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LIBRO DECIMONONO
CAPITOLO I
Spedizione d'Urbano IV contro Manfredi; ed inviti fatti in Francia per la conquista del Regno

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Il Re Manfredi intesa l'elezione d'Urbano oltremodo turbossene, e cominciò a temere non volesse ricorrere alle forze di Francia per turbar quella pace, ch'ora godeva il Regno. Nè furon vani i suoi sospetti, poichè il nuovo Pontefice, appena assunto al Ponteficato, adoperò nuovi mezzi perchè il Re Giacomo d'Aragona disfacesse il matrimonio già conchiuso da Pietro suo figliuolo con Costanza figliuola di Manfredi[71]; e per mostrare maggior coraggio del suo predecessore, volle sul bel principio ritrattar la causa di Manfredi; onde nel dì della Cena del Signore in presenza d'innumerabil concorso di popolo solennemente gli spedì una terribile citazione[72], e per renderla più strepitosa, la fece affiggere nelle porte delle Chiese, per la quale citava Manfredi di dover comparire avanti di lui per purgarsi e difendersi sopra molti altri gravi ed enormi delitti, e ricever da lui que' castighi e quelle pene, che la giustizia gli avrebbe persuaso d'imporgli.

I delitti ch'erano espressi in quella citazione rapportata dal Tutini[73], e sopra de' quali voleva prender ammenda, erano, che Manfredi per mano de' Saraceni avea fatto abbattere e ruinare sin da' fondamenti la città d'Ariano; che avea fatto vergognosamente uccidere Tommaso d'Oria e Tommaso Salice; avea data crudel morte, e con tradimento a Pietro Ruffo di Calabria Conte di Catanzaro, e fatta crudel strage di molti fedeli della romana Chiesa.

Che in disprezzo dell'autorità Appostolica, e delle censure ecclesiastiche, ed in destruzione di quelle, faceva celebrare avanti di lui ne' luoghi interdetti i divini Ufficj, ciò che non era senza sospetto d'eretica pravità: e che citato perciò dal suo predecessore Alessandro, nè comparendo, era stato da colui scomunicato.

Che egli in obbrobrio della fede cattolica, preferiva a' Cristiani i Saraceni, valendosi de' loro riti, e conversando con essi assai famigliarmente; che avea ridotto il Regno di Sicilia ad uno stato ignominioso ed in dura servitù, per l'acerbe taglie ed imposizioni, colle quali gravava gli abitatori; che s'era anche imbrattato del sangue de' suoi congiunti; ed avea fatto proditoriamente trucidare Corrado Busario Nunzio e vassallo di Corradino; oltre di molti esecrandi eccessi, per li quali era dannato di notoria infamia.

Manfredi, ancorchè non personalmente citato, ma in quella maniera, per editto, udita la citazione, non volle mancare di mandar tosto suoi nunzj al Papa per difendersi di quanto se gl'imputava; ma ne furono tosto rimandati indietro senza conchiuder niente; ed approssimandosi il tempo prefisso alla citazione di dover comparire, tornò Manfredi a mandare altri suoi Messi; vi spedì il Giudice Attardo da Venosa, e Giovanni da Brindisi Notai suoi famigliari, i quali con premurose istanze dimandarono, ch'essendo stato Manfredi citato per cause ardue e gravi, non poteva commettere a niuno de' suoi Nunzj la sua difesa, ma che sarebbe egli personalmente venuto a presentarsi avanti il Papa ed il Collegio de' Cardinali, purchè però se gli spedissero dal Pontefice lettere di assicuramento, affinchè dovendo passare per luoghi della Chiesa non ricevesse molestia ed ostilità. Il Papa gli concedè sì bene licenza di poter venire, ma ristrinse il numero di coloro, che doveano per sua custodia accompagnarlo, e che entrasse senz'armata; onde Manfredi temendo di qualche insidia incamminossi alla volta del Pontefice, ma per sua sicurezza portò seco competente numero di soldati e molti Cavalieri per sua compagnia. Urbano ciò reputando una gran temerità di Manfredi, sordo ed implacabile a quel, che per sua discolpa allegavano i suoi Ambasciadori, rotto ogni indugio, rinovò le censure contro Manfredi, e con celebrità grande non altrimente di quel che fece il suo predecessore di nuovo lo scomunica, lo dichiara tiranno, eretico ed inimico della Chiesa[74].

Allora Manfredi toltasi ogni lusinga di poter entrare in grazia d'Urbano, vedendolo risoluto ai suoi danni, e che non vi era altro rimedio, che reprimere la sua alterigia colla forza, mandò subito ad assoldare nuove compagnie di Saraceni, spedendole a' confini del Regno, perchè infestassero lo Stato della Chiesa in Campagna di Roma; ed altre truppe mandò nella Marca d'Ancona, ritirandosi egli in Puglia a provvedere a' bisogni d'una buona guerra, che già prevedea doversi fare con Urbano.

Queste mosse accrebbero in guisa lo sdegno e l'ira nell'animo del Papa, che non contento d'aver umiliati i Svevi in Germania, cercò anche abbattergli in Italia; ed avendo scorto, che i ricorsi fatti da' suoi Predecessori in Inghilterra erano riusciti tutti vani, volle tentare se in Francia potessero avere miglior successo. Spedì pertanto ivi M. Alberto Notajo Appostolico, a trattare col Re Lodovico perchè accettasse l'investitura per alcuno de' tre minori suoi figliuoli, che erano Giovanni Conte di Nevers, Pietro Conte d'Alenzon, e Roberto Conte di Chiaramonte. Ma il Santo Re non accettò l'offerta, temendo (come rapporta Rainaldo[75] per una lettera di questo Pontefice scritta al soprannominato Alberto) di non scandalizzar il Mondo, assaltando un Regno, che a Corradino Svevo era dovuto per eredità, e ad Edmondo d'Inghilterra donato per investitura d'Alessandro IV.

Escluso per tanto Urbano dal Re Lodovico si rivolse a pubblicar la Crociata in Francia: laonde mandò ivi un Legato Appostolico ad assoldare buon numero di gente, ed a predicare l'indulgenza plenaria e remissione de' peccati a chi pigliava l'arme contra Manfredi, dichiarandolo per tiranno, eretico ed inimico della Chiesa.

Il Legato giunto in Francia pubblicò la Crociata, ed assoldò gran numero di soldati sotto Roberto Conte di Fiandra genero di Carlo Conte di Provenza e di Angiò, il quale venuto in Italia con buon numero di Cavalieri franzesi, in tal modo rilevò le cose de' Guelfi, e sbigottì i Ghibellini, che il Re Manfredi rivocò gran parte delle genti, che teneva sparse in Italia in favore de' Ghibellini; per la qual cosa i Guelfi di Toscana e di Romagna andarono ad incontrar Roberto, ed insieme con lui debellarono il Marchese Uberto Pallavicino. Il Re Manfredi per accorrere a' mali più gravi, si risolvè di passare egli in Campagna di Roma, e ponersi in luogo opportuno, ove potesse esser presto a vietare a' nemici l'entrata nel Regno, o venissero per la via d'Abruzzo, o di Terra di Lavoro; e subito andossene ad accampare con tutto l'esercito tra Frosinone ed Anagni[76].

Era allora il Papa in Viterbo, e volle che Roberto Conte di Fiandra con tutto l'esercito passasse di là, dove benignamente l'accolse, lodandolo ed accarezzando lui e gli altri Capi dell'esercito; e benedisse le bandiere e le genti, con esortarlo, che seguisse il viaggio felicemente, mandandolo carico di lodi e di promesse: delle quali gonfiato Roberto, si mosse con tanto impeto contra il Re Manfredi, che senza fermarsi in Roma un momento, andò ad accamparsi vicino a lui.

Ma il Re conoscendo, che non era per lui di fronteggiare nella campagna, ma più di munir le terre, e guardar i passi, per temporeggiare quella Nazione, che di natura è impaziente delle fatiche, quando vanno a lungo, si ritirò di quà dal Garigliano, da quella parte, che divide lo Stato della Chiesa dal Regno di Napoli; e già Roberto cercava di passar ancora quel fiume. Ma perchè la mano del Signore avea riserbato ad altri il ministerio della ruina di Manfredi, ecco che i Romani si ribellarono, e tolsero in tutto l'ubbidienza al Papa, e crearono un nuovo Magistrato detto de' Banderesi; per la qual cosa Urbano fu stretto a chiamare l'esercito franzese, per mantenere almeno con la persona sua il resto dello Stato ecclesiastico, che non seguisse l'esempio di Roma.

Non lasciò Manfredi di pigliare sì opportuna occasione, e di travagliarlo; poichè partito che fu dall'altra riva del fiume l'esercito nimico, passò solo coi Saraceni, ricusando i suoi Baroni regnicoli d'andare con lui ad offesa delle terre della Chiesa, col pretesto che l'obbligo loro era solo di militare per la difensione del Regno[77]; come se non fosse difender il Regno, con tal diversione abbattere le forze del nemico. Ma Manfredi cedendo al tempo, dissimulò l'abbandonamento, e con placidezza diede a tutti licenza, perchè partissero ed andassero quietamente alle lor case: gli richiese solamente a titolo d'imprestito, che lo sovvenissero di que' danari che aveano portato seco per le spese: ciò che fu trattato dal Conte di Caserta, e così fu fatto.

L'intrepido Re solamente co' suoi Saraceni andò verso Roma, e porgendo aiuto agli altri ribelli del Papa, perturbò tanto lo Stato ecclesiastico, che quelli Franzesi ch'erano venuti al soldo, non potendo aver le paghe, se ne ritornarono di là dall'Alpi, e gli altri che rimasero, appena bastarono a difenderlo.

71

Inveges Ann. di Palermo, tom. 3.

72

Anonym.

73

Tutin. de' Contest. del Regno fol. 67.

74

Anonym. Excusatorum itaque praedictorum allegationibus non discussis, ipse Summus Pontifex cum vinculo excommunicationis adstrinxit.

75

Rainald. ad ann. 1262 num. 21.

76

Costanzo lib. 2.

77

V. Jacob. de Ajello tract. de Adaha, num. 15.

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5

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