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LA TENTAZIONE.

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O male, o persuasore

Orribile di mali,

Bisogno……

PARINI, Il Bisogno.

Entrarono i giovani sposi. L'uomo baciò affettuoso la mano al Conte: la donna volle fare lo stesso; ma il fantolino, che teneva in collo, gittando uno strido glielo impedì. Fu caso quello, o piuttosto presentimento? L'uomo non conosce le arcane virtù della natura. Il Conte guardò fisso la donna; e vedendola maravigliosamente bella i suoi occhi si aggrinzirono, e le pupille mandarono un baleno.

—Chi siete voi, buona gente, e in che cosa posso accomodare ai bisogni vostri?

—Eccellenza, incominciò il giovane, o non mi ravvisa ella più? Io sono il figliuolo di quel povero falegname… si ricorda?.. rovinato, or fanno appunto quaranta mesi,… e se non era la sua carità egli si sarebbe gettato nell'acqua.

—Ah! ora me ne sovviene. Voi vi siete fatto uomo, garzone mio; ed il buon vecchio del padre vostro come si porta egli?

—Il Signore lo ha chiamato a se. Creda, Eccellenza, che il suo ultimo sospiro fu per Dio, e il penultimo per la sua famiglia e per lei:—non rifiniva mai di mandarle benedizioni, ed augurarle dal cielo tutte le prosperità, che da uomini possano desiderarsi maggiori.

—Dio lo abbia nella sua santa pace. E queste sono la moglie, e creaturina vostre?

—Per l'appunto, Eccellenza. Appena mia moglie è rientrata in santo, mi è parso bene di fare il mio dovere conducendola a renderle reverenza e offrirle grazie col cuore, perchè, dopo Dio, noi ripetiamo da lei la nostra felicità.

—Voi siete felici?

—Felicissimi, Eccellenza, se la memoria del perduto genitore non venisse di tratto in tratto a turbarmi;—ma i suoi anni erano molti, e morì come un fanciullo che si addormenti… Egli non aveva rimorsi su l'anima…. e le sue notti io le so dire ch'ei le dormiva tranquille… povero padre!—E sì dicendo si asciugava le lacrime.

—E voi, donna, vi sentite felice?

—Sì, prima la Vergine benedetta, e più che non si può immaginare col pensiero, o riferire con parole. Michele vuol bene a me; io lo voglio a lui; tutti e due ne vogliamo tanto e poi tanto a questo bello angiolo nostro. Michele guadagna da camparci, e ce ne avanza;—sicchè, Eccellenza, ella vede che non chiamandoci soddisfatti sarebbe proprio un mormorare contro la provvidenza di Dio.—Queste cose dicendo la donna appariva sfavillante.

—Voi siete dunque felici?—domandò il Conte per la terza volta con voce cupa.

—E si può dire in grazia sua, Eccellenza. Entrando in casa di Michele io ho appreso a venerare il suo nome. La prima parola che insegnerò al mio bello angiolo, sarà benedire il nome del caritatevole barone Francesco Cènci.

—Voi mi riempite il cuore di dolcezza, disse il Conte dissimulando la rabbia che lo soffocava; e per infingersi meglio baciava in fronte, e vezzeggiava il fanciullo:—buona gente! anime degne! Però quel poco, che io feci, non merita tante grazie; e a fine di conto, a noi altri favoriti con copia di beni corre obbligo grande sovvenire ai poverelli di Cristo. A che buono il danaro, se non per riparare qualche sventura? Havvene forse del meglio speso di questo? Non lo mettiamo a usura su le banche del paradiso, dove ci vien reso a mille contanti il doppio? Sono io dunque, carissimi, che devo ringraziarvi per avermi offerta occasione di fare del bene.—Qui tratta fuori una cassetta del banco, prese un pugno di ducati d'oro e gli offerse alla donna; la quale, fattasi in volto tutta vermiglia, andava schermendosi; ma il Conte insistendo, diceva:

—Prendete, figliuola mia, prendete. Voi mi avete fatto torto quando non mi avvisaste della nascita di questo bel putto; che toccava a me essergli compare. Compratevi una collana, e portatela al collo in espiazione del peccato commesso: guardate di farvi riuscire ancora un guarnelletto sfoggiato al fanciullino, perchè quantunque per bello ci passi il segno, pure sapete come dice il poeta?

Sovente accresce alla beltà un bel manto.

Io vo' che la gente, in vedendolo, esclami: oh avventurosa colei ch'ebbe così bel portato;—e il vostro cuore di madre esulterà.

La giovane madre dapprima sorrise; poi da quelle soavi parole, che le fioccavano sul cuore, si sentì conquisa, e pianse, senza però cessare il sorriso; come quando, in primavera, piove a un punto e risplende il sole, mentre le gocce cadenti disegnano in cielo l'arco maraviglioso, che noi reputiamo testimonianza del patto di pace fermato da Dio con gli uomini… E fosse pur troppo così!

—Continuate ad amarvi—prosegue il Conte con la voce solenne di un padre;—la gelosia non turbi il sereno dei vostri giorni; nè mai altra casa possa piacervi più della vostra: vivete tranquilli e nel santo timore di Dio. Qualche volta rammentatevi nelle vostre orazioni di me, povero vecchio, che non sono… oh! credetemelo, non sono quale vi appaio per avventura felice; (—e qui il Cènci di pallido, come ordinariamente egli era, diventò livido—) e se in alcun bisogno vostro penserete a me, siate persuasi che voi troverete viscere paterne.

I giovani sposi si chinarono per abbracciargli le ginocchia; ma egli nol volle consentire affatto, e con voce ed atti benigni gli rimandò con Dio. Passando per la sala essi non rifinivano mai di esclamare:

—Oh il pietoso signore! Il caritatevole gentiluomo!

Gli staffieri udendo simili parole sogguardavano l'uno l'altro facendo spallucce; ed uno fra loro, il più audace, sussurrò fra i denti:

—Che il diavolo si sia fatto cappuccino?

—Felici! felici!—ruggì Francesco Cènci dando libero sfogo alla collera male repressa;—e vengono a dirmelo proprio in faccia! Lo hanno fatto a posta per tormentarmi con la vista della loro contentezza! Questo giudico il più atroce insulto, che io mi abbia sofferto da un pezzo a questa parte!—Marzio! Va, corri tosto, e raggiungi Olimpio; riconducilo qui; affrettati, dico; se torni, prima che suoni l'Angelus, insieme con lui, ti do dieci ducati.—Io vi farò vedere se, senza piangere lacrime di sangue, uom possa venire a dichiarare in faccia al conte Francesco Cènci, ch'egli è felice.

In questo punto, e certo non gli fu ventura, ecco entrare pian piano il degno sacerdote: Omnes sitientes venite ad aquas, giubbilava dentro il cuor suo, comecchè stringesse in fascio i lembi della toga stracciata; ma da cotesta beatitudine lo trasse fuori il cupo brontolìo di Nerone. Il prete (tanto scordevole egli era delle ingiurie più triste!) si risovvenne allora del cane nemico, e parve la moglie di Lot quando si volse indietro a guardare lo incendio di Sodoma.

—Silenzio, Nerone!—Reverendo, accostatevi senza sospetto.

Il Prete, ripreso alquanto di coraggio, mosse qualche altro passo a sghembo come costumano i granchi; e, invitato a sedersi, si pose sopra l'angolo estremo della sedia, rannicchiato a modo di civetta sul canto del tetto.

—Parlate, Reverendo; sono ai vostri comodi.

—Ed io punto ai miei,—pensò il prete, ma non lo disse; e invece favellò:

—La fama…

Nerone udendo la voce del prete torna a brontolare, e il prete subito si drizza impaurito; sgridato il cane si riacqueta, e il prete si attenta da capo ad aprire la bocca. Badando sempre con occhio obliquo la bestia, che malediceva in cuor suo, egli riprese:

—La fama, che suona delle magnanime vostre imprese per tutto il mondo….

—E per Roma….

—Questo s'intende da se, caro lei, perchè Roma fa parte del mondo…

—E per questo appunto io lo diceva…

—E vi pareggia a Cesare…

—A quale dei due, Reverendo, a Giulio o ad Ottaviano?

—Questo non ispiega bene la fama; ma io mi figuro a quello che fece tanti regali al popolo romano in vita e in morte.

—E sapete voi perchè egli poteva donare tanto?

—Eh! mi figuro perchè ne aveva…

—Certo, ne aveva perchè gli rubò da tutto il mondo; e questo debito è cascato addosso a noi altri nipoti, e ci tocca a pagarlo con le usure, vi dico io…

—Ah! tocca a lei pagare i debiti di Giulio Cesare?

—E voi siete venuto qui in mia presenza a paragonarmi con cotesto insigne ladrone di provincie e di regni?…

Il Prete confuso malediceva l'ora, che gli venne in mente recitare una orazione di lunga mano composta: era meglio che avesse favellato, secondo il solito, così alla buona. Ah!—pensava—potessero farsi le cose due volte!—Poi tutto umiliato sussurrava…

—Perdoni, per lo amore di Dio… io non credeva… avendo tolto a imitare la orazione di monsignor Giovanni della Casa a Carlo V… che…

—Ascoltatemi, favellò il Cènci, deposto a un tratto il suono scherzevole, e assunto un cipiglio severo. Io sono vecchio, e voi più di me: però del tempo non ne avanza a me nè a voi: parlate dunque netto, e spedito. Tutte le cose lunghe mi vengono a fastidio,—anche la Eternità.

Il Prete, preso alla sprovvista, non sapeva da qual parte rifarsi; quel subito trapasso dal dolce all'agro lo aveva sbalordito: in oltre la ultima proposizione del Conte gli pareva mal sonante, ed eretica. Finalmente, come uomo a cui un buffo di vento sopraggiunga impetuoso a portar via le carte accomodate sul banco, parlò con tronchi accenti:

—Eccellenza… lei vede in me un prete… e per di più curato di campagna… La mia Chiesa rassembra proprio un crivello… l'acqua piovana scende giù dal tetto, e si mescola col vino delle ampolle… Un melogranato cotto in forno, a paragone della mia Canonica sdrucita, può figurarsi una pina verde… talora, quando piove, mi trovo costretto a starmi in letto coll'ombrello aperto, e non basta. Sa ella con che cosa mi tocca ad asciugarmi il viso?.. lo sa?

—No certo.

—Con Rodomonte.

—E ch'è egli questo Rodomonte?

—Il gatto della canonica; ma egli alla peggio la rimedia pei tetti; a me e a Marco, che non possiamo andare a procacciarcelo sul tetto, spesso manca il desinare e la cena; ed io sospiro, e Marco raglia.—Ho una tonaca sola… o piuttosto, come dice Cremete negli Autontimerumeni, ignaro se il suo figlio tuttora viva,—non saprei più dire se io l'abbia, o se io non l'abbia:—veramente ella era lustra da potermivi guardare dentro; ma alla fine con qualche rammendo poteva tirar su fino a dicembre… ed ora il cane di vostra Eccellenza miri come me l'ha concia!.. E sporgendo il lembo, la sua voce prendeva la intonazione dello stabat Mater dolorosa.

—Non pronunziaste voi il voto di povertà? Perchè vi lagnate di uno stato, che tanto si accosta alla perfezione? Ah! questa perfezione non vi piace; amereste meglio essere imperfetto con qualche migliaio di scudi di entrata, che perfetto, e più che perfetto in povertà? Prendetevela con l'Autore di questa grammatica, che voi altri preti non volete capire. Gesù Cristo vi ha predicato non essere i vostri beni sopra questa terra: guardate il cielo, e sceglietevi là il vostro campo; lo spazio, grazie a Dio, non manca. Ma voi fate orecchie di mercante, e dite in cuor vostro: la doppia è il Padre, la mezza doppia il Figlio, il terzo di doppia lo Spiritossanto, e credo fermamente che una discenda dall'altra.

Godete, Preti, poichè il vostro Cristo Dai Turchi e dai Concilii vi difende[1].

Vergogna, Reverendo; vergogna questo darsi continuo pensiero di cose mondane! Quando la Chiesa costumava calici di legno possedeva sacerdoti di oro; e questo dice san Clemente di Alessandria. Ora ch'ella ha calici di oro, i preti son diventati di legno:—e sapete voi, Reverendo, di quale legno? Del legno, che il santo Evangelo dichiara doversi recidere perchè infecondo, e gittare sul fuoco…

Il povero Curato sostenne cotesta bufera di male parole come un veterano la scarica delle palle nemiche; poi con un sospiro esclamò:

—Ah! san Clemente Alessandrino era un santo dottissimo; ma non credo che gli bisognasse stare a letto con l'ombrello aperto quando pioveva…

—Sia; patite difetto di cose necessarie alla vita? Ebbene, ricorrete agli opulenti prelati. Forse non ebbero assai? Ma che volete da noi, l'ultima stilla di sangue? Andate, picchiate ai palagi dei Vescovi; bussate alle porte degli Abbati… bussate, vi dico, e vi sarà aperto; chiedete, e vi sarà dato: pulsate et aperietur vobis, è stato detto da cui non può fallare.

—E' pare che cotesti dignitarii spesso si trovino per faccende fuori di casa, perchè io mi son provato a battere alle porte loro; ma vedendo che potevo rompermici le noccola prima che da qualcheduno mi venisse aperto, me ne sono rimasto.

—Voi, clero minuto, siete proprio gregge; e così sogliono chiamarvi i grassi prelati, perchè verso di voi si comportano da veri pastori. Infatti qual è la parte di pastore, per cui diritto vede, che seco voi non adoperino? Forse non vi mungono? non vi tosano? non vi arrostiscono scorticati, e vi mangiano?—Orsù, ardite ribellarvi contro la iniqua gerarchia: pubblicate al mondo in qual modo sopra un solo capo, o per simonia, o per patto di lussuria, o in modo altro più turpe, si cumulino benefizii, prebende e abbadie, le quali da un lato fanno preti oziosi, superbi, viziosi, e ribaldi; dall'altro poveri, vili, abietti, e ribaldi: palesate che le riforme dei Concilii non hanno riformato nulla: manifestate come questo tristo collegio d'ipocriti farisei ad altro non attende, che a impastar pane con la farina del diavolo. Costringete i parasiti a tenervi a parte della mensa, che lautissima da lungo tempo imbandiscono, e per lungo tempo ancora imbandiranno loro la ignoranza e la follia degli uomini.

Il Curato, atterrito da quel turbine di eresie, volse attorno gli occhi con riguardo, e poi sotto voce osservò:

—Eccellenza, per lo amore di Dio voglia rammentarsi che qui in Roma vi è una qualche cosa, come sarebbe il Santo Uffizio, e il castello Sant'Angiolo.

—Avete paura? Bene; ma se imparaste a tremare, apprendete ancora a soffrire. La pecora lecca la mano che le taglia la gola. Esempio sublime, e lodato meritamente, della perfetta obbedienza. O piuttosto, perchè disertaste voi la bandiera della natura? Perchè abbandonaste la vanga paterna per comandare dalla polvere? Quando voi preti vi allontanate dalla campagna vi piangono dietro le viti, e gemono i solchi. Tornate a lavorare l'altrui podere, servi fuggitivi. La terra vince di amore qualsivoglia tenerissima madre; ella vi nutre, ella vi veste, ella vi seppellisce: che cosa volete di più, indiscreti? Vi lagnate che la natura vi abbia diseredato: bugiardi! vi è mai forse mancata la terra? Dove stanno sepolte le migliaia di generazioni, che vi precederono? Sotto terra. A cui di voi, nascendo, madre natura non destina tre braccia di terra, e a taluno anche più?—A voi questa storia non garba. Il breviario pesa meno della zappa. Voi volete godere qui il paradiso, che agli altri promettete di là. Scalabroni, vi piace gustare senza fatica il mele raccolto dalle api? Ma le api adoprano l'aculeo per cacciar via i ladri; l'uomo non sa valersi del suo giudizio per liberarsi da voi altri. Ditemi un po', Reverendo, non vi pare che l'aculeo dell'ape, tutto bene considerato, meriti più pregio assai della ragione umana?—Orsù; vivete come vi aggrada, morite come vi piace, ma levatevi dintorno a me. Da me voi non avrete uno scudo. Da camparvi vi fu dato. Io non ho danaro per sopperire alle morbidezze vostre;—io non posso fare le spese ai vizii vostri; e voi ne avete più, che figli Giacobbe, quantunque un vizio costi più di tre figliuoli.

Credete voi però, Sardanapali, Potervi fare hor femine, hor mariti, E la Chiesa hor spelonca, et hor taverna; E far tanti altri, ch'io non vo dir, mali, E saziar tanti, e sì strani appetiti, E non far ira alla lenta superna?[2]

Il povero Prete era come colui, che, essendo lontano da casa, sorpreso da un rovescio di acqua nell'aperta campagna, piega le spalle, e sta a pararne quanta Dio ne manda. Però, percosso dall'abbominazione dell'ultimo rimprovero, levò gli occhi al cielo, e non potè trattenersi da dire:

—In quanto a Verdiana, Eccellenza, ch'è la fantesca la quale io tengo in casa, le giuro per Quello, che non vuol che giuriamo, ella è si antica, da potere aver portato sassi quando fabbricavano il Colosseo. Ma pare a lei, che un uomo della mia età e del mio carattere possa attendere a siffatte scostumatezze? Poh!

—Perchè no? Ossa vecchie e legna secche avvampano più presto.

………i' sarei preso ed arso Tanto più, quanto son men verde legno,

diceva messer Francesco Petrarca; e delle cose di amore il canonico Petrarca intendeva assai addentro, e più disonestamente, che non ci vuol dare ad intendere il vecchio peccatore—perocchè ei fosse dei vostri…

E il Prete, levando in alto le mani e il viso, esclamò pietosamente:

—Gesù! che cosa mi tocca a udire!

Il Conte Cènci con l'indice della mano destra all'improvviso descrisse un segno orizzontale sopra la fronte, quasi disegnasse mutare registro allo strumento, e con voce più mansueta riprese:

—Oh! non lo diceva mica per voi, povero sacerdote, che siete così attrito dallo stento, da assomigliarvi a san Basilio. Quando mi capitasse la voglia di palesare i fatti miei a qualcheduno, fate conto che non vorrei confessarmi ad altro sacerdote che a voi. Or via, tregua alle parole, Curato mio dolce. Quanto danaro vi abbisogna per restaurare chiesa o canonica, comperarvi una tonaca nuova per riparare la fellonia di Nerone, ed una mezza dozzina di asciugamani per lasciare in riposo la pelle di Rodomonte?

—Dirò… Verdiana ed io abbiamo fatto le mille volte il conto; ella su le fodere del lunario, io sopra i margini del breviario, e non ci siamo messi mai d'accordo; ch'ella dice più, ed io meno: ma io crederei che con un dugento di ducati ci si potrebbe incastrare.

—Dugento ducati! Misericordia! ma che sono eglino diventati prugnòli?

—E con meno non ci è propriamente a rimediarla,—riprese il Prete incrociando le dita delle mani e appoggiandosele alla pancia;—e noti, che ci aggiunterei una quarantina di ducati che conservo nello inginocchiatoio accanto al letto, e che mi costano da quarantamila digiuni non comandati.

—Uditemi, Reverendo; io non sono ricco abbastanza da accogliere la presunzione di restaurare la casa di Dio. Egli è padrone del buon tempo e del cattivo; e se lascia piovere in casa sua, segno è certo che l'acqua piovana gli piace. Io vi darò cento ducati, ma ad una condizione.

—E quale, Eccellenza?

—Che voi, insieme ai quaranta vostri, gli adoperiate unicamente a restaurare la canonica, corredarvi di masserizie necessarie, di asciugamani, di una tonaca per voi, ed anche di una veste per Verdiana…

—Mai no, Eccellenza, mai no; piacemi la casa risarcita, piaccionmi le masserizie, e la vesta per Verdiana mi piace assai più della tonaca mia; ma le cose del Signore hanno da andare innanzi ad ogni privata comodità. Su questo punto Verdiana ed io siamo di un medesimo cuore, e non ci patirebbe l'animo di fare nostro prò neppure di un bagattino, se non avessimo provveduto prima alla casa di Dio….

—Che cosa andate voi bestemmiando di casa di Dio? Ha egli mestieri di casa per ricovrarsi dalla pioggia, o dalla bruma della notte come noi altri? Casa di Dio è l'universo; sono le stelle, il sole, la luna, e tutto quanto vive, vegeta e cresce quaggiù. Tutto è Dio. In tutto penetra, da tutto emana la Divinità. Dio vuolsi adorare nelle magnificenze della natura, nelle opere dello intelletto, nella innocenza e nella sensibilità dell'uomo.

—Signor Conte, rispose il Curato mettendosi la destra sul cuore, e con dignitosa semplicità, io sono un uomo povero d'intelletto: credo quello che i miei padri credevano, e non cerco più oltre. Io so eziandio che lo spirito umano spesso si spinge temerariamente a tal punto, dove non comprende più nulla; e allora, fra il dubbio che tormenta e la fede che consola, parmi cosa savia attenermi alla fede.—

Queste schiette parole punsero sul vivo il Conte Cènci, il quale studiando dissimulare la ferita con la moltiplicità degli empii discorsi, si affrettò a replicare:

—Voi già, secondo l'usanza dei sofisti, ve la svignate fuori del seminato. Io non vi contrasto la credenza, ma il modo del credere. O come volete voi che a Dio incresca l'acqua piovana dentro la vostra parrocchia, poichè s'egli ve l'avesse a uggia sarebbe padrone di non la mandare? Egli ha creato l'acqua, e il fuoco altresì: ora, se quando è bagnato vuole asciugarsi, non ha a far altro che prendere con le molle uno degl'infiniti soli del cielo, e metterselo nel cammino. Può temere l'acqua Colui, che vi cammina sopra come se fosse un selciato? Egli che apre e chiude le cateratte dei cieli come fo io di questa cassetta?—Via, via, Curato mio, almeno confessatemi questo, che a lui nulla importa di nuvoloso, nè di sereno.—Ecco qua; questi sono ducati, e sfolgoranti… (—e qui preso un pugno di scudi d'oro, gli distendeva dinanzi agli occhi del prete—) io voglio che sieno vostri; a patto però, che gli spendiate solamente per voi e per Verdiana. Dio è ricco abbastanza per farsi le spese da se.

E sì favellando protendeva il viso tentatore come il Diavolo a santo Antonio. Il Prete covava la moneta con gli occhi, e da tutti i pori del corpo gli trasudava la cupidigia della miseria. Una molto terribile battaglia si combatteva in quella povera anima. Il Conte però, notando come il Prete girava nel manico, insisteva alacremente:

—E questa ultima ragione sopra le altre vi muova, che se voi non accettate il patto io gli ripongo in cassetta…

—Eccellenza!…

—Ma via, mettiamo da parte le ragioni che vi ho esposto: a voi non garbano, ed io non vi voglio chiudere il Limbo che vi aspetta. Non è egli vero, che voi dovete provvedere a due cose: alla chiesa ed alla canonica? Poniamo dunque che la chiesa sia santa; la canonica voi non impugnerete già che sia religiosa! Ora chiaritemi un po' come possiate commettere questo grossissimo peccato, incominciando dalla seconda piuttostochè dalla prima?—Voi troverete tanto cammino fatto nello adempimento dei vostri doveri. Non vi ostinate; ricordatevi che vi ha tal giusto, che per la sua giustizia perisce; e questo ha detto re Salomone…

—Eccellenza… veramente… in questa maniera… mi parrebbe… e nondimeno…

—Su, via, dunque; accettate, e promettete adoperarli unicamente per voi. Considerate, in grazia, quest'altro: se Dio è, come voi ed io crediamo, eterno, non gli dorrà aspettare quattro o sei anni, e potrei dire secoli. Se voi foste diverso da quello che siete, vi direi: facciamo un poco come lui, che non pensa mai a noi…—Sicchè; li volete, o non li volete?

—Ah signore! la tentazione è grande; ma io temo commettere un grossissimo peccato…

—Li volete, o non li volete?

—Ma mi lasci riflettere. Non è mica cosa da niente uno scrupolo di peccare, per un parroco che ha la cura delle anime…

—Ebbene; ponete tutto a debito dell'anima mia. Tanto io ho conto lungo col paradiso…—Ah! li prenderò…

L'angiolo dell'Accusa portò questo peccato alla cancelleria del cielo e lo registrò nel libro maestro delle colpe umane, senza che l'angiolo della Misericordia vi lasciasse cader sopra una lacrima, e ve lo cancellasse per sempre come sul pietoso giuramento dello zio Tobia.

—Ecco il danaro; promettete dunque?

—Prometterò.

—Ora avvertite di non mancare; manderò, o verrò io stesso a vedere se avrete attenuto il patto: se troverò altrimenti, guai! Mi chiamo Francesco Cènci, e basta.

Il Curato fra lieto e tristo intascò la moneta; e, profferte umilissime grazie, con copia di riverenze si allontanò dal male visitato barone.

———

Marzio tornava in compagnia di Olimpio. Ebbe Marzio la promessa mercede, ed ordinandolo il Conte si ritirò nell'anticamera.

—Che c'è egli di nuovo, Eccellenza?

—Ci sono altri centoquaranta ducati da metterti nella cintura…

—Voi mi volete far morire d'indigestione…

—Mi era parso, poc'anzi, tu ti partissi pessimamente soddisfatto, ed io ho voluto richiamarti perchè tu abbi la miglior giunta alla buona derrata.

—Questo è proprio un diluvio di tenerezza per me!

—Tristo cavaliere è colui, che non ha cura del suo cavallo; e non vi ha favore ch'io non mi mostrassi parato a farti, per torre via dal tuo cuore quella po' di ruggine che potresti avere concepito contro di me.

—Ruggine, io? Ma che vi pare, don Francesco; io vi ho voluto sempre più bene che al pane.

—Che si fa a morsi, eh? Vien qua, piacevolone, ch'ella è appunto una burla quella che ti propongo. I ducati, di che io ti diceva, già sono tuoi…

—Dove son eglino?

—Non manca altro, che tu le li vada a pigliare. Non torcere il muso. Hai tu veduto quel corvo di prete? Ebbene; io glieli ho donati secondo la tua intenzione. Ora hai da sapere come costui sia curato a santa Sabina, piccola chiesa lontana dall'abitato. In casa tiene una vecchia, un gatto, e, a quanto pare, un asino: faccenda agevole, e da compirsi stanotte. Troverai i danari dentro allo inginocchiatoio accanto al letto del prete.

—O perchè glieli donaste voi, se avevate in mente di ritorgli sì presto a quel poveraccio?

—Quando io pretesi insegnarti la maniera di entrare nel palazzo Falconieri, tu mi avvertivi non ispettare a me mescolarmi in simili bisogne…. te ne ricordi? Adopera dunque verso me la discretezza, che volesti io usassi teco.

—Avete ragione: non fa neanche una grinza. Volete, altro, don

Francesco?

—Ah! sì; un altro servizietto da poco. Conosci il falegname, che abita presso Ripetta? Quel desso, che rifece la casa co' miei danari?[3]

—Quel giovane, che stava dianzi in sala ad aspettare? Sicuro che lo conosco, e so dove sta di casa; perchè quando la faceste rifabbricare di nuovo andai a vederla, per ingegnarmi a spiegare su la faccia del luogo lo indovinello della vostra beneficenza.

—E non sono uso a fare del bene io? Ed anche adesso non ti benefico? Non aggiungere la ingratitudine agli altri tuoi peccati, perchè egli è quello che più dispiaccia all'angiolo custode.—Domani notte…

—Non posso servirvi: sono impegnato col signor Duca… non rammentate?

—Farò le tue scuse…

—Abbiate pazienza; l'onore del mestiere non permette che io manchi…

—Procurerò che egli ti dia licenza di propria bocca…

—Oh! allora va bene.

—Domani notte, dunque, t'introdurrai come potrai nella bottega del falegname. Prendi gli arnesi e i legni che troverai là dentro, ed alzane una catasta: poi mettivi sotto i fuochi lavorati, ch'io ti apparecchierò; e verrai per essi domani dopo l'Ave Maria, presentandoti alla porta del chiasso: accendili, e vientene via dopo aver chiuso di nuovo la porta della bottega. Avrai per questa opera pia cento ducati. Servi fedelmente, che in breve intendo farti ricco. In vero, dove potrei impiegare il mio danaro meglio che con te?—E tu devi convenirne meco. Allontanati per la via del giardino, e procura che nessuno ti veda all'andare, nè al tornare.

Olimpio obbediva.

———

Francesco Cènci rimasto solo, forte si stropicciava le mani in segno di profonda soddisfazione, e con parole rotte favellava:

—Stamane fu pasqua. Questo si chiama vivere davvero! Un parricidio tramato, un ratto ammannito, un furto ed uno incendio apparecchiati; poi i traditori traditi, e per giunta fatto cascare un santo. Finchè io sto in questo mondo il diavolo può andarsene in villeggiatura. Io sono il rovescio di Tito: costui gemeva se passava il giorno senza fare qualche bene: io arrovello se non ho commesso una ventina di mali. Tito!—Cerretano di umanità, gesuita del paganesimo! Giudea lo dica, e lo incendio spento dall'onda del sangue umano; e la moltitudine dei crocifissi, per cui mancava il terreno alle croci, o le croci ai corpi; e gli undicimila prigioni morti di fame; e le migliaia dei gettati alle belve in odio di avere difesa divinamente la patria[4]. Va, va, natura di stoppa, che non sapevi odiare, nè amare; piangendo lasciasti uccidere un milione e mezzo di uomini, e piangendo ti lasciasti strappare dal fianco la bella Berenice. Domiziano, tuo fratello, era fuso con bene altro metallo: cuore di acciaio; fronte di bronzo: immagine augusta di re. Il fulmine non sa distruggere cotesti semidei; se li tocca, li consacra. L'Apostata ti chiama belva d'imperatore[5]: belva tu, che andasti a farti scannare in Persia, mentre potevi condurre vita beatissima a Roma o a Bisanzio. A cui buona la vita se, dopo morte, i posteri non tremassero al nostro nome, e temessero vederci ricomparire, sbucati fuori della tomba, ad ogni tratto? Tutti rammentano il diluvio. La credenza di Dio si fonda sopra la paura, e quindi egli ebbe vittime di sangue. I tiranni si sono detti immagini del Dio di Mosè, che soffia con la sua propria bocca nel fuoco dello inferno; epperò furono temuti, ed ebbero anch'essi vittime di sangue, e tuttavia ne avranno. Se il Papa si fosse mantenuto ministro del Dio Agnello, a quest'ora lo avrebbero arrostito: le paterne viscere di Sua Santità si struggono di emulazione, perchè la piazza del Vaticano sia superata in meriti da quella di Vagliadolid. Il bene e il male tengono le mani dentro ai capelli della umanità; ma il bene glieli arriccia, il male glieli strappa. Io adoro la forza. Tutto è menzogna, tranne la forza: ella arroventa il suo marchio, ne segna alla gota le generazioni, e a furia di flagelli le disperde pel mondo:

Tremate, maledite, e obbedite: Così quaggiù si vive, E la porta del ciel si trova aperta![6]

Se mi fossi trovato alla battaglia, che gli Angioli ribelli combatterono contro Dio!—Dio! Dio!—Questa parola mi torna addosso come un tafano importuno, invano cacciato. Ma chi ha veduto questo Dio? chi gli ha mai favellato? Corrono oggimai cinquanta e più anni che io con ogni maniera di offese l'oltraggio, e la sua maledizione m'ingrassa i campi. Perchè mi creava egli così? Egli metteva le forbici sopra la pezza intera, e poteva tagliarmi a modo suo. E s'ei non mi creava, o perchè egli, Creatore, sofferse in pace che altri gli rubasse, e guastasse il mestiere? Anima mala: sono elleno anime malvagie le nostre? Sia; io per certo non ho ragionevole fondamento per impugnarle: ma non istava in facoltà sua farla buona, o cattiva? Poenituit! Sì? Se ei si pentiva, segno è certo ch'egli aveva sbagliato; e se sbagliò, perchè mai portiamo il peso dei suoi errori? E dove è allora la sua ogniscienza, dove la onnipotenza sua, dove lo infinito suo amore? Che penseremmo noi di cotesta femmina, la quale si avvisasse percuotere il suo figliuolo perchè lo ha partorito gobbo? E posto che egli abbia errato, come questo libro del mondo ci mostra palesemente ad ogni facciata; ma fosse poi buono davvero, secondochè ci danno ad intendere quelli che lo conoscono; o non poteva tirar di frego su l'uomo e la natura intera, e incominciare da capo? Meglio così, che impacciarsi in quel laberinto del riscatto, che a fin di conto non ha riscattato nulla. Egli fu nebbia: ha lasciato il tempo come lo trovò:—e se gli uomini prima andavano allo inferno di passo, ora ci vanno di corsa. Inferno! E sia; ed io vi andrò, per la ragione che la sentenza verrà profferita da chi è giudice e parte, e per di più senza appello. Tutti i giudici iniqui condannano senza appello. Deus autem fecit nos, non ipsi nos. Non importa: se l'anima è morta col corpo, mi piace; se sopravvive, anche di questo mi contento; a patto che non mi venga tolta la facoltà, da me fino a questo punto esercitata, di maledire per omnia saecula saeculorum; amen.

Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI

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