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VI.

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Tra Giorgio Della Valle e il duca d'Eleda non c'era molta amicizia.

Giorgio, parlando di Prospero, alzava le spalle chiamandolo clericale; e Prospero chiamava l'altro un repubblicano e faceva altrettanto. Erano rimasti molto tempo salutandosi appena, fatto abbastanza notevole in una città di provincia, fra i rappresentanti di due case cospicue del patriziato; e solo quando successe il matrimonio del duca, cominciarono ad avvicinarsi un po' più. Il conte Eriprando, lo zio della sposa, era stato tutore di Giorgio, e Giorgio era tenuto dai Santo Fiore come un figliuolo. A poco a poco, la consuetudine di vedersi ogni giorno, se non fece nascere fra di loro una straordinaria simpatia, finì col renderli amici apparentemente.

Giorgio rispettava le opinioni politiche e religiose del suo avversario; anzi, per la disparità grandissima che esisteva fra quelle opinioni e le sue, diffidava del proprio giudizio, temendolo alterato dalle prevenzioni, e si ostinava, per paura di eccedere, a voler tener il duca d'Eleda per da più assai che non valesse in realtà. Prospero poi, da parte sua, gli accordava un olimpico compatimento, giudicandolo sempre un ragazzo esaltato, ma innocuo; un po' matto, ma in fondo un ottimo cuore; e sperava, davvero, che maturandosi cogli anni e coll'esperienza avrebbe messo il cervello a partito. Nè lo vedeva di mal occhio in casa; anzi faceva pompa di una tale amicizia; perchè questa amicizia rappresentava la tolleranza del duca verso i suoi avversari politici. Di questa tattica fine egli raccoglieva già i frutti, e durante le ultime elezioni se n'era discorso favorevolmente al gran caffè di Borghignano e su pei giornali;

Adesso per altro, a Firenze, Prospero Anatolio trovò nel conte Della Valle un cambiamento troppo evidente… Giorgio alle volte era con lui così freddo, che si avvicinava a scortese… nè Giorgio aveva tutti i torti.

L'amicizia, la stima ch'egli professava a Maria erano sincere e vivissime, e perciò non poteva perdonare al duca d'Eleda di posporre tutte le virtù e i pregi inestimabili di sua moglie ad una cocotte, con tutti i quarti, ma sempre cocotte.

Anche a Maria non passò inosservata la freddezza del conte verso Prospero; e questa novità, ch'ella non riusciva a spiegarsi, la infastidiva, la addolorava, la teneva continuamente sopra pensiero, tanto che una volta, non potendo più oltre frenarsi, domandò e volle saperne il motivo. Giorgio, preso così all'improvviso, non ebbe tempo di potersi schermire con arte, e la duchessa gli serrò i panni addosso sì fattamente che, pur di uscirne, egli ne attribuì la cagione alle aspirazioni politiche del deputato di Borghignano, troppo contrarie alle sue.

Ma la scusa non poteva soddisfare, perchè quelle aspirazioni erano pur sempre le stesse, mentre invece la freddezza era nuova. Giorgio allora, vedendo di non potersi giustificare, promise di correggersi, e benchè questa promessa non fosse poi mantenuta, Maria non entrò più in tale argomento. Sentiva che Giorgio le nascondeva un segreto, ch'egli non aveva per lei la confidenza di un tempo, e se ne offese.

Intanto anche Prospero Anatolio che, con un grosso rimorso sulla coscienza, avea paura di tutto, non mancò alla sua volta, di far cadere il discorso, trovandosi colla moglie, sullo strano contegno del suo amico, per prevenire il pericolo di qualche inopportuna confidenza e prepararsi, per tutti i casi, il terreno alla propria difesa. Egli pure, come avea fatto Giorgio, non trovando da dire meglio, ne dava la colpa alla politica.—Nemici politici e amici personali, è una bella frase d'effetto, come—Libera Chiesa in libero Stato—del conte di Cavour,—concludeva il duce d'Eleda.—Tutta roba da leggersi sulle gazzette; tutta rettorica! Ma, in pratica, oh! in pratica è un ben altro affare! Oggi un'allusione, domani un equivoco, la corda si fa tesa e si rompe, quando tu meno lo crederesti. Anch'io—continuava—anch'io, se devo dire la verità, ho sempre tollerato Giorgio per un riguardo verso i tuoi, per riguardo a te stessa.

Maria ascoltava e taceva; ma in fondo al cuore sentiva che Prospero, come il conte Giorgio, non era affatto sincero. Impaziente, inquieta, avrebbe voluto ad ogni costo scoprire il mistero, indovinare il perchè della freddezza e degli sgarbi dell'uno, dell'imbarazzo dell'altro.

Povera Maria! pur troppo era vicino il giorno che doveva sciogliere l'enigma e distruggere per sempre la serenità della vita sua!

Nel lunedì ultimo di carnevale si preparava a Corte una festa che chiudeva per quell'inverno i ricevimenti privati. Era grande l'aspettativa e grandissimo nei pochi eletti il desiderio d'intervenirvi. La duchessa d'Eleda, naturalmente, era una delle signore invitate e più delle altre desiderata. L'uomo propone, per altro, e Dio dispone; e il mal di capo che aveva tormentata Maria per tutto quel giorno si accrebbe nel dopo pranzo, accompagnato da brividi molesti che facevano temere la febbre. Giorgio si trovava presente e consigliò a Prospero di mandare pel medico. Il servo va e torna, e riferisce che il medico era uscito di Firenze il mattino e ritornerebbe col diretto delle undici; appena giunto lo manderebbero.

—E se ne chiamassimo un altro?

Maria preferì piuttosto aspettare.

Prospero, suonate le dieci, cominciava ad essere sulle spine, e brontolava fra i denti che il male non bisogna troppo ascoltarlo; poi da un momento all'altro, quasi temendo gli potesse mancare il coraggio se aspettava a risolversi, si fermò sui due piedi, guardò l'orologio e borbottò accigliato che egli doveva recarsi al ballo subito, dovendo conferire col presidente del suo ufficio.

Maria, che aveva notato con inquietudine il crescente malumore di suo marito, non lo trattenne, e così il duca si sentì libero e padrone di andarsene a suo piacimento. Allora, colla tenerezza, tornò ad essere gentile e affettuoso verso Maria; le fece raccomandazioni e carezze, le baciò i capelli e le mani; ma poi, la prudenza gli mancò sul più bello. Era già sull'uscio quando, rivolgendosi a Giorgio, disgustato di quella commedia, gli domandò se si fermava ancora molto tempo.

—Mi fermo ancora un pochino, se la duchessa non è troppo stanca.

—No, no; poi a momenti verrà il medico—rispose Maria.

—Benissimo, cara, fa, fa, come vuoi, e allora tu, Giorgio, dovresti usarmi una cortesia: aspettare che venga il medico e sapermi dire, quando ci vedremo più tardi, che cosa ha detto.

Giorgio alzò il capo e lo guardò senza rispondere. Prospero Anatolio capì di essere andato troppo oltre, ma conoscendo la lealtà del conte Della Valle, pensò d'affrontarlo, e gli ripetè la raccomandazione, guardando intanto Maria come per dirle:—È un tiro solito, ma lo sopporto per amor tuo.

—Io non vengo al ballo stasera—rispose Giorgio seccato—ma in ogni modo ti farò avere le notizie, se proprio le desideri.

Il d'Eleda lo ringraziò, sorrise di nuovo stringendo la mano a sua moglie e usci senza presentire l'uragano che stava per addensarsi sul suo capo.

Il fare asciutto, sgarbato del conte Della Valle aveva indispettito Maria a un punto tale, che rimasta sola con lui, lo trattò con insolita freddezza. Giorgio se ne accorse subito, ma non sapendo come giustificarsi, senza accusar Prospero, non parlò più affatto: tanto che la duchessa, seccata, gli disse di sentirsi molto stanca e che perciò pensava di attendere il dottore coricata.

—Se credete, per altro, che io mi fermi ancora per attendere le notizie, come mi ha detto Prospero…

—Grazie: non importa—rispose Maria.—Quando verrà il dottore, lo pregherò di scrivere un biglietto, e glielo manderò io stessa.—Era un tono che non ammetteva repliche, e Giorgio se ne andò indispettito contro il d'Eleda, per la sua cattiva condotta, prima di tutto, ed anche perchè era la cagione della collera di Maria. Scese lentamente le scale, e, nell'uscire, incontrò appunto il medico che entrava allora. Pensò, per un momento, di risalire insieme; ma poi, riflettendoci, accese una sigaretta e rimase ad aspettarlo passeggiando sotto l'atrio. Poco dopo il dottore scendeva. Maria non aveva che una febbriciattola; un po' di raffreddore; in breve sarebbe stato tutto sparito. Giorgio si strinse nelle spalle e se ne andò al club.

Maria durò fatica prima di poter prender sonno; quel contegno strano e ingiustificabile la impensieriva e addolorava ad un tempo. Anche in suo marito, è vero, aveva notato alcunchè d'insolito; ma non vi fece molto caso, assorta com'era in altri pensieri. Cominciò dall'accusare Giorgio, nel suo cuore, di non essere più il medesimo di Borghignano; di avere segreti e misteri con lei, che lo amava colla tenerezza confidente di una sorella. Poi, dopo di aver cercato e ricercato seco stessa di scoprire la verità, s'interrogò alla sua volta, domandando a se stessa s'ella pure non aveva dato motivo a quello spiacevole cambiamento; e quantunque si trovasse affatto innocente, finì come finisce sempre chi vuol bene a qualcuno, coll'assolvere questo qualcuno e coll'accusare sè di durezza.

—Chi sa!—pensava Maria, che nel difendere l'amico provava un vivo piacere—chi sa!… Giorgio avrà forse qualche noia, qualche dolore, ed invece di confortarlo fo peggio. È impossibile ch'egli sia mutato in questo modo senza una ragione seria, molto seria, ed io ho avuto torto di non pensarci. Se ha risposto sì malamente a Prospero, forse avrà avuto ragione di farlo; forse avrà qualche dispiacere che lo turba, ed io aggiungo alle sue pene anche la mia freddezza…

Ma la duchessa s'ingannava. Giorgio Della Valle, che quella notte era molto fortunato al giuoco, non si ricordava più di lei, ed era allegrissimo.—E se fosse in collera con me e non tornasse?—continuava Maria a pensare,—alla fin fine, se fosse in collera, quasi non avrebbe torto. Sa di non avermi fatto nulla, e, come a me non va più il contegno verso di noi, a lui non parrà scusabile il mio… Come spiegare il nostro malinteso?… Che fare?…—E s'affannava per cercare il modo di rivederlo presto, e scusarsi, senza aver l'aria di corrergli dietro. Si ricordò in quel punto che il giorno innanzi non aveva voluto donare a Giorgio una fotografia, che piaceva molto, della sua Lalla, perchè, essendo una prima copia, desiderava serbarla per Prospero. Ma adesso, riflettendoci, capiva non essere uomo suo marito da badare alla prima copia piuttosto che alle altre; l'affetto paterno del duca, il quale, del resto, idolatrava la bimba, non capiva certe finezze: domani adunque si manderà a Giorgio la fotografia domandata. In tal modo, naturalmente, egli sarebbe venuto subito per ringraziarnela, e così spiegandosi reciprocamente, avrebbero finito col far la pace.

Con questo pensiero si addormentò tranquillamente, e si svegliò la mattina dopo con questo pensiero medesimo. Ancorchè il suo raffreddore non fosse sparito interamente, si alzò presto, e sua prima cura fu di farsi portare il ritratto da mandare a Giorgio.

—E se vi facessi scrivere a Lalla, colle zampine di mosca, il suo nome sotto?… Certo gli riuscirebbe più gradita l'improvvisata!…

Apparecchiato l'occorrente, Maria fece chiamare la bambina; ma come il solito quel folletto si era liberato dalla vigilanza di miss Dill, col pretesto di andare dalla mamma, ed invece era fuggito di corsa nel quartierino. del duca, il quale era pieno di tolleranza per i capricci della figliuola. Infatti Lalla vi metteva tutto sossopra e torturava la flemmatica pazienza di Ioh, un piccolo inglese, il vero tipo del groom.

Lalla era fin d'allora (contava sei o sette anni) l'incarnazione di uno di quei tanti demonietti creati e messi al mondo per la dannazione del genere umano. Amava suo padre fin all'idolatria, perchè in lui aveva sempre il condiscendente d'ogni capriccio, perchè, tollerante, compiacevasi d'ogni sua impertinenza, opponendosi a Maria, quando, più severa, trovava da sgridare e magari da correggere castigando. Egli stesso, senza pensare nè all'educazione, nè alla riuscita di sua figlia, la quale con quei principî non prometteva nulla di buono, si divertiva a giuocare con lei. Le insegnava mariuolerie, si lasciava sfuggire parole un po' ardite, ridendo come un matto quando la piccina le ripeteva. Egli la faceva correre, la faceva saltare, le insegnava la scherma e l'equitazione; e però il quartierino del duca era l'Eden di tutte le delizie di Lalla. Quando poteva scappare da sua madre e da miss Dill era beata; correva là dentro; quei quadri dai colori vivaci, quelle armi, tutto quel disordine era il suo proprio elemento. Ella rifaceva il soldato, la cantante, l'arcivescovo e la duchessa madre nei giorni di ricevimento. Poi si fermava lungamente a divorare collo sguardo le donne nude, scolpite o dipinte; e benchè il duca le avesse insegnato, per tutelare la sua innocenza, che quelle non erano donne, ma anime sante, Lalla faceva già confronti fra quelle anime e sè. Gli astucci, le cassettine, i cassettini, l'armadio, lo scrittoio di Prospero Anatolio non avevano segreti per la sua curiosità infantile, nè riparo alle sue piraterie quotidiane. Prospero quando cercava qualche cosa che non gli riusciva di trovare, andava su tutte le furie brontolando con Maria e con miss Dill perchè non sapevano educare la bimba.

Anche quella mattina, dopo che la duchessa l'ebbe fatta chiamare, miss

Dill dovette cercarla nello studio del duca.

—Cattiva!—le gridò Maria quando la fanciullina entrò in camera.—Cattiva! Hai disobbedito a tua madre, e hai detto delle bugie a miss Dill!

Lalla non rispose; ma con un salto fu sulle ginocchia di sua madre, e l'abbracciò stretta stretta. Miss Dill uscì.

—A voi—disse Maria affettando una severità che era uno scherzo—da brava! scrivete qui, sotto questo ritratto.

—Lasciamelo vedere, mamma.

—Lo hai già veduto ieri: è il tuo ritratto.

—Lasciamelo vedere, mammina bella.

—A te, guarda, sei contenta?

Lalla fece una smorfia e poi:—Sono stata più ferma di Mimì, non è vero, mamma?—Mimì era una piccola amica… una piccola rivale.

—Sì, sei stata più ferma di Mimì, la quale per altro è più ubbidiente di te, e non dice bugie. Scrivi da brava.

—E a chi regali il mio ritratto? al babbo?

—No, al tuo amico Giorgio.

—Al mio amico Giorgio? Ma non avevi detto di regalarlo al babbo?

—Scrivi, presto!

—Ne darai un altro al babbo?

—Sì, gliene darò un altro.

—Quale?

—Oh Dio! Un altro, come questo! Non farmi arrabbiare, andiamo.—E Maria, tenendo sempre Lalla sulle ginocchia, accostò a sè con una mano un piccolo scrittoio di mogano.

—Che cosa devo scrivere?…

—Scrivi…—e Maria, dettando, seguiva cogli occhi la manina di

Lalla—scrivi:—Al buon amico

—A-mico…

—Giorgio.

—Gior-gi-o.—Basta?

—No! devi scrivere ancora….

—Che cosa, mammetta?

—La tua piccola Lalla.

—Tua piccola Lal-la.

—Brava! Così!—E Maria fece per toglierle di mano la penna.

—No! Aspetta.—La bimba, la quale, prima non voleva cominciare, ora non voleva più smettere, e sotto gli occhi meravigliati di sua madre scrisse, dopo la firma: for ever.

For ever?!—esclamò Maria, stupita. Lalla guardò la mamma, e col suo intuito precoce, ebbe paura di ciò che aveva fatto.

—Chi ti ha insegnato a scrivere for ever?

Lalla, rossa rossa, balbettò, si confuse, e poichè Maria insisteva per sapere la verità, scoppiò in lacrime, e cominciò a strillare. Allora la mamma, fissandola severamente, la minacciò, se non diceva tutto, di regalare Dèsir, il suo cavallino favorito, a Mimì. Era una minaccia che otteneva sempre un grande effetto.

—Non lo farò più, mamma!… Non lo farò più!…

—Va benissimo, ma prima mi devi dire tutto…

—Ho trovato per terra il portafoglio del babbo…

—Ebbene?…

—Non sapevo di far male… l'ho trovato per terra…

—Ebbene?…

Lalla mentiva; lo aveva tolto invece dal cassettino dello scrittoio, che trovò aperto un giorno, mentre suo padre, nella camera vicina, si mutava d'abito.

—E dunque? Animo, animo! bisogna dir tutto.

—E sotto il ritratto di una signora ho veduto scritto così.

—Dici una bugia.

—No, no! mammetta!—replicò Lalla, contentissima,—Hai anche tu quel ritratto—e così dicendo, scivolò dalle ginocchia di sua madre, corse nel salotto, prese un album, lo portò a Maria, l'aprì, fece passare i ritratti in fretta; poi fermandosi d'un tratto esclamò:

—Eccola! È questa qui!—e col ditino indicò il ritratto della

Haute-Cour.

Maria impallidì, e i suoi occhi si empirono di lacrime.

—Perchè piangi, adesso, mamma?… Non lo farò più. te lo prometto.

Maria si strinse forte alla sua creaturina, e un singhiozzo, che le veniva dritto dal cuore, aprì lo sfogo ad un pianto dirotto. Lalla, che non capiva nulla, ritornò a piangere anche lei; baciava la bocca, le guance, gli occhi della povera sconsolata, e colla vocina infantile continuava a domandarle:—Perchè piangi, mamma?

Mater dolorosa

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