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III.

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Mentre Cesare Lascaris percorreva la strada ineguale, a piccole salite e a piccole discese, tra il villaggio e Pieve di Sori, Emilia comparve ritornando dal bagno, per un viottolo di fianco digradante al mare.

Aveva un gaio abito lilla, e camminava con passo così leggero, che non avrebbe lasciato orma se il terriccio fosse stato di cera liquefatta. Portava alta la testa, un po' indietro; fra le labbra semichiuse apparivano i denti candidi.

Ambedue i giovani eran diretti verso Pieve, a una passeggiata; da parecchi giorni non si erano visti. Emilia gradì l'offerta d'accompagnarla.

Imperava dovunque una molle rilassatezza. La campagna verde, a sinistra, inturgidiva sotto il calor sensuale; oltre la strada, a destra, il mare si stendeva ampio; e tra i due azzurri cupi del cielo e delle acque, una vela, porporina di raggi, somigliava a una svelta lingua di fuoco. Era uno di quei giorni frequenti, in cui la complessa vita d'ogni cosa ha una solennità d'indimenticabile concordia; e dagli umili ai più alti gradi della scala creativa, tutto gioisce d'un benessere il quale sembra eterno, senza possibilità di mutamenti, senza ricordi d'altri stati meno giocondi. Nulla rammentava il tempo, la parabola triste, la decadenza, la morte; era nell'aria una galoppata di note ilari, un inno d'oblio e d'impassibilità quasi non crudele per ogni miseria.

Emilia aperse il parasole bianco a merletti: intorno alla testa e alle spalle, le sfolgorò uno scudo rotondo, una parma di luce scintillante.

Ella sentiva la gioia d'essere tra quella pomposa gioia di vita;

Cesare al suo fianco, ritraendosi un poco, la studiava furtivamente.

Parlarono, sul principio, di cose leggère, variazioni di temi comuni cui era troppo difficile sfuggire in quel giorno: la tranquillità della campagna, i paragoni tra la campagna e la città, furono i temi. Poi Emilia parlò di sua sorella.

Percorrevano allora l'ultimo tratto di strada nelle vicinanze di Pieve; a destra, il muricciuolo di riparo era finito, e sul pendio scendente alla spiaggia, i pini marittimi svelti s'arrampicavano, chiudendo tra i naturali intercolunnii le trasparenti chiazze dell'acqua cerulea.

Emilia, di tempo in tempo, guardava Cesare in volto, ed egli vedeva i due occhi grigi sotto le ale delicate delle sopracciglia fissarsi in lui con espressione di grande fiducia.

Molte piccole cose significanti erano avvenute, da quando la cameriera di Emilia era corsa a cercarlo per supplire momentaneamente il dottor Noli al letto di Roberta.

Cesare aveva preso vivo interesse alla malattia di questa, aveva confortato Emilia con parole d'amicizia, le quali eran giunte strane e inaspettate a lui medesimo; e allorchè Roberta s'era infine potuta levare, l'opera del buon dottor Noli era parsa alle due sorelle ancor meno efficace, ancor meno provvidenziale che il soccorso opportuno di Cesare.

E,—fra le grandi cose,—dal giorno in cui la malattia aveva fatto la sua ricomparsa, qualche legame non visibile aveva aggiogato le due donne alla sorte del giovane; l'invitto soffio del destino aveva sfiorato le tre esistenze.

—Dunque,—domandò Emilia, acuendo l'intensità dello sguardo,—Ella non crede mortale la malattia di Roberta? Fra tanti medici consultati, non uno mi ha detto chiaramente si trattasse d'etisia…. Se fosse altro, una cosa semplice? Non è possibile? Mi dica….

Cesare pensava all'immancabile fatalità che tutti quanti sono a fianco d'un ammalato s'ingannino sull'importanza e sui progressi del morbo. Il bisogno di sperare è testardo nell'uomo; e Cesare aveva udito parecchie volte i consanguinei negar l'evidenza, e gioire del miglioramento che precede di ventiquattr'ore la morte.

—È possibile, senza dubbio,—egli affermò, dopo essersi interrogato e risposto che non aveva alcun motivo a mostrarsi rudemente sincero.—La signorina Roberta è assai giovane, e, oltre questo, ogni momento s'incontrano dei casi di guarigione spontanea.

—Non è vero?—esclamò Emilia, arrestandosi un attimo.—Essa è uscita dal letto, passeggia, si nutre volontieri; sta proprio bene…. Come potrebbe riammalarsi?…

Cesare lanciò alla donna uno sguardo non visto. Quella fede assurda, quell'inganno puerile, in cui Emilia cadeva, pel solo indizio che i moribondi giacciono a letto e Roberta era in piedi, commossero l'uomo, il quale sapeva l'avvenire. Trovò dolce essere assurdo a sua volta e negar l'evidenza, come una sfida al domani…..

—Non dubiti,—soggiunse,—è certo che altre crisi non si presenteranno.

—Anche il dottor Noli me lo ha fatto sperare…. Sarebbe così terribile!—mormorò Emilia, rivedendo con la memoria la giornata di sangue.—Abbiamo tanto sofferto, l'ultima volta!… ed io ho accolto Lei in un modo abbastanza strano,—aggiunse mentre sorrideva quasi umilmente.

Oh sì, in modo strano; lo pensava anche Cesare, il quale per l'abitudine di ricercar le cause, da qualche tempo andava studiando le ragioni che lo avevano indotto, a frequentare la casa delle due sorelle; e aveva creduto trovarne una, nella orgogliosa necessità di farsi ben conoscere, di mostrarsi migliore di quanto egli non fosse, poichè ancòra gli stillava nell'animo la ferita dell'ingiusta diffidenza.

Ma pronunziò sùbito alcune frasi comuni, per rassicurare Emilia sulla impressione di quella accoglienza; ed egli stesso in fondo all'animo sentiva una curiosa tenerezza per la ruvidità inabituale, che la donna aveva mostrato nel terribile giorno di paura e di sollecitudine.

—Roberta è tutta la mia vita,—ella disse.—Quando non vi fossero tra me e lei così stretti vincoli di parentela, basterebbe la delicatezza della sua salute per rendermela cara, preziosa…. Per ciò, ho diritto a sapere, come una madre; ho diritto a non essere ingannata pietosamente.

Ancòra la franchezza delle parole piacque al Lascaris, quantunque fosse ben lungi dal riconoscere quel diritto, o almeno la necessità di obbedirgli.

Ella taceva, guardando alcune donne, le quali andavano a rivendere, con un canestro di pesce o di frutta sulla testa; due carri uno dietro l'altro, a quattro o cinque cavalli in fila, romoreggiavano pesantemente, e nella discesa il freno guaiva sui toni più striduli. Cesare approfittò dell'attenzione ch'ella prestava allo spettacolo caratteristico, per osservare con qualche agio la sua compagna.

Appariva tranquillamente superba di bellezza; irradiato dal senso di equilibrio ch'era in ogni cosa intorno, il volto calmo aveva particolari squisiti: gli occhi grigi a mandorla ornati di ciglia lunghe, il naso diritto con piccole narici, la bocca purissima dalle labbra vive.

Conservava fresche le linee, che il male aveva atrofizzate o guaste in Roberta; onde, la figura era snella, la elasticità delle membra era nel passo libero e ritmico, nei movimenti di grazia, nella stessa curva del braccio e della mano, con cui sosteneva l'ombrellino presso la spalla.

Infine, coi capelli neri, potenti di attrazione, ella risvegliava l'imagine di una donna orientale, e ancòra molte imagini di obliosa mollezza in qualche stupendo gineceo.

—Come si sta bene, qui!—riprese, guardandosi in giro.—Noi volevamo partir dopo i bagni, ma il dottor Noli….

—Certo,—esclamò il Lascaris vivamente.—Sarebbe pericoloso ricondurre la signorina a Milano durante l'inverno.

—Per ciò, rimarremo. Ho già prolungato l'affitto per tutta la stagione invernale…. Il paese è tanto tranquillo….

E s'interruppe, aspettando ch'egli dicesse se partiva dopo i bagni; ma l'uomo tacque, sembrandogli stranamente che l'annunzio avrebbe preso un significato d'intenzione.

—Siamo a Pieve,—egli disse, con un gesto alle case, dove la piccola discesa moriva.—Vuole andare avanti?

—No; riposo un poco, e poi ritorno.

Emilia traversò la strada, scelse un rialzo coperto di spessa erba, verso il mare, e sedette. Cesare restò in piedi, contemplandola.

—«Com'è bella!»—pensò fanciullescamente.

Per vent'anni di vita vera, e per dieci di professione medica, egli non aveva conosciuto se non il piacere comune, e s'era fatta l'abitudine di ricevere le lettere femminili che parlassero d'una voluttà testè morta, e ne promettessero altre per la dimane. Dell'amore, nulla più gli era noto: non gli ostacoli stimolanti, non i contrasti gravi, non alcuna delle condizioni per le quali la necessità fisica si purifica. Egli aveva appena assaggiato qua e là, gustosamente.

Ma in quell'ora, a fianco d'Emilia, Cesare cominciava a provare una specie di deliziosa angoscia, turbato dal presentimento del destino.

—Sì, è molto tranquillo il villaggio,—egli soggiunse,—e ci si diventa molto pigri. Io non mi occupo di nulla, e non trovo tempo di scrivere agli amici.

—Io pure,—disse Emilia sorridendo,—non ho che abitudini d'ozio….

Essi erano perduti, dimenticati in fondo al paese. I treni passavano frequentissimi, trascinando gente ignota a ignote fortune; ma in gran parte procedevano oltre, e non rimaneva nell'aria se non l'eco d'un fischio stridente, e qualche latteo globo di vapore.

A mezz'ora di cammino, a Nervi, la vita era già più intensa; la rinomanza de' suoi alberghi e la bellezza della sua marina vi chiamavano ogni anno una varia folla di stranieri, malati d'anima o di corpo, o abituati a climi tepenti.

E intensissima, febbrile, tumultuosa, era la vita a Genova, dove Emilia, per unica distrazione, si recava spesso con Roberta. Lasciata la carrozza, le due sorelle andavano a passeggio per le grandi vie e per le viuzze stipate di botteghe, quasi ad un viaggio d'esplorazione, su per le lunghe salite, a capriccio, felici quando arrivavan da sole a qualche altura, che dominasse la città, il porto, il mare ampio e multicolore. Non conoscevano persona, a Genova; non capivano una parola dei dialetto serrato ed aspro; godevano di sentirsi forestiere, e di passare a fianco d'una folla che le ignorava; l'andirivieni della gente, il frastuono dei carri, la sfilata fitta dei negozii, davan loro l'idea d'un gran mercato sempre in tumulto; e diversamente che a Milano, ove sapevano a memoria i nomi delle ditte principali, e credevano sapere tutte le abitudini della città,—gustavano a Genova ogni volta qualche cosa imprevista, e osservavano l'ansia della vita romorosa, estranee come a uno spettacolo. Sul tardi riprendevano la carrozza per tornare a casa, raccomandando al cocchiere di non frustar troppo. Esse temevano un poco; ma la gita le divertiva appunto perchè le discese ripidissime, la strada spesso parallela alla via ferrata, incutevano un'ombra d'attraente pericolo. Qualche volta, il treno le sopraggiungeva, rapido e formidabile; e il cavallo, fermo innanzi alle barriere, drizzava le orecchie, volgeva la testa a guardare.

Era l'attimo più commovente della passeggiata; le giovani si stringevano la mano, sorridendo. Il mare pompeggiava, solenne di quieta potenza; le ville davano al paesaggio la nota leggiadra o maestosa, incensando l'aria coi profumi dei giardini, e tagliando il cielo puro coi ricami aggrovigliati o con le punte argute degli alberi. Di frequente il sole era tramontato, e la carrozza saliva ancòra l'ultima ascesa tra Nervi e Sant'Erasmo; i monelli sulle porte schiamazzavano; qualche carro, con le ruote pesanti affondate nel terriccio, ingombrava la strada, e nella penombra risonavano gli aizzamenti gutturali degli uomini, i tintinnabuli dei muli e dei cavalli inarcati a trarre il veicolo. Arrivavano a casa, le due sorelle, quando già i fanali modesti fiammellavano sul verde cancello del giardino; correvano, salivan presto le scale, trovavan l'uscio spalancato e la cameriera impaziente. Sulla tavola lumeggiata da un'alta lucerna a colonna, la tovaglia, il vasellame, le posate mandavano bagliori; e la serata cominciava, tutta bella d'intimità. Non v'erano se non i radi colpi di tosse, che potessero mettere sul volto d'Emilia una nube fugace….

—Vuole che torniamo?—disse a un tratto la donna, alzandosi e incamminandosi.

Essi ripresero la via, involuti nella sensazione della complessa irresponsabilità delle cose, la quale sovraneggiava ovunque.

—I suoi amici stanno a Milano?—riprese quindi Emilia, più audace perchè rifletteva sempre troppo tardi.

—Quasi tutti,—disse Cesare.—Ma veri amici non ne ho: colleghi, compagni di studii, conoscenze: legami, infine, che non resistono alla lontananza….

Mandò un respiro di sollievo, perchè gli sembrava d'aver detto molto con la parola legami.—«Avrà capito?»—si chiedeva, studiando sul viso d'Emilia l'impressione della risposta.

Ed Emilia, che camminava con lo sguardo a terra, parve ergersi più dritta, liberata da un peso invisibile; alzò gli occhi, incontrò gli occhi del Lascaris, e si trattenne a forza per non sorridergli.

—«Com'è bella!»—ripensò questi, un po' umiliato di non trovare altro per lei.

Ella non era corpo soltanto, ma uno spirito, un pensiero, un'anima; e tuttavia dal cuore di lui non salivano con violento impeto, se non quelle tre parole, che l'avrebbero fatta arrossire, s'egli le avesse pronunziate.

Emilia fu punta da un brusco rimorso. Aveva dimenticato Roberta. Perchè aveva potuto dimenticarla e parlarne tanto poco e non insistere sulla guarigione inattesa?

Disse allora, con voce tutta diversa:

—Dunque, è ben certo, signor Lascaris, che possiamo considerar salva Roberta? Non v'è pericolo d'una ricaduta, d'un peggioramento subitaneo?…

Preso all'impensata, in mezzo a visioni così lontane dalla malattia, dalla morte, da quella giovanetta, ch'egli considerava col dispregio compassionevole d'un artista per un bel quadro screpolato, Cesare ebbe la tentazione abbacinante di gridare ad Emilia:

—«Non legarti a lei; è condannata. Tu sei per la vita, ed ella è per la morte. Tu hai i diritti di quelli, che il genio della specie ha creato a tutela della sua purezza, e Roberta ha i doveri di rinunzia, che il suo male e il pericolo del contagio le impongono».

Esitò un lampo a rispondere, e già Emilia s'era arrestata, esclamando con voce angosciosa:

—Ma Lei non m'inganna, dottore? Non avrà coraggio di farmi sperare nell'assurdo, se fra poco?… Non m'inganna, non m'inganna?…

Il grido confermò Cesare nell'assoluta necessità d'ingannare. Le ansie precedenti una catastrofe sono tutte inutili, e più torturanti per l'incertezza del giorno e del modo. S'egli avesse detto la verità, da quell'ora Emilia sarebbe vissuta in uno strazio continuo, col dovere continuo di portare una maschera intollerabile di fronte all'ammalata. Quando l'inganno non fosse stato più possibile, egli l'avrebbe confortata, dimostrandole la carità dell'antica menzogna.

Afferrò dunque la mano stesa dalla donna quasi ad implorare, e stringendola nella sua, rispose con fermezza:

—Le dò la mia parola, signora, ch'io non dubito dell'avvenire…. La signorina Roberta è guarita….

—Quanto le sono grata!—esclamò Emilia, riprendendo il cammino a fianco di lui.

Poscia cedettero senza rimorsi al piacere di parlar di sè, obliando un'altra volta la fanciulla. Quando passarono innanzi al viottolo digradante al mare, pel quale Emilia era comparsa e s'era incontrata col Lascaris, lo guardarono ambedue un istante, e trovarono bellissima la scorciatoia stretta, impedita qua e là dagli arbusti scortesi.

Parlarono degli amici, figure scialbe divenute più pallide in quell'ora di porpora.

Emilia descrisse le sue conoscenti, sfiorandole con la satira femminile; Cesare usò la satira maschile, un po' rude, che aveva talvolta la gravita d'un rancore; e l'iconografia servì a riempire qualche lacuna, accennando ai luoghi visti in tempi diversi da ambedue, e alle persone conosciute dall'uno e dall'altra.

Infine, l'ultimo tratto di strada fu silenzioso, angustiato dal prossimo breve distacco e dal problema d'occupare la giornata, il cui inizio era sorto pieno di vibranti speranze, di tremanti desiderii.

Ammirarono insieme il ponte della ferrovia, a cinque grandi arcate, le quali incorniciavano cinque enormi quadri d'orizzonte, d'azzurro, di verde e di casupole: sfida insostenibile alla meccanica arte umana.

Cesare accompagnò Emilia fino all'ingresso della villetta, spalancandole innanzi il robusto cancello che cigolava.

Dall'ombra dei palmizii uscì incontro ai due giovani la figura curva e malaticcia di Roberta; si avanzava adagio, svogliata, trascinando seco una folla di disgusti, e fra le mani teneva un gran libro di racconti fantastici.

La fosforescenza, ch'è nel sorriso e intorno al corpo degli innamorati, si spense tosto intorno a Cesare e ad Emilia.

Roberta

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