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LUCIANO ZÙCCOLI. ROBERTA I.

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Indice

La prima volta che Cesare Lascaris entrò in casa delle due sorelle, il cielo sfarfallava di lampi infaticabili a levante e a ponente, come per un'alternativa di colori liquefatti e largamente diffusi sopra una cupola immensa.

Roberta era stata ripresa dal suo male.

Una leggera spuma rosea le era sgorgata dalla bocca, mentre innanzi alla finestra seguiva col binocolo un vapore, che all'ultima linea delle acque passava sotto il tumulto dei lampi, sotto il cumulo più nero delle nubi. Aveva deposto sùbito il cannocchiale, e volgendosi a Emilia con la pezzuola umida di sangue, aveva detto:

—Ecco!—rispondendo alla sorda inquietudine, che dalla prima comparsa del morbo le aveva confitto gli artigli nel cuore.

Il giorno, levatosi per le due giovani tranquillo come gli altri, divenne repentinamente funebre; l'uragano addensato fuori, parve ad ambedue il quadro naturale in cui il dramma doveva svolgersi, e l'aria pregna di correnti elettriche, solcata dalle luci minacciose, le avvolse e le fece vibrare di spavento.

L'Implacabile risorgeva.

Avevan voluto dimenticarla, fuggendo dalla città, aspirando i germi vitali nel paesello ligure inapprezzato dal capriccio misterioso della folla. Tutto della loro vita era stato tacitamente disposto per raggiungere quell'oblio. Scorrevano ogni giorno lungo tempo sulle rocce più inoltrate nel mare, fin dove l'onda s'accartocciava ribollendo passeggiavano adagio, metodicamente verso il crepuscolo, dov'era men facile incontrare i carri, che sollevavano nugoli di polvere; la villetta era aperta sempre a finestrate di sole, a fiumi d'aria pura. Roberta seguiva i consigli dei medici, ed Emilia si studiava d'allontanarle ogni causa di malcontento.

Se si fissavan negli occhi per leggervi il medesimo pensiero inconfessato, gli occhi tentavan sùbito d'esprimere pensieri frivoli e pieni d'avvenire. Il male sembrava cosa antica, pessimo sogno pessimamente interpretato dagli uomini della scienza. Guardavano innanzi a sè, lasciandosi addietro il ricordo della malattia breve e furiosa, cui Roberta s'era sottratta per una generosità de' suoi diciannove anni.

E l'Implacabile risorgeva; e quella spuma sanguigna voleva dire la Morte, e quei colpi di tosse che riprendevano, erano la Morte, e tutto; era la Morte, la Morte, la Morte nel giorno denso di luci minacciose, divenuto il primo periodo d'un dramma del quale s'ignoravano gli episodii futuri e s'intuiva la fine.

—Non spaventarti,—disse Emilia con la voce tronca.—Non è nulla….

Sai che non può essere nulla…. Mando a chiamare il medico…

Roberta era caduta sul divano, e nell'ombra dell'angolo si vedevan l'abito turchino a merletti bianchi, il volto cereo ed ovale. Le braccia erano abbandonate lungo il corpo. Sotto l'atteggiamento incerto, covava il terrore di chi aspetta un nuovo segno infallibile: ella attendeva un altro colpo di tosse, un rigurgito di sangue, la rottura d'una arteria, che la soffocasse in un lago di sangue; poichè nessuno meglio di lei conosceva tutte le possibilità spaventose d'una soluzione certa.

—Sùbito dal medico; venga sùbito; lasci qualunque cosa…. Hai capito?—ordinò Emilia alla cameriera accorsa.—Sùbito, sùbito, sùbito…. Vuoi andare a letto, Roberta? Ti aiuterò' io…. Fatti coraggio….

E mentre parlava riprendendo il suo posto innanzi alla sciagura, si irrigidiva per resistere alla tentazione di fuggire, mandando grida laceranti…. Piegarsi, prosternarsi brutalmente alla fatalità, piangere fino al torpore e sentire il tempo uguale, infinito, passare su di lei e sopra le cose, doveva essere una voluttà divina.

Ella non era creata per tener fronte alle avversità: con la morte del marito dopo un anno di matrimonio e con la prima malattia di Roberta, due volte una ribellione di inerzia era nata in lei; il bisogno di sfuggire a sè medesima e all'azione, era divampato così furibondo, che le era avvenuto d'inginocchiarsi a pregare perchè fosse mutata in una statua dal gesto eterno, dalla insensibilità eterna….

Ma si riprese per quello stesso spirito di rivolta, il quale d'ora in ora aveva forme così diverse; allungò le mani alla sorella e l'aiutò ad alzarsi, riuscendo a sorriderle.

Sulla soglia della sua camera, Roberta si arrestò un istante sotto un nuovo attacco del male; il fazzoletto si arrossò, una sottil bava sanguigna le scese lungo la connessura delle labbra, si ruppe…. Allora, sciogliendosi dalle mani d'Emilia, la fanciulla corse al letto, strappò gli abiti, slacciò i cordoni delle sottovesti, gettò ogni cosa a terra, fu pronta, e si ricoverò tra le coltri, dicendo febbrilmente:

—Vedi, che è proprio il male? Vedi, che bisogna morire?… Non parlare, hai capito? Non dir nulla…. Il medico, non lo voglio…. Va via, anche tu….

Emilia rimase in piedi presso il letto, fisicamenta assorta nei romori della tempesta, che dalle sbarre delle gelosie proiettava il suo livido ghigno nella camera.

Così, spoglia d'ogni attraenza materiale degli abiti, Roberta era l'ammalata.

Sotto l'epidermide bianca, una miriade di piccoli punti rossi, qua diffusi e là raccolti in nucleo, segnava la persistenza del morbo; il seno, questa gloria incomparabile del sesso e della giovanezza, era crivellato dai nuclei rossastri e s'affondava, invece di protendersi esuberante…. Di quel corpo virgineo avvolto fra le lenzuola, non rimaneva attenta, vivente, perspicace, se non la testa coi capelli biondi e disordinati; ma ancòra sotto la pelle della fronte e sulle guance, comparivano le piccole macchie rosse incancellabili. Gli occhi erano d'un azzurro vitreo, le labbra tumide, i denti bianchissimi, il profilo netto e puro, quasi ellenico. Il resto delle sue forme non aveva linea e valore, se non corretto dalle mani scaltre delle cucitrici e lusingato dai colori festevoli o ingenui delle stoffe.

Per la camera semioscura aleggiava un profumo indefinito d'acque odorose; i mobili modesti delle case d'affitto variamente ricoperti e senza stile, parevano l'avanzo di diversi addobbi; il letto solo in mogano lucidissimo era elegante e nuovo. Sui tavolini, sui divani, s'ammucchiavano i libri rilegati o sciolti, una collezione di romanzi, da Walter Scott agli ultimi autori russi, che Roberta leggeva senza posa e senza scelta, fino ad averne l'emicrania.

Ella era ancòra la fanciulla tipica, angariata e deliziata dai sogni un po' umoristici del romanticismo; si costruiva in testa una favola di principi e di re, si assegnava una parte nella favola, mutava e rimutava gli episodii, vivendo, con qualche residuo dei preconcetti acquei di collegio, in assoluto ritardo, in voluta contraddizione con tutto quanto era vita intorno a lei.

Emilia, seduta a fianco del letto, tenendo fra le sue una mano di Roberta, stava sempre attenta ai romori esterni, poichè nella camera era piombato un silenzio di malattia, che la riconduceva a dieci mesi prima, richiamando a galla i terrori, le stanchezze, le disperazioni di quei giorni.

Fuori, a levante e a ponente, i lampi gareggiavano; sulla casa il tuono si trascinava con lunga eco; di momento in momento, la camera era infiammata da una vampa lividiccia, cui seguiva il crepitio secco d'una scarica elettrica. Roberta si drizzava a sedere, guardava Emilia negli occhi, e ricadeva sui guanciali.

In quei passaggi di pesante angoscia, esse comprendevano, o chiaramente o vagamente, che nè per loro nè per altri la vita non aveva indulgenze, che i benigni non esistevano, e che la lotta non era solo in grandi giorni di battaglia, ma in tutti i meschini giorni dell'anno, in tutte le piccole ore del giorno.

—È finito?—disse Roberta ansiosa.—Guarda se è finito…. Mi fa così male…

Emilia andò a guardare, socchiudendo le imposte. Per quanto si vedeva da quella finestra sul fianco della casa, l'uragano pareva cominciasse allora. Il monte di Santa Croce era fosco sotto le proiezioni oscure della nuvolaglia, e la collana d'uliveti che ne discendeva e si propagava sul versante, aveva preso il colore sinistro e scialbo dei giorni di tempesta. Le case a tinte vive, secondo il concetto degli antichi marinai, i quali da lontano volevano riconoscerle e salutarle, aspettavano silenziose la cavalcata delle nubi, illuminandosi al riflesso dei lampi…. E a un tratto, per la violenza del tuono, le nuvole si spalancarono come porte gigantesche e mostrarono il fulmine ricurvo, dorato, arme classica e divina, che si sfoderò precipitando dietro la montagna…. Susseguì il vento, la pioggia sferzò, ora verticale, ora a sghimbescio, a capriccio del vento, e l'uragano si stabilì sopra il paese.

—Siamo alla fine,—rispose Emilia, accostando le gelosie.—Come stai, cara? Va meglio?

La sorella teneva le palpebre calate e sul volto le era scesa una maschera di sublime indifferenza per ogni cosa mortale.

—Vuoi dormire?—soggiunse Emilia con voce più cauta.

Roberta scosse un poco la testa; ad occhi chiusi sembrava assorta nell'ascolto del male,—dava tregua o saliva di grado in grado senza ostacoli?—e il mutismo d'una rassegnazione interamente fisica le aveva invaso l'anima. Emilia, rimasta a guardarla, fece un gesto perduto, a sgombrar le visioni di certezza che andavano stringendola intorno. Con le mani serrate, immobile a' piedi del letto, ella pensava alla morte prossima; sua sorella doveva morire, forse quello stesso giorno, soffocata dal sangue rigurgitante nelle caverne dei polmoni. La fantasia, rinforzata dalla meccanica dei racconti uditi e delle memorie, dipingeva l'avvenimento, a grandi tratti prima, e poi ne' particolari più minuti e dolorosi: la donna si sentiva già piangere e mormorare le parole profonde, dissennate, che echeggiano inutilmente nelle case tragiche per la morte. Aveva gli occhi fissi al letto, e lo vedeva vuoto.

—Vuoi il ghiaccio? Devo prepararlo?—ella domandò, scuotendosi e avvicinandosi.

Ma a quel ricordo della malattia antica, Roberta alzò faticosamente le palpebre e negò con la testa. Emilia le toccò il polso, la fronte, le tempia.

—È fresca; non ha febbre. Non ha mai febbre,—mormorò, quasi parlasse con le visioni di certezza ch'erano intorno.—È la febbre, da temersi. L'altra volta l'aveva, ed è stata così male. Oggi non ha febbre; è fresca….

E se avesse obbedito all'istinto, avrebbe seguitato, gestendo contro le ombre del terrore: «—Capite, capite, che non può morire? Si salverà pure questa volta; continueremo la nostra via, l'una a fianco dell'altra, come ci siamo promesso.».

Non era passata un'ora dalla ricomparsa della malattia, ed Emilia aveva già smarrito ogni senso della vita abituale, quasi soffrisse da mesi, da anni. La mattinata semplice e monotona s'era dispersa tra le memorie bianche; la giovane ritrovava in sè medesima lo stato un po' febbrile, l'espressione laconica, il gesto attivo e silenzioso dei momenti solenni.

—Roberta,—disse con l'inesorabile ostinazione della paura,—stai meglio? Vuoi riposare?

L'ammalata sbarrò gli occhi cercando per la camera: vide la sorella a' piedi del letto e la fissò a lungo, ancòra con l'indifferenza serena di chi è già per altre vie lontane e mute.

Poi, senza tosse, senza fremiti, recò alle labbia la pezzuola, e l'arrossò ampiamente.

—Dio!—esclamò Emilia, accorrendo a sostenerla.

Il sangue sgorgava, non più roseo ma purpureo, una fontana vitale entro la catinella che Emilia teneva con una mano.

—Coraggio, cara, fatti coraggio,—susurrò Emilia.—È una crisi momentanea, lo sai….

Il sangue sgorgava, e le due sorelle s'erano avvinghiate intorno al busto tenacemente, guardando quella vita liquida, quella morte liquida, cui alcuna scienza umana non avrebbe potuto arrestare. Emilia era curva sotto un peso invisibile; Roberta non dava segno di terrore, ma stava rigida nell'attesa fredda e spaventevole, ritrovata fra le abitudini delle sue sofferenze.

La crisi cessò, il sangue ristette.

—Ti porterò il ghiaccio,—disse Emilia, posando la catinella insanguinata—Il ghiaccio ti guarisce, non è vero?

Ma non appena uscita dalla camera, traversando il gran salotto centrale, Emilia s'aggrappò a un mobile. Libera di naufragare nella disperazione ampia, senza difese, ella vedeva immancabilmente certa la soluzione; era destinata a seguitar tutta sola la sua strada, poichè la compagna le sarebbe caduta al fianco fra breve. E per una satanica raffinatezza della fantasia, una folla di episodii rosei le corse incontro; e per malvagia associazione d'idee, ella ricordò alcune pagine lette sbadatamente o alcuni discorsi distrattamente ascoltati sulla legge di selezione, sulla matematica necessità della morte precoce…. La fanciulla era senza dubbio inadatta a sostenere gli attriti dell'esistenza, e portava in sè le mortali ferite d'una vecchia razza esausta.

Ella pareva essere stata concepita in una notte di nevrosi, per un desiderio fiacco e metodico: imperfetta opera di due creature incatenate da vincoli legali e fittizii, Roberta aveva già troppo resistito alle raffiche forti e alle acute brezze micidiali; poichè, prima di lei, i fratelli erano stati travolti, e dopo lei, Emilia sola aveva rievocato il buon tipo originario; e dopo Emilia, i fratelli di nuovo erano tutti scomparsi in piccola età.

Ora, cotesta differenza di nervi, di muscoli, di forze, aveva più volte in Emilia risvegliato l'antipatia latente dei sani per i malati, l'antipatia bruta d'un corpo vivido e fresco per un corpo fradicio e passo.

—«Tu ti leghi a un mostro,—le susurrava lo spirito loico.—I tuoi sforzi non serviranno se non a prolungare un'agonia e a trasmetterti i germi, dai quali per maraviglia di natura ti sei salvata.»

E alla sentenza, che sembrava macabramente scritta con le ossa d'uno scheletro sulla via sperduta dell'avvenire, tosto succedeva la reazione generosa, esagerata; e per punirsene, Emilia avrebbe dato intera l'esistenza propria, e contratto volonterosamente i germi della malattia atroce.

Poichè il sordo antagonismo non giaceva soltanto in fondo alla sua coscienza; ma con disperata tristezza erasi dovuta persuadere che anche nell'anima di Roberta andava cristallizzandosi un rancore quasi animale contro la sanità e la procacità inconscia di lei, contro il suo avvenire, contro la facoltà di goder le gioie, cui ella, Roberta, non avrebbe avvicinato mai…. Certi misteriosi allontanamenti, certi risvegli di violenta simpatia, nei quali la fanciulla soffocava una voce imperiosa e sconsigliata, avevano quella sola spiegazione. Mai come quando le due sorelle si gettavano una nelle braccia dell'altra, mai come allora eran così fresche reduci dall'odio, mai come allora avevan sentito passar sulle reni una cosa viscida e molle, che si chiama ribrezzo.

Anche in quel giorno in cui lo spavento rinasceva con la tenera sollecitudine, l'istinto oscuro aveva arrestato Emilia, uscita appena dalla camera di Roberta:

—«Perchè ti affatichi?—le fischiava all'orecchio.—L'ha detto ella stessa: il suo male ritorna e bisogna ch'ella muoia. Vuoi contrastare il passo a una legge sovrumana?»

Una scampanellata la richiamò interamente; doveva essere il dottor Noli, il medico del paese, che con l'esperienza di chi ha visto innumerevoli casi d'una stessa malattia, aveva fortificato, la sua teorica mediocre.

Emilia andò ella medesima ad aprire; la mano tremava d'impazienza, volgendo due volte la chiave nella toppa,

Sul ripiano stavano la cameriera e un uomo, che Emilia non ravvisò sùbito.

—Il medico non c'era,—disse la domestica.—È andato a Genova; mi hanno indicato il signore; è medico anch'egli e si trova qui per i bagni. Ho pregato lui di accorrere; non voleva, ma l'ho persuaso, perchè il dottor Noli non tornerà fino a domani…. Ho fatto bene? Le pare?…

Mentre parlava la cameriera, Emilia aveva dato il passo all'uomo.

Cesare Lascaris entrò, mormorando un saluto. Emilia gli gettò uno sguardo: era alto, elegante, bruno in viso; dimostrava alcuni anni più dei trenta. La giovane lo conosceva per averlo visto in paese qualche volta.

—È dottore, lei?—gli domandò bruscamente, guardandolo dritto in faccia.—Perchè non sta a Genova? Come può essere qui in ozio, se è dottore?… Si tratta della vita di mia sorella….

Cesare Lascaris consegnò l'ombrello gocciolante alla domestica, e sorrise tranquillo.

—Se si tratta d'un caso grave, sarà forse inutile perder tempo in spiegazioni che darò dopo,—rispose.—Non appena giungerà l'amico mio dottor Noli, gli cederò il posto; ma intanto, se si tratta d'un caso grave…

Si fermò, annoiato di dover ripetersi, della diffidenza che l'accoglieva, della penombra che le imposte chiuse stendevano nel salotto e che gl'impediva di veder bene in volto la sua nemica; ma l'abitudine gli smorzò sùbito la voce un po' vibrante.

—S'accomodi,—offerse Emilia, vergognosa del primo impeto.—Mia sorella ha avuto stamane uno sbocco di sangue….

Allora, innanzi di passar nella camera dell'ammalata, Cesare Lascaris propose una serie di domande imbarazzanti su Roberta, mentre Emilia a testa bassa di fronte a lui rispondeva precisa e chiara, con una mal celata animosità contro l'uomo, il quale aveva diritto a conoscere ogni fatto intimo della vita fisica d'una vergine.

Roberta

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