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II.

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Mentre Swift consacravasi interamente al suo gusto per la letteratura, mentre e questa e l'amicizia del suo illustre mecenate sembravano promettergli il più ridente avvenire, egli s'apparecchiava da sè medesimo, senza avvedersene, una sequela di disgrazie pel rimanente de' suoi giorni. Durante il suo soggiorno a Moor-Park fece la conoscenza di Ester Johnson, più conosciuta sotto il poetico nome di Stella.

Swift, troppo fidandosi nel suo temperamento freddo ed incostante, che, secondo lui, lo avrebbe salvato dai contrarre impegni di cuore imprudenti, aveva risoluto di non pensare ad ammogliarsi se non quando si fosse procacciati saldi e sicuri mezzi di sussistenza; conscio in oltre a sè stesso della propria incontentabilità, prevedea possibile il caso di differir tanto una tale risoluzione, che lo sopraggiugnesse prima la morte. Laonde, allorchè il suo nobile amico credea scorgere in lui i sintomi d'una amorosa passione, egli rispondeva queste apparenze altro non essere che l'effetto del suo umore attivo, inquieto e bisognoso sempre di nuovi alimenti; essere sempre suo stile il cogliere la prima occasione di divagamento che gli si offriva; trovarla talvolta in una galanteria insignificante; così accadere nella corrispondenza interpostasi tra esso e la giovinetta di cui si parlava.

«È un'assuefazione,» dicea, «dalla quale son padrone di staccarmi quando me ne verrà il talento, e che abbandonerò sul più bello senza dolermene di sorta alcuna.»

A questa specie d'amore ne succedè un altro ben più serio; Giovanna Waryng, sorella del suo amico di collegio che abbiamo dianzi commemorato, da lui chiamata, con una ricercatezza poetica, fredda anzichè no, Varina, si era conciliate le attenzioni di lui durante il soggiorno che avea fatto in Irlanda.

Una lettera scritta da esso quattro anni dopo alla stessa persona, portava l'impronta di sentimenti ben diversi dai primi; Varina era sparita; scriveva a miss Waryng; ma durante l'intervallo di quattro anni potevano esser accadute ben molte particolarità a noi sconosciute; e sarebbe forse un'ingiustizia il giudicar severamente la condotta di Swift, che la resistenza ostinata di Varina non avea predisposto ad una subitanea offerta di capitolazione[3].

La morte del cavaliere Guglielmo Temple pose fine a quella fortunata e tranquilla esistenza che Swift avea goduto pel corso di quattro anni a Moor-Park. Il cavaliere Guglielmo, che aveva saputo valutare l'amicizia disinteressata di Swift, gli lasciò un legato in danari, oltre ai suoi manoscritti, che senza dubbio Swift apprezzava molto di più.[4]

Poco appresso, Swift si trasferì nell'Irlanda in compagnia di lord Berkeley. Dopo alcune dissensioni avvenute tra lui e questo lord, ottenne il benefizio di Saracor: ma non tardò a gettarsi di nuovo dalle cure ecclesiastiche in quelle della politica.

Nel 1710 si restituì in Inghilterra, ove allora incominciarono le sue ostilità contra i whigh e la sua lega con lord Harley e col ministero.

La sua nomina al decanato di San Patrizio fu sottoscritta il 23 febbraio 1715, e nei primi giorni del successivo giugno Swift partì da Londra per andare a prendere possesso di un benefizio che a' suoi occhi era tutt'al più, come lo ha detto spesse volte, un onorevole esilio. Di fatto niuno sarebbesi mai aspettato che l'inaudito favore in cui fu avuto dal governo lo condurrebbe unicamente al godimento d'un benefizio in Irlanda, allontanandolo da quegli stessi ministri, i quali essendo soliti consultarlo, oltre alle delizie che ritraevano dalla sua società, ne impiegavano i talenti a difendere la loro causa. Senza dubbio non fu minore del cruccio la sorpresa prodotta in Swift da un simile tratto, sorpresa tanto più giusta, perchè alcuni anni prima gli stessi ministri aveano ricusato di nominarlo vescovo d'Irlanda pel bisogno in cui si vedeano di tenerselo appresso.

Mistress Johnson aveva abbandonata la patria e compromessa la propria fama per dividere il destino dell'uomo amato fin d'allorquando questo destino non presentava alcuna prospettiva di divenir luminoso. Quand'anche non vi fosse stata una stipulazione di nozze, tanti sagrifizi fatti da questa donna per lui avrebbero dovuto per Swift tener luogo d'una solenne promessa di matrimonio. Pure Swift ci pensava sì poco, che pregò il suo antico istitutore ed amico Sante Giorgio Ashe, allora divenuto vescovo di Clogher, a cercare di scoprire quali fossero i motivi della malinconia che opprimeva Stella; i motivi erano tali quali doveva rappresentarli a Swift la sua coscienza medesima; egli non aveva altro che un mezzo per farla convinta di amarla tuttavia e per metterla in salvo dalle dicerie della calunnia. La risposta di Swift alla comunicazione del suo vecchio istitutore si fu: aver egli, Swift, stabilite due risoluzioni rispetto al matrimonio, l'una di non ammogliarsi finchè non si fosse assicurato un patrimonio sufficiente, l'altra di non pensare a ciò se non in un'età nella quale egli potesse ragionevolmente sperar di vedere collocati convenientemente i propri figli; non creder egli che fosse abbastanza indipendente la propria sussistenza; essere tuttavia molestato da debiti; quanto agli anni, avere già passata l'età in cui aveva risoluto di non contrarre più nozze; che nondimeno avrebbe sposata Stella, purchè il loro matrimonio fosse tenuto segreto, e sotto patto di continuare a vivere separati ed osservando la stessa circospezione di prima. A queste dure condizioni Stella si rassegnò, perchè se non altro la liberavano dai suoi scrupoli, e calmavano i gelosi timori da lei concepiti che Swift potesse una volta o l'altra sposare la sua rivale. Swift e Stella vennero uniti in nozze nel giardino del decanato dal vescovo di Clogher, correndo l'anno 1716.

Seguita appena, a quanto sembra, la cerimonia, Swift fu in preda ad una spaventosa agitazione di spirito. Delany (a quanto si è saputo da un amico della stessa vedova di Swift), chiamato a dire la sua opinione su questa stravaganza, raccontò di avere ai giorni in circa in cui le nozze erano seguite, notata in Swift una straordinaria cupa malinconia confinante col delirio, che si portò quindi presso l'arcivescovo King per notificargli i propri timori. Mentre entrava nella biblioteca di questo prelato, Swift ne usciva precipitosamente con fisonomia stralunata, e gli passò da vicino senza dirgli nulla. Trovò l'arcivescovo dolente, e chiestogliene il motivo, udì rispondersi: «Voi avete incontrato l'uomo il più infelice che viva sopra la terra; ma guardatevi dal farmi nessuna interrogazione su l'origine della sua disgrazia». Giova soggiugnere la conclusione che Delany dedusse da tutto ciò; secondo esso, Swift sarebbe dopo il matrimonio venuto a scoprire di essere parente in prossimissimo grado della Stella, e ne avrebbe fatta allora la confidenza all'arcivescovo; ma le espressioni del prelato non indicano nulla di simile; oltrechè v'ha delle prove positive che tal parentado non poteva sussistere.

Dopo la celebrazione delle predette nozze, Swift stette diversi giorni senza vedere nessuno. Uscito del suo ritiro, continuò a vivere serbando la stessa circospezione con la Stella a fine di allontanare ogni sospetto d'intrinsichezza con essa, quasi che una tale intrinsichezza non fosse stata d'allora in poi e legittima e lodevole. Ancorchè dunque la Stella continuasse ad essere la diletta ed intima amica di Swift, ancorchè ella facesse i convenevoli della sua mensa, non vi comparve giammai che in qualità di persona convitata; fedele di lui compagna, ne era l'infermiera in tempo di malattia, ma non mai formalmente moglie, ed anzi cotali nozze rimanevano un segreto per la generalità.

Gli affari della sua chiesa cattedrale, scompigliati dalla resistenza del suo capitolo, e talvolta ancora dall'intervento dell'arcivescovo King, impiegavano molta parte del suo tempo, ma tali difficoltà vennero insensibilmente appianate dal convincimento divenuto universale delle rette intenzioni del decano e del disinteressato di lui zelo pel mantenimento dei diritti e degl'interessi della sua chiesa; laonde coll'andar del tempo acquistò tal preponderanza nel capitolo, che ben di rado le proposte fatte da lui trovarono oppositori. La bisogna delle investiture ecclesiastiche e delle loro rinovazioni gli diede lunghe occupazioni in appresso. Dee credersi ciò non ostante che in tutto quel tempo Swift non lasciasse affatto da un lato lo studio; si sono trovate alcune osservazioni ch'egli scriveva in quel tempo sopra Erodoto, Filostrato ed Aulo Gellio, le quali danno a supporre che s'intertenesse assai nella lettura di quegli antichi, ciò che s'accorda con le molte pagine in bianco che si sono vedute intromesse ad arte nella legatura dei volumi su i quali ha lasciate delle annotazioni. È naturale l'immaginarsi che non avesse dimenticato gli scrittori classici, quand'anche d'altra parte non fosse noto che, durante il suo soggiorno a Gaulstown, il poema di Lucrezio era la lettura sua favorita. Il catalogo dei libri che componeano la sua biblioteca e le note di lui manoscritte sono la più autentica prova dello squisito suo gusto.

Cotali studi non bastavano ad un uomo che aveva presa una parte sì operosa nella politica durante la sua dimora nell'Inghilterra. Si è creduto, ed è assai probabile, che in quel tempo Swift abbia concepito il disegno dei Viaggi di Gulliver. Si trova il germe di tale opera famosa nei Viaggi di Martino Scriblero, probabilmente divisati prima che la proscrizione avesse sgominato il club letterario. L'aspetto, sotto cui Swift considerava i pubblici affari dopo la morte della regina Anna collima coi tratti satirici dei Viaggi di Gulliver. Oltrechè, in una lettera a Vanessa allude al caso occorso a Gulliver con la scimia di Brobdingnac, e si trae dalla stessa corrispondenza, che nel 1722 Swift leggeva parecchie relazioni di viaggi. Egli racconta a mistress Whiteway, ciò che ha ripetuto in appresso, di aver tolti dall'opere dei viaggiatori tutti i termini marinareschi del Gulliver. È pertanto credibile che i Viaggi di Gulliver sieno stati abbozzati nel tempo da noi indicato, ancorchè vi si trovino commemorate delle particolarità che si riferiscono alla politica di un'epoca posteriore.

Nell'anno 1720, Swift abbandonò le sue occupazioni ed i suoi passatempi per mostrarsi di bel nuovo sul politico aringo, non per dir vero in forma di avvocato e panegirista di un ministero, ma qual difensore intrepido ed incessante d'un popolo oppresso. Mai fuvvi nazione che più dell'Irlanda abbisognasse di un simile difensore. La prosperità di cui dessa aveva goduto sotto gli Stuardi, era stata interrotta da una guerra civile, l'esito della quale avea costretto il fiore della nobiltà e degli ufiziali militari nazionali ad andar banditi dalla loro patria. La popolazione cattolica di quel reame, eccitando diffidenza, veniva tacciata della più assoluta incapacità.

Il parlamento d'Inghilterra, che si era arrogata l'autorità di crear leggi per l'Irlanda, se ne prevaleva per restrignerne in tutti i modi possibili il commercio e per assoggettarla al regno dell'Inghilterra, da cui la tenea dipendente. Gli statuti del decimo e dell'undecimo anno del regno di Guglielmo III vietavano l'asportazione delle mercanzie di lana in qualunque luogo che non fosse l'Inghilterra o il principato di Galles, in conseguenza della qual legge le manifatture irlandesi soggiacquero ad una perdita che fu valutata un milione di lire sterline.

Non surse nella camera dei comuni un'unica voce per combattere quelle massime altrettanto contrarie alla politica, quanto tiranniche e degne d'una piccola corporazione di bottegai di villaggio, non mai del senato antiveggente d'un popolo libero. Col voler seguire tali principii, si accumulavano ingiustizie sopra ingiustizie, al che si aggiugneva l'insulto, col vantaggio per gli aggressori di poter atterrire gli oppressi popoli dell'Irlanda e ridurli al silenzio col gridarli ribelli e giacobiti. Swift contemplava questi mali con tutta l'indegnazione d'un carattere inclinato per natura ad opporsi alla tirannide. Pubblicò le Lettere del Pannaiuolo, invigorite dalla forza della ragione, scintillanti di spirito, maestrevoli per l'arte con cui vengono ordinati e presentati i ragionamenti e collocati i frizzi a lor posto.

La popolarità di Swift fu quella di tutti quegli uomini che in un'epoca critica e decisiva hanno avuta la fortuna di prestare alla patria loro un grande servigio. Per tutto il tempo in cui gli fu dato uscire di casa, le benedizioni del popolo lo accompagnarono; per ogni città donde passava, riceveva l'accoglienza che sarebbesi fatta ad un principe. Al primo avviso di un pericolo che sovrastasse al DECANO (titolo che era divenuto il sinonimo di Swift), tutti accorrevano in sua difesa. Walpole si era posto in mente di far arrestare Swift; un prudente amico gli chiese se avesse diecimila uomini da dare di scorta al messo che porterebbe il mandato d'arresto.

Le fragilità umane di Swift, se bene atte di loro natura a dar pascolo al cicaleccio maligno del volgo, venivano coperte dal pietoso rispetto di un'affezione filiale. Tutti i vicerè dell'Irlanda che, comprendendo fra essi l'affabile Cartenet e l'altero Dorset, non poteano del certo amare la politica di Swift (forse non ne amavano nemmeno la persona), si videro costretti a rispettarne la politica ed a capitolare col suo zelo. Lo scadimento delle mentali di lui facoltà fu un lutto per quella intera contrada; il dolore del suo popolo lo accompagnò nel sepolcro, e sono ben pochi gli autori irlandesi che non abbiano tributato alla memoria di Swift un tale omaggio di gratitudine sì giustamente dovutogli.

Viaggi di Gulliver nelle lontane regioni

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