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CAPITOLO I

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"Ci saranno alberi quando saremo lì?", chiede Susie, colma di curiosità.

Lei e i suoi compagni sono nella classe di scuola elementare della signora Gladstones (o "sessione di apprendimento", come viene chiamata ora). Ogni volta che qualcuno accenna a un albero, un cane o una nuvola, i bambini spalancano gli occhi, ringalluzziti.

La signora Gladstones, non sapendo bene cosa rispondere, dice: "Lo spero bene. Vorrei vederlo coi miei occhi. Non sarebbe carino svolgere la nostra sessione di apprendimento accanto a un albero?".

I bambini urlano "Sìììì" all'unisono, e Susie continua, emozionata: "Non dovremo aspettare ancora molto per scoprirlo, vero Ms. Gladstones?"

"No, per niente, considerato quanto abbiamo già aspettato", risponde la premurosa maestra.

I bambini sono comprensibilmente emozionati. Il loro entusiasmo è incontrollabile. Non hanno mai visto quelle cose, a parte nei video d'archivio dell'astronave. Certi fatti vengono spiegati ai bambini quando sono maturi. I bambini forse non hanno bisogno di sapere alcuni fra gli aspetti più inquietanti della vita (o della storia, in questo caso).

In un altro settore dell'astronave, alcuni ragazzini stanno studiando e discutendo l'instabilità sociale sulla Terra, che è il motivo per cui si trovano ora sull'astronave.

"Ci sono domande?", chiede Mr. Tordin. Lascia agli studenti del tempo per processare ciò che gli stanno insegnando.

"Io ne ho una", dichiara Xamous, uno degli alunni più promettenti. "Quand'è che lei pensa sia stato troppo tardi per loro per sistemare i problemi sulla Terra?"

"Temo che nessuno di noi possa realmente saperlo, Xamous", risponde Mr. Tordin in tono di scuse. "Ecco perché qui poniamo l'accento sull'etica. Se impareremo a trattare meglio le persone e daremo a ciò la priorità, avendone cura, allora saremo sicuri di non subire un medesimo destino".

Parlano, ovviamente, della presunta fine della Terra. Presunta, poiché era trascorso così tanto tempo da quando avevano abbandonato la Terra, che non vi era stata comunicazione, eccetto per i primi due anni. Nell'anno 2400 la popolazione terrestre era aumentata fin quasi 50 miliardi. A regnare era il caos, e molte persone non potevano essere monitorate o tenute sotto controllo dalla legge. Far rispettare la legge divenne sempre più difficile, finché non ci si provò nemmeno più. Le persone più ricche si ritirò in luoghi strategici (le città, di solito) dove poter servirsi di strumenti di difesa territoriale, e furono in grado di preservare tali roccaforti. Avendo bisogno di alcuni beni disponibili solo all'esterno, c'erano loro rappresentanti che riuscivano a stabilire contatti con cartelli situati all'esterno. Questi cartelli, a loro volta, controllavano sufficientemente bene le masse da prevenire invasioni.

La vita all'esterno consisteva nel fare tutto ciò che fosse necessario a sopravvivere, anche azioni discutibili. Uccidere o derubare era normale come camminare per strada. Ogni cosa che si potesse vendere, si vendeva, senza alcun problema. Droghe, risorse e perfino vite umane erano un commercio onesto. Chi si trovava dentro i confini delle città sapeva che era solo questione di tempo, prima che i capi dei cartelli divenissero più ambiziosi e tentassero di accaparrarsi le città.

I più ricchi sapevano che il degrado sociale avrebbe alla fine portato al collasso totale dell'umanità, trasformando le persone in creature selvagge. "Uccidere o essere uccisi" sarebbe diventata una regola di vita quotidiana (se di vita si può parlare).

Consci dell'inevitabilità della cosa, quegli stessi miliardari lanciarono il più ambizioso programma spaziale di sempre, al fine di salvare il genere umano. Consisteva nel trasportare un equipaggio di cinquecento persone su un pianeta che si sperava avrebbe supportato la vita umana. Il pianeta l'avevano scoperto, ma il viaggio sarebbe durato quasi trecento anni.

Tutti coloro che avevano sempre sognato di viaggiare nello spazio credevano che avrebbero sfrecciato da un pianeta a un altro alla velocità della luce e oltre. Tuttavia, benché persino gli scienziati terrestri avessero compiuto progressi nella propulsione, ciò era semplicemente impraticabile; tra l'altro, la fine della Terra si stava avvicinando.

Erano stati compiuti molti altri progressi nel campo, ad esempio, della medicina (sebbene non disponibili a chi viveva all'esterno), della genetica e della nutrizione. Che una società responsabile di progressi stupefacenti sarebbe stata schiacciata dalla barbarie, era davvero ironico.

Sarebbe trascorsi quasi venti anni, prima che l'astronave potesse finalmente iniziare il viaggio. La missione era assai ardua, ed era un biglietto di sola andata, in fondo. C'era in ballo tutto, e non ci si poteva sbagliare. Ci vollero quasi tutti quegli anni solo per costruire l'astronave, e per evitare il deteriorarsi delle componenti, lo si fece in orbita terrestre. Una delle sfide maggiori fu trovare il modo di impostare una gravità artificiale, ma ci si riuscì. Nel frattempo, in superficie si continuava a lavorare.

Ai genetisti di primo piano spettò il compito di verificare che nessun partecipante alla missione avesse una qualche predisposizione al cancro o altre malattie. Dovettero sostenere severi esami che escludessero comportamenti psicotici. Affinché un giorno, chissà dove, fosse preservato un campione totale del genere umano, vi furono incluse tutte le razze terrestri.

Una volta selezionati i candidati idonei, li si sottopose a un addestramento che li preparasse al radicale cambiamento. Ciò doveva essere accertato prima che la missione fosse cominciata. Inoltre, un accordo li obbligava a contribuire alla procreazione, al fine di perpetuare la specie. Considerato che in quasi trecento anni si sarebbero susseguite diverse generazioni, era importante che ciò si radicasse non solo nei primi passeggeri, ma anche nelle generazioni nate là.

Infine, l'equipaggio sarebbe stato confermato e mandato in isolamento; qui sarebbe stato sottoposto a lunghe procedure che assicurassero l'assenza di patogeni a bordo della nave. Non si poteva rischiare di compromettere lo sterile ambiente interno. Soddisfatti tali criteri, la missione poté finalmente avviarsi.

Il Cicala cominciò il proprio viaggio con un equipaggio di cinquecento uomini e donne, di età compresa fra venti e quaranta anni. Con un intervallo del genere, una generazione intera non sarebbe potuta scomparire in una sola volta. Poiché l'astronave e la missione erano progettate per un equipaggio di cinquecento persone, era essenziale che tale cifra non eccedesse. In seguito a una morte, a una delle coppie sarebbe toccato di intraprendere una gravidanza. Fatta eccezione per un occasionale parto gemellare, a nessuna coppia si sarebbe mai permesso di avere un secondo figlio. Aderendo strettamente a queste linee guida, ogni coppia avrebbe avuto l'opportunità di avere un figlio.

Da quasi trecento anni il Cicala stava trasportando i propri residenti verso la loro destinazione. Ora, 30 giorni li separano da ciò che sperano sarà la loro nuova casa. Se così sarà, quale significato assumerà il termine “giornata”? Le loro unità di misura sono ancora i minuti e le ore, ma secondo l'orbita del pianeta, la rotazione, ecc., a cosa corrisponde un giorno, o un anno?

L'astronave fu chiamata “Cicala” come la famiglia di insetti terrestri, che raggiungono la maturità dopo un lungo ciclo biologico. Dato il tempo che sarebbe trascorso, il nome sembrava appropriato. Un'altra similarità col proprio omonimo è l'aspetto della nave: sei sporgenze ai lati, come zampe d'insetto (sono rappresentazioni di zampe, sebbene non lunghe e pronunciate, ma corte e squadrate). I loro vari scopi derivano dal bisogno di avere varie e differenti aree per le molte attività a bordo; dopotutto, la nave è contemporaneamente casa, scuola, luogo di lavoro, mezzo di trasporto persone e merci e ogni altra cosa immaginabile. Si prende cura di ogni fase della vita del proprio equipaggio, dalla nascita alla morte.

Capolavoro di ingegneria, rappresenta un testamento dei suoi premurosi creatori. E' insolito usare tali parole per descrivere un'astronave di trecento anni, ma nel vuoto spaziale totale non è invecchiata. Gli interni non furono rifiniti, poiché l'atmosfera interna avrebbe col tempo rovinato le rifiniture. C'è, quindi, soltanto del metallo pulito e liscio, che nei secoli ha sviluppato una patina grigia.

Per molti, moltissimi decenni i membri dell'equipaggio hanno passato le proprie vite a sbirciare le stelle e le costellazioni dai piccoli portali della nave. Nella vastità dello spazio, queste stelle ci danno l'impressione di essere fermi, anche se magari viaggiamo a migliaia di chilometri al secondo. Benché le stelle sembrino immobili, la loro posizione cambia nel tempo. Così è stato per gli astronomi del Cicala. Ogni stella alla fine risultava in una posizione diversa, eccetto una. Fin dall'inizio della missione, nei registri venne indicata la presenza del “Guardiano”. Non compariva in nessuna mappa stellare; semplicemente, un giorno era lì dove non era stato mai. A tutti, fin dall'infanzia, veniva insegnato a riconoscerlo. Lo osservavano mentre diventavano grandi e in seguito lo facevano conoscere ai proprio figli. Era sempre lì: la stella più brillante del firmamento. Era come se avesse compiuto tutto il tragitto assieme a loro, per proteggerli e divertirli. Chi possedeva convinzioni religiose attribuiva la sua presenza alla Divinità. Altri ipotizzavano che forse una razza aliena provasse interesse verso questa specie alle prime armi con i viaggi spaziali. Ma sembra improbabile che un'intelligenza aliena mandi un veicolo per osservare qualcun altro per trecento anni. Per tutte queste generazioni, il Guardiano sarebbe stato il centro dell'attenzione di tutti nella loro osservazione verso l'esterno. Ora, però, a un mese dalla destinazione, c'è molto più di cui restare affascinati.

Quando il Cicala aveva lasciato la Terra, la propria propulsione l'aveva spinta fuori dal sistema solare terrestre. In uno spazio libero da pianeti, asteroidi o altri corpi celesti, si poteva portare la propulsione al massimo. Essendo stata raggiunta la velocità di punta, il sistema di propulsione era stato spento. Tale velocità sarebbe rimasta costante salvo interruzioni o azioni su di essa. E' impossibile immagazzinare carburante a sufficienza per spingere un veicolo per trecento anni; non è neanche necessario, dato che il vuoto spaziale permette una velocità costante. Quando, però, ci si avvicina a destinazione e si sta entrando in un altro sistema solare, è indispensabile rallentare la velocità. Tale rallentamento è effettuato attivando i freni anteriori a poco a poco. La capacità di carburante era tale che, dopo il primo lancio, era rimasto del carburante extra, nel caso di interruzione e conseguente riavvio della missione (problema, questo, non occorso). Ce n'era anche una parte destinata alla ricerca e all'impostazione di un'orbita idonea, una volta arrivati.

Il viaggio non fu vano, e il culmine della missione è vicino. Se Susie riuscirà a vedere i suoi alberi, sarà il tempo a dirlo. C'è ancora molto da fare prima che questo diventi realtà.

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