Читать книгу La Signorina - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 7
IV.
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ОглавлениеFrancesco Roero dopo il duello si chiude in casa, senza ricevere, senza farsi più veder da nessuno. Ha sempre fissi dinanzi a sè, gli occhi stravolti del morente, la macchia rossa che si allarga, sente sempre l'odor del sangue. D'ora in ora, la solitudine, l'abbattimento, la stanchezza, lo rendono sempre più nervoso e più inquieto. È un'inquietudine, è un terrore quasi fantastico del reale, del presente..... e dell'al di là! È il terrore di quel sangue, di quegli occhi, dell'anima stessa, del fantasma di quel morto; e lo turba, lo agita pure il pensiero di un processo, di una condanna... Forse la prigione!
— È stato ammazzato un uomo! Abbiamo ammazzato un uomo!
E Stefania? Com'è lontana oramai! E ieri, soltanto ieri era lì, proprio lì, seduta dinnanzi alla scrivania!
L'idea della notte, di passar tutta la notte così solo, colla visione di quel duello, di quel sangue, di quegli occhi, lo spaventa.
Suona, chiama Giovanni, il servitore:
— Va subito in cerca dell'avvocato Olivieri; adesso lo troverai facilmente alla Patriottica; e del dottor Sellero. Non mi sento bene. Fa presto!
Il dottor Sellero è pure il dottore di casa Arcolei: gli chiederà un calmante per la notte e indirettamente anche le notizie di Stefania.
— Non una parola, nulla, in tutto il giorno!
L'Olivieri è un giovine avvocato, molto amico del Roero.
— Mi farà un po' compagnia e intanto mi consiglierò; sentirò che cosa devo fare. È stato ammazzato un uomo!... Abbiamo ammazzato un uomo!
Ma il dottore si è recato a Vigevano per un consulto, e l'Olivieri è impegnato in una seduta. Quando l'avvocato arriva più tardi, trova il Roero già a letto:
— Vuoi dormire, o ti senti poco bene?
— Non sto bene. Ho fatto chiamare il medico, ma è a Vigevano.
— Hai pranzato?
— No. Non ho fatto nemmeno colazione.
L'Olivieri prende il lume dal tavolino per guardar meglio in viso l'amico; gli fa qualche domanda, lo studia attentamente, poi rimette il lume a posto, sorridendo:
— Tu hai in corpo una paura indiavolata!... Sei rimasto molto impressionato; sei un uomo di cuore, è naturale! Ma invece di muoverti, di cercare di distrarti, sei rimasto tutto il giorno solo, chiuso in casa, senza parlare, senza mangiare, e i nervi han preso il sopravvento! Lascia stare il dottor Sellero a Vigevano, chè alla tua cura penso io. Una buona cena e un paio di bicchierini di marsala. In quanto al processo... Non pensarci nemmeno!
— Ma... è stato ammazzato un uomo!...
— No; un uomo è rimasto ucciso in duello, il che è ben diverso. Anche per la Giustizia è come per l'arte: tutto, caro mio, sta nella forma. Si farà un processo, certamente, e il Bonaldi verrà anche condannato a parecchi mesi di detenzione che sconterà..... con una prossima amnistia.
— Per il Bonaldi è anche giusto; è stato provocato, è stato offeso e, in fine, s'è battuto lealmente mettendo in gioco la propria vita come quell'altro... che l'ha perduta. Ma noi? Noi abbiamo fatto ammazzare un uomo e non abbiamo arrischiato nulla!
— Tu non sei andato a cercarlo questo Savoldi, questo tuo Nespola!... Ti è caduto sul capo come una tegola! Accomodare la questione pacificamente era impossibile; dunque?... Rimorsi non ne devi avere. I padrini, quando sono in regola colla propria coscienza, non hanno nessun conto da rendere nemmeno alla legge. Su, su, coraggio! Recipe, una buona cena; e se non basta il marsala per infonderti un po' di color roseo nella fantasia, fa portare una bottiglia di champagne.
— Se mi fai compagnia.....
— Perchè no?
— Allora mi alzo subito, e intanto mando Giovanni al Rebecchino. Fuori, stasera, non voglio farmi vedere.
L'avvocato scoppia in una risata:
— Fai benissimo! C'è Nicoletto Loreda che si fa vedere anche per te. Io l'ho visto da lontano descrivere il duello: capivo dai gesti, dalle mosse! L'ho visto sul Corso, al Cova, al bar, e l'ho sentito dal parrucchiere. Adesso, poco fa, alla Patriottica, descriveva ancora, con delle spaccate tremende!... Ma, ormai, non ha più voce!
— L'opinione pubblica, per chi è? Che cosa dice la gente?
— È favorevole al vivo.
— E... in casa Arcolei?
— Con questo duello il Bonaldi e la Difesa hanno acquistata molta autorità e forza: ciò, naturalmente, farà gongolare don Giulio, che per altro si guarderà bene dal dimostrarlo.
— E... io?
— Tu?
— Sì. Credi che io sarò ricevuto bene, come prima, in casa Arcolei?...
— Ecco, ciò dipende dal grado, diremo, di stima e di simpatia che può aver per te la signora baronessa. Tu solo, mio caro, sei in grado di sapere fino a che punto ella può esser disposta a chiudere un occhio. Perchè è così: in faccia a casa Arcolei, alla sua corte e al mondo milanese tu, con quel tuo Nespola sanculotto, ti sei abbastanza incanagliato.
Il Roero comincia a cenare svogliatamente, ma poi, a mano a mano, acquista un ottimo appetito. Anche lo champagne e l'allegra parlantina dell'avvocato fanno il loro effetto, e però, quando dopo la mezzanotte egli torna a letto, si addormenta subito e placidamente. Ma verso le quattro si desta di colpo sussultando, e si rizza a sedere sui cuscini col respiro rotto, affannoso, col cuore che gli batte furiosamente, colla fronte madida di sudore.
— No, no, no, io non ho fatto il mio dovere! Io non sono in regola colla mia coscienza! Io dovevo imporre condizioni meno gravi, io dovevo far valere l'inferiorità fisica del povero Nespola in confronto del Bonaldi! Invece io ho accettato in fretta e in furia tutto ciò che proponevano il Faraggiola e l'Estensi in vantaggio del loro primo! Io non ho pensato nemmeno a quel povero disgraziato che mi aveva affidato il suo onore e la sua vita! Io non ho pensato che alla Fáni, a ciò che quei due avrebbero riferito, avrebbero detto di me alla Fáni... Ed io quell'uomo l'ho fatto ammazzare; l'ho lasciato ammazzare per la Fáni!
Nel buio della camera ecco ancora riappariscono gli occhi stravolti, la gola squarciata dalla larga ferita e nel silenzio profondo risuona l'urlo terribile della convulsione e della morte:
— Lulù! Lu... lù...
Era la disperazione, era il delirio!
— Lulù! Lu... lù...
Che contrasto strano, doloroso, persino ironico, questo grido, questo nome, il nome di un cane, di una bestia su quella bocca sformata che vomita sangue, che spasima, che si torce nell'agonia!
— Lulù? La cagnolina, l'unico affetto del povero Nespola! Gli ho promesso di custodirla, di tenerla con me! Gliel'ho promesso e lo farò! Giuro che lo farò! Ma dove trovarla? Dove sarà? Nespola rideva, scherzava sempre su tutto, su tutti! Forse è uno scherzo anche Lulù!
Nella cameretta che il Savoldi teneva alle Tre Spade — tutta casa sua! — Lulù non c'era. Non c'era niente in quella povera camera lontana; una topaia su, all'ultimo piano! Avevano trovato un pettine e un berrettino da viaggio; due solini staccati, uno sudicio ed uno nuovo... Poi nient'altro che giornali e mozziconi di sigari. Un gran puzzo, un tanfo di sigaro spento.
— Lulù? Forse è stato uno scherzo e non esiste nemmeno! Oppure, chi sa, Lulù è presso qualche donna.... presso un'amica, un'amante di quel povero diavolo! In tal caso devo cercarla, devo prenderla con me; l'ho promesso!
Francesco a poco a poco si calma; il suo respiro, i battiti del suo cuore si fanno più regolari. Egli torna a tirarsi giù, sotto le coperte, a stendersi nel letto, e continua a pensare:
— Domani, andrò di nuovo alle Tre Spade. Domanderò all'albergatore di questa Lulù; forse egli saprà dirmene qualche cosa. E poi pagherò il conto del Savoldi. E se quel povero diavolo ha lasciato altri debiti li pagherò. Voglio che la sua memoria sia rispettata. L'Olivieri penserà al funerale, che si farà a mie spese...
..... Gli occhi di Nespola non sono più minacciosi. Nespola ringrazia, scoppiando al solito in una grande risata e il Roero, a poco a poco, si addormenta tranquillamente.
Ma la mattina dopo il suo primo pensiero non è di correre alla locanda delle Tre Spade in cerca di Lulù, è di mandare in portineria nella speranza di trovare un bigliettino, un libro, qualche cosa che gli sia mandato da Stefania. Stefania accorta e prudente, anche quando è innamorata, non gli ha mai scritto e il Roero non aspetta certo una lettera, ma due righe, una parola, un cenno soltanto, per fargli capire ch'ella è in collera, che lo ama sempre.....
Niente. Di Stefania, niente: non ha scritto, non ha mandato un libro, il segno d'intesa che è sola in casa verso le sei, prima di pranzo e che lo aspetta a quell'ora senza fallo; non ha mandato nessuno.
— È troppo presto ancora; verrà qualcuno più tardi. Ieri non mi ha veduto in tutto il giorno, ma ieri sera mi ha certo aspettato come al solito. Perchè si sarebbe cambiata? Che cosa ho fatto? Che delitto ho commesso? Ho fatto da padrino ad un giornalista mezzo repubblicano che ho conosciuto molti anni fa! Ciò può aver urtato don Giulio; non lei. Lei sa benissimo che io non sarò mai un codino.... E per quanto abbia detto, predicato, non è mai riuscita a farmi ammirare suo marito! Un grand'uomo perchè sa non far niente e perchè non parla! Io sono un artista, uno scrittore; ho altri ideali, altri doveri! Non sono un imbecille ieratico sullo stampo del suo Estensi e del suo Faraggiola! Chi sa, però, come questi due sapranno valersi dell'occasione per screditarmi e per guadagnar terreno. Sono invidiosi, gelosi; qualche cosa hanno dovuto subodorare e mi odiano... Ma la Fáni con me, ormai... E venuta qui... È stata qui, vivaddio; qui in casa mia! Certo questa volta mi scriverà o mi farà dir qualche cosa!
Presentarsi in casa Arcolei senza un avviso di Stefania, non si arrischia per via di don Giulio:
— Se don Giulio mi fa uno sgarbo?... Se non mi riceve?... Scrivere io a Stefania?...
Impossibile. Stefania gli ha proibito di scrivere, per qualunque motivo, assolutissimamente.
Non c'è altro dunque che aspettare e il Roero aspetta e non si alza da letto: dormendo, il tempo passa più presto e spera in cuor suo d'essere svegliato da un messaggio di casa Arcolei.
Chiude gli occhi, ma tende ansioso le orecchie ad ogni passo, ad ogni voce, ad ogni suonata di campanello.
Non può dormire; si volta, si rivolta. Mille pensieri lo agitano; gli ritornano le inquietudini, le smanie come il giorno innanzi. Ha già mandato Giovanni in portineria due, tre volte: niente! Si alza per far colazione e strapazza il servitore, il parrucchiere, lo stampatore venuto a portargli delle bozze. Poi, non ha ancor finito di far colazione, pianta lì tutto e si veste per uscire.
— Andrò in cerca di Lulù. Povera Lulù, mi vorrà più bene e mi sarà certo più fedele!...
Ha già indossato il paltò, prende il cappello, i guanti, il bastoncino, quando ecco Giovanni con una lettera; la lettera di Stefania!
Giovanni è ancora sull'uscio, la lettera è ancora sul vassoio, ma il Roero è troppo innamorato per potersi sbagliare.
— Chi l'ha portata?
— Un servitore di casa Arcolei.
— Aspetta la risposta?
— No; è già andato.
Il Roero non esce più; si chiude invece nel suo studio colla lettera tanto desiderata, tanto cara! Ma prima di leggerla, vuol goderla. Fa per aprirla e ha timore di aprirla... teme ancora in un disinganno!... Oh, il piacere di aspettare, d'indovinare, d'immaginare!
«A Francesco Roero «s. m.»
— Non è una lettera; è un bigliettino soltanto!... Ma che importa? M'ha scritto! Vuol dire che mi ama e vuol dire che la vedrò!
Sdraiato sul canapè continua a bearsi nel rileggere l'indirizzo dal bel caratterino slanciato, ad angoli precisi, mentre il profumo che emana dalla lettera dell'Arcolei, dapprima quasi impercettibile, si fa più acuto, più penetrante...
«A Francesco Roero «s. m.»
Ad un tratto il cuore gli fa un sobbalzo; si rizza a sedere sul canapè:
— Forse è un avviso di premura! Un appuntamento!... Vuol vedermi subito!
Straccia la busta che è grossa, fortissima, inglese: non è che un semplice biglietto di visita di Stefania con un grosso punto d'interrogazione scritto in lapis.
Francesco ha un impeto d'ira... poi, scrollando il capo, sorride con amarezza:
— Lei, lei, sempre lei! Sempre prudente e diffidente! Mai un abbandono vero! Mai un impeto schietto del cuore! Civetta..... e sempre la scuola dei gesuiti! Un punto d'interrogazione, che cosa vuol dire? Niente e anche tutto!
?.....
«Perchè non sei venuto?... Perchè non ti sei fatto vedere? Perchè non hai fiducia in me, perchè non credi in me?...»
Le domande continuano e Francesco si rasserena. Quel punto d'interrogazione diventa appassionato, tenero, espressivo, eloquente più di qualunque lettera. È la Fáni, tutta la Fáni, colla sua ombrosa riserbatezza e la sua birichina furberia. E lei, lei, tutta la Fáni, che è tornata lì, in casa sua, mezzo sorridente e mezzo in collera, col no sulla bocca e il sì negli occhi. È lei che lo ama, che lo cerca, che lo irrita, che lo maltratta, e che lo calma e lo incanta con una sola carezza.
«Son venuta qui, da te, e ancora dubiti del mio amore?»
Gli par di sentire la voce della Fáni calda, appassionata; gli par di sentire il suo calore, la sua fragranza, nel profumo di quel bigliettino.
— Cara... cara...
E Francesco innamorato e beato bacia la busta, il cartoncino, bacia il punto d'interrogazione, baciando insieme con trasporto, con delirio gli occhi e la bocca della Fáni.
Ma l'innamorato ama e teme quegli occhi a volte sfavillanti, a volte impassibili; ama e teme quella bocca giovine, rosea, dalle leggere sfumature dorate su cui il sorriso languido e voluttuoso si muta a un tratto in una freddezza imperiosa. Egli non si arrischia di presentarsi inaspettato, in ore insolite, in casa Arcolei. La baronessa, ottima amica e insieme ottima moglie, è osservante fino allo scrupolo di ogni regola, di ogni abitudine sociale e, più che può, si mantien fedele all'orario. Colpi di testa dunque, e colpi di scena, mai; improvvisate, mai. Tutto a suo tempo, e c'è tempo per tutto.
Il Roero pensa e conclude:
— Presentarmi di giorno, no. Se oggi avesse potuto vedermi, Stefania mi avrebbe certo mandato anche un suo libro insieme al bigliettino. Andrò stasera; un po' più presto del solito, per trovarla sola.
E il povero Nespola?... E i propositi della notte? Il Roero scrive in fretta all'avvocato Olivieri per il funerale del giorno seguente: ed anche il giorno seguente andrà alla ricerca di Lulù.
Intanto, frenando l'impazienza, egli aspetta che sian suonate le otto e tre quarti prima di varcar la soglia dell'amata. Gli eletti e i prediletti assunti, come il Roero, all'intima comunanza dell'adorazione serale, giungono, quasi sempre, tra le nove e un quarto e le nove e mezzo, partendo dal club o dal Cova, tutti insieme par farsi la guardia l'un l'altro.
Il giovine poeta fa d'un salto lo scalone con l'ali a' piedi e il cor giocondo, ma appena entrato in anticamera s'impunta e aggrotta le ciglia.
Dall'attaccapanni, sotto due lucidi cilindri splendenti al gaz, e così uguali che sembrano gemelli, pendono due pellicce, una lunga, una un po' più corta. Stefania non è sola; ha certo avuto a pranzo il Faraggiola e l'Estensi.
Il Roero, mentre attraversa l'appartamento seguendo i passi del servitore, ha un travaso di bile e di gelosia, col ritorno dei più cattivi pensieri: il duello, il povero Nespola, i suoi rimorsi.
Egli pensa fra sè, imbronciandosi sempre più:
— Anche costoro vorranno farmi il processo! Anche donna Stefania e don Giulio Arcolei; anche quel falso inglese del Faraggiola e quel piccolo rogantino dell'Estensi! Ma stasera mi fo sentire!... Per Dio, non ho paura di nessuno!... Se qualche volta mi lascio imporre dalla baronessa Stefania è perchè è una donna... che mi piace! Ma adesso sono stufo, stufo, stufo di tutta questa casa che sente di patchouly e di sacristia! Proprio oggi li ha invitati a pranzo.... senza di me!... E tutti e due, perchè si son coperti di gloria!...
Povero Nespola!
— Per di qua, signor cavaliere!...
Il servitore volta a sinistra e lo fa passare per la lunga fila di stanze che conducono al salottino... delle indisposizioni di Stefania, quello che precede la sua camera da letto.
— Come?... La baronessa è ammalata?
— Dopo pranzo s'è sentita poco bene.
Tale notizia è fonte di nuove inquietudini per il giovine commediografo. Stefania non è mai indisposta, la sera, senza un perchè.... e senza avere una vittima prestabilita.
Nel salottino, tenuto mezzo al buio dai grandi e fitti paralumi, spiccano accanto al caminetto i bianchi sparati del conte Faraggiola e del marchese Estensi, cioè di Carletto e di Manòlo, come i due testi classici della moda sono chiamati familiarmente alla corte di Stefania e nelle altre corti amiche. Don Giulio Arcolei, in piedi, appoggiate le spalle alla caminiera, spiega loro il nuovo piano regolatore della città di Milano, messo in discussione quel giorno stesso al Consiglio comunale.
Quando il servitore alza la portiera, don Giulio si volta verso l'uscio, e veduto il Roero gli stende una mano dal suo posto, senza muoversi, e coll'altra gli accenna di non far rumore. Francesco si avanza in punta di piedi, e dopo aver stretta la mano a don Giulio, a Carletto e a Manòlo, cerca, girando gli occhi, la padrona di casa. Essa è sdraiata, tenendosi una mano sugli occhi, sopra una lunga poltrona mezzo nascosta tra la finestra e una piccola scrivania, che luccica ai riflessi della fiamma del caminetto.
— Donna Stefania non si sente bene?
Don Giulio sospira:
— La sua emicrania; ma questa sera è più forte del solito.
E continua a discorrere, sommessamente, del piano regolatore.
Francesco Roero, sempre in punta di piedi, si avvicina di alcuni passi a donna Stefania: la bella signora abbassa un momento la mano dagli occhi, sospira flebile, con un gemito, poi, allungandosi, riadagiandosi riprende il primo atteggiamento.
L'autore di Arianna intende il latino, fa un rispettoso saluto e torna indietro, riavvicinandosi agli altri tre; ma anche lì rimane estraneo alla conversazione, fuori affatto dall'orbita della intimità.
Don Giulio, che si sfoga e parla in privato a casa sua per tutto il tempo che tace in pubblico, esaurito l'argomento del piano regolatore, comincia quello non meno ripetuto della nuova esposizione nazionale. Carletto e Manòlo ascoltano attentamente, approvando muti, coi cenni del capo, e Francesco Roero, che si aspettava una sfuriata da tutta quella gente, una strapazzata da parte della Fáni, e che si era preparato a rispondere, a difendersi e, occorrendo, ad attaccare a sua volta, dapprima si sente confuso, impacciato e anche intimidito da quell'accoglienza inaspettata, da tutta quell'esagerata indifferenza, da quel silenzio diplomatico. Ma poi, l'irritazione e il suo orgoglio offeso riprendono il sopravvento. Si alza per andarsene e saluta don Giulio con voce forte e risoluta:
— Vi auguro la buona sera e vi prego di far le mie scuse a donna Stefania. Domattina, se permettete, manderò a prendere le notizie. I due personaggi muti; egli li saluta appena, freddamente, con un cenno del capo e un addio.
I tre si guardano stupiti, e don Giulio, più di tutti e tre, rimane maravigliato e quasi sconcertato da quella specie di ribellione di uno dei più sommessi adoratori di sua moglie.
— Ma come?... Non volete aspettare il tè?
— Grazie. Non sono venuto per fermarmi. Volevo soltanto presentare i miei ossequi a donna Stefania.
Si ode una vocina lontana, debolissima, che pare un lamento:
— Signor Roero!...
Il Roero ha già stretto la mano accomiatandosi da don Giulio. Sentendosi chiamare, si volta e si avvicina lentamente, inchinandosi e salutando, per prendere commiato anche dalla padrona di casa.
Don Giulio si affretta a ritornare al suo posto presso il caminetto e riprende il discorso, ma adesso a voce un po' più alta, mentre Carletto e Manòlo sembrano ascoltare con sempre crescente attenzione. Nessuno dei tre, finchè dura il colloquio tra Francesco e donna Stefania, spinge mai gli sguardi indiscreti verso l'angolo oscuro dov'è seminascosta la poltrona a sdraio.
Appena Francesco le è vicino, Stefania bisbiglia sospirando, senza muoversi, senza alzare il capo:
— Mi sono molto inquietata!... Sapete che mi fa tanto male!... Mio marito è furibondo contro di voi!... Dio mio! Ah, Dio mio!
Un lungo gemito e una lunga pausa, una forte pressione colle dita alle tempie per attutire lo spasimo.
— Anche Manòlo e Carletto vi danno torto, molto torto.
— Sono dolentissimo di sapervi poco bene.
— Avete ricevuto il mio biglietto?
— Cioè, il vostro segno.... grafico? Sì. Ho cercato d'indovinare. Volevate dirmi di venire?... Per questo sono venuto.
— No; volevo dirvi, invece, che non vi capisco.... proprio più.
— Allora mi sono sbagliato nell'interpretazione.
La vocina della Fáni si fa più tenera, più flebile:
— Dite di volermi bene e poi, invece....
Francesco, sempre in piedi, la guata cogli occhi torvi, le ciglia aggrottate:
— E poi?... Avanti! Spiegatevi.
— E poi me lo provate, mettendovi con tanta leggerezza contro di noi. Vi ripeto: non vi capisco proprio più.
— Non mi capite, appunto, per un equivoco. Perchè dite noi? Io non amo tutta la casa, compresi gli ospiti. Io amo voi, soltanto voi; voi.... al singolare!
— E ciò che cosa vuol dire?... Che non sapete amare! Siete ancora troppo giovine; non sapete amare! Oh, se mi amaste veramente avreste un po' di amicizia anche per mio marito, così buono, così retto, così giusto! Avreste per lui stima e devozione! Quando si ama una donna, bisogna ricordarsi bene che si devono tutti i riguardi a suo marito.
— Io, invece, quando amo una donna, odio suo marito e tutti quelli che le fanno la corte.
— Perchè per voi l'amore non è poesia, sacrificio, ma egoismo, e non vi preme nè la pace, nè la riputazione, nè la felicità della povera donna alla quale dite e pretendete di voler bene. Il vostro amore, invece della gioia segreta e suprema dell'anima, volete che sia per tutti una disgrazia!..
Stefania sempre sdraiata gli stende la mano congedandolo:
— Andate pure. Buona sera.
Francesco non si muove.
— Buona sera. Adesso andate. Abbiamo parlato anche troppo fra noi soli, a bassa voce. Del resto.... dipende ancora.... soltanto da voi. Non fate altre sciocchezze; diventate serio, ragionevole, e non siate imprudente.
— Sciocchezze non ne ho mai fatte! Imprudenze non ne ho mai commesse!
— Tutti sono d'accordo nel mettere questo fatto, così doloroso, in silenzio. Avete veduto anche i giornali più avversi al Bonaldi? Ne hanno parlato pochissimo; ormai non ne parleranno più. Voi, da parte vostra, fate altrettanto. Se non per risparmiare a me nuovi dispiaceri, almeno per voi. Pensate alla vostra nuova commedia, così bella.... Non vi conviene crearvi nemici. Anche se non lo meritate — cattivo! — io sento che vi vorrò sempre bene, pur troppo!... Almeno come una sorella! Domani mattina vado a messa a San Fedele. Buona sera e.... andate pure.... anche su qualche palcoscenico.... a far la corte alle prime donne. Cattivo! Cattivo!
La bella sofferente fa un altro sospiro più profondo, coprendosi di nuovo gli occhi languidi colla manina ingemmata.