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Dietro una Valanga

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La neve cadeva a larghi fiocchi.

Franz e Joseph salivano il tortuoso sentiero della valle, conversando lietamente come due villeggianti che muovano ad una escursione di piacere in una giornata di bel tempo.

Franz diceva a Joseph:

Fra due ore avremo raggiunto il villaggio. Animo dunque! Siamo prossimi alla meta. Proseguendo di questo passo, prima di mezzodì saremo fra le braccia de' nostri cari. In casa nostra troveremo un buon fuoco, una buona zuppa e una gran festa.

– Sul fuoco, sulla zuppa quasi ci conto anch'io – rispondeva Joseph tristamente – ma un uomo che torna dall'America senza un quattrino nelle tasche, è assai difficile che trovi in famiglia una festosa accoglienza.

– Tu fosti sempre un benedetto figliuolo! Se avessi dato retta a' miei consigli, nei cinque anni che abbiamo passati laggiù, ti saresti indubbiamente arricchito. Non si può dire che la fortuna ti sia stata nemica. Hai guadagnato più di me; e, se oggi, tornando al paese, non hai la consolazione di portare alla tua famiglia un buon portafogli ricolmo di banconote, tu solo ne hai colpa. Per far denaro, ci vuole della economia, ci vogliono delle annegazioni e dei sacrifizi. – Quand'io, or fanno cinque anni, lasciava il villaggio, aveva detto a mio padre: tu presto sarai vecchio, tu hai sposo una parte del tuo patrimonio per darmi una educazione; il paesello non offre risorse – io andrò in America ad esercitarvi la mia professione di medico-chirurgo, e il giorno in cui vi annunzierò per lettera il mio ritorno, voi potrete contare sovra un portafogli ricco di cinquanta mila lire che io stesso verrò a deporre nelle vostre mani, se il buon Dio mi farà la grazia di tornare sano e salvo al paese. – Il portafogli, come tu sai, lo tengo rinchiuso nella mia valigia, e alla somma promessa non manca un quattrino. Per non guastare il mio piccolo patrimonio, io ho perfino ricusato di mangiare una zuppa all'ultimo albergo dove abbiamo passata la notte, mentre tu – sempre uguale a te stesso – hai speso gli ultimi tuoi spiccioli per quattro belle grives che sentivano il ginepro a distanza di tre camere. Ah! il profumo di quei volatili mi tentava atrocemente! Eppure – fedele a miei principî – ho saputo anche stavolta resistere e il mio peculio rimase intatto. In America, segnatamente nei primi anni, io ne ho sofferti dei digiuni! Mentre tu banchettavi spensieratamente colle belle figliuole di Buenos-Ayres, io me ne stava rinchiuso nella mia cameruccia disadorna, a rosicchiarmi, pel mio pranzo, una mezza dozzina di datteri ammuffiti! Ed ecco di qual maniera è avvenuto, che, mentre io riporto al paese un capitale più che sufficiente per assicurarmi una esistenza agiata e tranquilla… tu invece…

– Tu invece! tu invece!.. Queste prediche, mio caro Franz, cominciano a seccarmi… Eppoi – permetti che io te lo dica – non è ancor giunto il momento in cui ti sia lecito menar vanto del tuo sistema. Fatto è che, fino a ieri sera, io ho passato la mia vita più lietamente di te… Tu non hai fatto che soffrire e tiranneggiare i tuoi istinti pel corso di cinque anni – io all'incontro, non ho a dolermi di essermi rifiutato verun comodo o diletto della vita. Se infino ad oggi io fui l'uomo più beato della terra, e tu fosti, per tuo proprio volere, il più travagliato e miserabile, non veggo ragione perchè io debba invidiarti, o perchè tu abbia a menar vanto di esser stato più saggio di me. Quanto all'avvenire… vedremo! In ogni modo, nessuno potrà distruggere questo fatto, che io ho passato assai bene i miei cinque anni di America.

I due amici camminarono alcun tempo in silenzio. Franz con voce pacata riaperse il colloquio.

– È vero… perdona se ti ho fatto de' rimproveri… Alla fine, non è detto che tu sia un uomo rovinato, perchè non hai saputo metter da parte un capitaletto per l'età dei reumatismi e della gotta. Tu sei ancora nel fiore dell'età – hai talento – hai pratica degli affari – e con queste belle doti si può far bene nel paese nostro come altrove.

– E ci conto seriamente.

– Tu hai dunque intenzione di riprendere fra noi il tuo commercio?

– Senza dubbio. Dopo cinque anni di esperienze fatte laggiù, fra quei bravi Americani, io spero bene di saperne tanto da menar a bevere questi piccoli negozianti del cantone che passano per onniveggenti, come i guerci nel paese degli orbi.

– Vuoi permettermi di darti un consiglio?

– Dì, pure.

– Per riuscire perfetto commerciante è necessario che tu badi a correggerti di un grave difetto…

– Sentiamo!

– Tu sei troppo tenero di cuore…

– Come a dire?

– Tu ti lasci, qualche volta, troppo spesso, dominare dal sentimento. Non vi è cosa più rovinosa per un uomo di affari. In presenza della speculazione il fratello, il collega, l'amico debbono sparire… Quando uno agisce nella sfera delle sue attribuzioni commerciali, deve quasi dimenticare di esser uomo. Da questo lato tu hai sempre dato prova di una debolezza imperdonabile. Ti ricorderò un fatto su mille. Allorquando, all'epoca della febbre gialla, per essere fuggiti dalla città quasi tutti i medici; io mi faceva pagare dieci ed anche venti dollari per ogni visita, sicchè in poche settimane io arrotondava la bella somma che oggi riporto al paese; che facevi tu, mio povero Joseph, per usufruttare i benefizi della situazione? A quell'epoca, c'era grande ricerca di Melange e di Fernet – tu ne avevi colmi i magazzini… Animo, dunque! Profitta del buon vento! Rincarisci sul prezzo! In luogo di dieci, domanda cento, duecento franchi per ogni bottiglia… Ed ecco, in meno di un mese, tu hai realizzato un benefizio di centomila franchi. – Ma no! Il mio buon Joseph si lascia vincere dal sentimento… Egli regala agli ospedali qualche migliaio di bottiglie, riduce i prezzi in favore delle classi meno agiate, dona gratis la merce a quanti gliela domandano nella lingua del paese… Infine…

– Infine… doveva io, in mezzo a tanto disastro?..

– E qual'è di grazia la buona operazione commerciale che non abbia per base qualche disastro pubblico o qualche sventura privata?..

– Io doveva dunque, secondo il tuo avviso, lasciar perire tanti disgraziati?..

– Dal punto di vista commerciale, tu dovevi appunto…

– Lasciarli morire!!!.. esclamò Joseph, arrestandosi e guardando l'amico con espressione di meraviglia.

– Lasciarli morire – rispose Franz pacatamente. Non ispetta il diritto di chiamarsi commerciante a chi, in presenza della speculazione, non sa dimenticare di esser uomo.

A questo punto, un sinistro rumore come di vento e di tuono fece ammutire i due viaggiatori.

Dopo un istante, Franz mandò un grido:

– La valanga! la valanga!

– Gettiamoci a sinistra! gridò Joseph a sua volta.

E tutti e due si diedero a correre verso un gruppo di roccie che, elevandosi a poca distanza dalla strada maestra, parevano offrire un baluardo contro l'impeto della massa ghiacciata. Poco dopo, all'immenso fragore successe un cupo silenzio – alla luce sottentrarono le tenebre – e i nostri viaggiatori si trovarono come sprofondati in una voragine. – Da una parte la roccia impraticabile, dall'altra una montagna di neve, e al disopra uno scarso lembo di cielo che invano tentava proiettare, sui due sepolti, un riflesso de' suoi pallidi raggi.

Franz e Joseph rimasero per un istante come stupiditi dallo spavento.

– Non v'ha dubbio… siamo vivi! esclamò Joseph, rompendo per il primo il silenzio.

– Meglio esser morti, – rispose Franz cupamente. Se la valanga ci avesse schiacciati, tutto sarebbe finito… In quella vece avremo una lunga e dolorosa agonia di tre o quattro giorni.

– Non credi tu che i cantonieri si affretteranno a sgombrare la neve dalla via, ed a rimuovere l'intera valanga per iscoprire se vi siano delle vittime?

– Certamente; ma perchè coloro arrivino a diseppellirci, occorreranno non meno di sei o sette giorni, – e noi fra sei o sette giorni, saremo qui congelati dal freddo o stecchiti dalla fame. Ah! tu avevi ben ragione, mio ottimo Joseph…! A che mi valgono ora i miei cinquantamila franchi, radunati in America con tanto sudore… con tanti sacrifizi? Tu almeno non avrai il rimorso di esserti privato di ogni cosa, quando eravamo in tempo di godercela… Ah! sono stato un grand'asino…!

– Via! non disperarti… esploriamo piuttosto, se ci vien fatto di scoprire qualche via di salvezza… Chi sa? Forse, arrampicandoci su quegli scogli…

Joseph si avvide che al di là di un macigno si apriva una grotta.

Si inoltrò a tastoni. Avanzandosi, riconobbe che l'antro era spazioso e profondo… e poteva fornire un eccellente riparo contro i rigori del freddo.

Tornò sui propri passi – chiamò l'amico, e, ripreso da terra il suo sacco da viaggio – vieni! disse a Franz – dal gelo non si muore più… Ho trovato una buona cameretta, dove tutti e due potremo alloggiare gratuitamente… Le mobilie non si raccomandano per la loro eleganza, ma in compenso sono di una solidità a tutta prova.

I due amici si internarono nella grotta tenendosi per mano… Franz depose tristamente la sua valigia sopra un macigno, e vi si assise nell'attitudine disperata di un delinquente che rientri nel carcere, dopo aver udita alle Assisie la sua sentenza di morte.

Se qualcuno in quelle tenebre fitte avesse potuto scorgere il volto di Joseph, certamente si sarebbe meravigliato della singolare espressione di gioia e di trionfo che brillava ne' suoi sguardi.

– Franz! mio buon Franz! sei tu già morto dalla paura?.. Oh! voglio un po' vedere cos'è avvenuto di lui!

E così parlando, Joseph diè fuoco ad uno zolfanello, e, accesa una candela che aveva levata dal suo sacco, la piantò sovra un bel candelabro formato dalle stalagmiti nel fondo della grotta.

Nè le parole dell'amico, nè l'improvviso bagliore della luce valsero a riscuotere Franz dal suo letargico abbattimento.

– Povero amico! esclamò Joseph-senza quel cumulo di banconote che tieni rinchiuso nel portafogli, la disgrazia ti parrebbe forse men dura… Eppure – chi lo sa? – a questo mondo è sempre bene l'esser provvisti di denaro…

– Joseph! ruggì l'altro sordamente; risparmiami i tuoi motteggi… Noi siamo inesorabilmente condannati a morire… Domani… non più tardi di domani… la fame comincierà a travagliarci le viscere…

– Te fortunato! interuppe Joseph – tu non comincerai che domani a soffrire… Io – vedi! – in forza della maledetta abitudine contratta fino dalla più tenera età, di cedere ad ogni menomo appetito di stomaco… io… già cominciò a sentire qua dentro un certo stiramento… un certo pizzicore…

Franz non dava più segno di vita. Il terrore aveva prodotto in quell'infelice una specie di letargo morboso… Egli giaceva rattrappito sulla sua valigia, colle braccia conserte alle gambe, col mento appoggiato alle ginocchia… La sua fronte era livida, la bocca spalancata.

Joseph gli pose la mano sul cuore, e, sentendo che la pulsazione non era cessata, uscì dalla grotta, e si diede a passeggiare di gran lena nel breve spazio che gli era concesso.

Si vedeva, dalla contrazione della sua fronte, che egli stava dibattendo fra sè stesso qualche strano progetto.

Dopo un'ora, rientrò nella grotta. L'amico giaceva immobile nella posizione di prima. La candela era consunta per metà.

Si adagiò pacatamente presso un macigno che sporgeva dal terreno – distese sovr'esso a guisa di tovaglia un bianco fazzoletto, e, sciolto il nodo al suo sacco, ne trasse fuori un grosso involto di carta, e lo depose su quella mensa improvvisata.

Trascorsi due minuti, Franz cominciò ad agitarsi e a mormorare qualche parola appena intelligibile. – Poscia apri gli occhi.

– Santi del paradiso! non è dunque una visione? non è uno di quei sogni beffardi che si producono da un bisogno insoddisfatto…? Joseph! Mio buono… mio ottimo amico… Tu stai mangiando, non è vero? Quello che tu hai d'innanzi…?

– Un bello… un grosso… un eccellente cappone che peserà quattro chili… un cappone arrostito allo spiedo, che racchiude nel suo grembo un assortimento svariatissimo di castagne, di prugne, di pezzi di salsiccia e d'ogni ben di Dio…

– Un cappone di quattro chili…! un cappone ripieno! – gridò Franz alzandosi in piedi, e battendo le mani dall'allegrezza – ma noi siamo salvi!.. Adagio, Joseph! Tu mangi con troppa furia… Tu divori!.. Pensa che prima di cinque o sei giorni… Ma, che vedo? Anche una ruota di pane comasco!

– Una ruota di pane comasco. Sicuro! disse Joseph, portando alla bocca una fetta che in quel punto aveva spiccata dal disco; tutta roba di cui mi ero provvisto per ammansare, rientrando al villaggio, le ire della moglie e dei parenti… Questo pollo, questo bel pane bianco, largo come una pietra da molino, erano destinati a mettere un argine alle maledizioni dei miei cari congiunti, al momento in cui avrebbero scoperto che io tornava ad essi dall'America senza la croce di un quattrino…!

– Ah! gridò Franz, levando gli occhi alla vôlta della grotta – e poi vi hanno degli empi che osano negare la Provvidenza! L'inspirazione di comperare questa roba ti è venuta da Dio.

– Che Iddio sia mille volte benedetto! esclamò Joseph, biascicando una polpa di cappone. Con questo volatile, con questa ruota di pane, per sei o sette giorni la mia esistenza è assicurata!

Queste ultime parole colpirono profondamente l'animo di Franz. E, riflettendo che il compagno avea tardato fin là ad offrirgli di prender parte alla refezione, mille sospetti e terrori, di bel nuovo, lo investirono.

Joseph, senza badare all'amico, fece atto di ravvolgere nella carta i resti del cappone, e di volerli riporre nella valigia col pane sopravanzato.

Franz lo guardò fare per un istante – poi con voce commossa e coll'accento più amorevole e insinuante che per lui si potesse, gli parlò di tal guisa:

– Mio buono… mio ottimo Joseph! No! io non sono tanto esigente da pretendere che tu mi offra di partecipare gratis alla piccola refezione, che potrebbe nelle attuali circostanze camparmi da una morte crudele. Io sono ricco… tu non possiedi che il tuo bel cappone arrostito e quest'ampia ruota di pane comasco a cui giustamente tu attribuisci un valore eccezionale. – Orbene: sentiamo! Io mi affido alla tua discrezione. – Quanto domandi per una coscia di pollo? quanto per una fetta di pane? Fammi un prezzo da amico… io sono disposto a comperare ed a pagare sul momento.

– Questo pollo, questo pane, rispose Joseph colla massima pacatezza, sono fuori di commercio. Calcolando a 7 giorni la nostra reclusione forzata, tu vedi, caro Franz, che qualora ti cedessi una parte di queste provvigioni, non farei che rischiare la mia vita, senza speranza di salvare la tua. Permetti dunque che io riponga questa roba. – Essa è destinata all'uso e consumo del mio individuo, nè io consentirei a privarmene, quand'anche tu mi offrissi tutto l'oro delle Indie. Ma via! sta di buon animo, caro Franz. Nel mio sacco c'è un'altro cappone, non meno bello non meno grasso di quello che io riserbo alla mia mensa; c'è un'altra pagnotta comasca ancora intatta. Era appunto mia intenzione, tornando al paese, di aprire negozio di commestibili… Tanto fa che io cominci il mio traffico da questo momento… La bottega non è di lusso, ma in compenso l'affitto non costa nulla. Se gli affari andranno a seconda, ci metteremo più in grande. Questo macigno sarà il mio banco, questo sacco il ripostiglio delle merci, la mia cassa forte, il mio tutto. Non ti pare, caro Franz, che questa volta la mia impresa sia basata su quei principî di economia, che tu mi andavi predicando durante il viaggio?

Sul volto di Franz si disegnavano delle grinze spaventose. Quell'uomo tremava di indovinare… tremava di comprendere.

Frattanto, Joseph avea estratto dal sacco il cappone e la pagnotta, e dopo averli collocati in bella mostra sovra un sasso sporgente dal terreno, s'era messo a gridare allegramente: Avanti, signori! entrate nel restaurant americano! chi ha tempo non aspetti tempo! dejeuners… e pranzi alla forchetta al massimo buon mercato!

Franz fissava i commestibili con occhi da basilisco… Per qualche tempo egli non osò aprir bocca.

Alla fine, come uomo che si decide ad interrogare i misteri di un destino terribile, con voce concitata e cavernosa il povero affamato proruppe in queste parole:

– Eccole, signor trattore americano, un avventore che appetirebbe una coscia di pollo e una fetta di pane… Mi dica i suoi prezzi!

Joseph stette un istante sopra pensiero prima di rispondere. Indi, crollando la testa – mi spiace, disse a Franz, di non poter servire una persona così distinta e garbata. Nel nostro negozio non si usa vendere le merci in dettaglio… Ella sa bene: pollo tagliato – pollo guastato, e così dica del pane. I compratori sono molto esigenti… non vogliono saperne di avanzi… Il pane poi!.. Si provi un poco ad esporre in mostra una pagnotta a cui manchi un morsello! Tanto basterebbe per togliere ogni credito al negozio… Insomma…

– Insomma, interruppe Franz, ansioso di udire una volta la sentenza fatale; insomma, ella ha tutte le ragioni del mondo, signor trattore. Io dunque sono disposto, purchè nel prezzo si vada d'accordo…

– Oh quanto ai prezzi non la si dubiti… le faremo la maggior cortesia…

– Come dicevo, sarei disposto a comperare tutta intera la pagnotta, cedendo ad altri, più ghiotti o più ricchi di me, quel bellissimo pollo che davvero farebbe onore alla mensa di un principe.

– La signoria vostra non mi ha compreso, od io non mi sono spiegato bene, disse Joseph dopo un breve intervallo. Ella converrà meco, che, qualora io le cedessi il solo pane, il mio piccolo commercio ne sarebbe irreparabilmente pregiudicato. Una pagnotta può fare da sè, ciò è chiaro come il sole; ma il mio bel pollo arrostito perderebbe infinitamente del suo valore, se non mi fosse dato accompagnarlo con una razione competente di pane. Si presenta al mio banco un signore, un signore animato come lei dalle migliori disposizioni di stomaco… Il mio pollo gli fa gola… è disposto a pagarlo per quello che vale… Ma appena viene a sapere che nella mia bottega non c'è un tozzo di pane vendibile…

– Basta! basta! – replicò Franz colle sue note più rauche – quanto chiedi… per tutta la tua merce? Pondera bene la tua domanda, e bada che io sono uomo da lasciarmi morire di fame piuttosto che cedere a delle esorbitanze inumane e irragionevoli. Se è vero che in questa grotta non esiste altra bottega di commestibili fuori della tua, rifletti che difficilmente, quando io ti volgessi le spalle, tu troveresti qua dentro degli altri avventori.

– Non ti farò torto… sarai contento di me – riprese Joseph colla sua pacatezza sarcastica. – Alla fine dei conti, io vo debitore a te solo di quel poco di scienza economica, colla quale, aiutandomi Iddio, spero rifarmi in pochi mesi dei danni sofferti…

– Dunque! gridò Franz impazientito, questo prezzo…

– No! non intendo rovinarti… – Io mi limito a chiederti diecimila lire… per la pagnotta, e sono abbastanza discreto per cederti il pollo al prezzo di lire quarantamila – somma totale: cinquantamila lire.

– Era quello che mi attendeva! brontolò Franz, voltando le spalle al banco dei commestibili – ecco il frutto delle mie lezioni!

– Via! non vada in collera! si mostri ragionevole – insisteva Joseph colla sua flemma inesorabile. – Si provi a fare un giro sulla piazza. S'ella trova qualcuno che le offra i miei generi a prezzo più discreto, io sono pronto a regalarglieli senza esigere un quattrino.

– Fine alla commedia! gridò Franz al colmo dell'ira – se io ti ho insegnato che il profittare delle occasioni è sapienza da commerciante, saprò anche mostrarti che l'abuso conduce a rovina.

Joseph si levò dai taschini un piccolo oriuolo d'argento, e, dopo averlo consultato – è ora di chiuder bottega, disse sbadatamente – riponiamo le nostre merci… e vediamo di prender sonno. – Quanto a te, mio ottimo amico, profitta del lume per sceglierti il tuo letto – fra poco la candela sarà consunta, e fino a domani io non farò altre spese di illuminazione.

– Joseph!.. mio amico.. mio compagno di infanzia… – esclamò Franz, raddolcendo la voce – dovrò io credere che il tuo cuore sia tanto indurito!

– Un mio ottimo amico e maestro mi ha insegnato, che in presenza della speculazione debbono sparire tutti i sentimenti e gli affetti… Buon riposo, Franz!.. La notte porta consiglio, e forse domattina sul fresco apprezzerai meglio la mia discrezione e i tuoi interessi.

Ciò detto, Joseph si fece guanciale del sacco dove eran chiuse le sue provvigioni, e, ravvoltosi nell'ampio cappotto, soffiò sulla candela.

Franz si gettò boccone per terra. Di là a pochi istanti sì l'uno che l'altro presero sonno.

Ma quello di Franz era piuttosto un letargo febbrile, anzichè un sonno benefico e riparatore. La respirazione affannosa, i gemiti, i grugniti, e più che altro le tronche parole lanciate nel buio, rivelavano le crudeli visioni di quello spirito travagliato.

Un poeta, non so quale, chiamò i sogni

Immagini del dì guaste e corrotte…

ma i sogni del povero Franz, piuttosto che immagini guaste, rappresentavano degli appetiti insoddisfatti.

Le parole che più spesso gli uscivano dalla gola erano; maccheroni! polpette! frittura mista! stufato! fesa di vitello! A giudicarne da quei spasmodici accenti, avresti detto che il povero dormiente stesse sfogliando, sotto l'incubo della fame divoratrice, una edizione del Cuoco piemontese o della Serva cuciniera.

Come un poco di raggio si fu messo nella grotta, Joseph si levò sui gomiti – accese spietatamente una candela, e, strappata un'ala dal suo pollo, si fece a mangiare del miglior appetito. Franz aperse gli occhi – vide – si fece livido…

Suo primo istinto fu quello di avventarsi al cappone che stava in mostra sul banco… Ma oltrechè Joseph era dotato di atletiche forze, e vi era pericolo a lottare con lui, Franz, dal suo lato, non era uomo da sorpassare a quei principii di giustizia e di onestà che formavano, malgrado la inflessibilità del suo genio commerciale, le basi del suo carattere.

I suoi occhi dilatati divoravano il cappone. Poi si chiusero – poi di nuovo si apersero… Alla fine, il povero affamato balzò in piedi, e gridò con eroica disperazione:

– Venticinque mila lire – la metà del mio avere per quella roba!

– No! rispose Joseph, addentando la polpa del volatile – nessuna transazione è possibile – i miei generi hanno subìto un non lieve rialzo durante la notte, e tu stesso me ne dai prova – in verità, sarebbe strano che consentissi ad un ribasso… Il mio ottimo maestro ed amico Franz avrebbe ragione di ripetermi, più tardi, che io sono un cattivo commerciante, il quale non sa approfittare delle occasioni… Il mio prezzo rimarrà stazionario – Cinquanta mila lire, nè più nè meno.

Franz uscì dalla grotta per sottrarsi alla vista ed alle esalazioni del cappone tentatore.

Joseph gli tenne dietro.

– Tu mi vedrai morire! gli disse l'altro con voce già fioca e rantolosa. – E forse egli contava sui buoni istinti del suo compagno di emigrazione, e sperava intenerirlo.

– Morire! esclamò Joseph – ma sai tu che faresti un cattivo affare! No… un negoziante par tuo non sarà mai per commettere un tale sproposito! Non vedi tu, che morire significa perdere i cinquantamila franchi e con essi la vita?

Franz si avviò barcollando alla grotta, si raccolse nel cappotto, e si sdraiò sul terreno-Joseph gli tenne dietro per sorvegliare le sue merci.

Per tutta la giornata Franz non si mosse – tratto tratto egli esalava qualche gemito affannoso che voleva imitare il rantolo della morte.

Pur troppo, il cuore d'Joseph era pietrificato dal calcolo. In sul far della sera, dopo essersi divorata con infernale compiacenza una bella coscia di cappone, egli fece l'atto di riporre nel sacco le sue mercanzie…

– Ferma! gridò Franz, balzando in piedi e stendendo le braccia, che in quel momento somigliavano alle zampe della pantera affamata.. Sei tu ancora disposto a vendermi quella roba per cinquantamila franchi?

– Mercato concluso! rispose Joseph.

– Eccoti il portafogli – a me il cappone e la pagnotta…!

– Un momento!..

Joseph si fece a numerare lentamente i biglietti di banco, e trovata le somma completa, dopo aver consegnata la merce, intascò il portafogli in aria di trionfo.

Ma la gioia di Joseph non durò a lungo.

Perchè mai, dopo due giorni di digiuno, l'amico indugia tanto a spezzare il suo pane, ed a mettersi in bocca qualche frammento del grosso volatile?

A tale pensiero, abbassando istintivamente lo sguardo sulle proprie imbandigioni, Joseph con sorpresa e terrore si avvide che del suo bel pollo quasi più non gli rimaneva che il carcame… La pagnotta aveva presa la forma di un quarto di luna.

Frattanto l'amico aveva spiccata la testa al cappone, e dopo aver rinchiuso il restante nella valigia, andava suggendo le cervella e rosicchiando lentamente le ossa del cranio, come un epulone già sazio che si diverta coi residui obliati.

La situazione dei due reclusi era molto cangiata, e Joseph non tardò molto a comprenderlo.

– Se vuoi spegnere il lume… disse Franz.

– Ma ti pare? – rispose Joseph col labbro serrato. Fino a quando tu non abbia finito il tuo pranzo…

– Il mio pranzo è finito, disse l'altro, tritolando fra i denti il becco del pollastro – ora si può dormire.

Joseph soffiò sulla candela, e si rannicchiò nel suo covo in preda ai più foschi pensieri. – In verità la sua situazione, malgrado i cinquantamila franchi intascati, era divenuta assai buia.

All'indomani, verso l'alba, i due colleghi facevano colazione. Franz macinava flemmaticamente coi denti il collo del volatile. – Joseph, abbandonandosi al suo fiero appetito, consumava gli ultimi avanzi della pagnotta… Non gli restavano, pel pranzo, che le ossa spolpate del carcame.

Trascorsero parecchie ore… Franz non abbandonava il suo posto, non profferiva parola, non si permetteva il più leggero movimento. Obbedendo ai dettati della scienza, egli si guardava da qualunque atto potesse alterare l'economia della sua vitalità. Egli sapeva troppo bene che l'inerzia e il silenzio ammortiscono l'appetito.

Sul far della sera, il suo orecchio fu colpito da uno strano rumore. Rabbrividì – sorse in piedi…

– Oh! sta a vedere, che gli zappatori arrivano in mal punto a guastare i miei calcoli!

– Così parlando uscì dalla grotta per esplorare…

Era il povero Joseph che si apprestava l'ultimo pranzo, macinando fra due pietre il carcame del pollastro…

A quella vista gli occhi di Franz sfavillarono.

Poco dopo, Joseph rientrò nella grotta, e avvolgendosi nel cappotto, non potè reprimere un accento di desolazione:

– Tutto è finito!

– Ed io ne ho per dieci giorni! rispose dall'antro opposto una voce lugubre.

Joseph portò la mano al portafogli, e lo serrò presso al cuore, come una madre stringerebbe un figliuolo minacciato.

Quella notte fu lunga e travagliata per entrambi.

– Se domani è abbattuta la valanga, il mio tesoro è salvato! – pensava Joseph tra i fremiti del terrore.

– Se gli zappatori, calcolava l'altro fra gli spasimi, tardano due giorni a liberarci, le mie cinquantamila lire sono redente!

La notte trascorse – venne il mattino – una eterna giornata di digiuno torturò le viscere del povero Joseph – e la grotta non si aperse. Nessuna oscillazione della neve, nessun rumore lontano che annunziasse l'approssimarsi dei liberatori.

Joseph rientrò disperato nella grotta, e, prima di coricarsi, si lasciò sfuggire la parola fatale: – ho fame!

– Ed io n'ho d'avanzo! – rispose dall'antro opposto la solita voce – posso servirti?

– Mi rimetto… alla tua discrezione.

– Diecimila lire per un quarto di pagnotta e quaranta mila lire per una coscia di pollo-totale: lire cinquantamila.

– No… usuraio!.. no, assassino! gridò Joseph dal suo covo.

– Joseph! in commercio si fanno dei prezzi e delle transazioni… ma io ti ho insegnato, col mio esempio, a risparmiare le ingiurie. – Calmati – rifletti – io ti do tempo fino a domani.

Joseph non disse più parola, e si accovacciò come un leone in febbre.

Verso mezzanotte, Franz uscì dalla grotta per le sue esplorazioni. Tese l'orecchio… Gli parve udire fra le tenebre dei suoni indistinti… La massa della neve tratto tratto oscillava…

– Ohimè! gli zappatori si avvicinano… Io sono perduto!..

Rientrò affannato nella grotta… Poche ore gli rimanevano per ricuperare il suo capitale…

Accese un moccolo – trasse dalla valigia i commestibili, e, schieratili in bella mostra sovra un macigno, si pose a mangiare…

Joseph si levò… I suoi occhi, tutti i suoi sensi parvero affascinati… Egli afferrò con una mano la coscia del cappone, coll'altra mano gettò il portafogli ai piedi di Franz. Fu una scena muta – un vero quadro coreografico della grande epoca Catte-Ghedini.

E Joseph non aveva ancora terminato il suo pasto – e Franz finiva appena di numerare i suoi biglietti di banco, che un suono di voci e di ferrei stromenti riscosse gli echi della grotta.

– Ah! gridò Franz accorrendo. – ecco i nostri liberatori!.. vieni, Joseph! La valanga è spezzata… che Iddio sia benedetto!

Joseph, con un tozzo di pane nella destra e un osso di cappone nella sinistra, si affacciò alla imboccatura dello speco. A vederlo, pareva inebetito.

I due colleghi riprendevano poco dopo il sentiero della montagna.

All'ingresso del villaggio, sul punto di separarsi:

– Spero bene che tu non mi serberai rancore per ciò che è passato, disse Franz al compagno.

– No… abbiamo agito tutti e due da perfetti commercianti… La sorte ha voluto favorirti…

– Permetti che io te lo dica francamente, soggiunse Franz: tu hai commesso anche questa volta degli sbagli finanziari… Per essere perfetto commerciante. non basta profittare delle occasioni e saper rincarire a tempo le proprie merci: bisogna anche avere dell'ordine e dell'economia. Se tu non avessi divorato in due giorni il tuo cappone e la tua pagnotta, oggi saresti padrone delle cinquantamila lire.

– Che Dio te le converta in reumatismi! soggiunse Joseph a bassa voce.

E su questo si salutarono.

Racconti e novelle

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