Читать книгу La Signorina - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 5
II.
Il terribile seccatore.
ОглавлениеFrancesco, piombando addosso all'amico Nespola che continua a chiamarlo sotto la finestra:
— Via! Via!... Vieni via!
— Sei in collera?... Invece di lavorare alla commedia, di' la verità, c'era Dalila con te? M'è venuto in mente adesso. — E l'amico scoppia in una grande risata.
Francesco è furibondo: afferra Nespola per un braccio e lo trascina giù lungo la strada, verso piazza del Duomo.
— Vieni con me! E finiscila!
— Che viso! Che occhi!... C'è proprio Dalila? — E l'importuno ride ancora più forte.
Dalila è una divetta della compagnia Scalvini, così chiamata dalla parte che fa in un'operetta-parodia — La Mascella d'asino — la gran novità del giorno che spopola alla Canobbiana.
— E ricordati che sia la prima e l'ultima volta che ti prendi con me simili licenze! In casa mia, comando io; e quando non ci sono, non ci sono per nessuno, e tanto meno per te, ricordatelo bene!... Non sei nè mio fratello, nè mio padre! Non sei altro che un seccatore!
Nespola sorpreso, mortificato, fa forza e si ferma:
— Se ti arrabbi così, piuttosto torno indietro! Torniamo indietro!
— Avanti! Avanti! E in fretta! E spicciati! Che cosa vuoi? Perchè sei venuto?... Perchè?... Che cosa c'è di tanta premura?
— Ho un duello.
— Al solito!... Lo troverai un giorno o l'altro quello che ti spaccherà la testa!
— Grazie dell'augurio. I rappresentanti del mio avversario si troveranno al Caffè dell'Accademia alle sette e mezzo.
— Che cosa c'entro io?
— Tu mi servirai da testimonio e mi aiuterai a trovarne un altro. Adesso in piazza del Duomo saltiamo in un brum e andiamo a pescarlo. Uno qualunque. Non c'è tempo da perdere! Son quasi le sette!
— Io non posso! Sai del resto che i duelli, i tuoi pasticci non sono cose che mi divertano.
A questo punto si sente stringere il braccio dall'amico: si volta.
— Che cosa c'è?
— Guarda, per Dio, che bella donna!... Per lei mi batterei volentieri, altro che per Depretis!
Era la baronessa Arcolei, che passava loro dinanzi svelta, diritta, con quel suo tic-tac misurato, ritmico, veloce.
Dileguato lo spavento, le era tornata l'audacia: voleva vedere quel tipo curioso che si chiamava «Nespola» e voleva godersi a mettere in imbarazzo l'amico, a intimidirlo, a confonderlo con la propria impudenza.
— Depretis?... — Francesco ha la voce leggermente alterata. — Perchè Depretis?
— Perchè mi batto per Depretis! Non te l'ho detto?
— Tu?... Ma non fai il repubblicano?
— Ho difeso Depretis a proposito della riforma elettorale. Con questa legge è Barbabianca, appunto, che viene a me; non sono io che vado a lui!
— Con chi ti batti?
— Col Bonaldi della Difesa Lombarda.
Il Roero, sempre più seccato, si morde i baffi.
— Ma io... sono in ottimi rapporti col Bonaldi.
— A me invece è antipaticissimo con quel viso giallo-verde, sbarbato, che non sa decidersi fra il viso del prete e quello del servitore!... E poi io sarò più meno a spasso, ma lui è un giornalista più bestia di me!
— E per questo vuoi batterti con lui?
— Per questo non posso soffrire la sua aria d'importanza, la sua affettazione di volersi mettere in frac tutte le sere!... Vero Tony di sagrestia.
— Ma io, ti ripeto, sono in ottimi rapporti col Bonaldi e non posso andarlo a sfidare a nome tuo, per simili... sciocchezze.
L'altro guarda il Roero e sorride.
— Ma è lui che sfida me!... L'ho mandato a rotolare sotto i tavolini del Caffè Manzoni: aveva dato del cinico, del traditore a Barbabianca, perchè, pur di rimanere al potere, non esitava a spalancare alla piazza le porte del parlamento. Io gli ho dato dell'imbroglione, della canaglia, e credo anche quattro pugni.
— Ma... il Bonaldi avrà reagito, avrà risposto?
— Quando lo pescarono sotto i tavolini e l'ebbero rimesso in piedi, mi rispose tranquillamente, accendendo la sigaretta e senza guardarmi in faccia, — non guarda mai in faccia quel falso baciapile!, — che se, per caso, avessi potuto trovare due persone appena rispettabili, disposte a rappresentarmi, alle sette e mezzo al Caffè dell'Accademia, due suoi amici le avrebbero aspettate: in caso diverso, una querela. Io subito ho pensato al deputato Traversa. — Scoppiando in una risata: — Più rispettabile di un onorevole!... Sono persino sinonimi! Ma poco fa, ho saputo che il Traversa è a Roma. Allora ho pensato a te: mi dispiace di doverti far alzare domattina alle sei, ma come si fa? — Nespola ride di nuovo e più forte. — Il Bonaldi vuole una persona rispettabile? E io gli mando, nientemeno, che l'amante della moglie d'uno dei suoi padroni.
Francesco si ferma di colpo, lo fissa:
— Come parli!
— Volevo dire l'amico, il galante, il cicisbeo l'adoratore: per Dio, quanti nomi per lo stesso giuoco! Ma sì, che cosa credi? Che non si sappia? Lo dicono tutti!
— Abbassa la voce! Dicono che cosa?
— Dicono che Dalila è il pot-au-feu, ma che la moglie dell'Assessore Arcolei è la musa del commediografo, la donna romantica, il... piatto dolce! È bella, almeno? È clericale?.... Amica dell'Arcivescovo?... Farete prima il segno della croce?
— Basta! Finiamola!
Francesco, più che irritato, offeso, si sente ferito da tali parole.
— Sono chiacchiere, falsità, ancora più stupide che maligne. E per quanto mi chiedi, sono dolentissimo, ma devo dirti di no, assolutamente no. Prima di tutto, non ho tempo. Stasera non posso, e domani vado a Venezia. Ho poi anche molti obblighi di buona cortesia verso il signor Bonaldi. La Difesa Lombarda, in ogni occasione, si è sempre occupata di me e delle cose mie, con molto interesse e con molta benevolenza. In fine... — L'ira di Francesco è sul punto di scoppiare, ma il suo tatto diplomatico riesce ancora a frenarlo: — Infine... io voglio essere rispettato e perciò rispetto gli altri e non posso e non voglio servire da comparsa, da burattino, da marionetta ne' tuoi colpi di scena per quanto falsi e grotteschi. Addio! Buona sera!
Sono giunti in piazza del Duomo: Francesco vede passare un brum e fa una corsa per fermarlo.
— Brum! Brum!...
L'altro afferra Francesco per il polso: non ride più, la sua faccia è pallida, costernata:
— Si tratta del mio onore!... Roero! Roero!.. Hai ragione!... Sono leggero, troppo impetuoso, matto, ho avuto torto; ma adesso si tratta del mio onore. È troppo tardi, ormai! Alle sette e mezzo bisogna essere al Caffè dell'Accademia. E adesso, a quest'ora, chi potrei trovare? Sono tornato dall'America da quindici giorni! Ancora non conosco nessuno su cui poter contare, e ho già tanti nemici! E poi un altro come te, stimato come te, dove lo trovo? E si tratta del mio onore! Si tratta del mio onore!
Francesco è già con un piede sul montatoio del brum, ma gli manca il coraggio di salire e di andarsene:
— T'ho detto che non posso, che ho un impegno per stasera.
— Non hai altro che da passare dall'Accademia, e ti sbrighi in un attimo. Io accetto tutte le condizioni del mio avversario: anche quella, se vuole, di battermi in frac.
L'amico Nespola è sicuro ormai che il Roero non gli scappa più e torna a ridere spensieratamente.
In fatti Francesco fa cenno al brumista di aspettare un momento e torna vicino al suo terribile seccatore: lo manda al diavolo assai cordialmente, ma pensa anche, in cuor suo, che non può abbandonarlo.
Certi amici sono come le malattie: capitano quando vogliono, e si può soltanto sperare che passino presto!
Il Roero conosce Nespola già da vari anni. Lo ha incontrato la prima volta sul palcoscenico del teatro Manzoni. Adesso il Roero, nel bel mondo delle prime milanesi, è il giovane commediografo alla moda, dalla raffinata casistica bourgettiana: allora lo si credeva ricco soltanto di quattrini e di gusto. Non amava ancora il teatro, ma soltanto le attrici ed appunto ad una di queste, una sera, senza pensarci, avea promesso un proverbio per la beneficiata; senza quasi pensarci lo aveva scritto, lo aveva letto ai comici, agli amici, al club e in casa D'Orea; lo aveva dato a copiare e messo in prova, e soltanto alla vigilia di andare in iscena gli si erano aperti gli occhi e aveva cominciato a pensare con spavento, al pericolo e al ridicolo di fare un gran fiasco.
— Ritirare la commedia?... Con tutto il teatro già venduto?... Che chiasso! Gli amici, gl'invidiosi, i rivali, gl'imbecilli, che già pregustano il piacere di fischiarlo e la voluttà della piccola distruzione!... Come si sarebbero vendicati!
Nespola, il già terribile seccatore, si trova appunto sul palcoscenico alla penultima prova, e scopre nella nuova commediolina ciò che agli altri era passato inosservato: il talento dell'autore e una fresca e spontanea originalità.
— La vostra commedia, signor Roero, ha un difetto solo; è troppo lunga e troppo corta. Fatevi dare il manoscritto, andiamo a far colazione e poi lavoriamo insieme un paio d'orette. Per domani sera, scommetto e giuro, avrete un grande successo!
Nespola, in quel tempo, era pure un autore drammatico; soltanto faceva i suoi drammi colla forbice e colla gomma, tagliandoli dalle appendici del Secolo. Il Roero lo guarda mortificato, ma poi accetta, per disperazione. Invece di un paio d'orette, stanno insieme a fare, a disfare, a rifare e a mangiare e bere allegramente tutto il giorno, tutta la notte... ma la sera dopo il Roero ha un trionfo; il pubblico e la critica lo portano alle stelle!
Potrebbe il Roero dimenticare tutto ciò? Potrebbe il Roero rifiutarsi al povero Nespola che ricorre a lui, in nome del suo onore? No, certo; tanto più che lo scrittore bohémien, sempre in collera col pranzo e sempre in caccia di quattrini con chi non gli deve nulla, a lui, a Francesco Roero che invece gli deve pur qualche cosa, anzi appunto per questo, non ha mai domandato nemmeno cinque lire in prestito.
No, non lo può abbandonare! Assolutamente, no.
Una seccatura, per altro!... Una grande seccatura!... Fare da padrino a un repubblicano, lui, Francesco Roero?
Che cosa avrebbero detto al club?
Fare da padrino all'avversalo del Bonaldi?... L'anima... politica, di don Giulio Arcolei?
Il Roero dà un'alzata di spalle:
— M'importa assai di don Giulio!...
E Stefania?.... La collera, i musetti lunghi di Stefania? Stefania clericale e così aristocratica?... Stefania che in odio alla democrazia aborre i giornalisti in generale e, all'infuori della moda e della musica, tutto ciò che è moderno?...
Il giovine innamorato, invece d'intimorirsi, ha un impeto di sdegno e di fierezza:
— Stefania deve comprendere la mia condizione; i miei obblighi. Io non sono un insignificante damerino! Un qualunque imbecille sportista! Non deve confondermi colla folla che le riempie il salotto! Io sono uno scrittore, un commediografo, un uomo d'ingegno. Il mio mondo è più vasto del suo, io non appartengo soltanto a lei, ma anche al pubblico!
E se per vendetta non tornasse più?... Ma ricorda l'ultimo saluto, gli occhi lucenti della Fáni e sorride:
— Verrà!... Tornerà!...
Intanto Francesco e il suo seccatore camminano sempre su e giù poco lungi dal brum e dal brumista, che continua a tenerli d'occhio: Nespola ripete, con tutti gli incidenti più comici la scena successa al Caffè Manzoni e conclude ancora dichiarando che avrebbe accettato tutte le condizioni imposte dall'avversario.
— Sta bene, ma per l'altro testimonio?
— Un tuo amico, un tuo collega, un ufficiale, così si fa più presto!...
— Ho già trovato! Nicoletto Loreda..... Un giovine guerriero di complemento. Un eroe sempre pronto e felicissimo quando si tratta di far battere gli altri.
— Allora, in compenso, ci pagherà da pranzo.
— No, oggi, t'invito io.
— Invece andremo alle Tre Spade, dove ho credito illimitato e dove ti farò sentire un barolo degno della circostanza.
— Come vuoi!
Francesco chiama il brumista, fa salire l'amico in carrozza, e poi monta egli pure, gridando l'indirizzo al cocchiere:
— Borgonuovo, 115!
Una sferzata alla rozza e il brum parte di corsa, traballando.
Francesco, dopo un momento; appena la vettura ha varcato l'acciottolato e cessa il rumore assordante dei vetri e delle ruote:
— Dimmi un po'; per presentarti al Loreda, come ti chiami? Tutti ti chiamano Nespola!... Io ti ho sempre chiamato Nespola....
Il giornalista risponde con una risata:
— Sicuro!... Se qualche volta non ci fosse l'usciere, avrei dimenticato anch'io di chiamarmi Savoldi. Pippo Savoldi.
— Nespola è sempre stato il tuo pseudonimo?
— No. Prima è stato il nome di una mia cagnetta. Una piccola terrier, intelligentissima, affezionatissima! E sì che non la mantenevo sempre a bistecche, povera Nespolina!... Quand'è morta, per memoria e per gratitudine, ho preso il suo nome.
Un lungo silenzio: il viso del giornalista s'è fatto serio mentre osserva l'amico suo, che soffia lentamente dallo sportello il fumo della sigaretta, Nespola ha qualche cosa in quel momento che gli vorrebbe confidare... Il suo viso diventa più serio, con una espressione quasi di angoscia. Ad un tratto lo chiama battendogli sopra una spalla:
— Sai?... Adesso... ho un'altra...
— Un'altra cagnetta?
— Sì.
— E si chiama Nespola come la prima?
— No; questa... si chiama Lulù! Vuoi vederla? Te la faccio vedere!... È un momento! È qui vicino!
Il Savoldi fa per aprire lo sportello: Francesco lo ferma.
— Non faremo poi troppo tardi?
— Hai ragione!... Anzi, meglio così!
Il viso del giornalista muta di colpo ed egli scoppia in una delle sue rumorose sghignazzate.
— Meglio così; potrei commuovermi e diventar vile! Invece, resta inteso: se morrò infilzato come un rospo, Lulù è tua. Ti rimane Lulù in eredità!
Francesco ride a sua volta:
— Va bene!
— Qua la mano.....
— Accettato!
I due si stringono la mano, sempre ridendo, mentre la carrozza si ferma dinanzi al numero 115 di via Borgonuovo.
Nicoletto Loreda è in casa. Appena sente dal Roero di che si tratta, rimanda il pranzo con entusiasmo.
— Eccomi a sua disposizione, caro signor Savoldi; e con tutto il piacere! S'accomodi!... Accomodatevi!... Senza complimenti! Alla militare! Vado a mettermi il paltò e torno subito.
In fatti il Loreda va e torna in un lampo: paltò nero, guanti neri, cappello a cilindro, aspetto più che mai risoluto e marziale.
— Dunque, abbiamo da fare col Bonaldi, della Difesa? Oh! Oh! L'ho visto più volte in sala di scherma. Sacré Tonner! Tira benissimo di sciabola e di fioretto!
Nespola strizza l'occhio a Francesco ridendo alle spalle del giovine guerriero:
— Tanto meglio!... Sul terreno chi più ne sa, le piglia.