritamente voi uomo di cuore e di consiglio, di mente e di braccio, a voi mi rivolgo per l'una e per l'altro, e spero mi sarete cortese di ambedue.

—Parlate, Principe.

—La svergognata mia genitrice, incominciò costui con voce velata, vitupera con sozze opere la casa mia ed anche un poco la vostra, pel vincolo di parentela che passa fra le nostre due famiglie. La età, invece di spegnere, riarde le sue aride ossa di libidine infame. Lo usufrutto ampissimo che gode, per disposizione dello stolido mio padre, sperpera fra turpi drudi:—per tutta Roma ne corrono le pasquinate:—vedo lo scherno dipinto sopra i volti della gente:—dovunque passi mi feriscono detti oltraggiosi…. il mio sangue ribolle nelle vene… il male è a tal ridotto, che non patisce rimedio, tranne…. Or via, ditemi, Conte, che cosa io mi debba fare.

—La clarissima donna Costanza di Santa Croce! Ma lo pensate voi? Orsù; se voi fate per giuoco, io vi consiglio a torre per lo scherzo argomenti meglio dicevoli; se poi favellate da senno, allora, figliuolo mio, vi ammonisco a non lasciarvi andare alle tentazioni del demonio, il quale, come padre di menzogna, conturba le menti con immagini false….

—Conte, lasciamo il diavolo a casa sua. Io posso mostrarvi qui le prove manifeste, ed obbrobriose pur troppo.

—Vediamo.

—Udite. Essa mi abbandona, per così dire, annegato nella miseria, mentre con l'entrate di casa tira su fanti e staffieri, e uno stormo dei loro figliuoli, che si sono annidati nel palazzo peggio che rondini;—me dal suo cospetto bandisce;—di me non vuol sentire favellare;—di me, Conte, intendete, di me che non mi sarei dato un pensiero al mondo dei fatti suoi, se si fosse comportata come madre benemerita verso figlio benemerente. E, per palesarvi ogni cosa di un tratto, ieri sera giunse a cacciarmi via di casa—dal mio palazzo—dalla magione dei miei illustri antenati.

—Avanti, ecci egli altro?

—E parvi poco?

—Mi pare anche troppo: e veramente, a confessarvelo in secretis, corre buon tempo che io mi sono accorto come la Principessa Costanza nutra per voi, Dio la perdoni, naturale avversione. Adesso fanno appunto otto giorni ch'ella mi tenne lungo proposito di voi….

—Sì?—E che cosa mai vi disse cotesta sciagurata di me?

—Metter legna sul fuoco non è da cristiano; però taccio.

—A quest'ora, Conte, lo incendio acceso dalle vostre parole è tanto, che poco più vi potete aggiungere;—e questo comprenderete di leggieri coll'ottimo vostro giudizio.

—Pur troppo! E poi il silenzio mi grava, imperciocchè le mie parole vi serviranno di governo, e v'impediranno di farvi capitare male. La signora Costanza dichiarò espressamente, alla presenza di parecchi insigni prelati e baroni romani, che voi sareste il vituperio della famiglia; voi ladro,—voi omicida—voi, soprattutto, bugiardo….

—Ella disse?—E al Santa Croce, diventato per rabbia come tizzo acceso, tremava la voce.

—E disse ancora, voi scialacquatore sciaguratissimo di ogni vostra sostanza; voi aver tolto a usura danari dai giudei sodandoli sul palazzo dei vostri illustri antenati, per cui ella ha dovuto riscattarlo del suo per fuggire la vergogna di andare ad albergare altrove;—disse avervi pagato più volte debiti, e voi commetterne quotidianamente dei nuovi, e più grossi, e più brutti che mai: voi giuocatore disperato; non darsi laidezza nella quale non vi siate ingolfato fino alla gola; di Dio spregiatore, e di ogni umano rispetto… Per ultimo, onde mettere il colmo alla brutalità vostra, aver preso a imbestialirvi col vino e con acqua arzente per modo, che spesse volte vi riportarono su di una scala malconcio della persona.

—Disse?…

—E a tanto essere arrivata la inverecondia della vostra vita, da non trattenervi la reverenza materna o il rispetto del luogo, di condurre nel palazzo dei vostri illustri antenati femmine di partito; con altre più infamie, che a rammentarle soltanto mi sento salire il rossore sopra la fronte….

—Mia madre?…

—Ed aggiunse ancora, reputarvi di ogni correzione incapace; e, per quanto al suo materno cuore riuscisse dolorosissimo, essere ormai decisa di ricorrere a Sua Santità perchè vi chiudesse in castello… a far visita allo Imperatore Adriano. In fè di gentiluomo cotesto si chiama starsi in prigione con ottima compagnia…

—Così ella disse?… Proseguiva a interrogare il Principe con suono strozzato, mentre il Conte rispondeva con la medesima voce acre ed irritante:

—O a Civita Castellana… a perpetuità.

—A perpetuità!—Propriamente ella disse a perpetuità?

—E presto;—e ciò dovere alla memoria onorata dell'inclito consorte, alla reputazione della prosapia clarissima, ai nobili parenti, alla sua coscienza, a Dio…

—Egregia madre! Non ho una buona madre io? esclamava il Principe con voce, che tentava rendere beffarda, quantunque male potesse celare lo insolito terrore.—E i prelati che cosa rispondevano eglino?

—Eh! voi sapete il precetto dello Evangelo? L'albero che non fa buon frutto va reciso… ed essi lo ripetono con tale una voce amorosa, che pare proprio v'invitino a bere la cioccolata.

—Or dunque, il tempo stringe più che io non credeva. Conte, suggeritemi voi qualche consiglio… io mi sento povero di partiti…. sono disperato….

Il Conte, crollando il capo, con voce grave rispose:

—Qui, dove scorre la fontana di tutte grazie, voi potrete attingerne a secchi pieni. Ricorrete a monsignor Taverna governatore di Roma, od anche, se avete danari molti e senno poco, al clarissimo avvocato signor Prospero Farinaccio, che farebbe a mangiar con l'interesse.

—Ahimè! non ho danari….

—Veramente senza danari vi potreste volgere ai colossi di Monte

Cavallo con maggior profitto….

—E poi la faccenda riuscirebbe contenziosa, ed io ho bisogno di rimedii che non muovano rumore…. e soprattutto spediti….

—E allora umiliatevi ai piedi beatissimi:—perchè avvertite bene, che nel corpo del Santo Padre ogni membro è beatissimo, e però anche i piedi et reliqua del Pontefice: lo predicano insignis pietatis vir, come Virgilio canta di Enea.

—Domine fallo tristo! Papa Aldobrandino nacque a un parto con la lupa dell'Alighieri, che dopo il pasto ha più fame di pria. Vecchio, spigolistro, e testardo peggio di un mulo delle Marche; cupido di far roba per arricchire i suoi consorti, da provarsi a scorticare il Colosseo. Anzichè ricorrere a costui mi getterei nel Tevere a capofitto.

—Sì, cessato il tenue sorriso ironico, riprese a dire turbato il Conte; sì, ora che penso, voi gettereste il tempo e i passi. Dopo il solenne fallo di aver dato favore alla mia ribelle figliuola contro me, sarà diventato più difficile ad ascoltare i lamenti dei figli contro i genitori. Chiunque voglia custodire illesa l'autorità, o spirituale o regia, bisogna che studiosamente conservi la patria potestà: tutte le autorità derivano da principio comune, nè puoi offendere l'una, senza che se ne risenta anche l'altra. Il padre e il re non hanno mai torto; i figli e i sudditi mai ragione. Donde viene in essi il diritto di lagnarsi, donde l'audacia di sollevare la fronte? Vivono perchè il padre li generò, vivono perchè il re gli lascia vivere. Guardate Ifigenia e Isacco; cotesti sono esempii della vera subiezione dei figli, come Agamennone, Abramo, Jefet della purezza della patria potestà. Roma si mantenne gagliarda finchè il padre ebbe diritto di vita e di morte sopra la sua famiglia. Quelle leggi delle dodici Tavole furono pure il benedetto trovato! Per esse, che cosa mai rappresentava la famiglia? La comunanza della moglie, dei figli e degli schiavi sottoposta al dominio assoluto del padre. Secoli di oro, e mi smentisca chi può, volsero per Roma quando poterono vendersi i figli sanguinolenti.

—Dunque?.. domandò il Santa Croce, sbalordito da cotesto impensato rabbuffo, lasciandosi cadere come disperato le braccia.

Il Conte Cènci, pentito per non aver potuto reprimere quello sfogo impetuoso dell'animo suo, si affrettò a rispondere:

—Oh! ma per voi è diversa la cosa.

Il Santa Croce, confortato da quelle parole, e più dallo sguardo paterno che gli volse il Conte, accosta la sedia; e, sporgendo in avanti la testa, gli sussurra dentro le orecchia:

—Aveva sentito dire… e si trattenne; ma il Conte, con maniera beffarda imitando i modi dei confessori, lo animava:

—Via, figliuolo, dite su!

—Mi avevano supposto che voi, Conte, come uomo discreto e prudente molto, eravate riuscito sempre… quando taluno v'infastidiva, torvi cotesto pruno dagli occhi con garbo maraviglioso. Versato nelle scienze naturali, voi non dovete ignorare la virtù di certe erbe, le quali mandano al paese dei morti senza mutare cavalli; e, quello che importa massimamente, senza lasciar vestigio di carreggiata sopra la strada maestra.

—Certamente è mirifica la virtù dell'erbe; ma come vi possano giovare io non comprendo davvero.

—In quanto a questo giova che voi sappiate, come la clarissima Principessa Costanza costumi prendere seralmente certo lattovaro per conciliarsi il sonno…

—Bene…

—Voi potete comprendere che tutta la quistione sta in un sonno breve, o in un sonno lungo;—un dattilo, o uno spondeo; una cosa da nulla, in verità—semplice prosodìa:—e lo scellerato si sforzava di ridere.

Misericordia Domini super nos! Un parricidio, così per cominciare. Elle sarebbono buone mosse per dio! Sciagurato uomo! e lo pensate voi? Honora patrem tuum et matrem tuam. E qui non vi ha cavillo, che valga, imperciocchè abbia detto così chi lo poteva dire lassù sul Sinai.

Il principe, ostentando fermezza, riprese:

—In quanto a pensarvi andate franco, chè io vi ho pensato delle volte più di mille: rispetto poi alle prime mosse, io vo' che sappiate non essere mica questo il primo palio che corro.

—Lo credo senza giuramento: e allora fatevi qua, e ragioniamo di proposito. L'arte di manipolare i veleni non si trova più in fiore come una volta: della più parte dei tossici stupendi, noti ai nostri virtuosissimi padri, noi abbiamo perduto la scienza. I principi Medici di Firenze si sono molto lodevolmente affaticati intorno a questo ramo importantissimo dello scibile umano; ma, se consideriamo la spesa, con poco buon frutto. Qui, come altrove, corre lo invitatorio del Diavolo: de malo in peius venite adoremus. Ecci l'acqua tofana; buona a nulla per un lavoro a garbo: cadono i capelli, si staccano le unghie, i denti si cariano, la pelle vien via a stracci, e tutta la persona si empie di luride ulcere—sicchè, come voi vedete, ella lascia dietro a se tracce troppo manifeste e diuturne. L'adoperò sovente la buona memoria di Alessandro VI; ma a lui poco importava si lasciasse dietro le tracce. Per me faccio di berretta ad Alessandro Magno; col ferro si taglia netto ogni nodo gordiano, e ad un tratto…

—Ohimè, il ferro! O che non lascia dietro a se traccia il ferro?

—Una volta ci era un re, e si chiamava Eduardo II, il quale avendo di se, o di altri un figliuolo, amoroso a un dipresso come voi, ebbe le viscere forate ed arse per suo comandamento, senza che ne rimanesse vestigio. Curioso trovato in fè di Dio![1] Ma chi vi consiglia di tenere nascosta la morte di donna Costanza? Anzi la dovete palesare, e voi dirvene apertamente autore.

—Conte, voi burlate….

—Non burlo io; anzi parlo del miglior senno che io mi abbia. Non avete voi mai letto le storie, almeno le romane?—Sì, le avete lette. Or bene; e a che pro leggete libri, se non ne fate vostro vantaggio per ben condurvi nel mondo? Rammentatevi la minaccia di Tarquinio a Lucrezia: egli, dove non gli assentisse la moglie di Collatino, le dichiarò l'avrebbe uccisa, e poi messo al fianco uno schiavo trucidato, pubblicando averla sorpresa nel turpe adulterio, e morta per giusto dolore della offesa fatta al parente, per vendetta della sacra maestà delle leggi; con altre più parole assai, che si costumano dagli uomini sinceri. Così voi, nè più nè meno, vi avete a ingegnare di cogliere in fallo la Principessa con qualche suo drudo, e ammazzateli entrambi. La gravità della ingiuria scusa la strage: nel Codice (non mi rammento la pagina, ma cercate e troverete) hanno ad essere leggi, che scolpano in questo caso il misfatto…

—Ma io, rispose il Principe visibilmente imbarazzato, non so bene s'ella si rechi in camera i suoi drudi.

—O dove volete, ch'ella li conduca?

—E poi, coglierli per l'appunto su l'atto reputo impossibile.

—O come mai! Le volpi si prendono sempre alla tagliola.

—No… a cotesto rischio di far le cose alla scoperta non voglio, anche potendo, avventurarmi io…

—Dite piuttosto, interruppe il Conte con maligno sorriso, dite piuttosto che i drudi di femmina sessagenaria voi gli avete nella immaginativa vostra pescati pel bisogno di trovare in altri le colpe, che scusino le vostre; dite, che la cagione che vi muove sta nel desiderio, che l'usufrutto di vostra madre cessi; nè in questo so darvi torto, imperciocchè conosca come i padri eterni facciano i figli crocifissi se non co' chiodi, almeno coi debiti;—il torto, che io vi do, è aver voluto prendervi beffe di un povero vecchio—e giucare meco dello astuto…

—Signor Conte, in verità io vi giuro…

—Silenzio co' giuramenti; io credo, o non credo; e i giuramenti mi danno aria di puntelli alle fabbriche, segno certo che le minacciano rovina: però a voi senza giuramenti non credo, e co' giuramenti anche meno.

—Deh! via non mi abbandonate.—E questo disse costui tanto avvilito, che parendo al Cènci avere ormai scosso a sazietà cotesto sacco di farina ria, e volendo dar fine al conversare, irridendo rispose:

O dignitosa coscïenza e netta, Come ti è picciol fallo amaro morso!

Andiamo, riprendete animo: Minor vergogna, maggior colpa lava. Però, a confessarvi il vero, non posso darvi consiglio che valga.—Ricordo aver letto come in altri tempi, in certo caso affatto simile al vostro, fosse veduto adoperare con ottimo successo questo argomento. Notte tempo appoggiarono al muro del palazzo una scala, che arrivava per l'appunto alle finestre della camera da letto della persona, o delle persone che si volevano ammazzare: s'involarono poi e si distrussero diligentemente alcuni arnesi di oro, e di argento, o altre masserizie minute per colorire la cosa, e dare ad intendere, che l'omicidio fosse commesso in grazia del furto: finalmente si lasciò la finestra aperta fingendo, che quinci i ladri avessero preso la fuga. In tal guisa si allontanarono i sospetti dalla persona a cui cotesta morte tornò utile; e lo erede ebbe fama di pio, ordinando funerali magnifici e copia di messe. Tuttavolta egli non si rimase qui, e volle acquistarsi eziandio nome di rigido vendicatore del suo sangue: e allora assediò la giustizia onde si facessero ricerche sottilissime; non rifinì mai di lagnarsi della oscitanza della Corte, e giunse perfino a promettere una taglia di ventimila ducati al denunziatore secreto, o palese del colpevole.—Così i nostri virtuosi padri ebbero in sorte di godersi in tempo utile il bene dei morti in santissima pace.

—Ah!, dandosi del palmo della mano su la fronte, esclamò il Santa Croce, voi siete pure il degno valentuomo, signor Conte! Io mi vi professo schiavo a catena. Questo appunto è il partito che mi sta proprio a taglio. Ma qui non è tutto; voi porreste il colmo alla beneficenza vostra e all'obbligo mio, se vi degnaste chiamare da Rocca Petrella qualcheduna di quelle brave persone, che incaricate di simili lavori…

—Di che lavori,—di che persone andate farneticando voi? La matassa è vostra; a voi sta trovare il bandolo per dipanarla; badate che il filo non vi tagli le dita. Noi non ci siamo visti, e non ci dobbiamo più rivedere. Da qui innanzi io me ne lavo le mani come Pilato. Addio, don Paolo. Quello che posso fare per voi, e farò, sarà pregare il cielo nelle mie orazioni ond'egli vi assista.

Il Conte si alzò per accomiatare il Principe; e mentre con modi cortesi lo accompagnava alla porta, andava ruminando fra se questi pensieri:—e poi vi ha taluno che sostiene, che io non avvantaggio il prossimo! Calunniatori! Maldicenti! Più di quello che mi faccia io è impossibile. Contiamo un po' quanti stanno adesso per guadagnare in grazia mia. Il becchino in primis; poi vengono i sacerdoti, che sono il mio amore; succedono i poeti per la elegia, e i predicatori per l'orazione funebre; seguita mastro Alessandro il giustiziere, e finalmente il diavolo, se diavolo vi ha.—Frattanto arrivati alla porta il Conte aperse l'uscio, e, licenziando il Principe col solito garbo pieno di urbanità, aggiunse con voce paterna.

—Andate, don Paolo, e Dio vi tenga nella sua santissima guardia.

Il Curato, udendo coteste parole, mormorò sommesso:

—Che degno gentiluomo! Si vede proprio che gli partono dal cuore.

Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI

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