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UNA DIMOSTRAZIONE.
ОглавлениеFatti e non ciarle, ci vogliono,
per rimediare le miserie umane.
(Autore conosciuto.)
Ai tempi in cui scriviamo (1848) si eseguiva una dimostrazione colla stessa disinvoltura d'una passeggiata o d'una festa da ballo. Si diceva: «andiamo a fare una dimostrazione» e mezza dozzina di giovinastri, accompagnati spesso da un don Gaudenzio (poichè il 48 fu la vera Età dell'oro dei preti) innalzavano una bandiera Italiana, per lo più senza macchia, poichè la Monarchia è stata una necessità a cui l'Italia si è sottomessa, ma essa mai non entrò nelle simpatie delle popolazioni, innalzavano, dico, una bandiera e tutti gli oziosi della città facevan coda ai dimostranti, dimodochè in poco tempo, facendo la bolla-neve, e giungendo al punto determinato, ordinariamente il palazzo di governo, la dimostrazione avea ragranellato un numero considerevole di persone per lo più giovinetti e bimbi. Non mancavano però tra i dimostranti buon numero di coloro che vogliono acquistare la riputazione di liberali a poche spese e fatiche, sempre pronti, cioè, a schiamazzare, strombazzare e commettere disordini, ma assenti sempre nell'ora del pericolo sotto l'uno o l'altro pretesto. E disgraziatamente sono moltissimi questi ultimi.
Una dimostrazione di Ravennati però aveva qualche cosa di più serio, che la generalità di quella sorta di assembramenti.
Come già abbiamo detto i Ravennati non sono gente con cui si burli a buon mercato. Si distinguevano poi, all'occhio esperimentato, nella folla buon numero di Volontari, non facili a conoscersi da stranieri perchè senza verun distintivo, e con essi quelle bagatelle di Masina, Risso, Ramorino, Franchi, ecc., non mancava neppure il nostro Cantoni, tutta gente più disposta a menar le mani che a far parole. Alle grida di: Viva l'Italia! Viva Pio IX! (era questo il grido dell'epoca, giacchè gl'Italiani avean creduto un prete capace di liberarli!) si aggiungeva: «Non partiranno i Volontari! Vogliamo i Volontari!» Al primo ruggito della tempesta popolare erasi chiuso il portone del palazzo e la guardia straniera stava nell'atrio schierata colle armi cariche pronte a far fuoco.
«Come faremo ora, diceva il grassissimo servo di Dio ai suoi compagni che, benchè meno manifestanti paura, non mancavano d'aver impallidito alle gride del popolo. «Come faremo noi?» ed i suoi occhi ruotavano senza posa da Latour a Gaudenzio.
«Vostra Eminenza si mostri al balcone, disse l'astuta volpe di sacristia, ed un sogghigno di compiacente disprezzo sfiorava la bocca livida del Sanfedista.
«Mostrarmi io al balcone in presenza di quegli indemoniati, libera nos Domine; ed un brivido, un tremore generale gl'invadeva la corpulenta carcassa da capo a piedi. Tale è la paura della pelle di questi rettili, il cui regno non è di questo mondo.
«Noi ci presenteremo in nome di Sua Eminenza, diceva lo straniero a Gaudenzio. Ma questi memore ancora di quella tale bottiglia sul muso scagliatagli dalla robusta destra di Franchi, e quasi certo che lo stesso mobile d'individuo farebbe parte dei dimostranti, rispose: «Presentatevi voi, Generale, che siete assuefatto (e si voleva aggiungere e pagato), ma cambiò per paura e disse: «e distinto nell'affrontar le battaglie.
«Fuori! fuori» urlavano intanto cento voci dalla folla da metter addosso la terzana. «Fuori! fuori! o entreremo noi, signore Cocolle!» Ed i fatti, seguendo le parole, una scossa tremenda si udì alla porta ed i cristalli dello stesso salone, ove stavano i tre in conferenza, volarono in mille pezzi dalle sassate che i ragazzi si deliziavano di scagliare, immensamente contenti di avere trovato l'opportunità di far chiasso e dispetto ai chercuti, gente esosa comunque sia ed in qualunque tempo. Vedendo che non si trattava di scherzi e che l'affare diventava serio, il Generale ed il Gesuita lasciarono il pauroso prelato e si avanzarono al balcone, aggirando guardinghi gli occhi sulla moltitudine sottostante. Il mercenario indagava nella folla se scorgeva qualche schioppo e sapeva per riputazione essere i Ravennati buoni tiratori, e certo, quando si vende l'anima per la pancia, quest'ultimo diventa oggetto d'idolatria, e non si rischia così _a dos tirones_¹ come direbbero i Gauci². Il Gaudenzio, anche lui adoratore del ventre, fece le stesse osservazioni del compagno e si rinfrancò alquanto vedendo che non c'erano armi da fuoco tra il popolo. Ciononostante un brivido mortale lo colse quando i suoi occhi di volpe s'incontrarono collo sguardo scintillante e sarcastico del nostro nerboruto Martino Franchi. Egli rimpicciolì, si rintanò nella sottana ed involontariamente mandò la destra sulla fronte non ben cicatrizzata ancora dal colpo ricevuto a Bologna.
¹ Facilmente o mal a proposito. ² Gente della campagna del Rio della Plata.
Franchi sogghignando fissava il Gesuita, e tra sè diceva: «Negromante, mio se non m'inganno, oggi non si tratta di menar bottiglie, e non dispero d'una mano di bastonate, se non ti tocca di peggio;» ed il prete sembrava fra il rumore della folla capire il monologo ed il sogghigno dei Volontario e ne rabbrividiva sino nel fondo dell'anima sua perversa.
Facendo però di necessità virtù, e non volendo lasciar l'onore al Latour di arringare il popolo, che chi sa cosa poteva succedere col suo accento straniero, il Gaudenzio dunque, riunendo tutte le sue forze oratorie, così incominciava:
«Signori! no, cittadini, volevo dire, (e qui risa e fischi) Sua Eminenza m'incarica di esporvi, che è molto disposto a concedere qualunque cosa richiesta da questa buona e fedele popolazione, ma vi prega per ora di rientrare tranquillamente nella quiete delle vostre abitazioni, che poi tutto si accomoderà alla meglio e conforme al desiderio vostro!» E qui credendo d'aver fatto un portento d'eloquenza, e vedendo la folla ascoltarlo silenziosa, si rifrancò, e con voce assai più sicura ed energica proseguì: «Sì, cittadini, col permesso di Dio e di Sua Santità S. Eminenza farà ogni bene, ed ogni vant….. (voleva dire vantaggio).—«Che Eminenza, e che Santità d'Egitto» urlava Masina con con quella sua bagatella di voce: «Corpo della Madonna! Ciocchè vogliamo è che i Volontari non partano, perchè a Venezia ce n'è di troppo; ed a Costantinopoli, ove veramente volete mandarli, potete andare voi, razza di vipere!»
«No, no!» gridava la moltitudine, ed il rumore e le ondulazioni della stessa somigliavano alla tempesta di mare.
L'astuto prete che voleva guadagnar tempo sperando, come sempre succede tra il povero popolo, che si stancherebbe e, ripigliando la via di casa, ognuno tornerebbe alle proprie faccende.
Ma non fu così questa volta, ed il popolo, suscitato dai Volontari, non si contentò delle melliflue parole del chercuto, e ricominciò con pietre nei cristalli e scosse furiose al portone. La guardia straniera che, schierata nel cortile, si trovava pronta a far fuoco, alla terribile scossa, temendo cadesse in frantumi il portone, e sognando già un'onda di forsennati all'assalto, inviò una scarica all'indirizzo del popolo, ed avendo alcune palle attraversato le parti più deboli del portone, vari feriti caddero al di fuori.
Alla vista dal sangue, i Ravennati divennero energumeni, ed alcuni operai avendo portato una forte e lunga scala da muratori trovata in un cortile vicino, il popolo ed i Volontari se ne impadronirono, la puntarono contro il portone e bilanciandola per varie volte lo colpirono con tale furia che serrature, stanghe, ripari e tutto andò in un fascio nell'interno dell'atrio.
I mercenari avevano appena ricaricate le loro armi, quando l'onda del popolo li assaliva e si contentava di disarmarli. La foga della corrente si sparse su per le scale, e in un momento tutto il palazzo fu invaso dalla moltitudine.
Il prelato ebbe la fortuna di cadere nelle mani di Tommaso Risso, valorosissimo ufficiale, ma incapace, come si disse, di offendere una mosca. Il Risso, vedendo il polputo prete in atto supplicante inginocchiato davanti a un'immagine del Cristo, lo protesse e lo difese contro chi voleva manometterlo; Latour fu meno fortunato. Masina e Cantoni avendolo raggiunto nelle vicinanze del balcone ove il Generale s'era mostrato al popolo, lo respinsero verso lo stesso, lo cavalcarono sulla balaustrata e, siccome un sacco d'immondizie, lo scaraventarono in giù colla testa prima. Per fortuna del mercenario il balcone era sostenuto da spranghe di ferro, ed egli, fatto agile dal pericolo della pelle, e potendo abbrancarsi alle stesse, e ad alcune persiane del piano terreno, potè giungere sul pavimento mal concio di contusioni, ma colla pelle salva. Essendo i più furiosi dei dimostranti nel palazzo, Latour ebbe agio così di ritirarsi nella caserma de' suoi soldati.
Per minute indagini che si facessero nel palazzo, non si potè rinvenire il Gaudenzio. Franchi n'era disperato, ed andava frugando in ogni più recondito angolo, sotto i letti, fra i depositi di carbone e di legna, pestando colle sedie alcuni mucchi di lana da far materassi che si trovavano nelle stanze delle fantesche. Gli appartamenti della Perpetua cardinalizia poi furono manomessi, frugati, rifrugati, e sconvolti da far svenire quella santa fanciulla di Sua Eminenza.
Insulti però alle donne non se ne fecero, e se qualche giovinastro un po' scapestrato si accingeva a passar la mano sulla liscia e rosea guancia dell'appetitosa favorita del prelato, i più attempati e serii dimostranti li rimproverarono aspramente.
Franchi, Masina, Cantoni anelanti e stanchi delle indagini operate per trovare il Gesuita, si disponevano a sgombrare il palazzo e ritirarsi, quando passando i tre davanti alla porta della stanza abitata dalla vecchia serva confidente del Cardinale, a cui faceva anche le funzioni di direttrice dell'Harem, Franchi s'accorse della vecchia che stava seduta filando seta. E siccome gli sembrò cosa straordinaria tale occupazione in casa d'un prete che vive nell'ozio per la maggior gloria di Dio (guardate sacrilegio!) Franchi, dico, si avvicinò, corrugò le ciglia e piantò due occhi di falco sul ceffo della vecchia, che se non possedevano l'acuta virtù d'un pugnale, ferivano però come un pugnale Gaudenzio (perchè altri non era la vecchia), atterrito dallo sguardo del formidabile nemico, impallidì, (e ce ne voleva per far impallidire quella faccia avvinata)! tremò di tutta la persona e s'inginocchiò boccone davanti il Volontario.—«Cima di birbante! (esclamò Martino) e sei proprio tu! Tu finalmente e vestito da donna, scorpione!» E Masina, Cantoni, Peralto, Brusco accorsi alla gioconda notizia, che si propagò in un baleno nella moltitudine, sulla stessa sedia, ove stava seduto il collo torto, lo innalzarono, e trasportarono in trionfo fuori del palazzo. Quivi un contadino che si affaticava a traversare la folla con un somarello scarico per guadagnar la campagna fu sequestrato, ed alle acclamazioni universali il Gesuita avvelenatore fu inforcato sul discendente di Mida, che esaltato dal chiasso della moltitudine si accinse a ragliare spaventosamente ad edificazione e divertimento massimo dei monelli, che per compire l'opera regalavano il prete con tomatesi, radici, torsi di cavoli e sonorissimi fischi.
Il buffone, che dalla paura aveva dissennato quasi in principio, si rinfrancò ora vedendo la cosa prendere la fisionomia d'una burla. E così fu veramente: il popolo, distratto dall'avvenimento carnevalesco, dimenticò l'oggetto della dimostrazione e giungendo l'ora tarda, ognuno procurò di ricondursi a casa, ove lo aspettava la cena e il dolce riposo. E così finiscono generalmente le tempeste popolari: molte parole, molto chiasso e fatti insignificanti. Il despotismo e l'impostura le paventano, ma ormai, fatti baldi dalla consuetudine di vederle abortire, le osservano, vi frammischiano i loro segugi, i loro pervertitori dementi, col titolo di moderati e preti liberali e fanno tributare dai loro organi officiosi onore alla moderazione e sagacia delle autorità governative che hanno saputo rintuzzar il popolo e richiamarlo al dovere senza spargimento di sangue. La miseria, in cui hanno cura di mantenere la maggioranza, l'obbliga ad occuparsi di ben altro che di politica, ed in tal modo deplorabile si va avanti in Italia nell'abbiezione e nel disonore.
Intanto il Gesuita, dopo d'aver percorso gran tratto delle vie di Ravenna, vedendosi lasciato con soli alcuni monelli, scavalcò l'asino, s'introdusse in un portone, svestì gli abiti da donna, e favorito dalle prime tenebre della notte, si rifugiò nel suo alloggio a meditare nuove scelleraggini.