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Il beneficium tra trappole fatali e particolarismi regionali Una proposta metodologica per una nuova periodizzazione di uno strumento di relazione nel regno italico (secc. VIII–X) Manuel Fauliri Periodizzare: una trappola fatale?

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Negli ultimi decenni, all’interno di vivaci dibattiti storiografici, si è discusso a lungo in merito ai processi di transizione tra periodi diversi della storia medievale e sulle relative trasformazioni riscontrabili a seconda delle aree geografiche indagate. Negli anni Novanta del secolo scorso ad esempio, a seguito del progetto di ricerca internazionale intitolato The Transformation of the Roman World, è stata messa in atto una profonda opera di revisione e di messa in discussione nei confronti di tradizioni storiografiche da tempo consolidate. Nuove proposte interpretative, infatti, hanno permesso di evidenziare gli elementi di fluidità e di continuità tra antichità ed età medievale in contrasto con la lettura tradizionale che vedeva piuttosto una netta cesura coincidente con la caduta dell’Impero romano d’Occidente.1 Negli stessi anni, d’altro canto, anche un tema come il feudalesimo è stato oggetto di intense discussioni che hanno visto emergere posizioni molto diverse arrivando in alcuni casi a proporre il superamento di tale concetto.2

In tale cornice storiografica si inserisce anche il tema del beneficium, che tuttavia negli ultimi decenni è stato in parte accantonato dalla ricerca specie per quanto riguarda l’epoca altomedievale. Si tratta di uno strumento impiegato nella creazione di relazioni che tradizionalmente è stato letto come cardine del rapporto vassallatico-beneficiario, impiegato dunque prevalentemente in un contesto militare, e che sarebbe stato introdotto in Italia dai Franchi dopo la conquista del regno longobardo nell’estate del 774.3 Anche per lo studio del beneficium si pone quindi un problema di periodizzazione, che d’altra parte si presenta in ogni indagine storica. In effetti, come ha ricordato Walter Pohl, “scrivere la storia richiede una riduzione della complessità del passato, che sarebbe altrimenti impossibile da raccontare”4, ma lo studioso austriaco ha osservato al tempo stesso che una riduzione eccessiva del passato rischierebbe di essere fuorviante ostacolando di fatto la ricostruzione della complessità storica. Ecco dunque che la periodizzazione è stata percepita da Julia Smith come una “trappola fatale per gli storici”5, sebbene tale operazione sia di fatto “indispensabile, quasi un respiro naturale del ragionamento storico”6, come ebbe modo di osservare Andrea Giardina in un saggio teso a riflettere sulla diffusione del concetto di tardoantico. Charles S. Maier ha notato, in particolare, come la periodizzazione sia volta a rispondere a una domanda implicita nel suo agire, vale a dire “cosa è importante?”, ma importante in un senso particolare “come nesso decisivo di una catena sequenziale o narrativa di ‘prima e dopo’”7, arrivando alla conclusione che la periodizzazione “è un concetto che non ha a che fare con gli avvenimenti, che possono essere separati in qualsiasi punto della loro successione cronologica, bensì con il loro significato.”8

Appare dunque evidente nelle indagini storiche la necessità di ancorarsi a dei punti fermi, costituiti dalle date e dalle localizzazioni specifiche di determinati eventi, che vanno tuttavia collocati in una più ampia cornice storica sebbene comunque, come sottolineato da Glen Bowersock, “stabilire dove situarli è un atto di interpretazione”.9 Al problema della periodizzazione si aggiunge quindi anche la questione della differenziazione a livello regionale, altro elemento di cui tenere conto nelle indagini storiche. Nell’analisi dei fenomeni storici entrambe le questioni sono in effetti imprescindibili e con esse lo storico si trova necessariamente a confrontarsi, per non rischiare di appiattire l’indagine su preconcetti temporali o su narrazioni basate su una dimensione nazionale che non tengano conto delle varietà locali. Anche nello studio di una forma di concessione come il beneficium si avverte, infatti, la necessità di esplorare un panorama geografico ampio che consenta comparazioni tra gli usi di tale strumento in vari contesti locali e di individuare riferimenti cronologici che, come si avrà modo di vedere, non siano obbligatoriamente vincolati alle partizioni temporali tradizionali.

In questo articolo intendo dunque analizzare il tema del beneficium nel regno italico di tradizione longobarda tenendo conto delle nuove prospettive storiografiche, non numerose ma significative, che negli ultimi anni sono emerse soprattutto in ambito tedesco e anglosassone. Si tratta di ricerche preliminari che andrebbero ulteriormente sviluppate ma che ho cercato di avviare non tanto per rispondere in maniera netta all’annosa questione relativa alla continuità o discontinuità che la conquista carolingia comportò per il regno italico, ma per provare a comprendere in che modo lo strumento del beneficium, nei primi decenni di occupazione franca e poi nella fase successiva, abbia permesso la formazione di nuove reti di rapporti e in che misura si sia rivelato uno strumento utile per creare una nuova coesione sociale. L’articolo è dunque suddiviso in due parti: la prima dedicata alle questioni storiografiche relative al tema, con particolare attenzione ai più recenti approcci che potrebbero offrire nuovi strumenti per indagare il beneficium anche nel contesto italico; nella seconda invece cercherò di affrontare, alla luce delle questioni discusse nella prima parte, alcuni casi particolarmente significativi per osservare gli usi e le principali caratteristiche dello strumento beneficiario.

Geschichte und Region/Storia e regione 29/2 (2020)

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