Читать книгу Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI - Francesco Domenico Guerrazzi - Страница 16
ОглавлениеConfuso il giovane, e aggirato da cotesti ragionamenti, si trovò come strascinato giù per un terreno sdrucciolevole. La cupidità cammina sempre con le tasche piene di cotone, per cacciarlo nelle orecchie alla coscienza onde non senta i suoi spasimi. Nel delirio della passione, il giovane, senza pure pensarvi, rispose:
—E come avrei a fare io? Io non sono uomo da questo. Da qual parte incominciare? Dove trovare uomini i quali volessero mettersi per me a cotesto sbaraglio?
Il Conte pensò, che il dabben giovane senz'altri conforti si sarebbe rimasto in mezzo alla via; e poi gli venne adesso alla mente cosa, che non aveva avvertito avanti; onde si affrettò di soggiungere:
—E gli amici che stanno a fare nel mondo? In questo bisogno posso molto bene accomodarvi io. se non m'ingannava la vista. Così favellando si accosta alla porta della sala, e, apertala, chiamò:
—Olimpio!
Il villano, come bracco che all'appello del cacciatore leva il muso, drizzatosi in piedi, rispose con disonesta famigliarità:
—Ah! vi siete accorto finalmente che ci sono in esto mondo, Eccellenza;—e brontolando soggiunse sommesso:—senza fallo vuol mandare qualcheduno in paradiso.
—Vien qua.
E Olimpio andò. Quando fu entrato nella stanza, per quella soggezione che anche i più impudenti plebei risentono dalla vista di arnesi e di stanze signorili, si trasse il cappello, e giù per le spalle gli cadde copia di chiome nere le quali, mescolandosi co' peli della barba, gli davano sembianza di un fiume coronato di canne, come sogliono effigiarlo gli scultori. Volto duro come intagliato in pietra serena: occhi sanguigni infossati sotto sopracciglia irsute, più che ad altro somiglianti a lupi dentro la lana; voce cupa e arrotata.
—Siamo sempre vivi, nè gli domandò il Conte sorridendo.
—Eh! proprio per miracolo di san Niccola. Dopo l'ultimo ammazzamento, che commisi per vostra Eccellenza…
—Che vai tu farneticando, Olimpio? Che ammazzamenti, o non ammazzamenti ti sogni?
—Trasecolo io? Per Cristo santissimo! di conto, ordine e commissione vostra;—e battendo con la larga mano il banco. aggiungeva: qui mi contaste i trecento ducati di oro, che non furono troppi;—ma tanto è; io me ne contentai, e non ci è a ridire sopra. Se presi poco, mio danno. Qui…
E siccome il Conte con le mani e con gli occhi ammiccava, che si rimanesse da mettere più parole intorno a cotesto fastidioso argomento,
—Oh! allora egli è un altro paro di maniche, proseguì imperturbabilmente costui; potevate avvertirmi a tempo. Io credeva che stessimo in famiglia, don Francesco; scusate. Per tornare ai miei montoni, il Bargello mi si era fasciato intorno alla vita più stretto della mia cintura; la corda ha rasentato più volte il mio collo, che la mia bocca la foglietta: vedete, tutti gli alberi mi parevano cresciuti in forma di forca. Adesso, in questo arnese, io quasi non ravviso più me stesso; epperò mi sono avventurato a ritornare, perchè l'ozio, vedete, egli è propriamente padre de' vizii: ed io, non avendo a fare più nulla, mi era perfino ridotto a lavorare. Se in questo mezzo tempo a qualche vostro nemico fosse cresciuta qualche gola di più, che non vi piaccia ch'egli abbia, siamo qua agli ordini di vostra Eccellenza.
E con la destra fece un atto orizzontale al collo.
—Tu arrivi, si può dire, come le nespole in ottobre; e vedrò così adoperarti a trarre un fuscello, dacchè travi per mano a quest'ora non ne abbiamo;—ma, te lo ripeto, egli è quasi un nonnulla, una eleganza del tuo mestiero,—tanto per rimetterti in filo.
—Udiamo, via.—E il masnadiero usando della terribile domestichezza che il delitto suol porre fra i complici, si mise a sedere. La gamba destra accavallò alla sinistra, e il braccio sinistro puntò sul ginocchio alzato; sopra la mano aperta appoggia la faccia, e quivi, con gli occhi chiusi, il labbro inferiore sporgente in fuori, parve atteggiato a profondo raccoglimento.
—Questo giovane gentiluomo, ch'è il clarissimo signor Duca di
Altemps…, incominciò a favellare don Francesco,
—Bè!—E senza schiudere gli occhi, appena fece il masnadiero un lievissimo cenno col capo.
—Ha concepito un furioso amore per certa fanciulla…
—Delle nostre, o delle vostre?
—E che so io? Una camerista…
—Nè nostra, nè vostra; notò Olimpio, alzando le spalle in atto di disprezzo.
—Ricercata di amore, si avvisa a starsi sul sodo. La proteggono i Falconieri, che se stessero a patrimonio come a superbia, a noi converrebbe far la sementa in mare. Ella ripara in casa loro, e questo le cresce baldanza; forse, e senza forse, vi sarà di mezzo qualche lussuria di prelato, la quale non ho voglia, nè tempo verificare adesso: comunque sia, ciò fa impaccio al signor Duca…
—Chi mi chiama?.. interrogò il Duca riscuotendosi a un tratto.
—Povero giovane, ve' come lo ha concio la passione! Giuoco, che voi non avete inteso parola di quanto abbiamo favellato fin qui Olimpio ed io?
Il Duca abbassava la faccia, e arrossiva.
—Per concludere, Olimpio, bisogna che tu la levi, e la porti colà ove ti verrà indicato.
—Comandate altro, Eccellenza?…
—Per ora no. Tu farai d'introdurti nel palazzo; e, non potendo altramente, scasserai qualche porta, o ferrata terrena. Se anche questo non ti riuscisse, ti aiuterai con una scala di corda…
—Azzittatevi; voi portate la febbre a Terracina. Il calzolaio, salvo vostro onore, non ha a passare la scarpa. Queste cose io so bene da me, con qualcheduna altra ancora che non sapete voi. Lasciatemi contare… Uno… due… tre… mi vi abbisognano quattro compagni.
—E tu li troverai…
—Bisognerà procurarci pistole e cavalli.—Quanto avete disegnato spendere intorno a questa impresa?
—Ma!—Non ti parrebbe abbastanza un cinquecento ducati?
—No, signore, non bastano. Fatta la parte ai compagni, levate le spese dei cavalli e delle armi, mi riviene una miseria.
—Orsù; non ci abbiamo a guastare fra noi. Vadano ottocento ducati, oltre le grazie e i favori grandi, che puoi sperare da me…
—Farò ammannire le carra per portarmeli a casa. Fatta la festa si leva l'alloro. Don Francesco, diamo un taglio a queste novelle; aspettate a pascermi di rugiada quando vi apparirò davanti in sembianza di cicala.—Dove ho da portare la ragazza?
—Nel palazzo del signor Duca, o in qualcheduna delle sue vigne, che t'indicherà…
—Ecco un granciporro, Eccellenza. Se la Corte prende fiato della cosa, i primi luoghi che verrà a perquisire saranno le dimore del signor Duca. Procurate dunque prendere a fitto, o farvi imprestare da persona segreta qualche vigna remota in città; ma meglio sarà torla a fitto, impiegandovi persona che non sia punto dei vostri…
Il Conte aveva guardato in faccia Olimpio, e sorriso in modo strano, quasi schernendolo di non essere stato compreso: poi erasi accomodato al banco, e posto a scrivere. Il masnadiero mosse al giovane Duca alcune interrogazioni brevi ed aspre. Questi rispondevagli a modo di smemorato: sentivasi travolto come foglia dal turbine: era caduto sotto la potenza del fascino, che alcuni serpenti pur troppo gittano sopra gli animali vicini: voleva protestare, si provava a fuggire, e non poteva. Quando gli sembrava esser prossimo a rompere lo incantesimo con lo aiuto di Dio, ecco affacciarglisi al pensiero la immagine dell'amata donna, ch'ebbra anch'essa di amore gli gittava le braccia al collo… Allora un diluvio di fuoco gli scorreva le vene; le arterie gli battevano così, che per poco non gli si spezzavano; e se il ratto fosse avvenuto subito, non gli sarebbe parso presto abbastanza. La gioventù, il desiderio e la speranza ordiscono tale una catena, dentro la quale l'anima onesta e appassionata spesso si dibatte, ma di rado la spezza; se poi vi si aggiungano eccitamenti, non è cosa umana potere resistere. Il cattivo genio aveva vinto, e il buono si allontanava cuoprendosi il volto con le ali. Il Conte, quantunque attendesse a scrivere, pure sentiva la vittoria del vizio su la virtù dello ingenuo giovane; sicchè soffermatosi ad un tratto, domandò sbadatamente:
—A quando la impresa?
—Facendo i miei conti, ormai vedo che fino a domani notte non ci posso entrare,—rispose Olimpio.
—Domani notte, eh! Ma tu non sai, che l'orologio a polvere, col quale la passione misura il tempo dello aspettare, è la sua fiaccola, di cui gitta le gocciole accese sul cuore del povero amante? Tu invecchi. Olimpio, nè sei più quel desso. Prima potevano stamparti sul viso: cito ac fidelis, ch'è la impresa delle Decisioni della sacra Ruota Romana, la quale impresa però non impedisce che le liti non durino quanto lo assedio di Troia, e sieno traditrici da disgradarne Sinone. Dunque dopo il trotto contentiamoci del passo: a domani. Brevi istanti appresso, piegando il volto verso il Duca, domandava di nuovo:
—Quantunque per natura io rifugga da ogni maniera di indiscreta curiosità, pure non posso resistere alla voglia di conoscere il nome della vostra innamorata. Vorreste essermi cortese di compiacermi, signor Duca?
—Lucrezia…
—Oh! Lucrezia. È par fatale, che queste Lucrezie abbiano a mandar sempre sottosopra i nostri cervelli romani. Questa volta però non farà cacciare i re da Roma: vi stanno i papi, e con bene altre radici, che Dio li prosperi, e con bene altre virtù, che non erano quelle di Tarquinio; e Rodrigo Lenzuoli basti per tutti.—La Italia può fare a meno piuttosto del sole, che del Papa; senza quelle benedizioni urbi et orbi non crescerebbero i baccelli.—E riprendendo a scrivere, quasi per eccesso di brio mormorava:—Crezia, Creziuccia, Crezina,—ardo per voi la sera e la mattina…—Terminato lo scritto, si levò in piedi dicendo:
—Olimpio, io mi figuro che tu abbia a recitare i tuoi rosarii; sicchè sarà bene che tu te ne vada. Avverti che non ti veggano uscire di casa mia; perocchè, quantunque tu sii meglio del pane, e onesto a prova di maglio, tu capisci bene che si possono avere amicizie migliori delle tue.—Marzio!
E Marzio comparve.
—Marzio, accompagna questo evangelista, per le scale di ritirata, all'uscio del giardino che sta sul chiasso. Addio; mi raccomando alle tue sante orazioni.
———
—Come va, compare?—mentre Olimpio andava, così, battendo sopra la spalla di Marzio, lo interrogò.
—Come piace a Dio,—rispose Marzio un po' duramente. E l'altro:
—Oe, che non mi ravvisate, Marzio?
—Io no…
—Guardatemi meglio, e vedrete che parrà a voi quello che pare a me.
—E che par egli a voi?
—Pare che noi saremmo un magnifico paio di gioie attaccati alle orecchie di donna forca.
—Olimpio, siete voi?
—Lo spirito della forca ci fa come lo aceto nel naso; rischiara lo intelletto, e richiama la memoria…
———
—Conte, prese a dire il giovane Duca esitando; io temo mostrarmi ingrato al consiglio ed aiuto vostri… e non pertanto sento non vi poter ringraziare. Dio… (ma io faccio male a invocare il suo santo nome in questa trista faccenda,—sarebbe meglio ch'ei non ne sapesse nulla). La fortuna dunque operi, che non vada a finire in pianto.
—E la fortuna è per voi; perocchè, come femmina, ella ama i giovani, e gli audaci. Se Cesare non passava il Rubicone, sarebbe diventato Dittatore di Roma?
—Sì; ma neppure gl'idi di marzo lo avrebbero veduto trucidato sotto la statua di Pompeo.
—Ogni uomo porta, nascendo, l'ascendente della sua stella. Avanti dunque. Voi non potete fallire, che vi sovviene copia di autori volgari, greci e latini. D'altronde perchè repugnate commettervi alla fortuna? Ella governa il mondo. Vedete Silla, che più di ogni altro seppe accomodare le differenze con la scure, le dedicò il bel tempio di Preneste.
E così confortando accomiatava il male arrivato giovane, il quale uscendo andava a balzelloni; tanto scompiglio gli avevano messo nella mente le parole del Conte, e le cose alle quali egli aveva assistito. Sentiva il male, presagiva peggio; ma ormai spinto sul pendio del misfatto, non sapeva ritrarsene. La passione, il boa feroce dell'anima, lo stringeva sempre più veemente, e soffocava in lui l'ultimo alito di virtù.
Il Conte, appena partito il Duca, recatosi in mano il foglio vergato poc'anzi leggeva, soffermandosi di tratto in tratto per ridere clamorosamente:
«Reverendissimo, et illustrissimo Monsignore.—La maggiore empietà, che abbia mai inquinato questa sede augustissima et felicissima della vera nostra religione, sta per succedere. Il duca Serafino D'Altemps, per compiacere a sfrenatissime voglie, trama rapire domani notte, armata mano, dal palazzo dei Falconieri la onesta fanciulla Lucrezia, camerista in casa dei prelodati clarissimi signori. Accompagnano il Duca, complici del delitto, tre o quattro dei più solenni banditi capitanati dal famoso Olimpio, cercato da due anni dalla Corte per ladronecci e assassinamenti, con la taglia di trecento ducati di oro. State su l'avvisato, che si tratta di gente usa a mettersi ad ogni sbaraglio, e il pericolo aumenta la fierezza.—Di tanto vi avvisa un osservatore del buon governo, e zelante dell'ordine, e della esaltazione di santa Madre Chiesa. Roma li 6 agosto 1598.»
—Va bene: la scrittura non può conoscersi per mia: questa fra un'ora sarà nelle pietose mani di monsignor Taverna.—La piegò, e la suggellò improntandovi sopra una croce, e scrivendovi: A Monsignore Ferdinando Taverna governatore di Roma.
—A tutto signore tutto onore: egli è Duca, e va proprio trattato da pari suo. A cotesta perla del Principe Paolo penseremo più tardi. E poi ci liberiamo da Olimpio, se pure non giunge anche per questa volta a scamparla. La rete è tesa nelle regole dell'arte; ma
Rade volte addivien, che alle alte imprese Fortuna ingiuriosa non contrasti.