Читать книгу Le Mura Di Tarnek - Goran Segedinac - Страница 3

PROLOGO

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Tre giustizieri si facevano largo tra la folla, mantenendo con difficoltà la formazione a triangolo regolare ogni volta che un’ondata di persone si abbatteva su di loro. L’intenso sguardo sotto i cappucci dell’uniforme grigio-nera lasciava chiaramente intendere che non si trovavano lì per far compere. Impossibilitati a opporsi all’inerzia, i kasi si scusavano in fretta, abbassando lo sguardo, non appena qualcuno li sfiorava col corpo o si metteva di traverso sul loro cammino. Il primo dei tre, un pelo più corpulento degli altri, con l’estremità di un apparecchio tubolare che premeva loro con forza sul petto, ricordava a quei pochi individui sprovveduti di fare spazio per il passaggio. La loro scorta, senza perdere il passo, si girava all’indietro ogni tot metri e poi, soddisfatta della distanza alla quale lo spazio vuoto che avevano lasciato dietro di sé tornava a essere mercato, procedeva oltre.

Attraversarono in diagonale l’intera lunghezza della piazza e procedettero oltre, vicino ai pochi fortunati che offrivano la propria merce su banchi improvvisati. Quel che offrivano non era meno sporco di quanto era esposto a terra, ma perlomeno non correva il rischio di essere calpestato. Quando erano quasi arrivati in fondo alla via, si fermarono un istante e poi, come se si fossero accordati in silenzio, s’infilarono in fretta nello stretto spazio tra due banchi, finché il mare ribollente di vita si richiuse dietro di loro. Voci oranti si congiungevano sopra le loro teste, gli sguardi pescavano i bordi delle falde che sparivano, scivolavano e cadevano e, proprio quando sembrava che il senso di ristrettezza sarebbe diventato insopportabile, sbucarono nello spazio aperto di una delle strette strade secondarie. Per qualche minuto camminarono in silenzio tra mucchi di stracci e spazzatura e, quando il chiasso che si erano lasciati alle spalle divenne appena un quieto bisbiglio, il capofila si fermò e imprecò ad alta voce, abbassandosi il cappuccio.

“Se la prendesse il fuoco, questa lurida gentaglia!”.

Gli rispose la voce, di gran lunga più misurata, di un suo compagno.

“I kasi devono fare qualcosa”. Minstrel era noto per la sua pacatezza. In vent’anni che aveva servito l’Ordine, non c’era stata una situazione che gli avesse fatto perdere le staffe. I suoi occhi grigio-argentei fissavano allegri il suo interlocutore.

“Sembrano ratti, guarda che roba”.

Tutt’intorno a loro vi erano strati di spazzatura in cui, se si faceva attenzione, si potevano distinguere i rimasugli di cose che si erano guastate o avevano smesso di funzionare prima di essere offerte ai potenziali acquirenti. I mercanti le avevano depositate nelle stradine circostanti e avevano lasciato che si accumulassero, e quelle poche che ancora valevano le avrebbero comprate i mendicanti, gettandole poi dopo che avessero smesso di funzionare del tutto. Se si teneva presente che Piazza dell’Eroina era solo una delle dieci piazze cittadine, non c’era da stupirsi che Tarnek sembrasse un enorme immondezzaio.

“Le tue stanze non sono poi tanto meglio”, ribatté Minstrel. “Che dici, Gort, il nostro Tesos non è un kas fortunato? Ovunque si trovi, si sente sempre a casa”.

“Ora basta con le stupidaggini”. Anche se per corporatura non primeggiava sugli altri due, nella voce di Gort si poteva sentire un tono autoritario. “Quanta strada abbiamo fatto?”.

Tesos sbuffò e guardò il tubo con cui fino a poco prima si era aiutato con successo nel farsi strada, come se si aspettasse che gli avrebbe risposto.

“Abbastanza”, rispose Minstrel al posto suo. “Abbiamo attraversato tutta la Bocca Rossa, e sulla Via Polverosa ci siamo esibiti in modo abbastanza convincente”.

“Io le ho date per bene a un tizio”, intervenne Tesos. “Si ricorderà di me per tutto il giorno”.

“Be’”, continuò, “per quanto mi riguarda, nessuno può darci degli scansafatiche”.

“Un passo alla volta. Con tutti i problemi che abbiamo, non dobbiamo correre ulteriori rischi. Preferisco agire con cautela piuttosto che fare le cose di fretta come uno stupido”, rispose Gort.

“E quanti ne hai sistemati tu? O non ci hai fatto attenzione?”, lo punzecchiò Minstrel.

“Ho visto quel che ci basta da inserire nel resoconto. Dimmi, come risulterebbe il nostro rapporto di servizio serale se nessuno di noi fosse in grado di descrivere qual è la situazione nella nostra zona? O forse pensi che sarebbe furbo inventarcelo come Suvi e il suo plotone?”.

Minstrel non ribatté. Gort aveva ragione. Il trimestre scorso Suvi aveva ricevuto una nota disciplinare. Lui e un altro kas, di cui non sapeva il nome, erano finiti in brutto giro di gioco d’azzardo. In breve tempo erano tanto presi dalla passione appena scoperta che quasi non uscivano all’aperto. Trascorrevano le loro giornate nei seminterrati, circondati dalla feccia. Il controllo li aveva tenuti attentamente sott’occhio e alla fine aveva reagito. Probabilmente si sarebbero presto uniti alla gentaglia su qualche piazza.

Soddisfatto dell’effetto ottenuto, Gort continuò. “Bene, sbrighiamoci a chiudere questa faccenda. Minstrel ed io staremo di guardia. Ora andiamo laggiù, e se qualcosa va storto facciamo irruzione. Tu, come d’accordo, tieniti pronto per entrambi i piani”.

Tesos annuì.

“Non trattenerti troppo a lungo. Da’ loro quel che hai e prendi la merce contraffatta e il balsamo. Se sono in troppi, vieni subito fuori. Possiamo sempre giustificarlo come un controllo di routine. Non potranno dimostrare niente”.

“E se qualcuno di quella gentaglia fa qualcosa di pericoloso, datti una mossa e corri fuori. Non credo siano tanto stupidi, ma non puoi mai essere sicuro”, aggiunse Minstrel.

“Non ci proveranno neanche”, disse Tesos. “Il Verde è troppo sporco per prendersi gioco di noi. E finora è sempre stato un vero professionista”.

“Così dev’essere. In ogni caso, sta’ all’erta”.

“Questo è chiaro”, lo rassicurò Tesos. “Andiamo ora”.

Chi conosceva bene Tarnek si poteva muovere con facilità attraverso la rete di fitte strade e giungere senza grandi difficoltà alla destinazione desiderata. I meno pratici sarebbero impazziti per ore. Per gli esperti membri dell’Ordine valeva la prima regola. Più si addentravano nelle viscere della città, meno vi erano potenziali testimoni, e presto rimasero completamente soli. Non appena si trovarono in quelle circostanze, Tesos non poté più rilassarsi. L’impresa odierna non era qualcosa di cui si sarebbero vantati nell’Ordine, ma avevano deciso di realizzarla a tutti i costi. Anche Minstrel si era fatto serio, la sua tensione si leggeva chiaramente sul quel piccolo volto che il cappuccio non riusciva a nascondere. Il fatto che camminiamo per uno spazio deserto aumenta soltanto le probabilità di essere avvistati con più facilità, pensò. Le case e gli edifici circostanti erano pieni di finestre e fessure, e ognuna di esse poteva indicare la presenza di occhi indiscreti.

Il suono uniforme dei loro passi fu infine interrotto da Tesos. “Qui”, disse, e fece un cenno con la mano verso una casa a un piano tutta fatiscente che si ergeva in un angolo. Non si distingueva affatto dall’ambiente circostante se non per il fatto che, a differenza degli edifici vicini, non aveva una porta. Un tappeto spesso, quasi marcito sui bordi per l’umidità e la sporcizia, svolgeva tale funzione. Il luogo dell’incontro non aveva nulla di diverso rispetto ai numerosi nascondigli per i senzatetto che in città si contavano a centinaia. Era un posto scelto con assennatezza.

“Bene. Tutto procede secondo gli accordi, dunque. Ti aspettiamo”, tagliò corto Gort.

Senza esitare nemmeno un istante, Tesos abbassò la testa ed entrò.

Un corridoio insolitamente stretto, simile piuttosto a un tunnel, conduceva allo spazio quasi vuoto che componeva l’interno. Al centro della stanza si trovava un tavolo di legno, e quello era l’intero inventario. Di lì sorrideva un volto conosciuto.

“Sei arrivato”. Il Verde gli indicò con la mano una sedia vuota che lo stava aspettando.

“Verde”, disse Tesos in segno di saluto.

“Così mi chiamano”, rispose quello, e passò la mano tra i lunghi capelli dello stesso colore del suo soprannome. Aveva molti nomi, e nemmeno l’Ordine possedeva dati affidabili. La cosa non rappresentava un problema. Se hai bisogno del Verde, sarà lui a trovarti. Delinquente esperto, piccolo o pericoloso criminale, era quasi impossibile attribuirgli persino quei misfatti la cui paternità era senz’ombra di dubbio sua.

Tesos si sedette. La luce dell’unica candela accesa non sarà stata proprio una torcia, ma bastava, in combinazione con il suo udito sopraffino e l’esperienza pluriennale, perché lui avvertisse la presenza di qualcun altro.

“Come vanno le cose nell’Ordine ultimamente? Ci difendete sempre dal male?”. Negli ultimi tempi l’ironia era divenuta il tratto caratteristico di ogni criminale, e la cosa lo innervosiva. La crisi aveva indebolito la fiducia nella legge, e permesso alle comuni nullità di sentirsi superiori al sistema.

“Noi sterminiamo i criminali, se ti serve protezione dal male, rivolgiti alla Chiesa”.

Il Verde sorrise. “Mi piaci quando sei così tagliente. Pensavo che un criminale fosse necessariamente malvagio, ma ecco, con voi s’impara ogni giorno qualcosa di nuovo”.

“Non sono venuto qua per filosofeggiare”.

“Oh…”, la sua finta sorpresa era quasi credibile. “Accetta le mie scuse. Dimmi dunque, perché sei dove sei?”.

In tutta risposta, Tesos appoggiò il pesante tubo sul tavolo. Senza attendere la reazione dell’interlocutore, ne toccò la punta arrotondata, quindi la premette e fece un movimento semicircolare con la mano intorno alla nuda sommità. Il flebile rumore di un meccanismo squarciò l’oscurità. Palpò con le dita la giuntura, l’estremità opposta all’impugnatura saltò, si aprì, e rovesciò sul tavolo il suo contenuto, finora invisibile. Uno strano congegno simile a una grande mano di ferro giaceva contratto davanti a loro, legato al suo precedente nascondiglio da un cappio forte e sottile che Tesos strappò con un solo tiro, per poi gettare il contenitore a terra.

“Un pesce piccolo del sistema giudiziario ha deciso di vendere il suo prezioso trinciante”, commentò il Verde con un sorriso beffardo. “A essere sincero, mi aspettavo merce contraffatta”.

“Verme. Sapevi benissimo cosa stavo portando”.

“Sono solo realista, non mi sembra un delitto. O almeno non lo era l’ultima volta che ho ascoltato la legge. Inoltre, se ricordo bene, penso che il commercio di qualsiasi arma, figuriamoci dei celebri trincianti, sia severamente vietato. Almeno, un tempo lo era. Forse le cose sono cambiate”.

“Non provare a darmi lezioni”.

“Non ci penso neanche”, rispose il verde. “Dimmi, allora. Cosa ti porta a offrirmi questo?”.

“Non ho intenzione di discutere con te delle mie ragioni”.

“Quanta arroganza! Che cosa triste”. Sembrava che questa volta il Verde avesse riflettuto seriamente prima di parlare. “Faccio questo lavoro da oltre trent’anni. Spesso il prezzo che chiediamo dice più della stessa roba che offriamo. Ci parla delle nostre condizioni, del ceto, delle necessità e circostanze in cui ci troviamo. Se t’interessa, posso illustrarti le tipologie di mercante che preferisco”.

“Probabilmente chiunque riesci a spellare. Quelli della cui sfortuna puoi approfittare per bene”, tagliò corto Tesos.

Il Verde agitò la mano in aria.

“Non lo nego. Ma questo è lavoro, e tu non capisci proprio. Quel che io capisco perfettamente in tutta questa storia è che per l’arma più costosa del sottosuolo di Tarnek non mi hai chiesto né gioielli né vestiti”.

“Ti ho chiesto del balsamo”.

“Esatto. Se le colonne della società, gli onorevoli membri dell’Ordine, custodi dell’ordine pubblico e della legge, tradiscono i propri principi per ottenere del balsamo, allora posso concludere che ce la passiamo davvero brutta”. La sua voce assunse di nuovo un tono particolare. “Non mi fai fesso, quand’è stata l’ultima volta che te lo sei spalmato?”.

La domanda era straordinariamente maleducata, e Tesos si trattenne a fatica dal prenderlo per il collo. Come se quanto stava facendo non fosse già di per sé un’umiliazione sufficiente, gli toccava pure sopportare le offese della peggior feccia. Un tempo a elementi del genere avrebbe legato mani e piedi e li avrebbe gettati nelle Tenebre. Il Verde, un maestro del suo mestiere, si accorse del cambiamento sul volto dell’interlocutore. Non era una cosa difficile quando si aveva a che fare con Tesos. Nelle zone in cui prestava servizio si era sparsa molto in fretta la voce dei suoi scatti d’umore.

“Non prendertela, si scherza. Non vorrai mica mandare in rovina una trattativa così importante?”.

Ci vollero alcuni momenti perché si calmasse e gli rispondesse.

“Il tuo kas ha detto che mi avresti pagato bene per questo pezzo”.

“La cosa è relativa, dipende dai punti di vista. Quello che per te è un buon prezzo, per me può essere una minuzia insignificante. E viceversa”.

“Una riserva annuale di balsamo. Di prima scelta, uso quotidiano”.

Il Verde allargò i suoi denti neri in un tentativo di sorriso.

“Piano. Non ti stai un po’ sopravvalutando?”.

“Sai bene quel che ti offro. Non fare il finto tonto. Il sogno di ogni rinnegato di Tarnek è mettere le mani su una bellezza del genere. Un movimento del dito e apre il petto di un avversario. Fa un foro abbastanza grande da passarci attraverso”.

“Mi darebbe fastidio rimetterci la testa”.

“Come ti pare. Non è roba facile da reperire sul mercato nero”.

“I tuoi colleghi fanno offerte più vantaggiose. E sono anche più cortesi. Dicono che presto non ne avranno più bisogno. Sostengono che presto arriverà la salvezza dall’altra parte delle mura, e li guiderà nella luce futura. Forse si sono fatti irretire dalle storie dei santoni”.

Il Verde si comportava come se non sapesse con chi parlava. Anche se l’eresia fosse sbocciata, nessun abitante di Kazis avrebbe potuto lasciare la città in cui si era risvegliato. Quel privilegio inglorioso era riservato solo ai peggiori delinquenti, e li aveva sempre portati a morte certa. Creature terrificanti si aggiravano per i Territori. Anche se in teoria sarebbe stato possibile raggiungere le mura di qualche altra città di Kazis, non vi era speranza di ricevere il permesso di entrare. È lì dove ti sei risvegliato che ti addormenterai, e così andrà avanti in eterno. Vi erano confini precisi, invalicabili tra quel che rimane dentro e quel che abita fuori, e se qualcuno avesse provato a infrangere questa regola, il Custode se ne sarebbe occupato e lo avrebbe trascinato nel nulla. Solo i Reggenti e i Sommi Sacerdoti potevano comunicare tra loro, ed era una l’unico legame che testimoniava l’esistenza di un ordine dall’altra parte del muro. Perché quindi mentire in modo tanto stupido? Che cosa pensava di ottenere? Il suo padrone di casa era ovviamente soddisfatto dall’assenza di reazioni.

“Sei sorpreso. E devi esserlo”.

“Non sono sorpreso, sono soltanto stupito che tu sia un pessimo negoziatore”.

Quello rise sonoramente. “Non mi credi. Perché?”.

“Devo davvero risponderti?”, Tesos era davvero scoraggiato.

“Mi sottovaluti”.

“E tu mi consideri uno stupido”.

“Forse, ma non ha niente a che vedere con quel che ti sto dicendo. Non credere ciecamente a quel che ti propinano. Se vuoi, posso portarti con me la prossima volta che vado a fare rifornimenti. Anche se non ho niente a che spartire con l’Ordine, potresti essermi utile”.

“Se sei tanto cortese da lasciarmi dare una sbirciata ai tuoi affari, potrei sistemarti in una cella confortevole. Ammetti un fattuccio di cui sei sospettato, e ti accompagnerò personalmente in cima alle mura e ti farò conoscere il fuoco”.

“Così mi piaci, Tesos. Vedo che gli scherzi colpiscono”, si corresse e accennò con la testa davanti a sé. “Questo è un buon pezzo. Ti darò quanto chiedi, ma in quantità sufficiente per sei mesi”.

“Ma non ha senso. È un furto”.

“No, caro mio, il furto l’hai fatto tu. Per essere più precisi, penso che si possa definire appropriazione indebita dell’arsenale di Tarnek. Io mi occupo di commercio, e se facciamo le cose per benino sarà un peccato inferiore al tuo gesto”.

“Tu che parli di morale e peccato?”.

“Perché, non posso? C’è qualche differenza tra noi due in questo momento?”. Per quanto fosse cosciente del lavoro che svolgeva, sembrava che il Verde in qualche modo snaturato avesse un’alta considerazione di sé. Le prediche al suo onore non lo toccavano.

“Certo che ce ne sono. Ce ne sono sempre state e sempre ce ne saranno”.

“Non c’è alcuna differenza”, esclamò il Verde e sbatté la mano sul tavolo. Il pezzo sobbalzò, quasi quanto Tesos. Era abituato a ritrovarsi in situazioni tese, ma lo aveva colto impreparato. Lo spazio in cui si trovavano aveva un’influenza un po’ strana su di lui – la luce fioca giocava stranamente con la sua concentrazione.

Sembra si sia fatto più buio.

“Ti ho fatto una buona offerta. Accettala. È balsamo concentrato, e se lo diluisci ti durerà a lungo”.

“Non ci penso proprio a diluirlo. Avevamo un accordo. Gli altri partecipanti…”, Tesos si fermò. Senza pensarci, aveva svelato dei dettagli superflui.

“Non sei solo in questa cosa, e devi dividere il bottino con i tuoi complici che aspettano qua davanti”, terminò il Verde al posto suo.

Dunque sapeva, pensò Tesos. Era normalissimo e prevedibile che avesse le sue spie nei dintorni, probabilmente li avevano avvistati da un bel po’. Sperava solo che non provassero a fare qualcosa di stupido. Quel che lo preoccupava ulteriormente era il fatto che il contrabbandiere si stava davvero sforzando per rifilargli metà della merce. La domanda principale era se ci fosse ancora un modo di tornare indietro. Se si fosse alzato e incamminato, quello, per desiderio di vendetta, gli avrebbe potuto tirare un brutto gioco. Il Verde aveva una certa reputazione, e questa diceva che in qualsiasi affare, persino il più insolito, amava uscirne vincitore. Sapendo di aver raggiunto il punto di non ritorno, contro la propria natura impulsiva tentò di ribaltare un’ultima volta la cosa a proprio vantaggio.

“Alza il prezzo, devi tener presente che rischiamo molto”.

“E tu sai quanto rischio io procurandomi l’elisir vitale che mi chiedi con tanta arroganza? Non ne hai la benché minima idea, altri sarebbero grati anche per una quantità di gran lunga inferiore. Puoi vivere anche senza un trinciante, senza balsamo è ben più difficile”, la canaglia non aveva mostrato neanche per un istante di comprendere quanto Tesos gli stava offrendo in realtà. Il suo buonsenso si era ridotto a un puntolino minuscolo, la luce era appena sufficiente a illuminare il viso rugoso. Cacciò un grido, e la fiamma della candela tremolò.

“Non puoi fregarmi come un misero kas qualsiasi! Sono un membro dell’Ordine e ti sto offrendo un’arma maledetta che le canaglie come te possono soltanto sognarsi!”.

Sto per impazzire, pensò Tesos. Gli strapperò la testa a mani nude e mi prenderò da solo quel per cui sono venuto.

La stanza però era vuota, in un lembo della sua mente agitata a un tratto si fece strada la coscienza di questo fatto inquietante. Se doveva fare la consegna, dove, in nome del mondo, si trovava la sua parte? Forse è in qualche posto sicuro, rispose una voce tranquillizzante nella sua testa. È più che normale che il Verde abbia paura di essere ingannato.

“È affascinante sentire come parlate di coloro che promettete di proteggere non appena qualcuno vi fa perdere le staffe! Poveri kasi! Non c’è proprio da meravigliarsi che sempre più di loro cerchino aiuto al di fuori della legge!”. A minaccia seguiva minaccia, mano a mano che entrambi s’infervoravano.

“Un’altra parola e te ne pentirai! Ti ho già dato troppa corda!”. Gli occhi di Tesos brillavano argentei di collera. “Non sono venuto qua per parlare con gente della tua risma”.

Dall’altra parte del tavolo giunse una reazione più pacata, ma non meno velenosa.

“Non sei venuto per parlare con gente della mia risma?”, sibilò il Verde a labbra tese. “Ma lo hai fatto, Tesos, e te lo dirò una volta sola. Non far finta di essere superiore a noi solo perché ti sei risvegliato come difensore dell’ordine. Tutti voi che avete aperto gli occhi e avete avuto la fortuna di non dover soffrire per salvare la pelle avete portato i kasi al punto in cui sono. Pensate di essere migliori solo perché vi affidate a regole scritte da qualche idiota secoli fa? Pretendete di vivere proprio come chiunque altro, e siete abbastanza boriosi che alla fin fine vi autoconvincete di essere migliori degli altri”.

Oltre a provare una gran rabbia, comprendeva la situazione in cui si trovava. La loro decisione di vendere un trinciante era abbastanza pericolosa e preoccupante. Non avrebbe mai acconsentito se Gort non lo avesse rassicurato che il pezzo era finto, che non avrebbe avuto niente di diverso rispetto a quello che si trovava sul tavolo, a parte il fatto che non funzionava. Non era un gran problema, visto che un’arma di quel tipo si usava di rado. Trasferimenti, congedi e nuovi reclutamenti erano tanto comuni che se mai l’inganno fosse stato scoperto il trinciante semplicemente avrebbe cambiato proprietario. Forse anche più di uno. In ogni caso, non sarebbe stato piacevole se fosse stato scoperto. I complici forse avrebbero avuto la speranza di scontare la pena nelle Tenebre, ma lo aspettava di sicuro una pena severa. La morte definitiva. Un sonno senza risveglio. Al posto di concludere in fretta ciò per cui era venuto, il colloquio con il Verde non aveva mai preso la direzione voluta. Che succederà se ci tradirà in qualche modo? Un altro trucco del controllo. E quanto tempo era passato mentre parlavano in quella maledetta stanza? Minstrel e Gort avrebbero sospettato di qualcosa e agito di conseguenza? Non possono montare la guardia in eterno, e più a lungo si aspetta più aumentano i rischi. Sarebbe stato ancora peggio se fossero piombati all’interno e avessero rovinato tutto. Ci andava lui per uccidere il bandito. Purtroppo, senza pensarci su aveva tirato fuori il trinciante e quel pezzo letale era completamente inutile. Tirarsene fuori era facile. Chiunque avesse superato l’addestramento di base sapeva che prevedere come sarebbe finita era tutta un’altra storia.

Ci aspettavamo di ottenere di più.

E cos’era che lo aveva spinto avanti tutto il tempo, e che non gli dava pace da quando era entrato nella stanza?

L’attimo di silenzio aveva avuto un certo effetto sul Verde. Come se non ci fosse stata alcuna discussione, con voce seria fece un’offerta, e Tesos capì che era l’ultima che avrebbe fatto.

“Dieci mesi”.

“Accetto”, si arrese. La situazione lo aveva sfinito.

Il Verde girò la testa in direzione del muro. Tesos istintivamente accompagnò il suo sguardo. Non vedeva nient’altro che tenebre.

Quando sono entrato, là c’erano delle ombre. Ombre sul muro.

“Tornan, vieni fuori”.

Con passo leggero venne avanti sotto la debole luce un altro bandito. Portava un recipiente a forma di flaconcino col manico, abbastanza grande per quel che doveva contenere. Aveva un’aria visibilmente impaurita – la tensione tra i negoziatori aveva certamente lasciato un segno anche su di lui. Non eravamo soli, pensò Tesos. Anche uno stupido l’avrebbe previsto, nessun delinquente era tanto pazzo da camminare sul filo del rasoio con un giustiziere armato. Il Verde poteva anche avere una lama nascosta, ma il trinciante era l’incubo di ogni kas. Probabilmente aveva ordinato ai suoi di nascondersi al buio. A parte che non c’era tutto quel buio quando sei arrivato. Solo il muro e le ombre, non c’era nient’altro.

Tornan, senza dire una parola, poggiò la merce sul tavolo. Il Verde sollevò il coperchio e inclinò il recipiente affinché Tesos potesse guardarne l’interno.

“Ecco qua. Posso garantirne la qualità. Ti do la mia parola che sarai soddisfatto”.

Come se la tua parola valesse qualcosa per me, pensò l’altro e tirò fuori dalle maniche un ferro piuttosto lungo. Lo aveva portato proprio con quest’intenzione – non aveva pianificato di giocarsi la carta della fiducia. Penetrò la massa biancastra senza problemi fino a toccare il fondo. Tesos lo tirò fuori e ne avvicinò la punta alla luce della candela.

È così debole, proprio come avevamo previsto.

Il ferro era pulito, il composto non vi aveva lasciato traccia, e questo poteva significare soltanto una cosa. Tirò un sospiro di sollievo. Il balsamo era veramente di qualità superiore.

“Dunque l’affare è concluso?” domandò il Verde.

“Per quanto mi riguarda, sì” rispose Tesos.

“È stato un piacere. Tornan, prendi il pezzo”.

Il bandito eseguì l’ordine e i negoziatori si alzarono, alla fine decisamente soddisfatti della buona riuscita. Il rischio dell’intero affare era grande, e tutto si era concluso bene. Dopo aver diviso il bottino tra le parti, la vita poteva andare avanti. Tesos giurò solennemente a sé stesso che non si sarebbe mai più permesso di trovarsi in circostanze simili.

Fu allora che accadde.

All’inizio pensò che il suono venisse da fuori, ma poi capì che qualcosa si agitava nell’ombra. Ce ne sono altri lì dentro, ce ne sono altri nascosti. Un’imboscata. Istintivamente afferrò il tubo vuoto, senza mollare la presa sul prezioso recipiente, poi, ricordatosi che era rimasto senza il suo supporto più valido, con la mano libera tirò fuori in un lampo la corta lama che teneva dietro la cintura. Il Verde si spostò alla destra del suo tirapiedi, ma la visibilità era troppo debole perché Tesos potesse vedere l’espressione del suo viso. La sua voce gli fece capire qual che gli occhi non potevano.

“Che succede?”. Anche il bandito era turbato.

Al posto di rispondere Tornan lanciò un gemito. Come se fosse a chilometri di distanza, pensò il giustiziere. A un tratto il desiderio di fuggire prese il sopravvento su ogni precauzione e si slanciò verso l’uscita.

Peccato che non ci fosse più un’uscita. Anche se prima lì c’era il corridoio che lui stesso aveva percorso, ora al suo posto si estendeva una vuota tenebra, quasi viva. Non può essere vero. Veloce come un lampo, vibrò la lama, senza neanche sapere cosa sperava di ottenere, ma al posto del movimento desiderato fece un goffo mezzogiro su sé stesso e per poco non finì a terra. Si scivola come sull’olio, pensò. Il tavolo presso il quale si trovava fino a poco prima aveva perso ogni forma nella distanza, mentre la fiamma della candela era ormai un punto lontano nell’infinito. Laggiù da qualche parte c’era anche il Verde, non poteva vederlo ma sapeva che c’era.

Poi con un rumore spaventoso tutto prese a girare intorno a lui e l’oscurità prese una forma la cui esistenza gli fece perdere la ragione.

Mentre con gli ultimi brandelli di coscienza navigava in un mare di terrore, il suo corpo gridò.

Le Mura Di Tarnek

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