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XIX

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Mentre questi discorsi si svolgevano in casa del conte Besuhow, la carrozza che portava Piero, mandato a chiamare, e la Drubezkoi, che avea stimato bene accompagnarlo, entrava nel cortile del palazzo. Quando le ruote fecero stridere lievemente la paglia sparsa davanti la facciata, la Drubezkoi si volse al suo compagno per dirgli qualche parola di consolazione, e lo vide dormire placidamente. Svegliatolo, smontarono; e solo allora si risovvenne Piero dell’imminente colloquio col padre moribondo. Notò che erano entrati per la porta posteriore. Nel punto di metter piede a terra, vide due uomini vestiti di nero nascondersi solleciti nell’ombra del muro; e poi anche altri ed altri simili ai due primi. Nessuno vi badò, nè la Drubezkoi, nè il cocchiere, nè il fantino venuto ad aprir lo sportello; epperò, parve a Piero che così dovesse essere e non altrimenti. Seguì senza aprir bocca, la Drubezkoi che montava rapidamente un’angusta scaletta fiocamente illuminata; e benchè non capisse la necessità di vedere il conte e ancor meno quell’introdursi quasi furtivo per la scala di servizio, pensò, giudicando dalla sicurezza e dalla fretta della sua compagna, che tutto ciò fosse indispensabile. A metà della scala, per poco non furono trabalzati da alcuni uomini che scendevano con gran rumore di zoccoli portando secchie di acqua. Gli uomini si strinsero al muro per far passare i due visitatori, ma non manifestarono in vederli il minimo stupore.

— È di qua l’appartamento delle principessine? – domandò la Drubezkoi.

— Di qua, – rispose uno degli uomini con voce forte, pressochè insolente, come se oramai tutto fosse lecito. – Di qua, l’uscio a sinistra.

— Può anche darsi che il conte non mi abbia chiamato, – disse Piero giungendo sul pianerottolo. – In tal caso, me n’andrei in camera mia.

Anna Drubezkoi si fermò un momento, gli sfiorò la mano, come già la mattina avea fatto col figlio, e gli disse con voce dolente:

— Ah! credetemi, amico mio, io soffro non meno di voi... Ma siate uomo!

— Sarà meglio che me ne vada, non vi pare? – domandò Piero, guardandola bonariamente di sopra gli occhiali.

— Dimenticate, amico mio, tutti i torti, se mai ne patiste. Ricordatevi che è vostro padre... vostro padre, forse, morente. Io vi ho subito voluto bene come ad un figlio. Abbiate fede in me, Piero... Non perderò di vista i vostri interessi.

Piero seguitava a non capire; ma anche questa volta gli sembrò che tutto fosse nell’ordine naturale delle cose, epperò seguì ciecamente la Drubezkoi, che già spingeva una porta e procedeva oltre.

Entrarono nell’anticamera posteriore. In un angolo, stava seduto un vecchio servo delle principessine, intento a far la calza. Piero non era mai stato in questa parte della casa, e non ne sospettava nemmeno l’esistenza. Una ragazza con un vassoio e una bottiglia d’acqua passò loro davanti; e la Drubezkoi, chiamandola bambina mia e carina mia, le domandò della salute delle principessine. Infilarono un corridoio, dopo del quale la prima porta a sinistra menava nelle camere delle principessine. La ragazza col vassoio ne varcò la soglia, e, nella fretta (tutto, in quei momenti e in quella casa, facevasi in fretta) non badò a tirarsi dietro l’uscio. Passandovi davanti, Piero e la Drubezkoi involontariamente spinsero dentro un’occhiata in quella precisa camera, dove il principe Basilio era in colloquio con la maggiore delle tre sorelle. Il principe, nel vederli, fece un atto d’impazienza e si tirò indietro; la principessina balzò da sedere, e con un gesto furibondo sbatacchiò e richiuse la porta.

Così insolita era quella furia nella gelida principessina, e così mal s’accordava l’imbarazzo impaziente alla gravità del principe Basilio, che Piero si fermò e volse alla sua guida uno sguardo interrogativo. La Drubezkoi, senza mostrare il minimo stupore, sorrise e trasse un sospiro, come per dire che tutto questo ella se l’aspettava.

— Siate uomo, amico mio. Guarderò io ai vostri interessi, – disse ancora una volta.

Di che si trattasse, che cosa volesse dire quella faccenda degli interessi, Piero non intendeva nè punto nè poco. Parevagli però che così, e non altrimenti, doveva essere. Andati oltre, entrarono in una sala contigua al salotto del conte. Era una delle camere fredde e sontuose, che già più volte Piero avea visto. Ora però vi si ergeva nel mezzo una tinozza da bagno, dalla quale scorreva l’acqua sul tappeto. Vennero loro incontro in punta di piedi un servo e un chierico con in mano un incensiere; ma ai due estranei non badarono punto. Passarono finalmente nella grande sala di ricevimento che dava sul giardino d’inverno, ornato di un busto e di un ritratto, grandezza naturale, dell’imperatrice Caterina. Le stesse persone, quasi nelle medesime posizioni, discorrevano qui sommesso. Tutti tacquero, guardando alla faccia pallida e lagrimosa della Drubezkoi e al giovane alto e membruto che a capo chino le teneva dietro.

La Drubezkoi diceva chiaro con l’espressione del viso, che il momento decisivo era venuto. Entrò con passo ardito, più che non avesse fatto il mattino, sicura oramai di esser ricevuta, visto che conduceva colui che il morente bramava vedere. Girato intorno un rapido sguardo, e scorto il confessore del conte, gli si accostò reverente, facendosi più piccola della persona, e ne prese devota e commossa la benedizione.

— Sia lode a Dio, – disse, – arriviamo in tempo. Tutti noi parenti si avea tanta paura... Questo giovane (e qui abbassava la voce) è il figlio del conte. Che momenti terribili!

Ciò detto, si volse al dottore.

— Caro, caro dottore... Questo giovane qui è il figlio... Dite, c’è speranza?

Il dottore alzò gli occhi e le spalle. La Drubezkoi fece lo stesso, strinse forte le palpebre, sospirò, tornò da Piero.

— Abbiate fede, – gli si volse con malinconica e tenera deferenza, – abbiate fede nella misericordia di Dio... Aspettatemi qui.

E indicatogli un divanetto, si diresse con lievi passi alla porta cui tutti gli occhi eran rivolti, la spinse e disparve.

Piero, deliberato ad obbedirle in tutto e per tutto, si avviò al divanetto indicatogli. Sentì subito di esser l’oggetto di una sollecita e rispettosa curiosità. Tutti bisbigliavano, mostrandoselo con occhi tra paurosi e servili. Lo colmavano d’insoliti riguardi. Una signora, che discorreva coi preti, si alzò e gli offrì il posto; un ufficiale raccattò un guanto ch’egli s’era lasciato cadere e glielo porse; i dottori tacquero rispettosi e si tirarono indietro per dargli il passo. Piero volea, dapprima, non disturbar la signora, raccattar da sè il guanto, cansare i dottori che del resto non gli attraversavano niente affatto la via, ma capì che la cosa sarebbe stata una sgarberia, capì che proprio da lui aspettavasi il compimento di chi sa mai qual rito terribile, e che per conseguenza doveva accettare, senza far motto, i servigi di tutti. Pigliò il guanto dall’ufficiale, occupò il posto cedutogli dalla signora, posò le grosse mani sulle ginocchia, e stette così immobile come un idolo, dicendosi che così appunto doveva essere, e che, a non voler commettere scioccherie o sbadataggini, gli bisognava rinunziare a qualunque personale iniziativa e darsi in completa balìa di coloro che lo guidavano.

Di lì a qualche minuto, entrò il principe Basilio, maestoso, eretta la testa, ornato il petto di tre decorazioni. Girò gli occhi intorno, che pareano nella faccia smagrita più grandi del solito. Si accostò a Piero, gli prese la mano (il che non avea fatto mai), e gliela tirò in giù, come per provare se era bene attaccata al polso.

— Siate uomo, amico mio. Ha voluto che vi si chiamasse. Era giusto, doveroso, – e fece atto di allontanarsi.

— E come va, – balbettò Piero trattenendolo, – come va la salute di... del...

Non sapeva se chiamarlo conte o mio padre.

— Ancora un colpo mezz’ora fa. Coraggio, amico mio, siate uomo!

Piero era così confuso, che alla parola colpo, si figurò trattarsi di una percossa. Sbarrò tanto d’occhi, e solo dopo un poco, gli balenò l’idea che il colpo poteva essere una malattia. Il principe Basilio intanto, susurrate due parole al dottore, si avviò in punta di piedi alla porta. Non era buono a camminar così, epperò dondolava e torcevasi con tutto il corpo. Dopo di lui, entrò la principessina maggiore, e sulle orme di lei passarono i preti, i chierici, i servi. Si udì di là dalla porta un movimento, e finalmente ne venne fuori la Drubezkoi, pallida, smarrita, ma più che mai risoluta all’adempimento del suo doloroso dovere. Accostatasi a Piero, lo prese per mano..

— La misericordia del Signore è inesauribile. Comincia l’estrema unzione. Venite, venite...

Piero macchinalmente la seguì, non senza notare che anche l’ufficiale, la signora, ed altri ed altri tra servi ed estranei gli tenevan dietro, come se oramai non ci fosse più bisogno di domandar licenza per entrare in quella camera.

Guerra e pace. Ediz. integrale

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