Читать книгу La Signorina - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 8
V.
La signora Carlotta.
ОглавлениеAll'indomani, poca gente ai funerali del povero Nespola. Qualche reporter, qualche ozioso frequentatore del caffè del teatro Manzoni, qualche artista drammatico e qualche curioso raccolto per via. I giornali, che gonfiano i vivi e anche i morti, invece di levar la voce attorno a quella bara, hanno sopìto ogni curiosità, ogni rumore. Il morto non è di moda; nessuno ne ha parlato, nessuno ne parla. Insomma, interessi e convenienze e simpatie hanno ordita tacitamente la congiura del silenzio.
Il Bonaldi, in fatti, nato a Milano, appartenente al giornalismo milanese, ha nome e autorità, conta amici, aderenze, influenze, mentre invece, chi è, chi lo conosce quell'attaccabrighe esaltato e villano, capitato non si sa da dove per far chiasso? Uno spiantato, uno spostato, un sovversivo pericolosissimo, sempre in cerca di una lite e di un biglietto di cinque lire! Il povero Bonaldi, infine, vi è stato tirato pei capelli!... Più che offeso, provocato, è stato, si può dire, aggredito!... Del resto non è stato il Bonaldi a infilzare il Savoldi, ma è stato il Savoldi a farsi infilzare, mentre il povero Bonaldi non faceva altro che parare e difendersi!
Su tutta Milano spirava in que' giorni un'auretta tepida di trasformismo e di conciliazione, soffiata da Roma dal buon Depretis. Anche gli avversari stessi del Bonaldi e della Difesa non hanno nessun interesse, per il momento, di attaccare polemiche, e però, per ispirito di solidarietà fra colleghi, stanno zitti.
Il conte Faraggiola e il marchese Estensi, sempre gentiluomini, non mancano, per altro, al funerale. Seguono la piccola bara per un tratto di via, poi, molto prima di arrivare al cimitero, chetamente si dileguano.
Il bravo Nicoletto Loreda, soldatescamente accigliato e stretto impettito nel nero e lunghissimo stiffelius, ha preparato quattro parole di addio energiche, risolute. Ma poi, visto che non resta più quasi un'anima per applaudirlo, e rimasto un po' urtato e sconcertato dal malumore del Roero che lo saluta appena e non risponde afflitto a' suoi nuovi appunti sulla tattica e la tecnica seguìta nello scontro, si risolve a un tratto e con un'alzata di spalle torna indietro e va a far colazione.
Francesco Roero rimane solo al cimitero e rimane fino all'ultimo istante presso il povero Nespola.
Che solitudine immensa e triste in quel momento, in quel luogo! Quanto egli sente freddo e desolante il nulla della vita e il nulla della morte!... Tanto correre, tanto affaticarsi, tanto affannarsi e tanto soffrire per arrivare più presto a raggiungere la fine... di tutto! Per rimaner lì soli, in un cimitero, non ancora sotterra e già abbandonati!
— Ci si dà tanta importanza ed è così poca cosa la vita.... e la morte!... Anche la Fáni con tutti i suoi capelli biondi e le sue ipocrisie, con quegli occhi e quella bocca... anche la Fáni così bianca e così bella... sarebbe finita lì.... così! E la morte — il nulla! — arriva alle volte senza nemmeno lasciare il tempo di aspettarla! Povero Nespola, non aveva ancora trent'anni! Aveva poco più della mia età! Ad un tratto, in un momento, nella pienezza della forza, della salute, della vita, mentre rideva, mentre scherzava e godeva.... Ed è stato forse anche per colpa mia!.... Non potrò perdonarmelo mai più!
Uscito dal cimitero prende un brum e si fa condur subito a Porta Romana, all'albergo delle Tre spade:
— Ma — grida al brumista — senza passare da via Manzoni, nè da via Santa Margherita!
Egli non vuol incontrare donna Stefania, la quale annunziandogli la sera innanzi che sarebbe «andata a messa a San Fedele,» gli aveva fissata l'ora e il giro della passeggiata per potersi trovare alla mattina.
— Non voglio vederla più!... Voglio finirla!... Mi è diventata antipatica!... Farà un bel girare, stamattina, per incontrarmi!... E nemmeno stasera, nemmeno domani, non mi vedrà mai più!... In casa sua, con quel marito imbecille che tollera la corte così palese, così sfacciata del Faraggiola e dell'Estensi, non mi vedrà mai più! Ormai, la signora baronessa, inviti a pranzo chi vuole; me no. Io le risponderei un bel no! Ho bisogno di quiete, di raccoglimento, per lavorare!
Il proposito di Francesco Roero è ben fermo; tuttavia, in fondo al suo cuore, ancora inavvertita già si risveglia una speranza: ciò che farà la Fáni quando non lo vedrà più, per poterlo riveder ancora.
Alle Tre spade, il locandiere crede di sognare e si profonde in inchini e in complimenti, asciugandosi la bocca e il viso col tovagliolo che tiene sempre in mano e che gli serve per tutti gli usi, da strofinaccio e da fazzoletto.
— Il conto?... Il signore mi domanda il conto del Savoldi?... Del signor Savoldi?... Poveretto!... Crede?... Appena ricevuta la notizia mi son sentito gelare il sangue!... E anche mia moglie! Gli volevamo bene come a uno di casa! Così affabile, allegro!... Sempre matto, scherzoso!... Il signore è un suo parente?... No?... Fa lo stesso! Scusi anche l'indiscrezione!... Mi ha chiesto il conto? Se ha la bontà di accomodarsi un momentino è presto fatto; in due minuti!... Ecco una sedia!
Il locandiere prende una sedia, e gliela presenta davanti dopo averne spazzata la polvere col tovagliolo:
— Il signore era forse un suo amico?... Sarebbe un giornalista anche il signore?... Povero giovine!.. Tutti i difetti del mondo, ma un cuore!... Per cuore!... Lo dicevo sempre anche a mia moglie: «Che cuore!» Mah!... Per me il duello è una vera barbarità e si dovrebbe proibire!... Vengo subito col conto!
Il locandiere entra nel burò, si caccia il tovagliolo sotto l'ascella e fruga tra i registri. Intanto continua a parlare:
— Stamattina volevo andare anch'io al funerale con mia moglie; ma poi per via del mercato di Melegnano c'è stato in casa un andirivieni straordinario!... Chi sa che bel funerale?... Un matto da legare, ma un talento!... Per talento!... Il signore, scusi la domanda, è di Milano?
— Sto a Milano.
— Ecco, infatti, perchè mi pare di averla vista ancora.... se non sbaglio?
— Ho pranzato qui, l'altra sera.
Un momento di silenzio: il locandiere sta facendo la somma. Quando ha finito e il conto è pronto lo mette sopra un piatto e lo fa consegnare «al signore» da un cameriere che aspettando la mancia stava attento, gironzando nella sala.
Francesco Roero prende la nota, la scorre con un'occhiata: non arriva alle novanta lire. Dà un biglietto da cento, e lascia il resto al cameriere.
— Grazie, signore.
Il locandiere, fatto il saldo gli vuol mostrare e consegnare la poca roba stata raccolta nella camera del signor Savoldi:
— Un gran disordinato!... Ho dovuto far lavare, scopare, lavorare per mezza giornata! Ma anche un gran galantuomo!... Per galantuomo, straordinario!
Il Roero non guarda nemmeno tra quelle straccerie; prende soltanto un involtino in cui c'erano alcune carte, alcune lettere.
— Non sa, signor albergatore, se il povero Savoldi ha lasciato debiti?
— Non so. Crediti no, certissimo, potrei giurare; ma debiti.... Tutto ciò che è arrivato, lettere, conti.... lì c'è tutto! Guardi lei.
Il Roero apre l'involtino, fa passare le carte, le lettere e intanto domanda ancora al locandiere, elle approfitta del momento per spolverarsi col tovagliolo le scarpe:
— Il signor Savoldi.... aveva pure un piccolo cane?
L'altro scrolla il capo maravigliato:
— Un cane? Mai visto cani!
— Ma sì, una piccola cagnetta!... Una cagnolina chiamata Lulù.
— Non ho mai viste cagnoline al signor Savoldi e non l'ho mai sentito a chiamar Lulù!... Lulù?
— Eppure.... me ne ha tanto parlato l'ultima sera, prima del duello....
— Non saprei.... era tanto originale!... Sarà stata magari un'invenzione, uno scherzo.... Tutti i giorni ne inventava una di nuovo!...
Il locandiere tace e osserva il Roero che legge e rilegge con grande attenzione un piccolo foglietto levato da una busta bigia, con sopra stampato l'indirizzo di una ditta.
— Il signore... ha forse trovato qualche cosa d'importante?
Francesco Roero non risponde, ma quel foglietto, una piccola fattura, lo ha colpito vivamente e torna a rileggerlo, con molta attenzione:
Merce stata consegnata alla signora Carlotta Canzi, per conto del signor Savoldi:
1/2 dozzina di calzettine piccole da bambino | L. 5.50 |
3 corpettini | 2.50 |
2 sottanine di lana | 4.00 |
Totale | L. 12.00 |
Il Roero si rivolge di nuovo all'albergatore:
— Conosce lei una certa signora Carlotta Canzi?
Il locandiere fa la stessa faccia di quando il Roero gli ha parlato di Lulù; poi soggiunge lisciandosi le labbra e i baffi, sempre col tovagliolo:
— Se vuol sapere qualche cosa più di preciso riguardo al povero Savoldi, ai suoi interessi, alle sue relazioni, io credo che il signore dovrebbe rivolgersi al caffè del Teatro Manzoni, oppure alla Fiaschetteria Toscana: qui, in realtà, non ci veniva altro che a dormire.... e quando ci veniva!... Era proprio un caso quando si fermava a colazione veniva a pranzo....
Il Roero non ascolta di più, salutato appena il locandiere che lo segue profondendosi di nuovo in inchini e in ringraziamenti, esce dall'albergo e salta nel brum, che lo aspetta sempre sulla porta, gridando al cocchiere:
— Al caffè del Teatro Manzoni!
Appena in brum, il Roero torna a leggere la noticina:
1/2 dozzina calzettine piccole da bambino.... 3 corpettini.... 2 sottanine di lana....
— Da bambino?... «Merce stata consegnata alla Signora Carlotta Canzi per conto del signor Savoldi?....» — In questo punto il Roero rivede il viso e gli occhi di Nespola diventati improvvisamente così seri e ansiosi mentre gli parla di Lulù e gli raccomanda Lulù.
— Strano!... Ma poi, subito, anche mentre mi raccomandava Lulù s'è messo a ridere.... Come avrebbe potuto ridere di una cosa tanto seria e in quel momento?... Fosse vero? Ma se fosse proprio vero?
Dall'animo di Francesco spariscono i terrori, i biechi fantasmi, si placano le inquietudini e i rimorsi: — Fosse vero! Fosse vero! — Egli ripete prorompendo con un impeto di gioia. — Un bambino? Un figliuolo di quel povero disgraziato? L'ho promesso; sarebbe mio. Farò il mio dovere.
E il piccolo essere che reca la pace alla sua coscienza e sana il suo onore, egli lo immagina roseo, biondo, sorridente, bellissimo; come una nuova attrattiva e un nuovo ornamento interessante e poetico del suo quartierino da scapolo, come una nuova fonte di gioia, un nuovo divertimento della sua vita.
Il Roero, giovanissimo ancòra, e ancòra, nel fondo, un po' romantico ad onta della psicologia pessimista delle sue commedie, non pensa più in là; non pensa all'avvenire, ai gravissimi doveri che poi peserebbero su lui, a tutti i nuovi obblighi, al vincolo che non potrebbe più spezzare e sopratutto egli non pensa che il piccolo esserino roseo e sorridente crescerebbe a poco a poco e diventerebbe un uomo.... o una donna.
— Fosse vero!... Sarebbe mio figlio!... L'ho promesso; farò il mio dovere!
In quel punto il brum, venendo da via Durini, attraversa il Corso per imboccare la via Monte Napoleone, e il Roero, proprio sul corso, vicino alla Galleria De Cristoforis, scorge Donna Stefania che fa il solito giro, prima di andare a casa, accompagnata da Manòlo e da Carletto. Il giro prima della messa toccava al Roero; quello dopo messa al Faraggiola e all'Estensi.
La Fáni è fresca e prosperosa, animata dall'auretta mattutina. Alta, diritta, il petto sporgente, una mollezza languida nel camminare, i bei capelli biondi ondeggianti sulla fronte, sorride colle labbra e cogli occhi esperti ai due appassionati corteggiatori, che le si stringono ai fianchi beati, estasiati.
Il Roero pieno di dispetto, di furore, di gelosia, si caccia in fondo al brum, per non essere veduto:
— Civetta, ipocrita, falsa e senza cuore!... Non mi ha veduto, prima di messa, e non ci pensa nemmeno!... Voglio metterla in commedia, subito, appena ho finito l'Arianna!... La devota voluttuosa! Ecco il titolo! Bellissimo! E voglio mettere in commedia anche quei due tipi comicissimi e nuovi che l'amano... in società!
Vicino al teatro Manzoni egli ferma la carrozza, discende e la lascia in libertà. Fa il resto della strada a piedi.
— Non vado nemmeno stasera in casa Arcolei!.. Nemmeno domani, mai più!... L'ho detto e lo mantengo: non ci vado più! Non mi vede più!
Sempre irritatissimo contro la Fáni, apre l'uscio a vetri del caffè, ma subito gli mozza il respiro una zaffata di fumo di sigaro e di tanfo di cucina, mentre gli rintrona le orecchie una disputa animata, un vociare, un urlare in vari dialetti... Il Roero esita un istante sulla soglia; non sa se entrar dentro sì o no... Ad un tratto succede alle grida, allo strepito, un grande silenzio: tutti, nel caffè, voltano la faccia curiosa verso il giovane ed elegante commediografo che riempie il Manzoni e verso uno dei padrini, il più noto, del povero Nespola.
Francesco Roero saluta con un cenno del capo e torna indietro chiudendo l'uscio con una spinta che fa rintronare i cristalli.
E avviandosi verso la piazza della Scala, borbotta fra sè:
— Che stupido!... Vado dal negoziante che ha dato i corpettini e le sottanelle, pago il conto, e intanto posso avere tutte le informazioni e l'indirizzo di questa signora Canzi, senza perdermi in chiacchiere e in pettegolezzi!
Guarda di nuovo il conticino per veder l'indirizzo della bottega:
Fratelli Lamberti, via Orefici, 25.
Il Roero ci va difilato e sa da un commesso senza troppa fatica, tutto quanto vuol sapere.
La signora Carlotta è la moglie del signor Vincenzo Canzi, maestro di pianoforte e direttore d'orchestra: abita al Cordusio, a due passi da via Orefici, in faccia al ristorante del Giardinetto.
Il Roero trova subito la casa, ma la vecchia portinaia che vende anche fiori e frutta nell'angolo sotto il portone, risponde che la signora Carlotta non c'è:
— È partita da Milano da due o tre giorni! È andata a Bergamo, dove il signor maestro Canzi dirige l'opera, al teatro Riccardini.
— E... si fermerà molto a Bergamo?
— Tutto il mese; così ha detto. Finchè dura lo spettacolo.
— Tutto il mese!... — Ripete il giovinotto pensando e preparando la nuova domanda che vuol fare.
La vecchia, intanto, prende da un cestino un mazzetto di violette, lo asciuga bene col grembiule e lo presenta al commediografo:
— Forse il signore voleva intendersi colla signora Carlotta per entrare in pensione?
— Già, appunto!
Il Roero, contento perchè la vecchia lo ha messo sulla buona strada, paga due lire il mazzolino di violette, e lo infila lentamente nell'occhiello del paltò.
— Tengono molta gente a dozzina i signori Canzi?
— Oh no!... Hanno un locale troppo ristretto e meschino. Qualche maestro, qualche artista, qualche cantante... Scusi sa, ma dato il caso, non mi sembrerebbe una famiglia adatta per un par suo. Io, piuttosto, avrei una contessa di Verona, la quale sarebbe disposta a prendere a dozzina una persona sola, ma di gran riguardo.
— Non cerco per me; cerco per un mio amico; uno studente... un ragazzo.
— Allora, come comanda; ma per tutto il mese la signora Carlotta non torna.
— Ultimamente, prima di partire, chi aveva a pensione?
— Nessuno. Veniva un giovinotto, l'Americano, ma soltanto a pranzo e non tutti i giorni.
— L'Americano?... Un... giornalista?
— Lo chiamano l'Americano perchè è tornato da poco dall'America e ha sempre in bocca l'America; ma proprio chi sia, che cosa faccia, non si sa! Certo, giudicando a prima vista, deve avere più allegria che quattrini! Il signor maestro non lo può soffrire per via della politica. Si sa, i disordini, le dimostrazioni, prima cosa fanno chiudere i teatri! Certe volte attaccano liti indiavolate!... Anzi la signora Carlotta mi ha dichiarato che quando torna da Bergamo, non lo prende più in casa nemmeno per un giorno!
Il Roero, a queste parole, ha un brivido e impallidisce: la portinaia che vende un soldo di castagne secche a un ragazzetto, non vede e non ci bada. Poi, siccome l'altro non si muove, gli domanda a sua volta:
— Forse lo conosce lei, l'Americano?
— Io conosco un giovanotto giornalista, che appunto è tornato da poco dall'America e che deve essere in relazione colla signora Carlotta, ma non so se è proprio l'Americano che dite voi. Quello che conosco io, ha moglie, ha famiglia...
— No, no!... Allora no!... È un altro. Questo qui non ha moglie. È stato con una donna in America, dalla quale ha avuto una bambina, ma non l'ha sposata. Secondo quanto mi diceva la signora Carlotta doveva essere... una poco di buono.
— E... la bambina, dov'è?
— Colla signora Carlotta. L'Americano le paga trenta lire al mese per tutto quanto!
— Allora, anche la bambina adesso si trova a Bergamo?
— Oh, no! Siccome la signora Carlotta è partita detto fatto, dietro un telegramma del maestro, così ha portato Lulù da una sua amica. — Lulù! — Guardi un po' che nomi! Suo padre la chiama Lulù, Nespola, la cagnolina! È un originale così stravagante! Però dev'essere partito anche l'Americano prima della signora Carlotta. È un po' di giorni che non si fa vedere.
— Sapete dirmi chi è, e dove sta l'amica della signora Carlotta che ha in custodia questa bambina, questa Lulù?
La vecchia alza le braccia gridando forte:
— Eh! Eh!... È una cantante che non canta mai!... È la bella Suzann!... Sotto i Portici Meridionali, numero 57 al 3º piano. La conoscono tutti!... E forse... la conosce anche il signore! — E la vecchia spalanca la bocca nera sferrata con una lunga risataccia maliziosa.
— Per dio!
Il Roero è sconvolto da un impeto d'ira e di sdegno.
La bimba, Lulù, la creatura del povero disgraziato affidata a quella donna, caduta in quelle mani!... In casa della Suzann!... della bella Suzann!
Corre via in gran furia, gli occhi torvi, barbottando minaccioso, piantando lì la vecchia portinaia, attonita, sbalordita.
— La Suzann!... Dalla Suzann!... Dalla Suzannina!