Читать книгу Mater dolorosa - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 12
X.
ОглавлениеQuel giorno, nel quale Maria volle partire, Firenze era gaia più del solito: godeva una bella giornata di primavera, quantunque si fosse ancora in febbraio. Ma quando la locomotiva uscì avvolta di fumo dall'alta tettoia, ove l'incessante frastuono di un mondo riboccante di vita dava l'ultimo addio ai viaggiatori; quando quel mostro di ferro, novello Mefistofele, gittate in alto il suo sibilo, e salutate
« . . . . le convalli Popolate di case e d'oliveti»
salì sbuffando e poi scese dall'alto declivio dell'Appennino, allora, si passò con brusca rapidità dal giovane Oriente—tepido e profumato—al freddo e ai ghiacci della vecchia Siberia.
Quanto freddo e quanta neve!…
Quel lenzuolo uniforme e bianchissimo tormentava l'occhio e intirizziva lo spirito. Correndo in quel pelago morto e ghiacciato si soffriva l'ansia del naufrago. Non un cespuglio verde, non un filo d'erba che vi rompesse l'uniformità monotona e desolante. Di lontano le case perdute nei campi, serrate dalla miseria e dal freddo, colle muraglie, per il riflesso della neve fatte ancor più tetre, parevano senz'anima viva. Gli alberi aridi, brulli, senza una foglia, screpolati, quasi scheletri immani imprecanti in quel vasto deserto. Non vi era cielo lontano, nè profilo di montagne, nè allegria di borgate dai vecchi castelli o dai nuovi campanili. Una nebbia umida e fitta chiudeva l'orizzonte, la locomotiva sembrava correre precipitando nel vuoto.
Lalla, poverina, sopportava i disagi con sufficiente coraggio. Dopo aver pianto disperatamente abbandonando il suo babbo, alla prima stazione aveva cominciata a ridere, alla seconda a mangiare e alla terza, stanca, si era addormentata.
Chi brontolava, chi sarebbe ritornata indietro, magari a piedi, chi non sapeva giustificare il capriccio della duchessa, era miss Dill.
Miss Dill, avvolta nella pelliccia, cogli occhiali verdi per ripararsi dal riflesso della neve, secca, gialla, grigia, rincantucciata, sepolta sotto i plaids, succhiava mandarini e inghiottiva bile. Finì anche miss Dill, come Lalla, addormentandosi: e quando, più tardi, all'ora solita del pranzo, la risvegliò lo stomaco vuoto, allora sognava appunto d'essere lei la padrona, Maria l'istitutrice, e di sfogarsi strapazzandola senza pietà.
La bella fuggitiva, invece, non dormì un minuto del lunghissimo viaggio. Immobile, con la testa piegata e con l'occhio fisso alla finestrella del carrozzone, sembrava assorta. Ma l'oggetto ch'ella guardava con tanto amore doveva essere raccolto nella sua mente, perchè da troppo tempo più non curava di levar via col fazzoletto l'umidità densa che appannava i cristalli.
Un'immagine, cara al suo cuore, la seguiva sempre in quella sua fuga: ella correva via a precipizio e traballava per l'urto e le scosse rapide del convoglio, pure non riusciva a fuggire del tutto. Ma quantunque vinta, era calma e sorridente: la battaglia era finita. Dopo lunghi giorni, dopo notti d'insonnia e di lacrime, trovava finalmente un'ora di pace.
Piegata la fronte, rassegnata, non aveva fatto ciò che il dovere le aveva imposto? La passione, che serpeggiava irritante nelle sue vene, era riuscita a soffocarla; l'uomo ch'ella amava tanto da sacrificare tutto per lui, l'aveva veduta fredda e indifferente; fuggiva il pericolo, e nulla nascondeva al marito… non era una santa, infine, era una povera donna: che cosa avrebbe potuto fare di più?… Doveva forse squarciarsi il petto colle stesse sue mani, per istrapparne via il cuore? No, Dio ha imposto alla creatura di vivere, oramai la vita per lei era il suo amore. Come, perchè ostinarsi in una lotta ineguale della volontà contro il pensiero? Quell'affetto non le consigliò mai una colpa, non le lasciò il retaggio d'un solo rimorso. Maria usciva intatta dall'incendio come l'amianto, non soffriva l'umiliazione, l'abbattimento di quelli che sono caduti, ma nella sua coscienza grandeggiava l'orgoglio supremo della vittoria; dunque? Dunque perchè combattere ancora, combattere sempre, dilaniarsi, per quello che era impossibile, quando, sola oramai, lontana dal pericolo, sicura di sè, poteva abbandonarsi, riposare serena, nelle care fantasie della mente? Ah! quell'ora di pace troppo a caro prezzo l'aveva guadagnata, e vi si abbandonò in ispirito e corpo. Allora chiuse gli occhi, incrociò le mani sulle ginocchia e, quasi un mistico velo l'avesse separata dal mondo, si raccolse tutta in sè stessa.
I sensi erano vinti e, ritornati all'assalto, sarebbero stati vinti ancora e sempre. L'uomo che si era impadronito di lei, adesso non faceva che prestar le sembianze alla cara immagine del suo sogno; l'amore non era sangue e carne, era pensiero: poetica, virtuosa, casta Maria lo avea idealizzato.
Sarà triste molto la vita, senza ricambio di affetti, sempre lontana, sempre là, sola; ma vi troverà ancora gioie profonde, vere, insperate. Dimenticare non avrebbe potuto, nè voluto allora, nè mai; però quel nuovo battesimo l'ebbe rassegnata e volonterosa.
Così solamente l'amore non era colpa, era virtù; non era debolezza, ma forza sublime, divinità segreta purissima: non più tormento e pericolo, ma consolazione e conforto.