Читать книгу Roberta - Luciano Zùccoli - Страница 5

PREFAZIONE.

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Sarebbe difficile dire quali fossero esattamente le intenzioni dell'autore di Roberta allorchè egli scrisse, tra il 1896 e il 1897, quel romanzo. Certo, non intendeva compiere una rivoluzione letteraria, nè fondare una scuola; scriveva allora così sinceramente, per impeto di passione e per commozione d'animo, come scrive oggi. Egli viveva in una villa di quella incantevole Riviera di Levante, di cui sono nel libro parecchi tentativi di descrizione. Gli venne l'estro dallo spettacolo del mare, dalle luci stupende, dalla gioia della natura che è, per tutta quella plaga, così ricca e possente? Gli venne l'ispirazione da qualche ora di vita vissuta, più notevole e strana, perchè infinitamente malinconica in quella ridente cornice?

Forse e per l'una e per l'altra cagione scrisse Roberta; per la tristezza dei casi umani, per la bellezza degli spettacoli naturali; e l'una e l'altra gli consigliarono una forma calda fino alla violenza, bizzarra e impreveduta, carica d'imagini e di comparazioni originali. Poi diede il libro alle stampe e non se ne curò più.

Ma rileggendo oggi il volume, per questa nuova edizione messa fuori dalla Casa Treves, l'autore s'è accorto che veramente c'era ragione a schiamazzare come schiamazzarono i critici di quel tempo.

In Roberta la forma—l'ho detto—è libera, strana, senza freno, impetuosa, ardita. Sfogliamo insieme qualche pagina, e troviamo qualche esempio. L'autore si sforza di personificare ogni senso ed ogni sentimento e di chiudere un pensiero nel più stretto cerchio di parole che gli sia possibile. «Mai,—dice sul principio—mai come quando le due sorelle si gettavano una nelle braccia dell'altra, mai come allora eran così fresche reduci dall'odio, mai come allora avevan sentito passar sulle reni una cosa viscida e molle, che si chiama ribrezzo». «I suoi pensieri sfilavano come una torma di volpi azzurre sul disco bianco della luna». «Doveva attraversare le foreste millenarie della passione, che tutte le donne pari a lei, avevano attraversato». «La sua giovanezza era una chiara fonte in un parco abbandonato». «Le vecchie regole morali erano goffe come una processione di gesuiti attraverso a una folla di donne scarlatte». «E le idee dei tempi rosei mutavano in una fuga di statue a cui il cuore appendeva corone di rimpianto e di rimorso».

Curioso a dirsi; nel mentre vado sfogliando quel romanzo e citando poche imagini tra mille, mi soprapprende il pensiero che l'autore di Roberta sia stato un precursore. Oserei dire, un precursore del futurismo; ma d'un futurismo che non sconvolgeva nè il vocabolario nè la grammatica, e che voleva essere prima di tutto sintetico e pronto, immediato e dritto. Pare che Roberta volesse dire una parola meno usata in quei tempi, vent'anni or sono, in cui o si imitava il D'Annunzio, o si scriveva pedestremente, conversando alla buona col lettore e mescolando la propria personalità con la personalità delle figure che dovevan vivere la loro vita nel romanzo. E l'autore, qua e là, nelle sue pagine, riduce l'imagine e il pensiero, per brevità, «al motto d'un anello», come direbbe Amleto; e ne esce una musica delle più inattese, che può essere bella, che può essere brutta, ma che non è la fanfara festiva e stridente a cui siamo abituati.

E così, per dare alcuni altri pochi esempi, ecco «la giornata simmetrica che si dissolve nel circolo del tempo», «gli amici, figure scialbe divenute più pallide in quell'ora di porpora», ed ecco imagini anche più inquietanti: «Egli avrebbe potuto comporre un facile poema, se avesse avuto l'espressione letteraria e la pazienza d'arrestare gli scoiattoli molleggianti sulle branche della fantasia». «Era dunque possibile che le agili e bianche dita salissero al corpetto e intonassero la sinfonia classica dei bottoni che si slacciano?».

Con questa sinfonia, chiudiamo; quantunque per tutto il libro, per tutte le pagine; siano sparse largamente imagini così poco usate; e mentre stiamo per riporlo, ci cade sotto gli occhi ancora questo inatteso pensiero: «la voluttà più astuta non lascia traccia se non in ricordi simili a pigmei, i quali corrano dove son passati i giganti».

Bisogna dirlo: un libro simile, e in quei tempi, non poteva passare inosservato; e mentre l'autore di Roberta aveva scritto con ingenuità sincera, cercando d'animare innanzi a se stesso le fantasie che gli eran care, tutti i critici gli furono addosso, accusandolo d'aver voluto sforzar la nota, d'aver cercato a tutt'i costi una originalità violenta, d'aver dato un esempio pernicioso, il quale non poteva servire che a fondare una scuola più pazzesca che nuova.

Lo si trattò veramente a guisa d'un precursore: e quale precursore fu mai trattato bene? Si battagliò intorno al libro con una passione e un vigore che oggi i critici non hanno più. In una sola cosa furono d'accordo coloro che giudicavano sui giornali: nel gridare al pericolo delle imitazioni, le quali avrebbero precipitato la letteratura in un abisso di follia. Avancinio Avancini, chiamando l'autore di Roberta palloncino gonfiato (Risveglio Educativo, 12 giugno 1897) e pur non negando che nel cervello di lui una certa dose di fosforo ci fosse, alzò la voce perchè la tesi di Roberta era immorale: e «questo precursore del secolo ventesimo» diceva «nasconde sotto l'artifizio retorico una grande povertà di buon senso».

E Luigi Pirandello, il quale dava conto dei libri nella Rassegna Universale di Roma con lo pseudonimo di Giulian Dorpelli, si turbò al pensiero che Roberta potesse dar vita a una serie numerosa d'imitatori. E falciando largamente tra le imagini onde il romanzo traboccava, e citandole ad esempio da fuggirsi, dichiarava che l'autore con quella sua barca parata di pennoncelli sarebbe presto andato a finire «sulle secche della follia»; ma, aggiungeva con tristezza, «sentirete come batteran le code i pòmpili seguaci tra la scìa spumosa……

I pòmpili seguaci non ci furono; per avvivarli e tirarseli dietro, occorreva che l'autore di Roberta scrivesse un altro libro di quel colore, un altro poema balzano; e il futurismo sarebbe stato fondato; un futurismo, intendo, di sostanza e di pensiero, rosso d'imagini e protervo d'idee. Ma l'autore di Roberta non fu tanto sgominato dall'urlar della critica, quanto dal timore di dover presto rispondere di tutte le corbellerie che gli imitatori avrebbero scritto in suo nome…. Il precursore non diede il secondo volume, non calò il secondo colpo; e poichè gli anni—1898!—volgevano tristi per il paese, si diede alla politica, e stette dal 1898 al 1902 silenzioso per tutte le forme d'arte letteraria.

Così i pòmpili seguaci intravisti dal Pirandello guizzarono per altre acque, dietro altre barche con altri pennoncelli; e l'autore di Roberta non deve rispondere oggi d'una scuola, ma di un giovanile tentativo di rivolta, d'un'orgia poetica ch'egli si largì per divertire se stesso innanzi agli altri. Fu ebbro, liberamente; ruppe gli argini alla fantasia, lasciandola prorompere, dilagare, infuriare; parlò di passione e di morte, d'odio e d'amore; cantò la bellezza femminile, la gioia della vita, la fatalità della morte, la ricchezza della natura invitta e crudele…. Poi tacque cinque anni, battendosi tra le fazioni politiche e cercando istintivamente l'impopolarità la più pericolosa…. L'autore di Roberta non trovò, per questo, non dico la forza, ma la voglia di fondare una scuola letteraria, e non la troverà mai.

Posso andarne mallevadore, perchè l'autore di Roberta sono io.

Roberta

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