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II.

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Uno scoglio scabro crivellato dalle trafitte secolari dei marosi, si tuffava nel mare ardendo sotto il sole: era uno scoglio grigio, su cui il piede s'incastrava fra le spaccature; spesso era uno scoglio bruno, quando la spuma crepitante giungeva a superarlo, colando ai fianchi in piccoli torrenti lattei.

Nella cabina drizzata a ridosso delle rocce sovrastanti alla spiaggia, Emilia vestì l'abito pel mare; un abito tutto candido, costellato di fioretti d'oro con le foglioline d'oro; i piccoli piedi ricoverati nei sandali, ella tentò studiosamente lo scoglio che li afferrava come nel pugno d'un innamorato; s'avanzò, cercò il proprio riflesso nell'onda, si buttò a capofitto, sparve, riapparve lontana, tagliando con le braccia nude l'acqua ritmicamente.

L'acqua! Emilia l'aveva sempre temuta e vi si abbandonava con un piacere non privo di fremiti…. L'acqua che poteva essere la morte, l'onda che aveva la forza di dieci leoni scatenati, l'acqua e l'onda l'attiravano, le parlavano, la cullavano perfidamente, ed Emilia non sapeva se un giorno non si sarebbero chiuse sopra la sua testa, eternando la conquista giovanile.

Il corpo di lei, peregrinando nell'abisso tra le gòrgoni, avrebbe seguito le correnti sotto il piano del mare; con gli occhi spalancati avrebbe visto gli scafi delle navi sommerse, i resti dei naviganti deformi e tentacolari per i filamenti delle alghe…. Laggiù avevan tomba molti cadaveri d'uomini e di donne, ancòra paludati dalle vele entro le barche, o avviluppati ancòra tra le erbe viscide…. Ma non godevano quiete e sentivano la vita mostruosa che pullulava intorno a loro.

Pel brivido che quei pensieri le scandevano sulle reni e sugli òmeri, Emilia si spinse allo scoglio, lo risalì, e in un accappatoio bianco dal cappuccio aguzzo stette a guardare la superficie maliarda, un po' gonfia all'orizzonte. Il sole violento bruciava lo scoglio e la spiaggia; la donna, i gomiti sulle ginocchia e la testa fra le mani, tornò a imbrancarsi nel gregge silente delle sue fantasie, delle memorie senza forma, delle sensazioni vibrate a un tratto nel cervello, le quali parevano uscire un attimo da una guaina di cose vissute.

Emilia non era più fanciulla, ma era stata donna per così poco tempo, che i guanciali del suo letto avevan dimenticato l'impronta d'una testa maschile e la luce del suo corpo risplendeva nell'alcova deserta. Era vedova da due anni; ma il desiderio di chiudere la solitudine dell'anima le faceva sembrar quel tempo assai lontano.

Aveva gli occhi grigi; i capelli neri avvolti intorno alla testa e attorti presso le orecchie, davano qualche riflesso d'acciaio.

Ella entrava sola nel talamo e sola riposava. Le era avvenuto forse di svegliarsi nella notte e d'irritarsi per uno di quegli arguti sogni, che non lascian tregua, popolano la mente di fiamme, soffiano sulle carni; le era avvenuto forse di stendere le braccia disperatamente nell'ombra, e di piegarsi ad arco sotto lo spasimo del sogno che sfiora e sfugge…. Ma giungeva l'alba a quietarla, e il torpore invece del sonno…. Si guardava nello specchio al mattino, e vedeva sotto gli occhi puri un livido cerchio.

Anch'ella navigava per un ampio oceano di dubbii; non aveva mai trovato chi la guardasse senza invidia o senza libidine; stupita che tutto ponesse capo all'odio o all'amore, avrebbe voluto un senso nuovo e tranquillo.

I suoi pensieri sfilavano come una torma di volpi azzurre sul disco bianco della luna; si disperdevano, s'interrompevano, riprendevano tutto il giorno fra lo svolgersi isocrono d'una vita femminile incapace a mutar l'avvenire con la sola forza della propria volontà.

Emilia era votata al destino, tremendo nella sua indomabile dolcezza, che aspetta la donna, bella e giovane. Nessuno avrebbe potuto dubitarne; un altro uomo sarebbe arrivato a conquistarla poichè era giovane e bella. Doveva vivere le delizie meschine dell'amore; traversare le foreste millenarie della passione, che tutte le donne pari a lei hanno traversato.

Ella non possedeva memorie d'amore, le quali non fossero anche ricordi di morte. Se si chiedeva chi l'aveva baciata, si rispondeva che chi l'aveva baciata era morto, lasciando la sua giovanezza in mezzo a un cumulo di rovine; una chiara fonte in un parco abbandonato.

Ma da qualche tempo i sogni molestavano la sua alcova deserta, e anche sotto la selvaggia prepotenza della luce diurna, Emilia avrebbe potuto stendere le braccia e sentir fuggire nell'aria i fantasmi quasi afferrabili, divenutile crudelmente familiari. Il corpo roseo tra la pelurie bianca dell'accappatoio sembrava chiamar quei fantasmi, nascenti dalla mollizie del bagno, ridenti nel gorgogliare delle acque, un istante prima così funeste e minacciose.

Era la vita, l'anima incoercibile della giovanezza, da cui i raggi si espandevano con lunga chioma di luce; sciogliendo l'accappatoio per rivestire l'abito da passeggio, tutto il fulgore delle membra prorompeva, saliva, stupiva ella medesima…. Quante volte non aveva sentito che la dimane era certa, e la dissoluzione aspettava ogni sua grazia mortale, così gelosamente ornata di cure assidue?

Ma il giorno era pigro, lentissimo, in quella campagna marina. Dal sorgere del sole al calar della luna sembravano passare dei secoli; dal frinire delle cicale al gracchiar delle rane, era un giorno e un'epopea di sensazioni. Il mare solo, il cielo solo bastavano per una sfilata gigantesca di spiriti senza nome.

La folla aveva dimenticato il piccolo paese. Non v'erano alberghi: visto dal mare era un gruppo e una distesa d'edifici spinti fino all'ultimo limite della terra, ove l'acqua spaziava o si drizzava nella furia delle tempeste. Dietro il vivente ammasso di case si snodava la strada, che dall'altro lato, verso le colline, aveva alcune ville non illustri, coi giardini grigi per il predominio degli ulivi.

E tutti i giorni Emilia tornava, dal bagno alla villetta, ove l'attendevano Roberta e le piccole cose le quali aiutano a precipitar le ore: un libro, una lettera, un discorso con Roberta appena convalescente, una passeggiata per le camere ombrose. Ma, breve come un lampo o lungo come uno spasimo, imperava il sogno sognato ad occhi aperti sopra una poltrona a dondolo; e le due sorelle abbandonate nelle due poltrone, sognavano ad occhi aperti con le mani sulle ginocchia in atteggiamento da idoli insensibili; mentre quel tempo precipitava, che esse dovevano piangere in avvenire per l'ineffabile attrattiva delle cose perdute.

Dì sera, il giardino era tutto una festa; certi fiori non s'aprivano se non nell'umidità dell'ombra, ed effondevano un odor vellutato, un odor misterioso di notte romantica ed antica. Fra i bassi filari degli aranci, migliaia di lucciole nottiludie trescavano, vibrando i piccoli lampi verdognoli, alternando la loro luce così, da sembrare la fosforescenza delle acque sotto i raggi di luna. Erano disposte a brevi intervalli sapienti; volavano e lampeggiavano ad intervalli, s'innalzavano fin sopra la casa e ritornavano ai filari degli alberelli e vibravano la luce mite, che bastava a inebbriarle co' suoi giuochi puerili.

Emilia scendeva nel giardino ad aspirare il profumo selvatico delle notti serene. Coglieva a volo nelle mani bianche e sottili qualche lucciola sperduta e la posava tra i capelli, ridendo in su, verso Roberta che guardava dalla finestra. I cani abbaiavano invisibili, sui colli neri; i palmizii non si muovevano per alito d'aria; il silenzio massimo non era calato per anco sulla terra, ma già i romori s'affievolivano a grado a grado. In breve il sonno penetrava negli umili edifizii, mentre tutte le cose non umane proseguivano il loro ciclo eterno, senza fatica.

Ma innanzi al letto, Emilia si chiedeva s'ella pure avrebbe dormito. Le pareva che inutilmente la sua alcova fosse chiusa: qualcuno vi passeggiava in ispirito ogni sera. Inutilmente celava il suo corpo sotto vesti senza linee: qualcuno l'aveva già posseduto in ispirito e conosceva l'arco mortifero del suo braccio, ove la testa dell'amante avrebbe riposato presso il seno.

Le vecchie regole morali che avevano fiancheggiate la sua adolescenza, e a cui Emilia ricorreva per salvezza, si rivelavano goffe come una processione di gesuiti attraverso a una folla di donna scarlatte.

Altre volte, ogni formula imperativa era agevole, un sentiero diritto per una campagna senza sterpi; ma procedendo, a poco a poco la strada invasa da viluppi d'erba tenace, si smarriva in una palude di verde sdrucciolo.

E le idee scarne assolute dei tempi rosei mutavano in una fuga di statue, a cui il cuore appendeva corone di rimpianto o di rimorso….

Così, prima che sorgesse il dramma, la giornata simmetrica si dissolveva nel circolo del tempo.

Roberta

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