Читать книгу Sott'acqua: racconto - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 7

CAPITOLO V.

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Quello fu per il conte Eriprando degli Ariberti il più bel giorno della sua vita; e quando, verso le dieci, la Contessa lo licenziò con un ultimo sfogo di moine, egli era stanco, affranto, da quella sua grande felicità, e sentiva proprio il bisogno di esser solo, di andar lontano anche dalla donna ch'egli adorava, per raccogliersi a pensare, a misurare, a comprendere la nuova e immensa beatitudine che lo stordiva. Venne quasi l'alba prima ch'egli potesse addormentarsi. Tutta notte s'era voltato e rivoltato nel letto, col cuore gonfio, in preda a una contentezza, a una smania nervosa, che lo teneva desto, agitato.

È proprio vero: la felicità dà le stesse inquietudini, le stesse angosce, quasi, del dolore, ed è anche proprio vero che, come bisogna abituarsi alle disgrazie per sopportarle, così bisogna anche abituarci alla felicità per saperla godere.

Nemmeno la contessa Elisa dormì subito; non già ch'ella pure avesse inquietudini in cuore, ma perchè aspettò del tempo prima di andare a letto. Però la Beppa, ch'era una dormigliona rabbiosa e che, quand'erano sonate le dieci, tutta raggomitolata sopra una sedia, vicina al fuoco, in cucina, non faceva altro che brontolare fra un pisolo e l'altro, quella sera non ebbe occasione di lamentarsi. Elisa la mandò a dormire subito, dicendole che si sarebbe spogliata da sè, perchè prima aveva da scrivere delle lettere.

Difatti, ne scrisse una, corta corta, alla contessina D'Abalà, e quest'altra che segue, piuttosto lunga, per il maggiore Del Mantico:

Caro marchese,

“Oggi ho avuto una giornata molto splenetica, e vi confesserò, con tutto il candore, che ne è proprio stata causa la vostra lettera, dalla quale traspariva, fra le linee, una freddezza per me incomprensibile e anche choquante in qualche punto.

“Perchè non venite?.... Gli affari di servizio.... Oh! sono molto comodi gli affari di servizio, quando mancano pretesti.

A quelque chose malheur est bon, e anche le grandi manovre servono bene per ischivare delle visite seccanti. Non è vero, caro marchese?....

“Io, però, siccome non ho nessun regret nella mia coscienza, così vivo tranquilla, almeno per questo riguardo, e dimentico il presente, spaziando, come in un sogno, nelle rimembranze di un dolce e tenero trascorso.

“Anche oggi ho avuto la visita del conte Eriprando degli Ariberti. Povero bébé! Egli mi ama davvero e vorrebbe farmi sua moglie. In ogni modo, senza interrogare il mio cuore, la realtà della vita vi si oppone. L'ho mandato via, adesso, per iscrivere a voi, e penso di chiamare mia figlia presso di me, perchè il mondo è così maligno, e le assiduità del Contino, essendo io qui tutta sola, potrebbero venire interpretate equivocamente.

“Del resto, io lo vedo proprio con dispiacere soffrir tanto, povero giovane! ma non gli ho nascosto che rinchiudo tali ricordi nella mia anima, che mi darebbero sempre molto a pensare prima di legarmi a un altro. La poesia, che da lontano mi sfiora l'anima col suo dolce profumo, paralizza ogni palpito del cuor mio.

“Però confortatevi, caro marchese; se io vivo del passato, ciò non vi deve punto allarmare. Ho dello spirito, me lo avete detto anche voi, e ne uso a beneficio degli amici, per ricordare delle loro promesse quelle soltanto che loro stessi rammentano senza pentimenti.

“E ciò sia detto en passant, anche per la visita che volevate farmi qui in villa, e che le grandi manovre hanno rimandata, pare, ad un tempo indefinito.

“E quella mia figlia che mi secca sempre perchè vuole ad ogni costo che io mi rimariti?!.... Da ciò solamente dovrei arguire che l'avvocato D'Abalà le rende molto felice l'esistenza.

“L'Ariberti ha visto stamattina nel mio cestino la vostra lettera. Deve certo aver indovinato dalla busta ch'era vostra, perchè è diventato rosso come un gambero e poi è scappato subito via, tutto sconvolto, senza quasi nemmeno salutarmi.

“Pensate a me e, se non altro, non siate oblioso di qualche souvenir che del tutto ancora non può riuscirvi ingrato. Credete che io conserverò sempre a riguardo vostro, dell'affezione leale e sincera, anche perchè il giorno nel quale cessasse questo mio vivo interessamento, quel giorno potrebbe cominciar la coscienza a farmi dei rimproveri e dei rimarchi ben severi.

“Chi ama dimentica....

“Chi cessa d'amare ricorda.... ed io non posso, ed io non voglio ricordare, e perciò domanderò uno stordimento benefico anche alle ceneri dell'amore, ed alla poesia soave delle memorie.

“Vi dò la mia mano da baciare. Una volta la baciavate inginocchiandovi come dinanzi ad una regina; oggi stringetela pure senza complimenti, come ad un buon camerata.

Bienheureuse la femme qui après l'amour laisse épanouir les parfums de l'amitié.

Après l'amour!.... Ma mi avete amata, voi, caro marchese?

Sans adieu, et sans rancune.

“Elisa Navaredo.„

Piegò la lettera, la chiuse nella busta, vi fece l'indirizzo e la lasciò là, sul tavolino, vicino a quell'altra, scritta per la contessina Cecilia.

Gli affari erano terminati e poteva concedersi il meritato riposo, perchè anche lei era un po' stanca ed aveva sonno.

Però, come nell'abbigliarsi al mattino, così anche nello svestirsi la sera, ella aveva mille cosucce da sbrigare.

Liberatasi dalle vesti e rimasta in sottanino, cominciò dal levare le ciocche dei riccioli finti che aveva intrecciate, e il crespo che avea nascosto nei capelli. Poi sulla fronte e di dietro sul collo, fece lesta lesta, alcune ciambelle coi capelli corti, che schiacciò fra certi diavolini di seta nera, unti e bisunti. Sulla faccia, lentamente, si spalmò una pomata scura, che si asciugò dopo con un pannicello di lana. Attorno alle narici avea la pelle più rossa del solito, e avea le labbra molto più rovinate; però quella sera, ricorse al rimedio più efficace: da un cassettino della toletta, sotto lo specchio, prese il fondo di una candela di sego, che vi era involtata in un pezzo di giornale, lo riscaldò, lo fece gocciolare al calore della lucerna, e, con quello, si unse ben bene il naso e le labbra. Finita anche questa operazione, sturò una bottiglietta di glicerina, se ne versò tanto del liquido in una mano quanto ne poteva contenere, e così continuò per un pezzo a fregarle tutt'e due l'una coll'altra, come se fosse dietro a lavarsele, e senza asciugarle, infilò un paio di guanti sudici, che una volta doveano essere stati bianchi, ma che adesso erano gialli dall'unto. Fatto tutto ciò, si avvicinò al letto e finì di spogliarsi; ma quando si levò l'ultima sottana e rimase in fascetta e in camicia, qualche cosa di ruvido le scivolò giù tra le gambe.... Era un ramoscello d'edera che, prima di uscire dal casotto, appoggiata mollemente al braccio di Prandino, aveva strappato dalla breve fessura della finestrella e che si era nascosto nel seno. Elisa guardò per terra, lo vide.... ma forse non lo riconobbe, perchè lo cacciò dispettosamente sotto il letto colla punta della babbuccia, mentre, per causa del freddo che l'era venuto addosso, s'ebbe un colpo di tossaccia grassa, che fece tremare tutta quella sua carne che, così disciolta com'era, dal busto e dalle altre vesti, l'avrebbe fatta apparire a chi l'avesse vista, ancor più pingue e sformata.... Ma per fortuna non c'era alcun occhio indiscreto!

Sott'acqua: racconto

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